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TESTO

1. Attendere è declinazione del verbo amare

Ermes Ronchi, https://www.avvenire.it

Avvento: tempo per desiderare e attendere quel Dio che viene con una metafora spiazzante, come un ladro. Che viene nel tempo delle stelle, in silenzio, senza rumore e clamore, senza apparenza, che non ruba niente e dona tutto. Si accorgono di lui i desideranti, quelli che vegliano in punta di cuore, al lume delle stelle, quelli dagli occhi profondi e trasparenti che sanno vedere quanto dolore e quanto amore, quanto Dio c'è, incamminato nel mondo. Anche Dio, fra le stelle, come un desiderante, accende la sua lucerna e attende che io mi incammini verso casa.

avventoattesavigilanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

2. Il contadino e il poeta   2

Un contadino stanco della solita routine quotidiana, tra campi e duro lavoro, decise di vendere la sua tenuta. Dovendo scrivere il cartello per la vendita decise di chiedere aiuto al suo vicino che possedeva delle doti poetiche innate.

Il romantico vicino accettò volentieri e scrisse per lui un cartello che diceva:
"Vendo un pezzettino di cielo, adornato da bellissimi fiori e verdi alberi, con un fiume, dall'acqua cosi pura e dal colore più cristallino che abbiate mai visto."

Fatto ciò, il poeta dovette assentarsi per un po' di tempo, al suo rientro però, decise di andare a conoscere il suo nuovo vicino.

La sua sorpresa fu immensa nel vedere il solito contadino, impegnato nei suoi lavori agricoli.

Il poeta domandò quindi: "Amico non sei andato via dalla tenuta?"
Il contadino rispose sorridendo: "No, mio caro vicino, dopo aver letto il cartello che avevi scritto, ho capito che possedevo il pezzo più bello della terra e che non ne avrei trovato un altro migliore."

Non aspettare che arrivi un poeta per farti un cartello che ti dica quanto è meravigliosa la tua vita, la tua casa, la tua famiglia e tutto ciò che possiedi...

Ringrazia sempre Dio per la salute che hai, la vita che vivi, per la caparbietà che hai nel lottare per andare avanti.

Che il Signore benedica questo pezzettino di cielo che è la tua vita.
Il tuo risveglio al mattino è la parte migliore, perché è lì che Dio ti dice:
"Alzati, ti regalo un'altra opportunità".
Nasciamo per essere felici, non perfetti
I giorni buoni ti danno felicità
I giorni cattivi ti danno esperienza
I tentativi ti mantengono forte
Le prove ti mantengono umano
Le cadute ti mantengono umile
ma solo Dio ti mantiene in piedi.

accontentarsiringraziare Diogratitudinepresentefelicitàgioia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 29/12/2018

TESTO

3. Auguri di Natale non in serie

don Tonino Bello

Carissimi,
formulare gli auguri di Natale dovrebbe essere la cosa più semplice di questo mondo. Invece, quest'anno sto provando tanta difficoltà. Ho scritto e riscritto cento volte l'attacco di questa lettera, ma mi è parso di dire sempre delle cose estremamente banali. Come sono banali certi presepi bell'e confezionati che si acquistano ai grandi magazzini. Saranno anche attraenti con i loro svolazzi di angeli e con i loro muschi di plastica. Ma sono freddi. Perché fatti in serie.
Ecco: è proprio la «serialità» che mi mette in crisi. Ho l'impressione, cioè, di esporre anch'io la mia merce preconfezionata, e poi lasciare che ognuno si serva da solo, come nei self-service di certi ristoranti.
È qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.

Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immobilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto diverso che dire Buon Natale a te, Franco, che hai fatto spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura sciistica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, dove hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella Notte Santa, anzi, ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti accanto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella cometa non la vedi perché non hai tempo per pensare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani dove consumi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce sufficiente a dar senso alla tua vita.

Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha firmato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nuziale suprema di Dio che prende in sposa l'umanità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'incarnazione. A te, Rosaria, invece, che per la prima volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, occorrerà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria. E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bambino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.

Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia ma anche tanto lontano con l'ateismo che professi, è molto diverso che dire buon Natale a te, don Donato, che le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'asino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve essere pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi davanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio forzare la tua coscienza: ma sei proprio sicuro che, quel bambino non abbia nulla da dirti, e che questo mistero (che tu vorresti confinare tra le favole) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlemme la sua sorgente e il suo estuario.

Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di percorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il momento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli auguri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti dicono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai neppure. Buon Natale, Antonietta. Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da sola davanti alla culla, e in quel pianto tu possa sperimentare le stesse emozioni di quando la semplice carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.

Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Piero, che in carcere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai combinate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi restituisca la salute del corpo e quella dello spirito.

Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta vedova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profughi albanesi che vivono insieme nella casa di accoglienza. A te, Sahid, che guardi alla televisioni gli spettacoli dell'Unicef sui bambini irakeni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi figli che hai lasciato in Tunisia.

Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divine, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessuno tirerà indietro la sua.

Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno avverte, chi sa per quale mistero, che di quel bambino «avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia», una volta che l'ha conosciuto, non può più fare a meno.

nataleincarnazionesofferenzadisperazionesperanzasolidarietàsolitudinericercaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inserito il 19/02/2018

TESTO

4. Lettera d'amore di Dio per te   2

Aleteia

Figliolo mio,

forse non mi conosci, ma Io so tutto di te. So quando ti siedi e quando ti alzi, conosco ogni passo che fai e so il numero esatto dei capelli sulla tua testa, perché sei stato fatto a mia immagine. Ti ho conosciuto prima che tu nascessi, ti ho scelto quando ho pianificato la creazione, non sei stato un errore, perché ogni tuo giorno è già scritto nel mio Libro. Sei stato fatto in modo meraviglioso, Io ti ho formato nel ventre di tua madre e ti ho preso dal suo grembo il giorno in cui sei nato.

Chi non mi conosce mi ha presentato in modo sbagliato, non sono né lontano né arrabbiato, ma sono l'espressione perfetta dell'amore, manifestato in mio Figlio Gesù... ed è mio desiderio amarti, semplicemente perché sei stato creato per essere mio figlio e affinché Io sia tuo Padre.

Io sono colui che provvede ad ogni tua esigenza, il mio piano per il futuro è pieno di speranza. Perché ti amo di un amore eterno. I miei pensieri per te sono smisurati, sono come la sabbia del mare. Sono vicino a te per salvarti, in te mi rallegro e gioisco. Non smetterò mai di farti del bene: se ascolti la mia parola e la metti in pratica, sarai il mio tesoro speciale.

Voglio con tutto il mio cuore e con tutta la mia anima che tu prosperi, desidero mostrarti cose grandi e meravigliose. Se mi cerchi con tutto il cuore mi incontrerai... Trova il tuo diletto in me e Io ti concederò i desideri del tuo cuore. Perché sono Io che suscito in te ciò che tu vuoi. Sono potente, e posso fare in te molto più di quanto tu immagini.

Sono il Padre che ti consola in tutte le tue tribolazioni, sono vicino a te quanto il tuo cuore è ferito. Vedo che a volte sei tanto lontano da me, e arrivo a temere di perderti per sempre. Ieri ti ho visto molto triste e avrei voluto privarti di questo dolore. Ho gridato ai quattro venti, ma non sei venuto a cercarmi. Ti ho visto parlare con i tuoi amici, ti ho visto mangiare fuori orario e ho camminato con te nella strada verso casa. Ho quasi visto con i tuoi occhi ciò che stavi guardando tu, ciò che ti ha provocato tanta nostalgia. Avrei voluto che tu mi prestassi ascolto. Ma non l'hai fatto, e quindi ho aspettato tutto il giorno.

Ti ho donato un bel tramonto a conclusione delle tue giornate, e una leggera brezza per permetterti di riposare meglio. Ti ho aspettato, dopo un giorno così frenetico, ma non sei mai venuto. La scorsa notte ti ho visto dormire e ti ho voluto toccare la fronte. Ti ho mandato dei raggi di luna dentro casa per vedere se ti fossi svegliato, ma hai continuato a dormire.

Ti parlo all'orecchio attraverso le foglie degli alberi e il profumo dei fiori, grido a te nei ruscelli di montagna, e attraverso gli uccelli canto il mio amore per te. Ti rivesto del calore del sole e profumo l'aria della natura con l'aroma della natura. Ascolto il silenzio dentro di te e provo a suscitare in te dei buoni desideri. Non sono lontano, sono nel tuo cuore. Regala uno sguardo d'amore a tutti coloro che ti circondano, e mi troverai, in ogni momento.

Oggi ho cercato qualcuno che mi prestasse le sue mani per scriverti, d'ora in poi scriverò direttamente nel tuo cuore. Se me lo permetti, devi solo dirmi ‘Sì'... So che è difficile vivere in questo mondo, lo è davvero, ma se confidi in me ti darò nuove forze. A partire da oggi. Parla con me, scarica i tuoi pesi e le tue ansie su di me. Ho sempre tempo per te, raccontami ogni cosa, piangi se vuoi, asciugherò ogni tua lacrima e accarezzerò il tuo volto.

Chiamami a qualsiasi ora del giorno o della notte, non dormo mai e ti risponderò sempre. Se tu riuscissi a guardare l'universo con amore, a vederti nello specchio con umiltà, a mostrare tenerezza a chi ti sorride, misericordia a chi ti chiede compassione e perdono a chi ti fa piangere... la mia voce diventerà il tuo pensiero.

Come il pastore guida le sue pecore, così io ti conduco vicino al mio cuore. Un giorno asciugherò ogni lacrima dai tuoi occhi ed eliminerò tutto il dolore che hai sofferto sulla terra. Ti amo tanto, al punto da aver mandato mio Figlio Gesù affinché tu abbia vita eterna. Perché in Gesù ho rivelato il mio Amore per te, Lui è la rappresentazione esatta del mio essere. È venuto per dimostrarti che Io sono dalla tua parte, non contro di te. È venuto per dirti che non ricorderò più dei tuoi peccati. Gesù è morto affinché tu possa riconciliarti con me, la Sua morte è stata la massima espressione del mio amore per te... Ho dato ogni cosa per avere il tuo amore...

