I tuoi ritagli preferiti

Tutti i ritagli

Indice alfabetico dei temi

Invia il tuo ritaglio

Hai cercato città tra i ritagli di tipo testo

Hai trovato 51 ritagli

Ricerca avanzata
tipo
parole
tema
fonte/autore

Pagina 1 di 3  

TESTO

1. Le beatitudini del vescovo

Mimmo Battaglia, Omelia del 31/10/2021

Beato il Vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.

Beato il Vescovo che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell'abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.

Beato il Vescovo che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.

Beato il Vescovo che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare al fianco dell'uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.

Beato il Vescovo che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell'animo umano per trovarvi l'oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.

Beato il Vescovo che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini.

Beato il Vescovo che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.

Beato il Vescovo che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia "dura" come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo.

serviziovescovobeatitudini

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

2. Gerusalemme, Gerusalemme!

don Luca Garbinetto, sito web

Tra la folla degli esclusi
lì, davanti all'asinello,
cerco anch'io come gettare
le certezze e il mio mantello.

Sulla pietra più appuntita
per proteggere il tuo passo,
sul gradino più nascosto:
che mi veda che sono in basso.

Ma fra i rami e gli osanna,
potature della palma,
corro inquieto ed affannato
mentre in te regna la calma.

Non c'è posto per il mio gesto,
tu sei vite, sovrano umile:
“Non sfoggiare la tua cura
- com'è duro - sii servo inutile!”.

E salendo sconcertato
verso il tralcio che non ti vuole,
piango in me lo stesso dramma:
Gerusalemme è nel mio cuore.

Città santa benedetta,
vigna che rifiuti il figlio,
lui non è solo l'erede:
uccidi il re con il tuo orgoglio.

Oh, cadranno le tue mura,
si apriranno le tue porte:
che la Chiesa accolga il dono,
Lui ha vinto anche la morte.

palme

inviato da Don Luca Garbinetto, inserito il 26/03/2021

TESTO

3. Hanno sloggiato Gesù

Chiara Lubich, Hanno sloggiato Gesù

S'avvicina Natale e le vie della città s'ammantano di luci.
Una fila interminabile di negozi, una ricchezza senza fine, ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e babbo-Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane burattine e nani rossi. Tutto si muove con garbo.
Ah! Ecco gli angioletti... Macché! Sono fatine, inventate di recente, quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino coi genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l'incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è "accalappiato" il Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù!
Ama del Natale la poesia, l'ambiente, l'amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.
Punta sul Natale per il guadagno migliore dell'anno.
Ma a Gesù non pensa.
"Venne fra i suoi e non lo ricevettero..."
"Non c'era posto per lui nell'albergo"... nemmeno a Natale.

Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l'Opera di Maria, ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll'arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo "mistero d'amore", stenderei canovacci per rappresentazioni e film.
Non so quel che farei...
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.
Quando sono stata, venticinque anni fa, in una terra in cui dominava l'ateismo, un sacerdote scolpiva statue d'angeli per ricordare il Cielo alla gente. Oggi lo capisco di più. Lo esige l'ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualche cosa che addolora.
Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendoGli festa come non mai.

nataleconsumismoGesù

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

4. Betlemme città del pane... Pane nostro

Gianni Fanzolato

Pane nostro, né tuo, né mio, ma nostro, è di tutti.
Nasci in cielo, perché seminato nel cuore di Dio,
ma fiorisci nei prati del mondo dove tutti possono sfamarsi.

Il tuo nome sacro e fragrante sarà onorato e santificato,
se verrà moltiplicato e presente in tutte le mense del mondo.
Se anche un bambino dell'Africa, che non ha neanche acqua
per bere, potrà assaporare la delizia del tuo caldo sapore di pane.

Quando la tua presenza onorerà il desco del povero e del ricco,
e sarai pane di vita in tutti gli altari del mondo per lenire la nostra
fame di Dio, che è grande, allora il tuo regno è una splendida realtà.

E' volontà di Dio che ti condividiamo, che ti spezziamo, rinnovando
il miracolo che un giorno Cristo ha fatto con cinquemila affamati.
Continua a seminare nel tuo cuore questo seme di vita, così in Asia,
Africa, America ed Europa ogni giorno ci darai la pianta con pane per tutti.

Gesù, se imparassimo una buona volta ad essere generosi, a pensare
a chi non ha niente, ci sarebbero perdonati molti peccati, perché
molto abbiamo amato. Il mondo sarebbe una foresta verde piena di vita.

Scuotici, svegliaci, Signore per non lasciarci nella tentazione
dell'egoismo e della chiusura, e liberaci dal male che distrugge
l'umanità. Se il pane ci sarà per tutti, la vita fiorirà come un campo
appena arato e seminato e ci sarà festa per tutti i tuoi figli, che ami.

