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RACCONTO

1. Seduto su un tronco   2

Questa è una leggenda degli indiani Cherokee a riguardo del "rito di passaggio".

Il padre porta il figlio nella foresta, gli mette una benda sugli occhi e lo lascia lì da solo. Il giovane deve rimanere seduto su un tronco tutta la notte senza togliere la benda finché i raggi del sole non lo avvertono che è mattino. Non può e non deve chiedere aiuto a nessuno. Se sopravvive alla notte, senza andare a pezzi, sarà un uomo.

Non può raccontare della sua esperienza ai suoi amici o a nessun altro, perché ogni giovane deve diventare uomo da solo.

Il ragazzo è chiaramente terrorizzato: sente tanti rumori strani attorno a lui. Ci sono senz'altro bestie feroci che lo circondano. Forse anche degli uomini pericolosi che gli faranno del male.

Il vento soffia forte tutta la notte e scuote il tronco su cui è seduto, ma lui va avanti coraggiosamente, senza togliere la benda dagli occhi. In fondo, è l'unico modo per diventare uomo!

Finalmente, dopo una notte terrificante, esce il sole e si toglie la benda dagli occhi. Ed è così che si accorge che suo padre è seduto sul tronco a fianco a lui. È stato di guardia tutta la notte proteggendo suo figlio da qualsiasi pericolo.

Il padre era lì, anche se il figlio non lo sapeva.

Anche noi non siamo mai soli. Nella notte più terrificante, nel buio più profondo, nella solitudine più completa, anche quando non ce ne rendiamo conto, Dio non ci abbandona mai, e fa la guardia, seduto sul tronco a fianco a noi.

pauraamore di Diorapporto con Diofedefiduciaabbandonoabbandono in Dio

inviato da Qumran2, inserito il 23/12/2020

TESTO

2. Avvento: attesa e vigilanza

John Powell

Il Signore ci chiede di essere vigilanti e pronti perché non possiamo conoscere in anticipo l'ora di Dio, l'ora in cui Dio viene a visitarci con un intervento speciale. Sono ormai abbastanza anziano e saggio da pensare che non posso forzare quest'ora di Dio.

Dio verrà da me e da te, a modo suo e quando vorrà. A volte siamo tentati di comportarci come coloro che addestrano gli animali con i cerchi. Chiediamo a Dio di venire e di saltare attraverso i nostri cerchi proprio come vogliamo noi! Ma, alla fine, scopriamo che Dio non è un animale ammaestrato. Dio sceglie i suoi momenti e suoi mezzi. La nostra parte è solo di essere pronti per questi momenti speciali. A volte, l'ora di Dio sembra giungere proprio nel momento in cui non ce la facciamo più. Ad ogni modo, la nostra fiducia in Dio ci dice che Dio verrà, al momento migliore e nel modo migliore. Io devo permettere a te di essere te stesso, e tu devi permettere a me di essere me stesso.

E noi dobbiamo permettere a Dio di essere Dio.

avventoattesavigilanzarapporto con Diopreghiera

inviato da Francesco De Luca, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

3. A cosa serve leggere la Bibbia?   3

C'era un ragazzo che viveva con suo nonno in una fattoria. Ogni mattina il nonno, che era cristiano, si alzava presto e dedicava del tempo a leggere le Scritture.

Il nipote cercava di imitarlo in qualche modo, ma un giorno chiese: «Nonno, io cerco di leggere la Bibbia ma anche le poche volte che riesco a capirci qualcosa, la dimentico quasi subito. Allora a cosa serve? Tanto vale che non la legga più!».

Il nonno terminò tranquillamente di mettere nella stufa il carbone che stava in una cesta, poi disse al nipote: «Vai al fiume, e portami una cesta d'acqua». Il ragazzo andò, ma ovviamente quando tornò non era rimasta acqua nella cesta. Il nonno ridacchiò e disse: «Beh, devi essere un po' più rapido. Dai, muoviti, torna al fiume e prendi l'acqua». Anche questo secondo tentativo, naturalmente, fallì.