Vieni a casa e celebra la festa più grande che il Cielo abbia mai visto... Sono sempre stato, e sempre sarò, tuo Padre. La domanda è: vuoi essere mio figlio? Sono con le braccia aperte, aspetto te. Devi soltanto ricevere mio Figlio Gesù nel tuo cuore.
Ti abbraccio e non me ne vado. Resto al tuo fianco. Ti amo!
Con affetto: tuo papà, Dio.

amore di DioDio padrepaternità di Diorapporto con Dio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

5. Mi manchi, Signore

Emily Schenker

Mi manchi. Mi manchi terribilmente. Da togliere il fiato.
Leggo e rileggo le tue parole, con innamorata ostinazione.
Mi piego su questa pagina, e mi fa male non sentire il ritmo del tuo respiro,
il suono amico della tua voce.
Mi manchi, Signore,
e la preghiera oggi è un rincorrere il vento;
è ascoltare una musica che nessuno strumento può produrre.
Mi manchi, Signore,
perché, di tanto in tanto, ho bisogno di toccare, di vedere, di sentire profumi.
E tu, ora, non sei a portata di mano,
non stai davanti ai miei occhi, non hai l'odore buono di chi ama.
Mi manchi, Signore,
e la fede ne soffre, come di una malattia mortale. Senza cura.
Mi manchi, Signore,
eppure, so, quando mi allontano su versanti ripidi e pendii pietrosi;
quando fuggo le tue strade per capriccio e per dispetto;
quando ti volto le spalle, in un impeto di altezzoso disprezzo,
so, che io manco a te, ancora di più.
Per questo, ad ogni ritorno, mi aspetto di averti qui come uomo fedele,
come Dio paziente.
È questa distanza che ci unisce.
La tua assenza mi alimenta.
La tua presenza mi disseta. Amen.

assenzapresenzadistanzaattesarapporto con Diopreghiera

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 02/12/2017

TESTO

6. Considerare il fratello un candidato all'unità

Chiara Lubich, Payerne (Svizzera), 26 settembre 1982

Ecco la prima idea che può già rivoluzionare la nostra anima se noi siamo sensibili al soprannaturale: la fratellanza universale che ci libera da tutte le schiavitù, perché siamo schiavi delle divisioni fra poveri e ricchi, fra generazioni: padri e figlioli, fra bianchi e neri, fra razze, fra nazionalità, persino fra cantone e cantone siamo schiavi, ci critichiamo; ci sono degli ostacoli, delle barriere. No, La prima idea è svincolarsi da tutte le schiavitù e vedere in tutti gli uomini, in tutti gli uomini...

- Ma anche nel mio bambino?
- Anche in quella donna lì così chiacchierona?
- Anche in quel vecchio rimbambito?
- Anche in quella povera lì?
- Anche in quell'ebreo?
- Anche in quello lì? ma possibile?

Sì, in tutti, in tutti, in tutti vedere dei possibili candidati all'unità con Dio e all'unità fra di noi.
Ecco, bisogna spalancare il cuore, rompere tutti gli argini e mettersi in cuore la fratellanza universale: io vivo per la fratellanza universale!
Dunque, se tutti siamo fratelli, dobbiamo amare tutti, dobbiamo amare tutti, dobbiamo amare tutti. Guardate, sembra una parolina, è una rivoluzione! Dobbiamo amare tutti. "Anche quella signora che sta di là della mia porta? Ma mi critica, mi guarda male, e poi è un tipo!" Anche lei, dobbiamo amare tutti!

unitàamorefratellanzagratuitàdivisionipregiudizi

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

RACCONTO

7. Il quarto dono

Gulli Morini

Gesù è nato a Betlemme e dal lontano oriente tre sapienti si sono messi in viaggio per venire a conoscere il re dei re. Li guida una stella, ma in realtà non sanno cosa troveranno. Il linguaggio degli astri ha detto loro che è nato un re: porterà la pace nel mondo, inizierà un regno che non avrà mai fine e unirà il cielo con la terra, ma non ha detto loro dove accadrà tutto questo e, soprattutto, come. Ecco allora che, seguendo la stella, arrivano in Palestina.
Dove andreste a cercare il futuro re? Nella città più grande, nei palazzi dove abitano i ricchi e i potenti, ed è proprio quello che fanno i tre magi a Gerusalemme.

«Dov'è il re dei Giudei che è nato?», vanno chiedendo a tutti, ma nessuno sa rispondere loro.
«Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» affermano con sicurezza i tre forestieri, e all'udire queste parole tutti, ma proprio tutti, si stupiscono, perché a un re normalmente si fa omaggio, ma non adorazione; per questo tutti comprendono bene che i Magi cercano un grande re, non uno dei tanti che regnano sulla terra.
Il loro abbigliamento, le loro domande insistenti non passano inosservate e vengono riferite a chi ha il potere in quel paese, e cioè al re Erode, ma anche ai soldati romani che da anni hanno conquistato la Palestina e sono di fatto i veri padroni del territorio.
Il comandante del presidio di Gerusalemme invia loro un soldato con la scusa di proteggerli, ma in realtà per sapere cosa c'è di vero nelle loro affermazioni.
Erode raduna i suoi consiglieri più fidati, gli studiosi della bibbia di quel tempo per conoscere dove avrebbe dovuto nascere il più grande di tutti i re, cioè il Messia d'Israele. La risposta, come potete leggere nel Vangelo di S. Matteo, è Betlemme, allora il re fa' chiamare segretamente i Magi perché ha in mente un piano. Invia i magi a Betlemme e chiede loro di tornare quando l'avranno trovato, così potrà andare anche lui ad ad «adorarlo». Di fatto pensa solo ad individuare il suo rivale per eliminarlo.

Ecco allora che i tre Magi riprendono il cammino assieme al soldato romano che li scorta sul suo cavallo, armato di lancia e di spada. I tre personaggi parlano tra di loro, sono emozionati perché sperano di arrivare presto alla fine del loro viaggio. Il soldato, che si chiama Longino, ascolta tutto con grande attenzione, così impara quali sono le caratteristiche di questo re nato da poco che i tre sapienti stanno cercando con impazienza.
Sarà un re più grande di ogni altro re; il suo regno si estenderà su tutti i popoli (e questo preoccupa molto il romano se pensa che l'impero della sua Roma possa essere in pericolo), ma nonostante tutto questo sarà un regno di pace, un regno buono, come non ce ne sono stati altri.
Alla sera, quando si accendono le prime stelle, i tre saggi scrutano con visibile apprensione il cielo e d'improvviso scoppiano in esclamazioni di gioia: la stella, ecco di nuovo la stella!
«Quale stella?» chiede Longino ai sapienti che lo guardano con occhi pieni di felicità.
«Guarda, quella è la stella che ci ha guidati», dice Melchiorre indicando un punto luminoso nel cielo.
«E' la stella del più grande dei re, come dicono tutti i libri che insegnano il linguaggio delle stelle», continua Gasparre.
«L'abbiamo vista per la prima volta nei territori d'oriente, da dove veniamo, alcuni mesi fa», aggiunge Baldassarre.
«Per settimane ci ha guidato, poi è sparita, così abbiamo proseguito il cammino solo sulla fiducia», riprende Melchiorre.
«Ma ora i nostri occhi la vedono di nuovo e la nostra gioia è talmente grande che tu non puoi nemmeno immaginare», conclude Gasparre.
«Voi saggi stranieri non lo sapete - dice Longino - ma la stella è proprio nella direzione di Betlemme, che dista da qui meno di un'ora di cammino».
I tre Magi sono eccitati come bambini.
«Cosa aspettiamo? Presto, prepariamo i doni. Partiamo subito», si dicono l'un l'altro.
Longino vorrebbe trattenerli, ma i tre sapienti insistono tanto che alla fine il romano è costretto a far loro da guida.

Il viaggio diventa sempre più disagiato, perché ormai il buio è totale e si intravede solo la via al bagliore delle stelle. L'aspettativa dell'evento ha contagiato anche il soldato, cosicché la comitiva procede in silenzio. Ognuno pensa a ciò che tra poco troverà: un sapiente, un re, un inviato dal cielo, un pericoloso concorrente.
Dopo più di un'ora di viaggio difficoltoso i quattro finalmente giungono in vista delle luci di Betlemme. A quel tempo non c'erano le strade illuminate come adesso. Solo chi era sveglio aveva un lume acceso che filtrava appena dalle finestre già chiuse. Nel buio totale della campagna bastava una luce o due per segnalare la presenza di un villaggio.
Eccolo il paesino tanto a lungo cercato. Una decina di case costruite sulla roccia, qualche muro che circonda cortili e piccoli orti, una luce accesa fuori di una porta dalla quale esce luce e un brusìo continuo. I quattro entrano e si trovano in una locanda. Tre soldati romani ad un tavolo, qualche altro cliente agli altri tavoli, ben lontani dai soldati. Longino si avvicina ai commilitoni, scambia qualche parola in latino, poi va dall'oste, parla animatamente per qualche minuto, poi torna dai Magi che aspettano in piedi vicino alla porta.
«Nessuno sa nulla, nessun personaggio importante è passato di qui ultimamente. Tanti ebrei sono passati di qui in occasione dell'ultimo censimento, ma si trattava quasi esclusivamente di povera gente, se non proprio di straccioni. In qualche momento c'è stata tanta gente che qualcuno ha dovuto alloggiare nelle grotte dei pastori che si trovano intorno al villaggio.»
I quattro escono delusi dalla locanda e si ritrovano in una specie di piazza, nello spazio lasciato libero da alcune casette tutt'intorno. I magi guardano il cielo e interrogano muti la stella che li ha guidati fin qui. Tutte le stelle brillano con qualche tremore della luce, ma questa brilla in un modo strano anche se non fa più luce delle altre.
«E' qui vicino, guardate la stella, sembra che danzi», dice Gasparre come in trance.
«Sembra che stia cantando e che ci chiami», risponde Melchiorre come in estasi.
«Andiamo», dice Gasparre come in sogno.
Longino non capisce bene, ma anche lui è affascinato da questa strana atmosfera che si è creata e senza parlare segue i tre sapienti che si sono incamminati per un sentiero che esce dal paese, nella stessa direzione della stella.