Loreto, S. Natale 2018, P. Gianni Fanzolato

paneeucaristianatalecondivisioneegoismopadre nostrogenerosità

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 29/12/2018

TESTO

5. Lettera a Rut

don Tonino Bello, www.mosaicodipace.it

Carissima Rut, avrei voluto scriverti in ben altra circostanza.
Per approfondire ad esempio le ragioni di quell'universalismo della salvezza che hanno indotto Dio a includere anche te, unica straniera nell'albero della genealogia ebraica di Gesù.
Non ti nascondo infatti che quando nella messa viene proclamata la lista degli antenati di Cristo tramandataci da Matteo, mi sorprende e mi commuove sentir pronunciare il tuo nome di donna fugace come un fremito d'ala. Sembra un nome abbreviato per pudore. O intimidito di comparire in mezzo al ferrigno scrosciare dei nomi di tanti maschioni.

Ti scrivo, invece, perché voglio sfogare con qualcuno la tristezza che mi devasta l'anima in questi giorni, alla vista di tanti stranieri che hanno invaso l'Italia, e verso i quali la nostra civiltà, che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, multietnica, multireligiosa e multinonsoché non riesce ancora a dare accoglienze che abbiano sapore di umanità.
So bene che il problema dell'immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le «buone ragioni» dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stenti a capire le «buone ragioni» dei poveri allo sbando e che in questo esodo biblico non si riesca ancora a scorgere l'inquietante malessere di un mondo oppresso dall'ingiustizia e dalla miseria.
Tu mi sembri, allora, l'interlocutrice più adatta delle mie confidenze, dal momento che, avendo coniugato il verbo accogliere non solo nella forma attiva ma anche nella forma passiva, hai sperimentato la durezza dell'emigrazione nella duplice fase: l'esilio in patria e la ghettizzazione in terra straniera.
Non tutti conoscono la tua storia. Perciò mi scuserai se, nel rievocarne alcuni particolari, sfiorerò la discrezione e farò violenza al tuo riserbo.

Vivevi spensierata sulle alture di Moab, al di là del mar Morto, cullando sogni e parlando d'amore con le tue compagne, quando un giorno arrivò nel tuo paese una famiglia di spiantati. Erano stranieri, provenienti dalla terra di Canaan, colpita in quegli anni da una terribile carestia.
Ti impressionò subito la carnagione bruna dei due figli. Uno dei quali si accorse di te.
Ma tu eri ancora ragazzina. Tanto ragazzina, che il cuore si mise a battere di paura quando egli, con i gesti più che con le parole, venne dai tuoi genitori a chiederti come sposa.
Non so se in casa quel giorno accaddero scenate. Ma c'è da supporre che ti rinfacciarono tutta la loro disapprovazione. Che eri il disonore della famiglia. Che non ti avrebbero più riconosciuta come figlia. E che era un infamia girar le spalle tutt'una volta alla propria tradizione, alla propria lingua, alle proprie divinità, per correr dietro a una maledetto sconosciuto. E che, comunque, non avrebbero tollerato mai e poi mai, dopo averti cresciuta come un fiore, di doverti consegnare a uno di quei morti di fame. Accidenti a lui e a tutti quelli della sua razza!
Furono giorni amarissimi, ma alla fine la spuntasti tu, pur pagando caramente il prezzo della tua caparbietà.
Ti vedesti così tagliare tutti i ponti, e alla fine rimanesti sola. Al punto che, quando dopo dieci anni di tribolazione tuo marito morì e morirono anche il fratello e il padre di lui, decidesti di seguire Noemi, la suocera addolorata, che, non avendo più nessuno anche lei in quella amarissima terra straniera, volle rimpatriare.
«Dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu morirò anch'io e vi sarò sepolta».

Varcasti così la frontiera, e cominciò per te la seconda fase della tua esperienza di “diversità”.
Un vero e proprio mestiere non ce l'avevi. Insieme con la qualifica professionale, ti mancava anche il libretto di lavoro, e a Betlemme, dove andasti ad abitare con Noemi, non ti vollero iscrivere nelle liste di collocamento. Sicché, per camparti la vita, essendo il tempo in cui si cominciava a mietere l'orzo, andasti a spigolare furtivamente nelle campagne.
O Dio, non era proprio lavoro nero, ma era certo un lavoro umiliante, perché scartato da tutti ed esposto alle molestie del mietitori.
Meno male che trovasti grazia presso un ricco massaro, un certo signor Booz, il quale ti prese a ben volere e ordinò ai suoi dipendenti: «Lasciatela spigolare anche tra i covoni e non le fate affronto; anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgridatela».
Ti andò veramente bene. Anzi meglio di così la sorte non poteva arriderti, dal momento che il massaro cominciò ad avere del tenero per te e addirittura ti volle sposare, tra la meraviglia di tutte le donne di Betlemme che creparono d'invidia. E brava la Moabita!