Il nipote, senza fiato, disse che era una cosa impossibile, e si mise a cercare un secchio. Ma il nonno insistette: «Non ti ho chiesto un secchio d'acqua, ma una cesta d'acqua. Torna al fiume». A quel punto il giovane sapeva che non ce l'avrebbe fatta, ma andò ugualmente per dimostrare al vecchio che era inutile, per quanto fosse svelto l'acqua filtrava dai buchi della cesta. Così tornò al fiume e portò la cesta vuota al nonno, dicendo: «Vedi? Non serve a niente!».

«Sei sicuro? - disse il nonno - Guarda un po' la cesta». Il ragazzo guardò: la cesta, che prima era tutta nera di carbone, adesso era perfettamente pulita!

«Figlio, questo è ciò che succede quando leggi la Bibbia. Non capirai tutto, né ricorderai sempre ciò che hai letto, ma quando la leggi ti cambierà dall'interno. Dio lavora così nella nostra vita, ci raffina interiormente e a poco a poco ci trasforma perché possiamo assomigliargli».

bibbiaparola di Diocambiamentoconversione

inviato da Qumran2, inserito il 06/07/2018

RACCONTO

4. Il bambino rapito

C'era una pacifica tribù che viveva in pianura ai piedi delle Ande. Un giorno, una feroce banda di predoni, che aveva il covo nascosto tra le vertiginose vette delle montagne, attaccò il villaggio. In mezzo al bottino che portarono via c'era anche un bambino, figlio di una famiglia della tribù di pianura, e lo portarono con loro in montagna.
La gente di pianura non sapeva come fare a scalare la montagna. Non conoscevano nessuno dei sentieri usati dalla gente di montagna, non sapevano come trovare quella gente o come trovare le loro tracce su quel terreno scosceso. Ciò nonostante mandarono un gruppo di uomini, i loro migliori guerrieri, a scalare la montagna per riportare a casa il bambino.
Gli uomini cominciarono la scalata prima in un modo, poi in un altro. Provarono un sentiero, poi un altro. Dopo diversi giorni di duri sforzi, erano riusciti ad andare solo un centinaio di metri su per la montagna. Sentendosi completamente impotenti, gli uomini di pianura si diedero per vinti e si prepararono a tornare al villaggio giù in basso.
Mentre stavano per fare marcia indietro videro la madre del bambino che veniva verso di loro. Si accorsero che stava scendendo dalla montagna che loro non erano riusciti a scalare. E poi videro che portava il bambino in una sacca dietro le spalle. Uno degli uomini dei gruppo la salutò e disse: «Non siamo riusciti a scalare questa montagna. Come hai fatto tu a riuscirci quando noi, che siamo gli uomini più forti del villaggio, non ce l'abbiamo fatta?».
La donna scrollò le spalle e disse: «Non era il vostro bambino!».

Dio ha detto a ciascuno di noi:
«Tu sei il figlio che amo.Tu sei il mio bambino».
E niente e nessuno lo ha fermato per riportarci a casa.

amore di Diosalvezzaamorericercagenitorifiglipaternitàmaternitàtenaciaforzaimpossibile

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

5. Essere generosi è mollare la presa

Piero Ferrucci, La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005

Essere generosi vuol dire vincere l'antica ansia di perdere ciò che possediamo. Vuol dire ridisegnare i nostri confini. Per la persona generosa i confini sono permeabili. Ciò che è tuo - la tua sofferenza, i tuoi problemi - è anche mio: questa è la compassione. Ciò che è mio - i miei possessi, le mie abilità e conoscenze, le mie risorse, il mio tempo, la mia energia - è anche tuo. Questa è la generosità.

Con la vittoria sui livelli antichi dell'inconscio e una ridefinizione dei confini, la generosità provoca in noi una trasformazione profonda. Inutile negarlo: spesso anche la persona più rilassata e gioviale nell'intimo è aggrappata ai suoi averi con tutte le sue forze. Questi muscoli emotivi sono sempre tesi. Ciò che abbiamo, o che crediamo di avere, ce lo teniamo stretto: una persona, una posizione sociale, un oggetto, la nostra sicurezza. E in questo trattenere c'è paura. Siamo come quei bambini, descritti da una parabola buddhista, che su una spiaggia hanno costruito i loro castelli di sabbia. Ognuno ha il suo castello. Ognuno ha il suo territorio. Tutti si sentono importanti: «È mio!», «È mio!». Magari si azzuffano, fanno la guerra. Poi cala la sera, i bambini ritornano alle loro case. Dimenticano i castelli di sabbia e vanno a dormire. Intanto l'alta marea cancella tutto. I nostri monumenti più preziosi sono castelli di sabbia. Vogliamo prenderci veramente così sul serio? La generosità molla la presa, è molto più rilassata.