A meno di cinque minuti di cammino c'è una grotta, dentro una piccola luce. I piedi camminano da soli, i quattro procedono come automi e si fermano sulla soglia della grotta. Quello che vedono è molto diverso da quel che si aspettavano. Un giovane uomo che gioca con un bimbo in braccio mentre la moglie, giovanissima, sta cucinando in un angolo della grotta. Di fianco a loro un bue ed un asinello legati vicino ad una greppia. Il giovane uomo si accorge della presenza dei nuovi arrivati e senza nessuna esitazione li invita ad entrare.
«La notte è umida, lì fuori: entrate e dividete con noi la nostra cena.» Poi, rivolto alla moglie: «Maria, il Signore benedice la nostra dimora con quattro ospiti.»
«Siate i benvenuti, riposatevi qualche istante mentre io impasterò e cuocerò per voi delle focacce», risponde lei.
I quattro entrano, si siedono su alcune logore stuoie per terra ed osservano questa piccola famiglia cercando con gli occhi conferme ai loro pensieri più profondi. Si aspettavano tutto tranne la straordinaria normalità di ciò che vedono: una semplice famiglia che vive l'ancor più semplice felicità di tutti i giorni che è stata loro concessa dalla nascita di un figlio. La sicurezza che accompagnava i tre saggi durante la loro ricerca è svanita. Più che delusi sono sorpresi. Qui niente ha l'apparenza dell'abitazione di un re, nemmeno le persone che stanno davanti a loro hanno un comportamento di chi aspira a comandare, le parole che sentono non son quelle di chi ha studiato tanto sui libri o di chi ha grandi sogni ed ambizioni. Eppure tutt'intorno a quel bambino c'è una tale atmosfera d'amore che i tre saggi, ma anche il soldato, ne sono conquistati. Non sono sicuri di essere davvero arrivati perché qui non corrisponde nulla alle loro aspettative, per questo debbono cambiare completamente prospettiva per poter vedere con altri occhi ciò che sta loro innanzi.
Più tardi, mentre mangiano tutti insieme, decidono di fidarsi della loro intuizione e raccontano del loro viaggio, del messaggio delle stelle, dei presagi sul futuro di quel bimbo che ora dorme nella mangiatoia degli animali. Maria e Giuseppe, suo sposo, ascoltano stupiti il racconto dei Magi. Capiscono che possono fidarsi di loro e raccontano dei pastori che, la notte della nascita di Gesù, loro figlio, erano accorsi raccontando di visioni di angeli nel cielo.
Longino ascolta anche queste notizie senza ben capire se deve considerarle verità o frutto d'immaginazione. L'unica cosa che percepisce chiaramente è un'atmosfera di serenità che lo circonda. Per i Magi invece questo racconto è la conferma che cancella tutti i loro dubbi. Sicuramente quel bimbo che dorme tranquillamente nella paglia profumata sarà il grande re annunciato dalle stelle, ma sarà anche molto diverso da tutti gli altri. Il loro cuore e non solo la mente finalmente si è aperto, è ora di aprire anche le bisacce e offrire i doni che hanno portato dal loro paese per il Re dei re. A turno depongono ai piedi del bambino Gesù l'oro, segno di ricchezza della regalità, l'incenso, profumo che sale al cielo segno di unione Dio, e mirra, profumo raro e prezioso, segno di nobiltà e di pulizia terrena, ma anche di profonda umanità, visto che viene usato anche nei riti di sepoltura.
Longino è confuso da questa atmosfera che si è creata: percepisce che quel bambino avrà un futuro misterioso e decide di donare anche lui qualcosa, ma non ha nulla. Allora prende la lancia e la depone ai piedi di Gesù: un re deve avere potere anche se sarà un re di pace: se non vorrà fare guerre almeno potrà difendersi, e la lancia è l'arma più adatta a tener lontani i nemici. Giuseppe e Maria osservano tutto con grande attenzione mista a sorpresa: anche questi doni sono davvero inaspettati. Poi Giuseppe prende la lancia e la restituisce al soldato.
«Amico soldato, non ti offendere se non accetto il tuo dono. Capisco la tua buona intenzione e te ne sono profondamente grato. Non so cosa diventerà da grande mio figlio, ma prego il Signore che non tocchi mai un'arma e che il suo potere sia solo di amore.»
Longino si guarda intorno ma non vede ombra di rimprovero o di commiserazione, ma solo sguardi di comprensione e di stima, allora riprende la lancia e torna a sedersi sulla sua stuoia silenzioso. C'è qualcosa che gli sfugge, che non riesce a capire, che non riesce ad accettare. È tardi, per tutti c'è bisogno di dormire. Il sonno dei Magi è ricco di emozioni, di presagi, di calcoli astronomici. Quello di Longino è un sonno pesante, un po' disilluso, ma anche affascinato dalla serenità di un incontro inaspettato.

È Gesù che sveglia tutti poco prima dell'alba perché ha fame. Maria lo allatta cantando sottovoce per non disturbare gli ospiti, ma questi sono già svegli. I tre saggi discutono tra si loro sommessamente, mentre Longino accompagna Giuseppe a prendere del latte dai pastori che stanno in una grotta poco lontano. Il cielo è ormai chiaro, è l'ora di salutarsi, ma prima che Gesù si riaddormenti i tre sapienti lo prendono a turno in braccio e lo cullano guardandolo con grande affetto. Sembra che se lo mangino con gli occhi, che vogliano fissare per sempre nella mente l'immagine di quel fanciullo che per loro è così importante. Prima di riconsegnarlo alla madre lo sollevano e tenendolo più alto delle loro teste chinano il capo in segno di omaggio, di sottomissione e di adorazione. Anche il romano saluta con gentilezza e accarezza delicatamente il piccino.
I quattro s'incamminano silenziosamente verso Betlemme, ma dopo poco Baldassarre chiede a Longino: «Cambiamo strada, non torniamo a Gerusalemme, andiamo direttamente ad oriente, torniamo a casa.»
«Ma Erode vi aspetta.»
«E lascia che aspetti: secondo me considera il bambino come un rivale che intralcia i suoi progetti», risponde Gasparre.
«E poi non potrà certamente capire quali possano essere i piani di questo fanciullo: non sono chiari nemmeno per noi!», conclude Melchiorre.
Dopo qualche giorno i Magi salutano il soldato romano e lo rimandano alla sua guarnigione.
«Vai, riferisci al tuo comandante ciò che hai visto: Roma non deve aver paura di un bimbo che parlerà di pace e non di guerra. Il cielo ti benedica buon Longino.»

Passano più di trent'anni, Gesù è stato crocifisso da pochi giorni e a Gerusalemme si è sparsa la voce che è risorto. Alcuni discepoli dicono perfino di averlo visto, di aver mangiato con lui. Nel Cenacolo sono riuniti i suoi apostoli, hanno paura perché c'è chi li ha già minacciati di morte. Il sommo sacerdote e i capi religiosi vogliono chiudere per sempre l'avventura di un maestro, di un profeta troppo scomodo che ha avuto l'ardire di chiamarsi Figlio di Dio: chiunque osa affermare che Gesù è risorto viene imprigionato. Alla porta del Cenacolo qualcuno bussa: è un soldato romano, e subito il terrore si dipinge sul volto degli apostoli. Ma è un volto noto, è il vecchio Longino, il più anziano tra i soldati della guarnigione, rispettato da tutti perché non ha mai abusato del proprio potere.
Appena entrato depone la spada e la lancia per terra e chiede di parlare con Pietro. È qui a titolo personale, spiga subito, non in veste ufficiale. Vuole sapere se è vero quel che dicono di Gesù. Pietro si fida di lui e racconta di averlo visto più volte e di aver assistito alla sua ascensione al cielo in Galilea. Allora Longino si mette a piangere, sommessamente, ma incapace di smettere. Tutti gli apostoli gli sono intorno stupiti cercando di fargli coraggio, poi, finalmente, il vecchio soldato riesce a trattenersi. Viene fatto sedere e comincia il suo racconto.
«Sono io che sul Golgota ho trafitto il costato di Gesù con quella lancia», dice con fatica.
«Ti ho visto, c'ero anch'io - conferma Giovanni - ma non sei stato tu ad ucciderlo, non devi avere rimorsi».
«Lo so, ma non avevo ancora capito nulla, ero deluso per la seconda volta.»
«Non capisco per cosa tu sia rimasto deluso, e soprattutto perché la seconda volta», dice Pietro.
«E' una storia lunga», esordisce il vecchio soldato, quindi racconta il primo incontro con Gesù nella grotta di Betlemme. «Cercavo un re, il più grande dei re, ma ho trovato un bambino, una famiglia meravigliosamente normale, troppo normale per far crescere un re speciale. Ho provato nonostante la mia delusione ad offrirgli tutto ciò che avevo, cioè la mia lancia, ma mi è stata rifiutata, allora ho pensato, a differenza dei tre sapienti, di aver fallito la mia ricerca. È passato tanto tempo da quel giorno. Sono tornato a Roma e dopo parecchi anni son tornato qui e ho sentito parlare di Gesù. L'ho cercato, una volta l'ho persino ascoltato e ne sono rimasto turbato. Forse, pensavo, nonostante tutto poteva essere lui quello che doveva venire, anche se era così diverso da come l'aspettavo. Ma la mia speranza è morta con lui sul Golgota. Non sono io che l'ho ucciso, ma la mia incredulità lo ha trafitto, proprio con quella lancia che più di trent'anni fa lui mi aveva rifiutato. Ma adesso è risorto. Tanti lo dicevano e io non volevo crederci. Eppure questa notizia sconvolgente si è aggrappata al mio cuore e non ha più voluto staccarsi: ho cercato inutilmente di cancellarla, di pensare che era impossibile, che era una solo una voce messa in giro per confondere i più deboli e creduloni. Alla fine mi son deciso a venire da voi, i suoi amici per avere una parola definitiva, ed ora voi mi testimoniate che è vero: è risorto. Solo adesso, finalmente, i miei occhi cominciano a vedere, il mio cuore crede quel che la mia mente ha sempre rifiutato. Comincio adesso a capire che nulla è successo per caso, che tutto, proprio tutto è servito perché il suo disegno si compisse. Quando a Betlemme ho voluto donargli la mia lancia, Gesù non l'ha rifiutata, l'ha accettata ma me l'ha lasciata in custodia fin quando non è servita, sul Golgota. Sì, ha preso anche la mia lancia non per conquistare o comandare, ma solo per donarci il suo sangue fino all'ultima goccia.»
Maria, presente in mezzo al gruppo degli apostoli, non ha perso una sola parola del romano: il suo stupore e la sua commozione sono evidenti. Non apre bocca, come pure nessuno dei dodici, come se volesse ben imprimersi nella memoria quella testimonianza.
Dopo qualche istante di silenzio, Pietro propone di pregare tutti assieme e di ringraziare Dio per il dono di Gesù. Longino si ritira in un angolo della stanza per rispetto delle usanze degli Ebrei. È una preghiera semplice «Benedetto sei tu, Signore, che ci hai donato Gesù, tuo figlio, il quale ha versato il suo sangue per la nostra salvezza ed è risorto dai morti per confermare la nostra fede.»
Nel silenzio che segue alla preghiera si sente un fragore come di un vento che scuote le porte, le finestre si spalancano con frastuono e una luce, come una palla di fuoco entra nel cenacolo e si divide in tante piccole fiamme che scendono sulla testa degli apostoli e sulla Madonna. Ancora una volta Longino è testimone di un evento straordinario ed assiste alla prima predicazione pubblica fatta dagli apostoli per bocca di Pietro dopo la discesa dello Spirito Santo. Nei giorni successivi frequenta assiduamente i dodici, poi dà le dimissioni da soldato e si fa battezzare.

Il soldato romano che trafigge Gesù con la lancia compare anche nei Vangeli Apocrifi: è da queste fonti che abbiamo il suo nome. La tradizione vuole anche che la sua conversione sia stata talmente esemplare da farlo diventare uno dei primi vescovi della Cappadocia, e poi santo martire.

ricerca di Diore magiepifaniacrocifissione

inviato da Guglielmo Morini, inserito il 26/09/2017

TESTO

8. Ricordatevi di Dio

Isacco di Ninive, La filocalia

Ricordatevi di Dio, perché in ogni istante egli si ricordi di voi. Se si ricorda di voi, vi darà la salvezza. Non dimenticatelo lasciandovi sedurre da distrazioni vane. Volete forse che vi dimentichi nei momenti delle vostre distrazioni?

Rimanetegli vicini e obbedienti nei giorni della prosperità. Potrete contare sulla sua parola nei giorni difficili, poiché la preghiera vi renderà sicuri della sua presenza costante. Rimanete incessantemente dinanzi al suo volto, pensatelo, ricordatelo nel vostro cuore. Altrimenti, se lo incontrate appena di tanto in tanto, rischiate di perdere la vostra intimità con lui.

La familiarità tra gli uomini avviene mediante la presenza fisica. La familiarità con Dio consiste nella meditazione e nell'abbandono in lui durante la preghiera.