Carissima Rut, qualcuno potrebbe dire che, a proposito di immigrati, la tua vicenda non fa testo, perché, essendosi conclusa con la fatidica frase «e vissero felici e contenti», sembra appartenere più al genere delle telenovele che ai resoconti del telegiornale o ai servizi di Samarcanda, laddove le storie degli extracomunitari si intridono spesso di lacrime e di morte.
Io, invece, penso che nelle pieghe della tua avventura possiamo leggere il giudizio di Dio su questa impressionante transumanza di gente alla deriva.
La tua storia, insomma, ci interpella non solo con la forza esemplare del paradigma, ma anche con la sollecitazione di risposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza degli stranieri nel nostro territorio.
Anzitutto, ci dice che la fusione di etnie diverse è possibile: anzi, appartiene a quel pacco di progetti che costituiscono la sfida più drammatica per la sopravvivenza della nostra civiltà. La comunicazione con le culture altre, insomma non è un'utopia, né uno sterile sospiro di sognatori.

Quando alle porte della città si celebrarono le tue nozze col massaro di Betlemme, gli anziani rivolsero a Booz tuo marito uno splendido augurio, che vale tutto un trattato sulla integrazione al razziale: «Il Signore renda la donna, che entra in casa tua, come Rachele e Lia, le due donne che fondarono la casa di Israele».
In secondo luogo, la tua storia ci provoca a vincere gli istinti xenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano di ragioni patriottiche. Che scatenano all'interno delle nostre raffinatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle istituzioni con martellante coralità, rigorosi provvedimenti di forza.
Siamo vittime di una insopportabile prudenza, e scorgiamo sempre angoscianti minacce dietro l'angolo.
Perché lo straniero mette in crisi sostanzialmente due cose: la nostra sicurezza e la nostra identità.
Da una parte, infatti, ci toglie il lavoro, ci contende la casa, ci riduce gli spazi, entra in competizione con noi, decostruisce l'articolazione dei nostri interessi economici. Dall'altra, sembra attentare ai nostri connotati, sfida la compattezza del nostro mondo spirituale, relativizza i nostri altari, sfibra il deposito delle nostre tradizioni.

Ebbene, la tua storia ci fa capire che la segregazione è la risposta più sbagliata al problema razziale, così come rappresenta una iattura simmetrica il tentativo di voler assorbire nelle stratificazioni della nostra cultura i tratti emergenti della «diversità» altrui, senza lasciarne neppure la traccia. Solo la progressiva intersezione di aree di valori sarà capace di creare il terreno, calcando il quale nessuno debba sentirsi in esilio.

Grazie, dolcissima Rut, per questo tuo incredibile messaggio di universalità che lasci cadere dai tuoi covoni.
Dietro i quali, alla ricerca dei tratti di un mondo più solidale, siamo venuti anche noi a spigolare.

Luglio 1991

stranierimigrantimigrazionidiversitàaccoglienzaintegrazionemulticulturalità

inviato da Qumran2, inserito il 29/12/2018

TESTO

6. Affrettiamoci ad amare   1

Roberto Benigni, I Dieci Comandamenti, Rai 1, 15 dicembre 2014

Il problema fondamentale dell'umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso... amarsi. Solo che ora è diventato più urgente, molto più urgente, e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l'un l'altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo. Ci dobbiamo affrettare, affrettiamoci ad amare, noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi, affrettiamoci ad amare, perché al tramonto della vita saremo giudicati sull'amore, perché non esiste amore sprecato e perché non esiste un'emozione più grande di sentire quando siamo innamorati che la nostra vita dipende totalmente da un'altra persona, che non bastiamo a noi stessi, e che tutte le cose, ma anche quelle inanimate come le montagne, i mari, le strade, il cielo, il vento, le stelle, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi... tutte queste cose, che di per sé sono vuote, indifferenti, improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono, perché? Perché contengono un presentimento d'amore, anche le cose inanimate, perché il fasciame di tutta la creazione è amore e perché l'amore combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Si, la felicità... e a proposito di felicità, cercatela, tutti i giorni, continuamente e anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità ora, in questo momento stesso perché è lì, ce l'avete, ce l'abbiamo perché l'hanno data a tutti noi, ce l'hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l'hanno data in regalo, in dote, ed era un regalo così bello che l'abbiamo nascosto, come fanno i cani con l'osso, quando lo nascondono; e molti di noi l'hanno nascosto così bene che non si ricordano più dove l'hanno messo, ma ce l'avete, ce l'abbiamo. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all'aria: i cassetti, i comodini che avete dentro... vedrete che esce fuori, c'è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa ma è lì, dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei, fino all'ultimo giorno della nostra vita.