generositàattaccamentolibertàavariziaschiavitù

inviato da Qumran2, inserito il 21/08/2017

RACCONTO

6. Il foglio e il punto nero   2

Mons. Gianfranco Ravasi, Avvenire, 5/1/2011

Un maestro indù mostrò un giorno ai suoi discepoli un foglio di carta con un punto nero nel mezzo. «Che cosa vedete?», chiese. «Un punto nero!» risposero. «Nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco!», replicò il maestro.

È questa la legge che fa riempire di cronaca nera i giornali e le televisioni: un solo delitto ha più peso di mille atti di generosità e d'amore, secondo i parametri dell'informazione. Anche noi siamo pronti a cogliere la pagliuzza nell'occhio dell'altro e ignoriamo la luminosità sorridente di tanti sguardi. È normale elencare tutte le amarezze dell'esistenza e ignorare la quiete e le gioie che pure accompagnano la maggior parte dei nostri giorni. Il nostro pensiero si fissa con più facilità sui punti neri del cielo della storia che non sulle distese di azzurro e di luce. Certo, non si deve essere così ottimisti o ingenui da ignorare il male che pure costella le vicende umane, ma non è giusto considerare come marginali la meraviglia delle albe e dei tramonti, lo stupore del sorriso dei bambini, il fascino dell'intelligenza, il calore dell'amore. Il sì è più forte del no.

E in questa linea vorremmo aggiungere un'altra nota. Ce la offre Pirandello nel suo dramma Il piacere dell'onestà (1918) quando il protagonista dichiara: «È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si dev'essere sempre».

Anche nel bene può, quindi, vigere la stessa legge: il punto più luminoso dell'eroismo attira tutta l'attenzione, facendo dimenticare che è ben più mirabile il tenue filo di luce che percorre tutte le giornate di un genitore dedicato alla sua famiglia, forse con un figlio disabile. C'è un eroismo quotidiano che non fa suonare le trombe davanti a sé, ma che ha in sé una grandezza ben più gloriosa.

benemaleottimismopessimismopositivitànegativitàimpegnoresponsabilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2017

RACCONTO

7. Le sette meraviglie del mondo   4

Fu chiesto a un gruppo di studenti di redigere la lista di quelle che credono essere «le sette meraviglie del mondo» della nostra epoca.
Ci furono delle differenze, ma ecco quelle che ricevettero più voti:

1. Le piramidi d'Egitto
2. Il Taj Mahal
3. Il Grand Canyon
4. Il Canale di Panama
5. L'Empire State Building
6. La Basilica di S. Pietro
7. Le Grande Muraglia Cinese

Mentre dava le note, l'insegnante notò che una studentessa non aveva consegnato il suo foglio, ancora bianco.
L'insegnante chiese alla studentessa se avesse difficoltà a compilare la sua lista. Lei rispose: «Sì, un po'. È difficile decidere, ce ne sono talmente tante!»
L'insegnante le disse: «Dicci quali sono le possibilità, potremmo aiutarti».
La ragazza esitò un po', poi disse:

«Credo che le sette meraviglie del mondo siano:

1. Vedere
2. Sentire
3. Toccare
4. Gustare
5. Avere dei sentimenti
6. Ridere
7. Amare...».

La classe rimase silenziosa.