Chi vuol vedere il Signore, purifichi il suo cuore col ricordo continuo di Dio. Arriverà a contemplarlo ogni istante e dentro di sé sarà tutto luce.

contemplazionevicinanza di Diopresenza di Diorapporto con Diopreghiera

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

TESTO

9. Invito agli sposi

Carlo Maria Martini, La famiglia alla prova

Il Signore chiama solo per rendere felici. Le possibili scelte di vita, il matrimonio e la vita consacrata, la dedizione al ministero del prete e del diacono, l'assunzione della professione come una missione possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall'amore e non dall'egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo.

La prima è quella di essere marito e moglie, papà e mamma. L'inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l'altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita. L'amore che ha persuaso al matrimonio non si riduce all'emozione di una stagione un po' euforica, non è solo un'attrazione che il tempo consuma. L'amore sponsale è vocazione: nel volersi bene, marito e moglie possono riconoscere la chiamata del Signore.

Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Vorrei pertanto invitare a custodire la bellezza dell'amore sponsale e a perseverare in questa vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili.

Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l'umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui si vive, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza di questa vocazione. È necessario reagire all'inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.

Invito pertanto a pregare insieme: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per sé, i figli, gli amici, la comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra i coniugi.

Invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del matrimonio, quella del battesimo dei figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.

Invito a trovare il tempo per parlare l'uno all'altro con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedersi scusa, rallegrarsi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.

Invito infine gli sposi ad avere fiducia nell'incidenza della loro opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall'impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vocazione dei genitori a educare è benedetta da Dio: perciò occorre che essi trasformino le loro apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore fa: occorre accoglierla con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non bisogna perdersi d'animo, non c'è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. Ed esorto ad affidare spesso i figli alla protezione di Maria, a non tralasciare una decina del rosario per ciascuno di loro, con fiducia e senza perdere la stima né di se stessi né dei propri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione.

sposimatrimoniocoppiafigligenitorimatrimonio cristianoeducareeducazione

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

RACCONTO

10. Il chicco di grano   2

C'era una volta un chicco di grano. Si era staccato dalla spiga alla fine del mese di giugno e aveva riposato per tutta l'estate in un comodo sacco di juta insieme a migliaia di suoi amici. Si stava proprio bene in quel luogo, sufficientemente comodo e fresco.

L'estate passo senza nessuna grossa novità. Venne infine l'autunno. Le giornate si facevano più corte e dalle finestre del granaio, dove il sacco di juta era stato messo, si intravedeva il sole che ogni giorno si abbassava sempre più: presto sarebbe arrivato l'inverno e le prime piogge.

Improvvisamente, una mattina, il sacco fu sollevato e preso sulle spalle da un uomo e caricato sul pianale di un trattore.

"Che succede? Dove ci portano? Come mai andiamo via da questo luogo?". L'agitazione dentro il sacco cresceva sempre più, e nessuno dei chicchi sapeva dare una spiegazione valida a quello che stava succedendo. Sballottati dalle manovre, i chicchi si lamentavano: "Ohi ohi, che botta! Non spingete! Mi sei venuto addosso!"

Finalmente il trattore si fermò. Il sacco fu scaricato per terra. Mani forti aprirono il sacco, raccolsero diverse manciate di chicchi e le misero in piccolo secchio. Anche Chicco finì lì dentro.

l contadino, con gesto solenne, prendeva continuamente manciate di chicchi e le spargeva nella fredda terra. Era arrivato il tempo della semina.

"Non voglio, non voglio finire nella terra, in quel solco tanto freddo dove mi toccherà stare da solo!", gridava a squarciagola il nostro Chicco.

Il contadino sentì i lamenti, e disse: "Se tu non vuoi essere seminato, nemmeno potrai diventare una bella spiga, piena di tanti chicchi, che macinati, diventeranno buon pane per sfamare tante persone". Chicco capì e si lasciò seminare senza più brontolare.

Arrivò intanto l'autunno e infine l'inverno. Per il nostro Chicco fu davvero difficile. Nel solco del campo, era freddo e buio. Frequentemente arrivava la pioggia, che faceva ancor più intirizzire Chicco. Si faceva forza, pensando alla bella spiga, gonfia di chicchi, che da lui sarebbe nata.

Una bella mattina di fine inverno, rallegrata da un solicchio che con i suoi raggi arrivava fino a fargli il solletico al naso, Chicco sentì che la buccia che lo avvolgeva si stava aprendo e da lui cominciava a germogliare una piccola piantina. Concentrò tutta la sua attenzione su quel germoglio, che ogni giorno di più si faceva posto fra la terra, finché un giorno arrivò a vedere la superficie: che spettacolo meraviglioso! Il campo era pieno di centinaia e centinaia di piantine che facevano capolino, vestite di un verdolino luminoso. Era spuntato il grano!

I giorni e le settimane passavano in fretta. Chicco e le altre piantine di grano crescevano quasi a vista d' occhio. Un giorno, in cima alla piantina ormai diventata grande, spuntò una piccola, meravigliosa spiga di grano, tenera e verdolina. Col passare del tempo, la spiga divenne sempre più robusta e gialla, piena di numerosi chicchi. Era pronta per essere mietuta.

Il grano fu raccolto, i chicchi separati dalla spiga, deposti a loro volta nei sacchi, portati al mulino e macinati. La farina era pronta per essere usata!

Un bravo fornaio ne acquistò vari sacchi, la impasto con l'acqua e il lievito, ne fece belle pagnotte, che una volta cotte nel forno, diventarono pane fragrante, pronto ad essere mangiato.

Si, i sacrifici di Chicco, erano serviti davvero a qualcosa: era diventato pane per saziare chi ha fame. Pane da condividere con tutti, come ogni altro bene che abbiamo ricevuto da Dio.

granopanesacrificioeucaristiadisponibilità

inviato da Don Ernesto Testi, inserito il 20/03/2017

TESTO

11. I verbi della misericordia   2

Ermes Ronchi, Il Messaggero di Sant'Antonio, Gennaio 2016

Le porte sante della terra, le porte del Signore, quali sono? Non ha nessun senso passare per la Porta Santa della cattedrale e non passare per la porta santa di un povero, di un malato, non far varcare la porta di casa tua a uno che ha fame, la porta del cuore a uno che è solo. Non ha senso chiedere misericordia a Dio, e non offrirla al tuo vicino.
Se il Giubileo non tocca la vita, non è giubileo. Il Giubileo sarà santo se scriveremo la nostra pagina, la nostra riga, il nostro frammento di un racconto amoroso, con le nostre mani.
La misericordia è un'arte che s'impara, imparando tre verbi: "vedere", "fermarsi", "toccare", i primi gesti del Buon Samaritano.

Vedere. "Lo vide e ne ebbe compassione". Il samaritano vede e si lascia ferire dalle ferite di quell'uomo.
La misericordia inizia con lo sguardo non giudicante del vangelo: "Il primo sguardo di Gesù nei vangeli non si posa mai sul peccato delle persone, ma sempre sul loro bisogno" (Johann Baptist Metz).
Molte volte i vangeli riferiscono che Gesù "mentre camminava vide" (Mt 4,18); camminava e abitava la vita, ben presente a tutto ciò che accadeva nel suo spazio vitale; sapeva guardare negli occhi: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,13) e scoprire nel riflesso di una lacrima urgere una promessa, un desiderio.
Davanti alle ferite della vita qualcosa di noi vorrebbe chiudere gli occhi, girare la testa. Come fanno i falsi discepoli: quando mai, Signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo...? Non hanno avuto occhi per vedere le ferite della carne di Cristo.

Fermarsi. Per vedere bene, che sia un volto, un paesaggio, un'opera d'arte o un povero, non puoi accelerare il passo, ti devi fermare. E non "passare oltre" come il sacerdote e il levita della parabola. Oltre non c'è niente, tantomeno Dio.
Quando ti fermi con qualcuno hai messo nel telaio in cui si tesse il tessuto buono della terra i tuoi doni impagabili, le risorse più preziose che hai: tempo e cuore. Hai fatto una dichiarazione d'amore senza parole.
Per vedere un prato bisogna inginocchiarsi e guardarlo da vicino (Ermanno Olmi).
C'è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un paese, una ferita: fermarsi, inginocchiarsi, e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetri di viso, di occhi, di voce. Guardare come bambini e ascoltare come innamorati, in silenzio.

Toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Tocca l'intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain.
Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare, non dico il contagioso o l'infettivo, ma anche il mendicante.
Fai la tua elemosina, e lasci cadere la tua monetina dall'alto, guardandoti bene dal toccare la mano che chiede, mantenendo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto, una parola. E il povero rimane un problema anziché diventare una fessura d'infinito.
Il tatto è un modo di amare, il modo più intimo; è il bacio e la carezza. E apre stagioni nuove.

Vedere, fermarsi, toccare: piccoli gesti. Ma la notte comincia con la prima stella, il mondo nuovo con il primo samaritano buono.

misericordiaporta santagiubileovederefermarsitoccarebuon samaritano

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inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

12. Sognare   1

Gianni Fanzolato, Da Loreto nell'anno della misericordia 2015-2016

Chiudo gli occhi e mi butto fra le braccia della fantasia: e sogno.
Sognare è l'unico tesoro che nessuno ti può rubare e non costa niente.
Il sogno è il volo dell'anima, è passare il limite, è sfiorare la mente di Dio;
ti prende, ti circonda, ti sprona, ti affascina, ti strega e ti proietta all'infinito.

Che meraviglioso sognare un mondo dove tutti si abbracciano, mano nella mano,
e l'amore di ognuno fa crollare i muri, rompe barriere, spezza le guerre e semina pace.
Ma il sogno si fa duro, perché devo entrare nel cuore di tutti per dare la buona notizia
di quel sognatore che ci ha detto: "amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi".

E' bello sognare che ci sono più abbracci che bombe, più mani tese che armi puntate,
più gente che accoglie che bambini smarriti e annegati nei mari di un mondo diviso.
Cosa costa chiudere gli occhi e vedere che tutti i bambini della terra, di ogni colore
stanno facendo un grande girotondo, un arcobaleno di luce, perché amati da Dio.

Chi mi può rubare il fascino del sogno di Dio di fare del mondo una unica famiglia
dove non si guarda il colore, non c'è passaporto, ma basta la dignità di figli di Dio.
Mi possono togliere la libertà, impedire di parlare, ma non la sfida di volare in alto.
Dio mi sussurra la gioia di essere missionario della sua misericordia e mi accarezza.

Gesù, il grande sognatore che ha cambiato il sogno in un nuovo stile di vita,
si è identificato col migrante, col prigioniero, con l'ammalato, con chi ha fame.
"Ma, Signore, quel che tu dici è sogno, è utopia, la vita è dura, ad ognuno la sua pena."
"Se hai amore, mi vedrai presente nel povero, migrante e il sogno si farà benedizione."