E non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire eh! Non bisogna avere paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. Saltate dentro l'esistenza ora, qui, perché se non trovate niente ora, non troverete niente mai più, è qui l'eternità, e allora dobbiamo dire "SI” alla vita, dobbiamo dire un SI talmente pieno alla vita che sia capace di arginare tutti i no, perché alla fine di queste due serate insieme, abbiamo capito che non sappiamo niente e che non ci si capisce niente, e si capisce solo che c'è un gran mistero che bisogna prenderlo come è e lasciarlo stare, e che la cosa che fa più impressione al mondo è la vita che va avanti e non si capisce come faccia; "Ma come fa? Come fa a resistere? Ma come fa a durare così?"... è un altro mistero, e nessuno lo ha mai capito, perché la vita e molto più di quello che possiamo capire noi, per questo devi resistere. Se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita da tanto, tanto tempo, e noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all'altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito, e allora ad ognuno di noi non rimane che una cosa da fare: inchinarsi.



amarsiamorefelicitàcomandamentibenignimortevitasenso della vitaviveremistero

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran, inserito il 02/12/2017

TESTO

7. La preghiera contemplativa

Carlo Carretto, Deserto in città

Quando partii per il deserto avevo lasciato tutto com'è l'invito di Gesù: situazione, famiglia, denaro, casa. Tutto avevo lasciato meno... le mie idee che avevo su Dio e tenevo ben strette riassunte in qualche grosso libro di teologia che avevo trascinato con me laggiù.

E là sulla sabbia continuavo a leggerle, a rileggerle, come se Dio fosse contenuto in un'idea e avendo belle idee su di Lui potessi comunicare con Lui.

Il mio maestro di noviziato continuava a dirmi: "Fratel Carlo, lascia stare quei libri. Mettiti povero e nudo davanti all'Eucarestia. Svuotati, disintellettualizzati, cerca di amare...contempla...". Ma io non capivo un bel nulla di ciò che volesse dirmi. Restavo ben ancorato alle mie idee.

Per farmi capire, per aiutarmi nello svuotamento mi mandava a lavorare. Mamma mia! Lavorare nell'oasi con un caldo infernale non è facile! Mi sentivo distrutto. Quando tornavo in fraternità non ne potevo più.

Mi buttavo sulla stuoia nella cappella davanti al Sacramento con la schiena spezzata e la testa che mi faceva male. Le idee si volatilizzavano come uccelli fuggiti dalla gabbia aperta. Non sapevo più come cominciare a pregare. Arido, vuoto, sfinito: dalla bocca usciva solo qualche lamento.

L'unica cosa positiva che provavo e che cominciavo a capire era la solidarietà con i poveri, i veri poveri. Mi sentivo con chi era alla catena di montaggio o schiacciato dal peso del giogo quotidiano. Pensavo alla preghiera di mia madre con cinque figli tra i piedi e ai contadini obbligati a lavorare dodici ore al giorno d'estate.

Se per pregare era necessario un po' di riposo, quei poveri non avrebbero mai potuto pregare. La preghiera, quindi, quella preghiera che avevo con abbondanza praticato fino ad allora, era la preghiera dei ricchi, della gente comoda e ben pasciuta, che è padrona del suo tempo, che può disporre del suo orario.

Non capivo più niente, o meglio, incominciavo a capire le cose vere. Piangevo!

E fu proprio in quello stato di autentica povertà che io dovevo fare la scoperta più importante della mia vita di preghiera. Volete conoscerla?
La preghiera passa per il cuore, non per la testa.

Sentii come se una vena si aprisse nel cuore e per la prima volta sperimentai una dimensione nuova dell'unione con Dio. Che avventura straordinaria mi stava capitando. Non dimenticherò mai quell'istante. Ero come un'oliva schiacciata dal torchio. Al di là della "sofferenza", che dolcezza indicibile mi inondava tutta la realtà in cui vivevo.

La pace era totale. Il dolore accettato per amore era come una porta che mi aveva fatto transitare al di là delle cose. Ho intuito la stabilità di Dio.

Ho sempre pensato, dopo di allora, che quella era la preghiera contemplativa.

preghieracontemplazionepoveripovertàrapporto con Diolavoro

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

TESTO

8. Cerca il Signore

Jorge Mario Bergoglio, Omelia Messa di mezzanotte, Natale 2010

Cerca il Signore in un presepio,
cercalo dove nessuno lo cerca,
nel povero, nel semplice, nel piccolo,
non cercarlo tra le luci delle grandi città,
non cercarlo nell'apparenza.
Non cercarlo in tutto questo apparato pagano che ci si offre ogni momento.
Cercalo nelle cose insolite e che ti sorprendono.

cercare Gesùnatalepresepepoveriincarnazione

inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

TESTO

9. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrel, Il piccolo monaco, Gribaudi editore, Torino, 1990

Gesù vuol vivere in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

discepolisequelatestimonianzaamorecaritàGesù

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 28/12/2016

TESTO

10. Silenzio, silenzio, per favore   1

Paolo Curtaz, Commento per il Sabato Santo 2003

Silenzio, silenzio, per favore. Gesù giace, rigido, il volto tumefatto e sfigurato, avvolto da un telo di lino tessuto apposta. La tomba di Giuseppe di Arimatea, che non ha potuto salvare il Maestro malgrado la sua influenza nel Sinedrio e il suo denaro, ora accoglie il rabbì. L'aveva fatta scavare per sé, quella tomba, ora, ultimo gesto di un amico, la cede al Signore. E' tutto finito, tutto tace. Gli apostoli, sconvolti da quanto accaduto, vagano sotto gli ulivi nei pressi della città, alcuni si sono nascosti per paura di finire come il Signore. La gente guarda sconsolata i pali delle croci macchiate del sangue raggrumato alla porte della città, già si parla d'altro nei mercati. Il profeta di Nazareth ha osato troppo, come poteva immaginare di passarla liscia? Belle parole, le sue, ma la realtà è un'altra cosa...