Queste cose sono talmente semplici e scontate che ci dimentichiamo a che punto possano essere meravigliose!
Ricorda: Le cose più preziose non posso essere comprate né costruite dall'uomo.

meraviglie del mondonaturaumanitàconsapevolezzagratitudinecreato

inviato da Qumran2, inserito il 14/04/2017

TESTO

8. Il Dio del non-ancora

Luigino Bruni, Avvenire, 4 luglio 2015

C'era una volta un uomo di nome Giobbe. Il Dio che Giobbe cercava, sperava, amava, però non è arrivato. Gli innocenti continuano a morire, i bambini a soffrire, il dolore dei poveri ad essere quello più grande che la terra conosca. Giobbe ci ha insegnato che se c'è un Dio della vita deve essere il Dio del non-ancora. E che quindi può venire in qualsiasi momento, quando meno ce lo aspettiamo, lasciandoci senza fiato. Vieni!

giobbesofferenzasilenzio di Diopazienzadoloreattesa

inviato da Qumran2, inserito il 31/01/2017

PREGHIERA

9. Osiamo dire "Padre"   2

Alssandro Pronzato

Osiamo dire "Padre", anche se... ci deludi, se le cose vanno male e tu non intervieni. Anche se il male ci colpisce a tradimento e tu non fai nulla per impedirlo. Ci ostiniamo a invocarti come "Padre" anche se gridiamo e tu non rispondi, ci perdiamo e tu non ci lanci un segnale, anche se abbiamo bisogno di un abbraccio e tu ti neghi.

Continuiamo a chiamarti "Padre" anche se molti di noi sperimentano la tua assenza, anche se le nostre domande rimangono senza risposta. Abbiamo esaurito tutte le parole per dire la nostra fame, la sete, la disperazione, la paura, la solitudine. Ci resta quell'unica parola da spendere: "Padre" e tuttavia ci sembra che quella parola non funzioni più, sia come una moneta fuori corso, una chiave fuori uso.

O forse, non basta dire "Padre", ma bisogna dirlo nel modo appropriato. Probabilmente non abbiamo esaurito tutte le parole. Ne conserviamo altre nel nostro vocabolario di figli diventati troppo sapienti. E tu aspetti che ce ne liberiamo. Che disimpariamo a parlare da adulti, e ritroviamo il balbettio del bambino che a stento riesce a farfugliare un'unica parola.

Tu aspetti pazientemente che tiriamo fuori dal cuore quell'unica parola-balbettamento per dire la nostra fede: "Abbà..."

Allora sapremo semplicemente che ci sei. Che quella parola unica ha avuto il potere, non di attirare la tua attenzione, ma di ferirti. La scoperta fondamentale non è quella della potenza del padre, ma della sua debolezza, della sua vulnerabilità. Tutto certo resterà come prima. Problemi, fastidi, interrogativi, incidenti, incomprensioni, delusioni, macigni che non si spostano...ma se ne sarà andata la paura.

Sì. Tu sei un Padre che non si stanca di aspettare che i figli crescano fino a diventare piccoli. Si decidano a imparare tutto ciò che bisogna imparare fino ad arrivare a sapere una parola sola.

Dio Padrepaternitàrapporto con Diofiduciadisperazionefedesperanzaabbandono

inviato da Qumran2, inserito il 05/09/2016

PREGHIERA

10. Camminando verso Pasqua   3

Don Angelo Saporiti

Il mio viaggio verso Pasqua è incominciato.
Ho fatto tanti propositi:
rinuncerò a qualcosa,
frenerò la lingua,
sarò più paziente,
cercherò di vedere il positivo...
Ed ecco che già iniziano i problemi,
le difficoltà, le stanchezze,
la tentazione di lasciar perdere,
di rimandare al giorno dopo,
di dimenticare la mia promessa...
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
e sono già stufo e sbuffo.
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
ma non ci credo che ce la farò...
E provo vergogna... e anche un po' di rabbia...
Ma forse... ho sbagliato tutto.
Sì...
Ho sbagliato a pensare
che il cammino verso Pasqua,
significhi solo una serie di impegni e di rinunce,
una moltiplicazione di sacrifici e di preghiere...
Forse, in questa Quaresima,
dovrei solo abbandonarmi a te,
lasciarmi andare a te così come sono:
fragile, incapace, limitato, peccatore.
Abbandonarmi a te, perché
tu, Signore, sei il cammino che percorro.
Tu, Signore, sei la mano che mi guida.
Tu, Signore, sei lo sguardo che mi fa percepire gli altri.
Tu, Signore, sei la bocca quando ti do testimonianza.
Tu, Signore, sei l'orecchio, che ascolta le parole non dette.
Tu, Signore, sei la strada di questa Quaresima
che mi porta incontro a te,
che mi porta incontro agli altri.
Amen.