Solo adesso, Signore, ho capito che devo aprire gli occhi, perché il sogno è reale;
ho sognato perché ho volato vicino a Te che mi hai trasmesso la forza di osare.
Sono una goccia d'amore nell'oceano del mondo, sogno e son desto, immerso nell'utopia
di Te che ci vuoi abbraccio, perdono, ponte e famiglia in un mondo possibile.

misericordiagiustiziaaccoglienzamigranti

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

13. Signore disarmali. E disarmaci

frère Dominique Motte

Disarmali: sappiamo quanto questa violenza estrema sia il sinistro pane quotidiano in Iraq, in Siria, Palestina, Centrafrica, Sudan, Eritrea, Afghanistan. Ora si è impossessata di noi.

Disarmali Signore: e fa' che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l'immagine dell'Uomo, l'immagine di Dio.

Disarmali, Signore dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio.

Disarma anche noi, Signore: in Francia, in Occidente, senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta, la Storia ci ha insegnato alcune cose.

Dacci, Signore, la capacità di ascoltare profeti guidati dal tuo Spirito. Non farci cadere nella disperazione, anche se siamo confusi dall'ampiezza del male in questo mondo.

Disarmaci e fa' in modo che non ci irrigidiamo dietro porte chiuse, memorie sorde e cieche, dietro privilegi che non vogliamo condividere.

Disarmaci, a immagine del tuo Figlio adorato la cui sola logica è la sola veramente all'altezza degli avvenimenti che ci colpiscono: "Non prendono la mia vita. Sono io che la dono".

Preghiera per la pace, pubblicata dai vescovi francesi, scritta "nello spirito di Tibhirine" da frère Dominique Motte, domenicano del Convento di Lille. Clicca qui per la preghiera con immagine da stampare.

guerrapacevendettaviolenzadisarmoperdonodifesabenemaleterrorismo

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inviato da Qumran2, inserito il 07/02/2016

TESTO

14. Ogni stagione della vita ha un suo paradiso   1

Enzo Bianchi, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2015

Ogni cristiano che recita il "Credo", la professione di fede, dice: "Credo la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen", e questo credere non è periferico, ma fondamentale nella fede cristiana. Il cristiano, dunque, crede che ci sia un dopo la morte, una vita piena per sempre, nella quale non vi saranno più pianto, né dolore, né malattia, né morte, ma la gioia eterna della comunione, attraverso Gesù Cristo, con Dio e con gli uomini e le donne da lui salvati. Anch'io, in quanto cristiano e monaco, aderisco a questa speranza, ma confesso che il mio immaginario è molto personale ed è mutato nelle diverse stagioni della mia vita. La domanda che mi viene posta: "Come immagini il paradiso?", mi spinge dunque a dare diverse risposte.

Innanzitutto, il paradiso è un'immagine che ci viene trasmessa quando siamo piccoli, e così è stato anche per me. Quando morì mia mamma avevo solo otto anni. Chiedevo dov'era andata, perché non riuscivo ancora a comprendere la morte, e mi veniva risposto: è in paradiso, in un bel giardino, e là passeggia tra gli asfodeli, fiori molto profumati. Così immaginavo dunque il paradiso e speravo di andarci presto, per ritrovare mia mamma e vedere questi fiori profumati che nessuno sapeva descrivermi, perché nel Monferrato nessuno li aveva mai visti.

Con la giovinezza e gli studi biblici, elaborai altre immagini, sovente in contrapposizione al possibile esito opposto: gli inferi, luogo di perdizione, lontano da Dio e da tutti gli altri. Il paradiso assumeva le immagini della Bibbia che leggevo e studiavo: un luogo pieno di luce, in cui non era mai notte; un luogo di pace, senza litigi, dispute, violenze, guerre; un banchetto con abbondanza di cibi squisiti e di vini raffinati; tanta musica e la possibilità di stare insieme, in una festa continua... Belle immagini, ma che svanivano velocemente, perché la ragionevole fede mi spingeva a comprendere che il paradiso non era un luogo, bensì una condizione di comunione con il Signore. Mi piaceva però l'immagine del pranzo con piatti sempre nuovi e dal gusto straordinario, dell'ascolto di musiche che rendevano l'eternità sopportabile...

Poi le immagini del paradiso sono cambiate ancora, tra dubbi, rinnovamenti della speranza, a volte anche stanchezza delle immagini stesse e desiderio di rinnovarle. Ora che sono vecchio, il paradiso o l'esito contrario dell'inferno sono sempre più prossimi: non nascondo una certa paura che mi abita al pensiero della morte, perché credo nel giudizio di Dio sulle mie responsabilità, sul mio operare che è stato buono o cattivo.

Spero soprattutto che nessuno vada all'inferno; ma se qualcuno ci va, allora - mi dico - rischio di andarci anch'io, che non mi sento tanto diverso dagli altri nell'acconsentire all'egoismo che mi abita.

E le immagini del paradiso, da vecchio? Sono svanite. Oggi non so dire, non so immaginare, non oso neppure pensare di dire qualcosa che lo descriva. Nella mia fede è solo una cosa: una grande comunione in Gesù Cristo, in cui regnerà l'amore. Sono convinto che chi ho amato qui sulla terra, lo ritroverò anche di là, e così continueranno il nostro amore e la nostra amicizia. Se pensassi di andare di là e di non trovare più i miei amici, preferirei allora non andarci!

Spero di ritrovare questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi... Sì, vorrei che continuassero le "storie d'amore" vissute qui; anzi, che riprendessero quelle che si sono interrotte e, senza gelosie né concorrenze, potessimo tutti insieme bere alle coppe del vino dell'amore.

Per farvi sorridere, cari lettori, vi confesso che ho un'altra paura: di finire sì in paradiso, ma vicino a persone che non mi piacevano, sebbene fratelli o sorelle nella fede e magari anche di rinomata santità. No, questo proprio no! Ma forse, se Dio mi salverà, sarò cambiato tanto da sopportare anche questo. Purché il Signore non mi faccia perdere gli amici, quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male: li vorrei con me.

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inviato da Simone Pestelli, inserito il 07/02/2016

ESPERIENZA

15. Voi non avrete il mio odio   5

Antoine Leiris

Antoine Leiris è un papà di un bambino di 17 mesi. Fino alle tragedie di Parigi accanto a sé aveva una donna che amava e, quel piccino, una mamma amorosa. Erano una famiglia. Ma non si piega al rancore questo papà francese e ai terroristi che hanno ucciso la moglie, una delle 129 vittime dell'altra sera, lui ha scritto una lettera, affidandola a facebook. Eccola:

Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l'amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardessi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L'ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d'attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo "petit garçon" vi farà l'affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio.

Clicca qui per vedere il post originale su Facebook
Clicca qui per vedere ed ascoltare il testo letto da Donato Intini

perdonoodioterrorismopaura

4.9/5 (9 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 19/11/2015

TESTO

16. A coloro che non trovano pace

Tonino Bello

Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».

Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.

E mi sono ricordato dite, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.

L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.

Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.

Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.

Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.

Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.

Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».

E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.

Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.

A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.

A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.

Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.

O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.

Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

pacepace interioreinterioritàfelicitàgioiatristezzainquietudine

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inviato da Francesco De Luca, inserito il 16/06/2015

TESTO

17. Lavanda dei piedi, capovolgimento della vita (versione lunga)

don Primo Mazzolari, Scritti

«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)

Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire. «Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».

Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé.

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«Gesù sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre»...

Per un cristiano non ci sono ore inconsapevoli; ogni ora segna il transito dal mondo al Padre, dal terrestre allo spirituale, dal parziale all'universale, dal temporale all'eterno.

Il distacco, che prepara il transito, non può avvenire che per un accrescimento d'amore, vale a dire nella luce della carità del Padre, che non conosce limiti. «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

Un «passaggio» o una «conversione» che diminuisse le affezioni naturali e ci sottraesse alle parziali emozioni che tali affetti giustamente ci comandano, non sarebbe un'ascensione.

Si sale verso il Padre, con cuore purificato, ma non separato. Il nostro vero patrimonio umano ce lo portiamo con noi per accrescerne il valore nella santità.

Niente ci deve impedire di portare «sino alla fine», nella pienezza della carità, i nostri vincoli umani: neanche la presenza del traditore, neanche la possibilità di piegare per altre vie le resistenze delle creature.

Proprio quando Gesù sa che «il diavolo aveva già messo in cuore» a Giuda Iscariota di tradirlo, quando ha la certezza che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che stava per ritornare a Dio «...si levò da tavola, depose le sue vesti e preso un asciugatoio, se ne cinse...».

Facendosi uomo aveva preso «la forma del servo». Ma nessuno se n'era accorto fino a quel momento, tanto era in alto il Maestro nella sua così comune umanità. Operava grandi miracoli, si trasfigurava sul monte, predicava con autorità mai vista, parlava come un profeta non aveva mai parlato.

Gli uomini avevano bisogno di vedere il servo, in una forma evidente, inequivocabile. L'amore ve l'avrebbe fissato per sempre e in un gesto che sfida le false grandezze e le false dignità create dal nostro orgoglio.

«Si levò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio se ne cinse. Poi mise dell'acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio».

Non ha cominciato né da Pietro né da Giovanni; forse da Giuda, per subito gustare l'estrema ripugnanza di servire l'inservibile, di amare l'inamabile.

Quando arriva a Pietro si sente dire: - Tu Signore, lavare i piedi a me? - Pietro misurava soltanto la propria miseria, e non poneva l'occhio sul mandato di carità che lo avrebbe impegnato come seguace di Cristo, per tutta la vita.

- Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo. Capiva il fatto dell'umiliazione, non capiva la lezione che il Maestro intendeva dargli attraverso il mistero dell'umiliazione. Pietro voleva aver parte con Cristo immaginando chi sa quali ricompense; per questo era disposto a farsi lavare anche le mani e il capo. Neanche il primo degli apostoli sapeva che l'unica condizione per aver parte con lui, è legata, più che a una lavanda materiale, alla continuazione di quella carità che il Cristo veniva istituendo con un atto quasi sacramentale.

«Come dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe riprese le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: - Capite quel che vi ho fatto?».

E poiché gli apostoli non capivano l'istituzione della carità, che doveva precedere di poco l'istituzione del sacramento della carità, il Maestro è costretto a continuare la lezione.

«Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io che sono il Signore e Maestro v'ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v'ho fatto io».

L'istituzione dell'eucaristia si chiude con parole quasi eguali: - Fate questo in memoria di me.

I cristiani di tutti i tempi hanno trovato più facile ripetere la presenza eucaristica della presenza della carità, dimenticando che non si può capire una mensa dalla quale, almeno uno, dietro l'esempio del Maestro, non si alzi per continuare nel mondo quella carità che è il fermento celeste del pane del mistero.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.

Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.

I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

Clicca qui per la versione breve.

lavanda dei piediservizioeucaristiagiovedì santo

inviato da Qumran, inserito il 09/06/2015

RACCONTO

18. La concordia

Apoftegmi dei Padri del deserto

Vivevano in una stessa cella due fratelli assai celebrati per la loro umiltà e pazienza. Un po' alla volta, passando gli anni, si erano accomodati il loro nido eremitico in modo perfetto. La cella l'avevano fatta di vinchi e tutta intonacata; attorno poi avevano piantato un bell'orto con rigagnoli d'acqua derivati da una sorgente vicina, che lo mantenevano fresco tutto l'anno e così ricco di erbaggi e di frutti da averne anche da regalare agli altri eremiti. Non mancavano neppure piccole aiuole di fiori e di erbe odorifere che servivano ad adornare il piccolo altare dell'oratorio.