Nelle nostre chiese, spoglie, non si celebra più la messa, la Chiesa è in lutto, attende, aspetta. La notte sta per arrivare, la notte più lunga dell'anno, la madre di tutte le notti, la notte dell'annuncio, la notte dell'attesa...

sabato santonotte di Pasquasilenzioattesa

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/03/2016

TESTO

11. La felicità più profonda

Jean Galot, Il cristiano e la gioia, Città Nuova Editrice, Roma 1988

L'uomo è fatto per entrare in comunione con Dio e solo in questa comunione può trovare la sua felicità più profonda. La scoperta dell'amore deve essere in lui non soltanto il risveglio all'amore per un'altra persona umana, ma all'amore di Dio. In particolare, è solo l'entrata in comunione con Dio che può conferire alla gioia la sua qualità più alta. Naturalmente vi sono diversi gradi di felicità, ma quello più alto si trova nell'avvicinamento dell'uomo a Dio. A tutti gli uomini viene chiesto l'amore totale per il Signore, perché solo con questo possono giungere alla felicità per la quale sono stati creati.Il segreto della gioia umana si trova nel segreto di Dio. Dio ha fatto comprendere all'uomo che l'ha creato per la felicità; gli ha rivelato soprattutto come ha salvato questa felicità e come, mediante l'azione della sua grazia, ha promesso una gioia ben superiore a quella richiesta dalla natura umana per se stessa. Con la sua luce, ha pure distolto l'uomo da tutte le illusioni, da tutte le false apparenze di felicità. Infatti, alla fragilità e alle insufficienze della gioia, come si impongono ad ogni esperienza umana, egli ha risposto con il dono della sua gioia divina. Ha voluto che la propria gioia diventasse quella dell'umanità. Dio ha preso l'iniziativa, nella rivelazione, di mostrare all'uomo il vero cammino della gioia.

gioiafelicitàlucecomunionerapporto con Diopienezzarealizzazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Franco Naldi Ofm, inserito il 06/02/2016

TESTO

12. Seguire Gesù irresistibile e compassionevole

Giovanni Paolo II, Omelia, 7 maggio 1990, Città del Messico

Quale meravigliosa "seduzione" emanava la persona di Gesù, che trascinava dietro di sé folle che dimenticavano persino di mangiare per essere accanto a lui ed ascoltare la sua parola!

Quale desiderio irresistibile di avvicinarsi alla fonte della Vita per soddisfare le ansie più profonde del cuore umano!

Che sensibilità ed umanità quelle di Gesù, al quale la predicazione del Regno di Dio non fa dimenticare il bisogno del sostentamento giornaliero di coloro che lo seguono!

buon pastorecompassionepredicazioneattenzione all'altrofamecaritàsolidarietà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 03/02/2016

TESTO

13. Lettera di Dio per la custodia della donna   2

La donna che hai al fianco, emozionata, con l'abito da sposa, è mia. Io l'ho creata. Io le ho voluto bene da sempre; ancor prima di te e ancor più di te. Per lei non ho esitato a dare la mia vita. Ho dei grandi progetti per lei. Te l'affido. La prenderai dalle mie mani e ne diventerai responsabile.

Quando l'hai incontrata l'hai trovata bella e te ne sei innamorato. Sono le mie mani che hanno plasmato la sua bellezza, è il mio cuore che ha messo dentro di lei la tenerezza e l'amore, è la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità e la sua intelligenza e tutte le qualità belle che hai trovato in lei.

Però non basta che tu goda del suo fascino. Dovrai impegnarti a rispondere ai suoi bisogni, ai suoi desideri. Ti renderai conto che ha bisogno di tante cose: ha bisogno di casa, di vestito, di serenità, di gioia, di equilibrio psichico, di rapporti umani, di affetto e tenerezza, di piacere e di divertimento, di presenza umana e di dialogo, di relazioni sociali e familiari, di soddisfazioni nel lavoro e di tante altre cose.

Ma dovrai renderti conto che ha bisogno soprattutto di me, e di tutto quello che aiuta e favorisce questo incontro con me: la pace del cuore, la purezza di spirito, la preghiera, la Parola, il perdono, la speranza e la fiducia in me, la mia vita. Sono Io e non tu il principio, il fine, il destino di tutta la sua vita.

Facciamo un patto tra noi: la ameremo insieme. Io la amo da sempre. Tu hai incominciato ad amarla da qualche anno, da quando te ne sei innamorato. Sono io che ho messo nel tuo cuore l'amore per lei. È stato il modo più bello perché ti accorgessi di lei. Volevo affidarla a qualcuno che se ne prendesse cura. Ma volevo anche che lei arricchisse con la sua bellezza e le sue qualità la vita di un uomo. E questo uomo sei tu.