quaresimatentazionifiducia in Dio

4.3/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 08/03/2011

TESTO

11. L'amore del prossimo   1

San Giovanni Maria Vianney, Omelia per la XII Domenica dopo Pentecoste

Tutta la nostra religione non è che religione falsa e tutte le nostre virtù non sono altro che fantasmi; e siamo soltanto degli ipocriti agli occhi di Dio, se non abbiamo quella carità universale per tutti, per i buoni come per i cattivi, per i poveri come per i ricchi, per tutti quelli che ci fanno del male, come per quelli che ci fanno del bene. No, non c'è virtù che meglio ci faccia conoscere se siamo í figli del buon Dio, come la carità. L'obbligo che abbiamo di amare il nostro prossimo è così grande, che Gesù Cristo ce ne fa un comandamento, che pone subito dopo quello col quale ci ordina di amarlo con tutto il cuore. Ci dice che tutta la legge e í profeti sono racchiusi in questo comandamento di amare il nostro prossimo.

Sì, dobbiamo considerare quest'obbligo come il più universale, il più necessario e il più essenziale alla religione, alla nostra salvezza. Osservando questo comandamento, mettiamo in pratica tutti gli altri. San Paolo ci dice che gli altri comandamenti ci vietano l'adulterio, il furto, le ingiurie, le false testimonianze. Se amiamo il nostro prossimo, non facciamo niente di tutto questo, perché l'amore che abbiamo per il nostro prossimo non può tollerare che facciamo del male.

amore del prossimoamore fraterno

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

12. L'autentica preghiera   1

Adrienne von Speyr, Esperienza di preghiera

Se preghiamo in autentico abbandono e nella verità, allora la nostra preghiera sarà già compiuta nell'istante in cui la rivolgiamo, diversamente forse da come ce lo aspettavamo, ma tuttavia realmente. E noi ci stupiamo dell'infinita possibilità di compimento che Dio ha, della verità, della ricchezza. Mentre ci stupiamo, comprendiamo più profondamente, e sperimentiamo diversamente, siamo trascinati fuori dal nostro spazio nello spazio che Dio dona, siamo sollevati dalla nostra attesa all'attesa dell'eterna parola che parla.

preghieraveritàcontemplazioneabbandonostuporerapporto con Diofedefiducia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Peyron, inserito il 07/09/2008

PREGHIERA

13. La preghiera nella sofferenza   1

Adele Caramico Stenta

Mi chiedevo... ma quanto avrà sofferto Gesù sulla Croce?
Mi chiedevo... ma come avrà fatto a sopportare tutto?
Mi chiedevo... tante cose ed anche ora, in mezzo alla sofferenza, mi chiedo ancora dove sia un senso a tutto questo.
Ecco, assimilata alla tua Croce ora comprendo che ogni sofferenza non è inutile.
Il mattino mi sveglio grata di aver potuto riaprire gli occhi alla luce, e poi...
Una fatica ed un offrire continuo fino alla sera.
Ogni ora che passa è un'ora in più che il Signore concede.
Cosa dire ancora?
Come Paolo anch'io vorrei poter dire che non sono io che vivo ma è Cristo che vive in me... ma sono troppo fragile per riuscire ad avere una fede così grande.
Signore, questa croce è pesante, portala tu insieme a me ed insieme ce la faremo.
Amen.

sofferenzaoffertacrocesacrificio

inviato da Adele Caramico Stenta, inserito il 06/02/2006

ESPERIENZA

14. Anche da un letto di morte si può essere testimoni

Fiorenzo

Sono nato in una famiglia molto praticante, ma a volte avendo un tesoro in casa non ce ne rendiamo conto!