Un giorno un vecchio monaco che aveva sentito parlare delle grandi virtù di questi due fratelli, volle accertarsene di persona: «Andrò a vedere», disse, «se sarà tutto oro o se vi sarà anche del piombo».

Accolto con molta riverenza e fatta orazione, chiese di vedere il giardino. «Venite venite», dissero i due, e vo lo accompagnarono. «Bello bello!», faceva il vecchio arricciando il naso: «anche troppo bello per degli eremiti...» E, preso un bastone, si mise a menarlo con gran furia a destra e a manca, sbattendolo sui cavoli, l'insalata, i cetrioli, i fiori. Pareva impazzito. I due stavano lì a mani giunte a guardarlo, ed ebbero appena il fiato di dire: «O Dio!», ma non aggiunsero altro.

Più tardi, prostratisi ai piedi di quel santo Padre che nel frattempo s'era seduto all'ombra a tergersi il sudore, gli dissero: «Padre, se ti piace, vorremmo andare a cogliere un poco di quel cavolo che c'è rimasto, e così lo cuoceremo e lo mangeremo tutti e tre insieme». Il vecchio non credeva ai propri orecchi: tutto stupefatto, li abbracciò e disse: «Rendo grazie a Dio, perché veramente lo Spirito Santo abita in voi».

fraternitàconcordiapace interiorepazienzaumiltà

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inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 09/06/2015

PREGHIERA

19. Luci di speranza per la famiglia ferita

don Paolo Gentili e Tommaso e Giulia Cioncolini, Preghiera per il Sinodo dei vescovi sulla famiglia

Signore e Dio di ogni paternità che, con le tue carezze, curi la pecora ferita e lenisci i suoi dolori con il balsamo della tua Parola, illuminaci affinché sappiamo accogliere, con il tuo stesso amore, le persone separate ed i fedeli che, nel divorzio, sono passati ad una nuova unione.

Dai luce ai nostri occhi, affinché possiamo vedere nel dolore delle famiglie spezzate l'apice dell'incapacità di amare che sperimenta qualsiasi uomo e qualsiasi donna.

Insegnaci, con la Grazia dello Spirito, a discernere le differenti situazioni, con sincera fedeltà alle indicazioni del Magistero, evitando inopportune confusioni e illuminando la via buona da seguire.

Sostienici per annunciare loro la Verità del Vangelo e essere, nello stesso tempo, segno della materna tenerezza della Chiesa e delle sue viscere di misericordia.

Fa' che possiamo, come comunità cristiana, divenire locanda per l'umanità ferita, e accompagnare nel doloroso Calvario le persone separate, condividendo con loro la fatica del cammino.

Illumina il nostro cuore affinché, stando accanto, possiamo far percepire loro che non sono sole, e che possono ristorarsi nell'abbraccio dei fratelli, nella presenza feconda della tua Parola, nella preghiera intima e comunitaria, nelle relazioni umane risanate da Cristo.

Concedi ai presbiteri, ai religiosi e religiose, agli sposi e alle persone separate, che si fanno compagni di viaggio per chi vive la separazione ed il divorzio, di educare alla potenza salvifica di Cristo che sa trasformare una vita distrutta nel profumo della vita buona del Vangelo.

Guarda con particolare amore ai figli delle famiglie separate, perché possano scoprire nuovi orizzonti di senso attraverso il dono di sé. Accompagna, in questo tempo, la nostra Chiesa, perché, coniugando Verità e Carità, sia ogni giorno capace di offrire luci di speranza per la famiglia ferita. Amen.

famigliaseparazioneseparatidivorziodivorziatimisericordia

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inviato da Qumran, inserito il 09/06/2015

PREGHIERA

20. Preghiera del chitarrista   3

Antonio Piacentini

Signore Dio,
aiutami a mettere la chitarra al servizio dei fratelli.

Fa' in modo che lo strumento che tengo tra le mani ti renda lode.
Fa' che io non suoni tanto per me e per far vedere la mia bravura
quanto per far pregare gli altri.

Fa' che, come Davide quando suonava per Saul,
il suono del mio strumento aiuti le persone che mi sono vicino a stare meglio.

Aiutami ad accettare i consigli di chi ha più esperienza.
Manda il tuo Spirito per farmi capire
qual' è il canto più adatto da fare in ogni circostanza.

Aiutami a rendere belle le celebrazioni e a ricordare sempre
che queste sono fatte per dare gloria a te e non a me.

Aiutami a ricordare che suonare è un talento che mi hai dato tu
e come ci insegna la parabola del servo fedele
i talenti devono essere messi a frutto e non nascosti.
Te lo chiedo per Cristo nostro Signore. Amen

servizio ecclesaleliturgiamusicacantotalenti

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inviato da Antonio Piacentini, inserito il 18/09/2014

PREGHIERA

21. Un'abbondanza di doni   6

Le gemme di Hasan, Elledici

Santo Spirito, scendi su di noi
e rendici partecipi dei tuoi doni:
donaci l'intelligenza,
perché possiamo riconoscere
le cose belle che Dio ha creato;
donaci la sapienza,
per sapere accogliere
con gioia gli insegnamenti di Dio;
donaci la scienza,
per vedere i fratelli
come la via più breve per giungere a Dio;
donaci la forza,
per essere sempre
testimoni della bontà di Dio;
donaci la pietà,
per ricordarci che Dio è nostro Padre;
donaci il consiglio,
per saper scegliere sempre il bene;
donaci il timor di Dio,
per comportarci, sempre,
come piace a lui. Amen.

Spirito Santodonidoni dello Spirito

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inviato da Qumran2, inserito il 17/09/2014

PREGHIERA

22. Ti prendo in parola   1

Giuseppe Impastato S.I.

L'ho capito bene:
Tu non ce la fai a stare senza di me,
desideri ardentemente
abitare nel mio cuore:
esso è la casa dei tuoi sogni!

Ti spalanco la mia porta.
Entra. Non è degna di te, lo so.
Ma tu non fare lo schizzinoso.
Sei abituato a grotte, mangiatoie e simili.
Bene. Ci siamo. Vieni.

E fammi guardare il mondo,
rendimi capace di vedere le tue meraviglie.
Manifestami i tuoi orizzonti,
affàscinami con i tuoi progetti,
scoprimi i desideri del tuo cuore,
mettimi a parte delle tue ambizioni,
fa' combaciare i miei interessi con i tuoi.

Hai detto: "Io in voi e voi in me".
Ti prendo in parola, Gesù.
Mi hai fatto venire un grande desiderio:
sarò io stavolta ad entrare a casa tua.

rapporto con Dioperdonomisericordiaaccoglienzaapertura

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inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 14/05/2014

PREGHIERA

23. Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete   1

Anna Maria Cànopi, Sergio Stevan, Oggi vengo a casa tua, Milano, Paoline, 2000, pagg.8-10

Che io sappia
di essere piccolo come Zaccheo,
Signore Gesù,
- piccolo di statura morale -
ma dammi un po' di fantasia
per trovare il modo
di alzarmi un poco da terra
spinto dal desiderio di vederti passare,
di conoscerti e di sapere chi sei tu per me.

Signore Gesù,
fa' che io mi riconosca
nel primo dei pubblicani, dei peccatori,
quanto al disonesto accumulare
tante cose di mio gusto,
tante false sicurezze;
fa' che io mi riconosca fra i pubblicani,
ma mettimi in cuore una sana inquietudine,
almeno un po' di curiosità
per cercare te!

Signore Gesù,
so che devi passare dalle mie parti,
dove sono io,
tu devi passare di qui: sei venuto apposta!
Ti prego, fammi trovare un albero,
fammi trovare qualcuno
che io ritenga più alto,
migliore di me,
per valermi della sua statura
e cercare di vedere te,
soprattutto per farmi vedere da te,
e sentirmi da te chiamare per nome.

Che stupore!
Come mi conosci? Chi ti ha parlato di me?
Signore Gesù, ti prego, dimmi che oggi
ti vuoi fermare da me in casa mia,
come ospite, come amico che non parte più.

Vieni, Signore Gesù,
a riempire di gioia la mia vita
liberandomi dal peso ingombrante
di ciò che sono
e di ciò che possiedo da solo.
Sì, soprattutto liberandomi
dal peso ingombrante
di ciò che sono - o che ritengo di essere -
e di ciò che egoisticamente possiedo.

Vieni a darmi l'entusiasmo di essere povero
nel cuore e ricco soltanto di te.
Io sono sicuro che mi ascolti,
perché sei già venuto a cercarmi,
e mi hai trovato come tesoro che era perduto;
mi hai riacquistato a prezzo di te stesso...
Tu per me hai fatto questo,
per me che nemmeno ti conoscevo.
Sono piccolo, meschino.

Signore Gesù, pastore grande, pastore buono,
sollevami sulle tue spalle per farmi vedere
anche il volto del Padre.
Che io sappia innalzarmi
soltanto facendomi sollevare da te
che per questo sei venuto:
per i piccoli che ti desiderano
e che ti protendono le braccia
per farsi sollevare da te
fino al cuore dell'eterno Padre
da cui sei venuto a rivelare l'infinito amore.

Allora ogni giorno vivrò con gioia
Il mio incontro con te
- la mia Pasqua - e sarò un continuo grazie,
un "amen-alleluia" senza fine.

GesùZaccheorapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 14/04/2014

RACCONTO

24. I due sassi   10

C'erano una volta due sassi di montagna, due fratelli che si erano staccati dalla parrete rocciosa e si erano trovati a terra insieme, vicino ad un ruscello. Un giorno decisero di seguire il corso del ruscello per scendere a valle e vedere la grande città. Così si misero di buon sasso... cioè, di buon passo, e rotola oggi, rotola domani, pian piano si dirigevano verso la città. Uno dei due sassi (il più furbo dei due) di tanto in tanto si tuffava nelle acque del ruscello, si fermava un po' a farsi carezzare dall'acqua, e poi riprendeva il cammino.

"Sbrigati!" gli gridava l'altro, il più sciocco dei due, "Non vedi che resti indietro? E poi, cosa ti fermi a fare nell'acqua?"

"Mi levo un po' di polvere di dosso!", rispondeva quello. "Che stupido che sei! Quando esci di qui, e hai fatto due rotolate sulla terra, sei di nuovo sporco come prima! A che ti serve lavarti, se poi ti sporchi ancora?".

Ma il sasso furbo non gli dava retta. Rotolava un po', poi si fermava, entrava nel ruscello e si faceva lavare. Po tornava sul prato e ricominciava a rotolare. E la cosa bella è che non rimaneva mai indietro! Sì, perché mentre il sasso sciocco, tutto spigoloso e appuntito, faceva una gran fatica a rotolare, e faceva pochi metri per volta, il sasso furbo diventava più rotondo ogni volta che entrava in acqua! Sapete perché? Perché l'acqua, scorrendoli tutta intorno, lo levigava, cioè gli levava ogni volta un po' di pietra di dosso, e lo consumava, così da renderlo liscio e tondo. Così, quando usciva dall'acqua, con poca fatica raggiungeva l'amico sciocco.