Per questo ho fatto nascere nel tuo cuore l'amore per lei. Era il modo più bello per dirti: "ecco, te la affido", e perché tu potessi godere della sua bellezza e delle sue qualità. Quando le dirai "prometto di esserti fedele, di amarti e rispettarti per tutta la vita", sarà come se mi rispondessi che sei lieto di accoglierla nella tua vita e di prenderti cura di lei. Da quel momento saremo in due ad amarla.

Dobbiamo però metterci d'accordo: non è possibile che tu la ami in un modo e io in un altro. Devi avere per lei un amore simile al mio, e devi desiderare per lei le stesse cose che Io desidero. Non puoi pensare nulla di più bello e gioioso per lei.

Se la ami sul serio vedrai che ti troverai d'accordo con me nel progetto che ho concepito per lei. Ti farò capire poco alla volta quale sia il mio modo di amare, e ti svelerò quale vita ho sognato e voluto per questa mia creatura che diventerà tua sposa.

Mi rendo conto che ti sto chiedendo molto. Pensavi che questa donna fosse tutta e solo tua, e ora invece hai l'impressione che io ti chieda di spartirla con Me. Non è così. Io non sono il tuo rivale in amore. Al contrario, sono molui che ti aiuta ad amarla appassionatamente. Per questo desidero che nel tuo piccolo amore ci sia il mio grande amore.

Col tuo amore potrai fare molto per lei, ma è sempre troppo poco. Io ti rendo invece capace di amare da Dio. È questo il mio dono di nozze: un supplemento di amore che trasforma il tuo amore di creatura e lo rende capace di produrre le opere di Dio nella donna che ami.

Sono parole per te misteriose, ma le capirai un poco alla volta. Ti assicurò che non ti lascerò mai solo in questa impresa. Sarò sempre con te e farò di te lo strumento del mio amore, della mia tenerezza; continuerò ad amare la mia creatura, che è diventata tua sposa, attraverso i tuoi gesti d'amore, di attenzione di impegno, di perdono, di dedizione. In una parola: ti renderò capace di amare come io amo, perché ti darò una forza nuova di amare che è il mio stesso amore.

Se vi amerete in questo modo, la vostra coppia diventerà come una fortezza che le tempeste di vita non riusciranno mai ad abbattere. Un amore costruito sulla mia Parola è come una casa costruita sulla roccia: nessuna vicenda potrà distruggerla. Ricordatelo, perché molti si illudono di poter fare a meno di me: ma se io non sono con voi nell'edificare la casa della vostra vita e del vostro amore, vi affaticherete invano: come gli apostoli che faticarono tutta una notte e al mattino tornarono a riva con le reti vuote; bastò un semplice intervento Mio, e le reti pescarono tanto pesce che per l'abbondanza si rompevano. Di più. Se vi amerete in questo modo diventerete forza anche per gli altri.

Oggi si crede poco all'amore vero, quello che dura per sempre, e che offre la propria vita all'amato. Si cercano più le emozioni amorose che l'amore. Ma le emozioni nascono e muoiono presto, lasciando solo vuoto e nostalgia.

Per questo qualcuno ha detto che il matrimonio è solo una grande illusione che si dissolve presto. Se voi saprete amarvi come io amo, con una fedeltà che non viene mai meno, diventerete come la città sul monte. Sarete una speranza per tutti, perché tutti vedranno che l'amore è una cosa possibile.

donnaamorematrimoniocoppiasposicustodire

4.7/5 (3 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 16/06/2015

TESTO

14. Occhi per il cieco e piedi per lo zoppo   1

Papa Francesco, Messaggio per la 23a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2015)

«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Libro di Giobbe 29,15).

Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest'uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell'orfano e della vedova (vv.12-13).

Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e "piedi per lo zoppo"! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un'assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

malatoassistenzasolidarietàcaritàamoregratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 16/06/2015

TESTO

15. L'amore evangelico (in noi si dovrà trovare tutto)   1

Madeleine Delbrel, Indivisibile amore, Piemme 1994, p. 155

In noi si dovrà trovare tutto
il bicchiere d'acqua, il cibo per chi ha fame,
tutto il vero cibo per tutti i veri affamati,
tutti i veri cibi e tutti i veri mezzi per distribuirli,
l'alloggio per i senza tetto,
il pellegrinaggio alle carceri ed agli ospedali,
la compassione per le lacrime, quelle che si devono versare insieme
e quelle di cui occorrerebbe eliminare le cause,
l'amicizia per ogni peccatore,
per coloro che sono malvisti,
la capacità di mettersi al livello di tutte le piccolezze,
di lasciarsi attrarre da tutto ciò che non conta,
e tutto avrà il suo orientamento, la sua pienezza, nella parola "fraterno".

Infatti i nostri beni, se diventano i beni degli altri, saranno il segno della nostra vita donata per gli altri, come assimilata di diritto alla loro, e che, in realtà, non deve più far parte dei nostri interessi.