Ho passato tutti i miei anni (34) in una routine classica con qualche impegno in parrocchia, ma via via sempre meno impegnato fino all'indifferenza più completa; mi sono perso nel burrone dell'errore; credevo di farcela da solo... sbagliavo... avevo messo da parte Dio! Cominciavo a far della bestemmia la mia quotidianità... poi un giorno un signore di una certa età, malato da anni e uomo di profonda preghiera si aggrava e arriva a mettersi a letto da dove non si rialzerà più! Sono venuto a sapere del suo aggravarsi alle 23 di un giovedì come un altro... da quel suo letto di morte ha saputo trasmettermi ciò che nessuno mai prima era riuscito con le parole, la sua fede, la sua preghiera, il suo ringraziare mi hanno convertito! Da quel giorno la vita in Cristo è rinata, ora non passa giorno che non desideri pregare e ringraziare Dio di essere un suo figlio!

Quell'uomo, il 2 aprile scorso, mentre io ero a mangiare una pizza con amici è morto, il suo fisico è morto, ma la sua anima è sempre qui accanto a me e a noi; quell'uomo si chiama Giovanni Paolo II.

Giovanni Paolo IIconversione

inviato da Fiorenzo Rosa, inserito il 05/02/2006

TESTO

15. Povero Dio!   1

Adolfo Rebecchini

Ci avete presentato
un Dio serio,
noioso,
annoiato,
monotono...

Ci avete detto
di credere
per non morire,...

Ce lo avete presentato
come una formula matematica:
statico,
lontano,
assente,...

Così come ce lo avete descritto,
e così noi lo abbiamo visto:
lontano,
noioso,
triste,
solo,...

E non abbiamo creduto.

Invece,
ho scoperto
che Dio
è giovane,
allegro,
simpatico,...

Che ama stare in compagnia,
spaccarsi in quattro per gli amici,
che si commuove,
va spesso a cena fuori,
non disdegna l'allegria...

Fa il tifo per me
mentre cerco
di conquistare
una ragazza che mi piace,
o mentre,
disoccupato,
cerco un lavoro onesto
per poter vivere dignitosamente...

Il mio Dio tifa sempre per me.

E' con me durante
le interminabili e noiose lezioni di matematica...
e quando la vita mi chiama
a sostenere
le prove più difficili...

Il mio Dio
è sempre per l'oppresso,
il debole,
lo sfruttato,
le vittime dell'ingiustizia
e del potere...

Aiutami,
Signore,
a presentarti agli altri
per quello che realmente sei
e non attraverso le mie falsità
e le mie ipocrisie.

Diovolto di Dio

inviato da Adolfo Rebecchini, inserito il 05/02/2006

TESTO

16. Siete lì   1

Madre Teresa di Calcutta, ai giovani durante un Congresso Eucaristico

Oggi fra i giovani del mondo, Gesù vive la propria passione nei giovani sofferenti, affamati, handicappati... in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame.
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì con quel bambino?
E quelle migliaia che muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione...
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì?
E quando i giovani cadono, come Gesù è caduto più e più volte per noi, noi siamo lì come Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la croce? I barboni, gli alcolizzati, i senzatetto vi guardano. Non siate come quelli che guardano senza vedere. Guardate e vedete.
Possiamo iniziare a percorrere la Via Crucis, passo dopo passo, con gioia.
Gesù si è fatto pane della vita per noi. Abbiamo Gesù, sotto forma di pane della vita a darci forza.

sofferenzariconoscere Gesùvia crucissolidarietàdoloreimpegnoresponsabilitàpovertà

inviato da Chiara Palmanti, inserito il 21/06/2005

PREGHIERA

17. Preghiera del povero parroco   1

Tonino Lasconi

Gesù, lo vedi? Da un po' di tempo tutti ce l'hanno con me. I parrocchiani dicono che non mi trovano mai, che sto sempre in giro. Come se non stessi in giro per loro che nascono, si sposano, muoiono. I catechisti si lamentano, o perché li seguo troppo poco, o perché gli sto troppo addosso e non li lascio liberi. Gli anziani mi rimproverano di stare troppo dietro ai giovani. I giovani mi accusano di accordarla troppo ai vecchi. Gesù, il guaio è che anch'io ce l'ho con me, perché mi tocca fare un sacco di cose, senza riuscire a farle come vorrei e dovrei. Che devo fare? Più di questo non riesco a fare. E sarà sempre peggio: le forze diminuiscono e le esigenze crescono. Gesù, invece di lamentarsi, perché non mi aiutano tutti un po' di più, dal momento che essi sono chiamati a lavorare nelle tua vigna come me? Gesù, cosa dici? Faccio fatica a capire.