Andarono avanti così per un bel pezzo. E ogni volta che il sasso furbo usciva dall'acqua, si accorgeva di essere diventato un po' più piccolo. Entra oggi, entra domani, il sasso furbo stava rimpicciolendo. Il sasso sciocco, che non capiva, lo scherzava ancora di più: "Ecco che cosa ci guadagni a fare il bagno ogni giorno! Se vai avanti di questo passo, fra un po' non ci sarai più! Quell'acqua ti sta uccidendo, ti toglie le forze, e non sei più tu! Ma guardati! Siamo fratelli, figli della stessa montagna! Eravamo uguali, e ora? Tu non sei che un piccolo ciottolo di fiume! Io sì che assomiglio alla grande montagna! Guarda come sono forte!"

Ma un bel giorno, uscendo dall'acqua, il sasso furbo si accorse che ora risplendeva su di lui una strana luce. Era un puntino piccolo piccolo, ma luminoso come il sole. E ogni volta che riemergeva dall'acqua, il puntino luminoso era sempre più grande. Finché, adagio adagio, tutto il suo corpo aveva perduto il colore grigio ed era diventato completamente luminoso e dorato.

Erano ormai giunti in città; il sasso sciocco era identico a quando era partito. Anzi, era ancora più incrostato di polvere e di terra. Il sasso furbo era molto più piccolo, ma tondo e luminoso. Il sasso sciocco si lamentava:" Non capisco proprio che cosa ti abbia ridotto così! Sei mio fratello e quasi non ti riconosco! Ma cosa sei diventato?" (Però era invidioso di quel luccichìo...).

In quell'istante passò accanto a loro un signore con una valigetta in mano. Quando vide i due sassi, si fermò di colpo, si inginocchiò a terra, prese il sasso luminoso, aprì la valigetta e ne estrasse una lente. Osservò attraverso la lente quel piccolo ciottolo, e poi esclamò pieno di gioia: "Ma è una pepita d'oro!". Subito lo avvolse con cura in un panno morbido, lo mise nella valigetta e si incamminò verso il suo negozio in città. Era infatti un gioielliere..
...E... l'altro sasso?...

Rimase solo, vicino al fiume, e finalmente capì: "Che sciocco, sono stato... Ma sono ancora in tempo: mi tufferò nel fiume e mi lascerò levigare fino a che tutto il sasso e le incrostazioni si saranno consumate, e sarò anch'io una pepita d'oro...".

Domande per la comprensione e la catechesi:
1. Anche il sasso sciocco era una pepita? (Sì)
2. Perché il gioielliere ha preso solo il piccolo ciottolo? (Perché era dorato)
3. Perché l'altra pepita era ancora ricoperta di incrostazioni? (Perché non si era mai lavata)
4. Come ha fatto il primo sasso a diventare pepita? (Era entrato tante volte nell'acqua)
5. Cosa rappresenta il fiume? (La misericordia di Dio e il sacramento della Riconciliazione)

confessionericonciliazionecrescitacambiamentomiglioramento

4.5/5 (4 voti)

inviato da Maria Cristina Cattaneo, inserito il 14/04/2014

RACCONTO

25. Santità e volontà di Dio   4

Padri del deserto

Un monaco egiziano disse a un anacoreta siriano, tutto eccitato, che voleva andare in città a vedere un santo che operava miracoli e che, con la sua preghiera, risuscitava i morti.

L'altro monaco, sorridendo disse: "Che strane abitudini avete da queste parti: chiamate santo chi piega Dio a fare la propria volontà. Da noi invece, chiamiamo santo chi piega la propria volontà a quella di Dio".

volontà di Diovolontà dell'uomomiracolisantitàsantoaffidamento

5.0/5 (6 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 06/07/2013

PREGHIERA

26. Il riflesso del tuo splendore   1

Preghiera nella Giornata per la Vita

O Dio, luce del mondo,
fa' che sappiamo vedere il riflesso del tuo splendore
sul volto di ogni uomo:
nel mistero del bimbo che cresce nel grembo materno;
sul volto del giovane che cerca segni di speranza;
sul viso dell'anziano che rievoca ricordi;
sul volto triste di chi soffre, è malato, sta per morire.
Suscita in noi la volontà e la gioia di promuovere,
custodire e difendere la vita umana sempre,
nelle nostre famiglie, nella nostra città, nel mondo intero.
Per intercessione di Maria,
piena di grazia e Madre dell'Autore della vita,
manda su di noi il tuo Santo Spirito,
e fa' che accogliendo e servendo l'immenso dono della vita,
possiamo partecipare alla tua eterna comunione d'amore. Amen.

vitarispetto della vita

3.0/5 (1 voto)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 14/12/2012

PREGHIERA

27. Signore come desidero vederti   8

Tonino Lasconi

Signore Dio come desidero vederti!
Ma non voglio amare il collega antipatico e arrivista,
l'amico petulante e possessivo, il vicino chiassoso.
Voglio vederti,
ma non amo i lavavetri e i "vu'cumprà?",
non sopporto gli zingari,
e ce l'ho con gli extracomunitari che vengono a rubarci il lavoro.
Voglio vederti,
ma non mi va giù il parroco perché è un "faccio tutto io";
non mi va giù il vescovo che non sa decidere;
non mi va giù il papa che fa troppi viaggi.
Signore Dio, io amo te.
Tu non sei invadente, né possessivo;
non sei petulante né chiassoso;
non sei arrogante, né fastidioso.
Tu sei perfetto. Tu non mi dai nessun fastidio.
Signore Dio, davvero per vederti,
devo amare anche la gente fastidiosa.
Non potresti farti vedere nell'alba e nel tramonto,
nei mari e nelle vette dei monti,
o almeno nei volti dei belli e dei simpatici?
No. Ti posso vedere soltanto amando anche la gente noiosa.
Signore Dio, come sei strano!

amorecondivisionecondivisioneaperturagratuitàrapporto con Dioamare Dio

4.5/5 (6 voti)

inserito il 23/09/2012

TESTO

28. Lezione di vita   4

Francisco Candido Xavier

Che Dio non mi permetta di perdere il romanticismo,
anche sapendo che le rose non parlano...

Che Dio non mi permetta di perdere l'ottimismo,
anche sapendo che il futuro che ci aspetta non è tanto allegro...

Che io non perda la voglia di vivere,
anche sapendo che la vita è, in molti momenti, dolorosa...

Che io non perda la voglia di avere grandi amici,
anche sapendo che, con il giro del mondo, anche loro vanno via dalle nostre vite...

Che io non perda la voglia di aiutare le persone,
anche sapendo che molte di loro sono incapaci di vivere, di vedere, riconoscere e compensare questo aiuto...

Che io non perda la voglia di amare,
anche sapendo che la persona che io più amo può non provare lo stesso sentimento verso di me...

Che io non perda la luce e la lucentezza degli occhi,
anche sapendo che molte cose che vedrò nel mondo oscureranno i miei occhi...

Che io non perda la forza,
anche sapendo che la sconfitta e la perdita sono due avversari estremamente pericolosi...

Che io non perda la ragione,
anche sapendo che le tentazioni della vita sono molte e attraenti...

Che io non perda il sentimento di giustizia,
pur sapendo che il pregiudicato possa essere io stesso...

Che io non perda il mio abbraccio forte,
anche sapendo che un giorno le mie braccia saranno fiacche...

Che io non perda la bellezza e la gioia di vedere,
anche sapendo che molte lacrime scorreranno dai miei occhi e finiranno nella mia anima...

Che io non perda l'amore per la mia famiglia,
anche sapendo che molte volte essa mi chiederà degli sforzi incredibili per mantenere la sua armonia...

Che io non perda la voglia di essere grande,
anche sapendo che il mondo è piccolo...

E soprattutto...
Che io non dimentichi mai che Dio mi ama infinitamente,
che un piccolo grano di allegria e di speranza dentro ciascuno è capace di cambiare e trasformare qualsiasi cosa, poi...

La vita è costruita sui sogni
e realizzata nell'amore!

vitasenso della vitagratuitàgenerositàimpegnovitalitàsperanzaottimismoforzavoglia di vivere

4.3/5 (6 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 20/09/2012

ESPERIENZA

29. Aiutami a nascere   2

Tanino Minuta, Città nuova, n. 24, 2009

Gelida mattina d'inverno. Alla fermata attendo il bus 61. Dal cancello principale del cimitero che sta di fronte vedo uscire una vecchietta che cammina lentamente, appoggiandosi ricurva ad un malfermo bastoncino. Si avvicina alle strisce pedonali per attraversare. Ma una dopo l'altra le macchine le passano veloci davanti. Finalmente una macchina si ferma e la lascia camminare lentamente. Lei, giratasi, continua a guardare grata verso l'auto che l'ha lasciata passare.

Le vado incontro per aiutarla a salire il gradino del marciapiede. Dentro di me ribolle l'indignazione

per quanti non si sono fermati. Lei, offrendomi la mano per essere aiutata, guarda ancora la macchina, ormai lontana, che l'aveva fatta passare. Poi, con un sorriso di indicibile bellezza, mi chiede: «Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?».

Quando arriva il 61 l'aiuto a salire. In mezzo a tanti volti che sembrano delle casseforti sigillate, quella nonnina mi sembra sia il tesoro che il bus sta trasportando senza che nessuno lo sappia. La guardo ancora, sorpreso per la lezione che mi ha dato. Lei non ha tenuto conto di chi non si era fermato, ha visto soltanto chi le aveva permesso di passare. Non ha visto altro.

Le dico: «Come sarebbe diverso il mondo se vedessimo soltanto il bene e non il male». Interviene a questo punto un signore seduto vicino: «Allora sì che fallirebbero telegiornali e rotocalchi. Di cosa si nutrirebbe la politica? Veleno, veleno è l'unica risorsa di ogni potere. Soltanto la malvagità equilibra il mondo. Odio ci vuole, sempre di più. Sto andando a denunciare il mio vicino di casa che con le sue orge notturne non ci lascia dormire. Lui ci avvelena la vita e io l'unica cosa che posso fare è distruggerlo. E stavolta se la passerà male!».

La vecchietta lo guarda con materna comprensione; poi, fattasi seria: «Avevo un figlio, che ha vissuto forse come il suo vicino di casa. È morto a trentatrè anni per overdose. Tutte le mattine lo vado a salutare. Quando sono alla tomba mi sembra di rivederlo nella culla, piccolo, indifeso, bisognoso di tutta la mia protezione. Ormai nulla può fargli male, eppure è come se mi chiedesse di proteggerlo ancora. L'unica cosa che posso fare è continuare a difenderlo.

«L'unico figlio. Mio marito ed io abbiamo lavorato duramente per assicurargli una vita migliore della nostra. Ma è stato più infelice di noi. Amicizie sbagliate. Per un ragazzo buono e pulito come lui la scivolata è stata veloce. Per anni non abbiamo saputo dov'era. Poi, attraverso un suo vecchio amico, siamo venuti a sapere che gironzolava come un barbone alla periferia della città. Mio marito è riuscito a trovarlo. Era irriconoscibile. Sembrava più vecchio del padre. Ha accettato di essere curato. In ospedale si comportava come un animale ferito. Parlava poco, lui che era un brillante intrattenitore delle feste.