Il cristiano che vivrà in questo modo nella città, sperimenterà con tutto il suo essere la forza dell'amore evangelico. La realtà di questo amore risplenderà in torno a lui come una evangelizzazione e in lui come una illuminazione.

Sperimenterà che agire è illuminare, ma anche essere illuminati, sperimenterà che, se pregare è lasciarsi fare da Dio, è però anche imparare a compiere l'opera di Dio.

Un cristiano simile renderà grazie, perché tutti i suoi gesti diventeranno l'espressione di un amore che non conosce né limiti né eccezioni, un amore del quale soltanto Cristo ha detto agli uomini che lo devono e ricercare e donare.

amorecaritàservizioevangelizzazionevita donatadonogratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Michele Ferretti, inserito il 14/04/2014

TESTO

16. Essere buona terra   1

Ernesto Olivero, Camminare con Dio, Città Nuova, pag. 98

Un seme germoglia,
diventa fiore, diventa frutto
se una buona terra,
se un buon concime
lo nutrono.
Terra e concime
non vedranno il frutto
e il fiore non saprà mai
chi ringraziare,
ma il miracolo sarà compiuto.
Io posso essere
buona terra, buon concime
se in mezzo alla gente,
senza volto e senza nome,
porto la mia presenza
di preghiera.

semeseminareumiltàfruttopreghiera

4.7/5 (3 voti)

inviato da Impastato Giuseppe S.i., inserito il 08/05/2012

TESTO

17. Intervista a Cleofa, uno dei due discepoli di Emmaus   1

Stuart Jackman, Il caso del Nazareno, Ed. Paoline 1985 (pag. 188-196)

Stavamo tornando a casa, continuando a confabulare sugli avvenimenti di questo fine settimana, riandandovi per la centesima volta. Ci sforzavamo di dare un qualche costrutto alle cose, ma senza molto successo. Ed ecco che, a circa un chilometro dalla città, ci si avvicina un uomo...

- Era il Nazareno?
Be', questa è la cosa buffa: Noi non l'abbiamo riconosciuto. Siamo stati suoi seguaci per quasi due anni. Non eravamo di quelli importanti, ma credevamo in lui, l'abbiamo ascoltato decine di volte mentre parlava... eppure quello che si è avvicinato a noi ieri pomeriggio, ci parve del tutto forestiero.
Inoltre, sembrava completamente all'oscuro di quanto era successo a Gerusalemme in questi ultimi giorni. Si unì alla nostra conversazione, ma ci toccò informarlo sulla crocifissione di venerdì scorso e sulle voci di ieri mattina sulla risurrezione.
Sembrava non fosse al corrente di nulla, ma poi, conversando con noi, si è rifatto ai tempi passati e, cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, è giunto ai giorni nostri. Aveva tutto sulle punte delle dita, formidabile era! Ce ne stavamo lì, imbambolati a bocca aperta a guardarlo. Tutti quei passaggi e brani di profezie, i testi più difficili, egli li ha collegati tra loro... come tasselli di un puzzle. Ha reso chiaro tutto l'insieme e l'ha fatto apparire quasi - come dire? - inevitabile. Soprattutto la risurrezione!
E questo è il punto culminante, la conclusione prodigiosa che dà significato a tutto il resto! Il Messia viene, ma la gente non lo riconosce. Nessuno lo accoglie perché non corrisponde in nulla a quello che noi ci attendevamo ch'egli fosse. Invece di incoronarlo re, lo mettiamo a morte. Non sappiamo chi sia e così ci liberiamo di lui. Ma il Messia è il vincitore della morte. E il terzo giorno egli ritorna in vita per stabilire il suo regno.

- Se il Messia è il vincitore della morte, come può morire?
Ma se non incontra la morte faccia a faccia come può vincerla?
Questo è quanto il nostro misterioso compagno di viaggio ci spiegò chiaramente. Se il Messia vuole soccorrere gli uomini, deve condividere con loro l'esperienza della morte, deve morire come muoiono tutti gli uomini. Noi non possiamo essere partecipi della vita nel suo regno, se egli non ha prima condiviso con noi la morte.

- I suoi nemici del Sinedrio gli dicevano: "Se sei il Figlio di Dio, salva te stesso"
Eppure sembra un'idea piuttosto ragionevole!

Oh certamente avrebbe potuto farlo!... Ma allora non ci avrebbe aiutati: se egli avesse inventato per sé una scappatoia dell'ultimo minuto, allora non avrebbe fatto per noi alcuna differenza. Non si vince la morte evitandola. La si vince solo se la si accetta per poi superarla, ritornando in vita dall'altro lato. Siccome Gesù Nazareno ha fatto questo, noi non dobbiamo più aver paura della morte.

- E mentre egli vi spiegava tutte queste cose, voi continuaste a non riconoscerlo?
Non prima di aver raggiunto Emmaus. Ci disse che avrebbe proseguito, ma lo convincemmo a fermarsi da noi, come nostro ospite graditissimo. Fu così ch'egli venne a casa con noi e là avvenne il fatto: l'abbiamo riconosciuto durante la cena! Ce ne stavamo seduti attorno al tavolo, pronti a mangiare. Lo invitammo a dire la preghiera di ringraziamento, secondo il nostro costume. A quel punto egli prese il pane, pronunciò la benedizione, e lo spezzò. Lo stavamo guardando, e in quel momento l'abbiamo riconosciuto: Gesù, il Messia, che era morto ed è vivo di nuovo! Ch'egli sia benedetto!