Dici che mi devo lasciare aiutare? Toh, non ci avevo pensato! Grazie, Gesù! Hai sempre delle idee fenomenali.

parrocosacerdozioapostolatocollaborazionecorresponsabilità

inviato da Eleonora Polo, inserito il 12/08/2003

TESTO

18. Imparare la tristezza del Natale   1

Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi

Tre righe in tutto. Per raccontarci l'avvenimento più straordinario della storia del mondo, Luca impiega tre righe. Un Dio che viene a "piantare la propria tenda in mezzo a noi". E l'evangelista ce lo riferisce in tre righe. Probabilmente la sua penna deve aver lottato parecchio per resistere alla tentazione di dire di più.

Tre righe in cima alla pagina. Quindi tutto un foglio bianco. E noi ci precipitiamo a imbrattarlo con le nostre parole.

Può sembrare un'idea bizzarra quella di aprire la serie dei "Vangeli scomodi" con il racconto della natività, con una pagina che pare autorizzare esclusivamente la tenerezza, la dolcezza e i pensieri più consolanti.

Eppure proprio queste tre righe di Luca, se riusciamo a spazzare via le nebbie di un equivoco sentimentalismo, risultano terribilmente scomode. Infatti costituiscono una spietata condanna per il nostro Natale gonfio di retorica, per il nostro Natale zeppo di cattiva poesia, per il nostro Natale ricco di cianfrusaglie multicolori e commozione a buon mercato.

Tre righe. E noi, invece, abbiamo imbastito un copione mastodontico e interminabile, imbottito di pacchianerie.
Gli abbiamo rovesciato sopra tonnellate di sentimentalismi.

Il silenzio è l'elemento naturale per la discesa della Parola sulla terra.

E noi abbiamo pensato di rompere quel silenzio che ci impacciava con gli scoppi di milioni di tappi champagne.

nataleincarnazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Foggi Silvana, inserito il 11/12/2002

TESTO

19. Gli amici sono le corde di una cetra   1

San Giovanni Crisostomo

Gli amici sono le corde di una cetra che, se tutte intonate tra di loro, producono al tocco una musica piacevolissima... Neppure le ricchezze più vistose si possono paragonare ad una salda amicizia. Le stelle irradiano la luce all'intorno; gli amici, dove giungono, portano gioia e bene. È meglio vivere nelle tenebre che mancare di amici... L'amicizia possiede anche la facoltà di ospitare nel nostro cuore la memoria degli assenti e ce li fa tanto desiderare da renderci vicini a loro e lontani da tutte le cose vicine.

amicizia

inviato da Immacolata Chetta, inserito il 22/11/2002

RACCONTO

20. La scelta   3

Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi

Un uomo si sentiva perennemente oppresso dalle difficoltà della vita e se ne lamentò con un famoso maestro di spirito: "Non ce la faccio più! Questa vita mi è insopportabile".

Il maestro prese una manciata di cenere e la lasciò cadere in un bicchiere pieno di limpida acqua da bere che aveva sul tavolo, dicendo: "Queste sono le tue sofferenze".

Tutta l'acqua del bicchiere s'intorbidì e s'insudiciò. Il maestro la buttò via.

Il maestro prese un'altra manciata di cenere, identica alla precedente, la fece vedere all'uomo, poi si affacciò alla finestra e la buttò nel mare.

La cenere si disperse in un attimo e il mare rimase esattamente com'era prima.

"Vedi?" spiegò il maestro. "Ogni giorno devi decidere se essere un bicchiere d'acqua o il mare".

Troppi cuori piccoli, troppi animi esitanti, troppe menti ristrette e braccia rattrappite.
Una delle mancanze più serie del nostro tempo è il coraggio. Non la stupida spavalderia, la temerarietà incosciente, ma il vero coraggio che di fronte ad ogni problema fa dire tranquillamente: "Da qualche parte certamente c'è una soluzione ed io la troverò".

ottimismofiduciasperanzasofferenzacoraggio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 30/09/2002

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