- Lei è sicuro di questo?
Nel modo più assoluto! So perfettamente chi era, perché gli stavamo seduti a fianco e lo fissavamo mentre spezzava il pane. Ed era Gesù! Era proprio Gesù!

- E poi cosa accadde?
E' scomparso! Svanito! Un istante prima era là che ci porgeva il pane, e un attimo dopo era sparito!
Per nulla impauriti, ci siamo precipitati fuori, abbiamo piantato la cena lasciando di stucco le nostre famiglie e siamo ripartiti subito per Gerusalemme.

- Lei sa certamente che le autorità prendono molto sul serio tutta questa faccenda, avrà visto le pattuglie per le strade... Non ha un po' di paura per quanto le potrebbe capitare?
Be', un po' di paura ce l'ho. Ma, vede, il peggio che possano fare è uccidermi. Ma adesso la morte non è più una cosa importante. Gesù l'ha reso sufficientemente chiaro: la morte non è la fine, ma soltanto un inizio. Fino a ieri mattina noi fruivamo solo di una mezza vita... eravamo tutti vivi a metà. Questo è ciò che eravamo. Ma ora è tutto diverso: Lui è di nuovo vivo, e siccome lui è vivo, anche noi siamo vivi a nostra volta. Vivi per davvero, come non l'eravamo mai stati!

Emmausrisurrezioneresurrezionerisortocoraggiofedeconvinzioneprofeziemortevita

5.0/5 (2 voti)

inviato da Laura Baravelli, inserito il 18/04/2012

TESTO

18. Dov'eri tu quei tre giorni?   1

Giuseppe Impastato S.I.

C'eri pure tu tra la folla
a gridare "Osanna" al maestro Gesù
quando entrava su un asinello
tra palme e olivi nella città santa?
Perché allora l'hai lasciato solo
quando in piazza tanti scalmanati
han gridato: "Crocifiggilo"?

Eri tu presente nella sinagoga
quando un uomo paralitico
fu trasportato a braccia da Gesù
che l'ha rinviato a casa risanato?
Perché allora non sei corso anche tu
in piazza quando tanti scalmanati
han gridato a Pilato: "Donaci Barabba"?

Non eri tu fra i discepoli
nel cui cuore Gesù ha letto il tradimento
e a cui il Signore ha lavato i piedi
mentre gli giuravi eterna fedeltà?
Perché allora non sei salito pure tu
sul Gòlgota, aiutandolo a portare il legno
caricandoti il peccato del mondo?

venerdì santotradimentopeccatocrocifissionediscepolatodomenica delle palmesettimana santa

5.0/5 (5 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/04/2012

TESTO

19. La pace è il desiderio di ogni uomo

Ernesto Olivero, Il sogno di Dio, Città Nuova, 2006

La pace è il desiderio di ogni uomo. Pace è avere la serenità dentro,
è sapere che la propria famiglia può avere il necessario per ogni giorno.
Pace è vivere in armonia con Dio creatore e con gli uomini affratellati tra di loro.
Pace è non avere paura, è desiderare di vivere con pienezza, è non temere la morte.
Ma la pace non abita in questo nostro tempo,
come non ha mai abitato in mezzo a noi,
perché troppi uomini badano principalmente ai propri interessi.
Eppure l'uomo è per la pace, l'umanità va verso la pace,
la storia diventerà pace per tutti.

pace

5.0/5 (1 voto)

inviato da Laura Baravelli, inserito il 08/01/2011

TESTO

20. Testamento spirituale di frère Christian   1

Padre Christian de Chergé, Testamento spirituale

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l'unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell'indifferenza dell'anonimato.

La mia vita non ha più valore di un'altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell'attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno «grazia del martirio», il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'Islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell'Islam che un certo islamismo incoraggia. E' troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa: sono un corpo e un'anima. L'ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: «Dica adesso quel che ne pensa!». Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'Islam come lui li vede, completamente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell'ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc'Allah.

Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994

Testamento spirituale di Padre Christian de Chergé del Monastero di Tibhirine.

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, sette dei nove monaci che formavano la comunità del monastero di Tibhirine, fondato nel 1938 vicino alla città di Médéa 90 km a sud di Algeri, furono rapiti da un gruppo di terroristi. Il 21 maggio dello stesso anno, dopo inutili trattative, il sedicente «Gruppo Islamico Armato» ha annunciato la loro uccisione. Il 30 maggio furono ritrovate le loro teste, i corpi non furono mai ritrovati.

testamento spiritualeperdonopeccatomisericordiaodioislamvitamorte

3.7/5 (3 voti)

inserito il 07/01/2011

Pagina 1 di 3