«Un giorno mi ha detto: "Non c'è cosa peggiore per un uomo che sapere di essere inutile. Niente è più soffocante dell'inutilità". Non serviva ripetergli che per noi era importante. Era come se in lui fosse bruciata la radice della vita.

«Uscito dall'ospedale è sparito, senza dirci niente, come la prima volta. Mio marito è morto di crepacuore. Io avevo speranza.

«Quando sono venuti a dirmi che l'avevano trovato morto, si è chiusa la speranza. Chissà da quanto tempo era morto. Non me l'hanno fatto mai vedere. Nella sua giacca, hanno trovato delle frasi scritte su carta da sigarette o droga, la grafia era la sua: "La vita non mantiene mai le sue promesse. Se tu esistessi, faresti giustizia. Il male ha tutti i poteri. Tu non sei mai nato su questa Terra. Se ci fossi, ti chiederei di ricrearmi".

«Povero figlio mio, chissà che dolori ha provato! Il nostro amore non è bastato! Si apriva davanti a me la strada della disperazione, oppure... rigenerare mio figlio. Per amore di lui ho cominciato a vivere per gli altri e non per me. Ciò mi ha aiutato a rinascere e a rigenerare mio figlio. In qualche modo era come se Dio mi avesse affidato il compito di possedere un amore che non avevo mai avuto. Certo che senza la fede non ce l'avrei fatta. La fede ha delle risorse di forza che, quando meno te lo aspetti, si mostrano in tutta la loro potenza. Ora mio figlio palpita in me».

Il signore che le siede accanto, nonostante la sua statura, sembra diventato piccolo e insicuro. Come disorientato. Poi le chiede, quasi balbettando, se può fare qualche cosa per lei. La vecchietta, come se attendesse la richiesta, risponde veloce: «Il suo vicino potrebbe essere suo figlio che vuole essere ricreato!».

Soltanto il rumore del motore vibra nell'aria. Quando lei si alza per dirigersi alla fermata, il signore l'accompagna. Mi salutano tutti e due. Scende anche lui. Il palazzo dove prima aveva detto di essere diretto non era da quelle parti. Mentre il bus si allontana vedo sul marciapiede quel grande uomo che offre il braccio alla vecchietta. L'atmosfera di Natale colora la città e abbraccia il bus, le macchine, la gente.

«Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?», echeggia in me la piccola voce di una fragile donna quasi piegata su un bastoncino instabile. Mi guardo in giro. La gente chiusa nei cappotti e nei cuori è fragile e indifesa. La commozione è forte.

È come se ogni sguardo spento mi stia implorando: «Aiutami a nascere, fammi da madre!».

amorevitabontàpositivitàrinasceresperanzasenso della vita

4.7/5 (6 voti)

inviato da Fernanda Plomitallo, inserito il 12/08/2012

TESTO

30. Guardare la vita con gli occhi di Dio   2

Michel Quoist

Se sapessimo guardare la vita con gli occhi di Dio, vedremmo che nulla è profano nel mondo, ma che, al contrario, tutto ha parte nella costruzione del suo Regno. Così, avere fede non è solamente alzare gli occhi per contemplare Dio, ma è guardare la terra con gli occhi di Cristo.

Se avessimo permesso allo Spirito di penetrare il nostro essere, se avessimo a sufficienza, purificato il nostro sguardo, il mondo non sarebbe più per noi un ostacolo, ma un invito costante a lavorare per il Padre, perché in Gesù venga il suo Regno sulla terra come nel cielo.

Aumenta la nostra fede per guardare e "vedere" la vita. Apri i nostri occhi Signore! Amen.

contemplazionefederegno di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 11/08/2012

TESTO

31. Introduzione alla Via Crucis

Don Angelo Saporiti, Riflessione sull'amore di Madre Teresa

Oggi fra la gente del mondo, Gesù vive la propria passione.
La Via Crucis si ripete oggi come duemila anni fa nei giovani, nei sofferenti, negli affamati, nelle persone malate e portatrici di handicap.
Noi oggi siamo qui per vivere la Via Crucis di Gesù.
La Via Crucis è fatta di stazioni.
Stazione significa "sosta" "fermata".
Significa per noi "esserci", stare lì vicino a quella situazione, a quella persona, a quella sofferenza...
Vivere la Via Crucis significa esserci.
E allora noi siamo lì?
Siamo lì in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame?
Siamo lì con quel bambino?
Siamo lì con quelle migliaia di persone che ogni giorno muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione, di giustizia...
Siamo lì?
Siamo lì quando i nostri giovani cadono, come Gesù è caduto più volte per noi?
Siamo lì come era lì Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la loro fatica, la loro delusione, la loro depressione?
Siamo lì con gli alcolizzati, i senzatetto, i senza lavoro, i senza famiglia, i vecchi, gli esclusi...
Queste sono alcune stazioni della Via Crucis.
Le altre sono dentro di noi. Le conosciamo bene:
sono il nostro rapporto difficile con il marito, la moglie,
i nostri conflitti con i figli adolescenti,
le nostre incomprensioni con i parenti,
le nostre liti con i vicini,
i nostri volti duri con gli amici,
i nostri preconcetti con i compagni,
il nostro disimpegno sociale e cristiano,
il nostro correre tutta la giornata senza avere un orientamento,
le nostre scuse per non trovare mai il tempo per pregare, per stare un po' in silenzio, per meditare, per conoscere meglio Gesù, per incontralo...
Non possiamo far finta di non vedere queste stazioni della nostra Via Crucis.
La Via Crucis è una via di consapevolezza del mio peccato personale e una presa di coscienza del nostro peccato sociale, come comunità civile e come Chiesa.
Iniziamo ad andare dietro a Gesù sulla via dolorosa.
Precorriamo la Via Crucis, passo dopo passo, con consapevolezza, con lucidità, con coscienza, con trasparenza. Lasciamoci andare all'amore di Dio.
Chiediamo a Gesù il dono delle lacrime e il dono del cambiamento della nostra vita.
Gesù è morto per noi per dirci che non c'è amore più grande di quello che dona la vita.
Lui ci darà la forza, perché Gesù è la nostra forza!

Via Crucissolidarietà

4.0/5 (2 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 05/08/2012

ESPERIENZA

32. Il pane buono   2

Tempo fa', sul far della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l'erba e i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente. Davanti al cancello, all'improvviso, appare la figura di una ragazzina. Chiaramente una Rom, una zingara: il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.

Con un italiano piuttosto stentato mi chiama e mi dice: "Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?".
Le rispondo:
- "Dove abiti?" (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso).
- "Là, vicino fiume Mella".
- "E di cosa vivi?".
- "Quello che mi danno".
- "Non vai a scuola?".
- "No, mai andata".
- "E i tuoi genitori cosa dicono?".
- "Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice: andare prendere qualcosa da mangiare. Mi dai pane vecchio?".
- "Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio. Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello", le dico mentre mi giro e faccio per entrare in casa.
- "Buono hai già dato".

Sono rimasto impietrito, come fulminato. Mi sono rigirato lentamente e l'ho guardata: stava sorridendo. Non so, non ho mai voluto pensare che quella frase fosse stata solo il frutto di un malriuscito tentativo di traduzione dal rumeno all'italiano di chissà quale espressione.

Nemmeno che quel suo sorriso fosse solo un modo, forse l'unico che conosceva, per dirmi la sua gioia nel vedere che il pane glielo avrei dato davvero. No. Ho pensato che quel parlare con lei, ascoltarla, sorriderle, fosse per lei, davvero, come spezzare insieme del pane fresco, del pane buono. "Me l'hai già dato, il pane buono: mi hai accolto, mi hai parlato, mi hai sorriso. Non ti sei girato dall'altra parte, non mi hai ignorato, né schernito, né evitato, né maltrattato, né violentato. Mi hai parlato".

Pane che nutre, non denti che divorano. Basta davvero così poco per sentirsi amati? E per essere fratelli, per essere cristiani? Sì. Ed Egle, mia sposa, mentre - entrato in casa - le racconto la vicenda, dice serenamente, quasi fosse la cosa più semplice e scontata di questo mondo: "Pane dei gesti che accolgono, pane delle parole che accarezzano. Pane di Gesù: è questo".

Pane fresco e buono, che non diventa mai vecchio perché prodotto nel cuore di chi crede in Colui che dice: "Io sono il pane della vita", e ci lascia un comandamento nuovo: "Amatevi come io vi ho amato".

Amare quella ragazzina cenciosa, spezzare il pane con lei e con tutti i cenci del mondo. Vivendo una vita nella solidarietà e nella comunione con tutti.

Sforzandoci di vivere così, di spezzare il pane così, allora Dio parla in noi; allora Dio parla con noi. Allora Dio spezza il pane e la parola tra noi: nei panni di una cenciosa ragazzina.

condivisioneeucaristia

5.0/5 (6 voti)

inviato da Ornella Zito, inserito il 24/06/2012

TESTO

33. E' risorto... non è qui...

Carla Zichetti

Dove sei Signore?
Rivelati anche a me.
Ho gli occhi, ma non ti vedo,
odo, ma non ti sento,
ti cerco ma non ti trovo.
Dove sei Signore?

Sono dove tu non vuoi andare,
dove tu non vuoi vedere,
dove tu non vuoi sentire,
dove tu non vuoi perdonare;
non mi trovi perché cerchi solo te,
la tua stima, le tue sicurezze,
le tue soddisfazioni e ricompense.
Mi troverai soltanto quando ti deciderai
a non pensare solo a te, ma a me,
che sono nel posto dove ti ho salvato:
sulla Croce.
Vieni, lì troverai me,
la mia misericordia,
la mia e la tua risurrezione.
Ti aspetto e sarai beata.

fedecrocepresenza di Diorisurrezioneresurrezione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Carla Zichetti, inserito il 24/06/2012

TESTO

34. Gesù è in mezzo a noi

Amici della Zizzi, Commento al Vangelo

A volte ci affanniamo alla ricerca di Dio, a volte non lo cerchiamo proprio, ma il Signore è in mezzo a noi ogni giorno.
Il Signore è nel povero che chiede un pezzo di pane ed ha piaghe su tutto il corpo per la denutrizione.
Il Signore è nel bambino che viene picchiato, violentato, abbandonato che ha ferite nell'anima che porterà per tutta la vita.
Il Signore è nell'anziano che è solo e chiede un po' di ascolto e di compagnia, con ferite nel cuore per aver dato tanto ai figli ed essere stato da loro allontanato perché noioso.
Il Signore è nel drogato che chiede la vostra forza per uscire da un tunnel, che ha ferite nel cervello per le sostanze assunte.

Chiunque abbia una ferita deve essere per noi Gesù.
Anche io, anche tu. Tutti noi abbiamo bisogno del nostro prossimo e verso il nostro prossimo siamo chiamati ad andare.
Il Signore ci mostra le sue ferite, le ferite inferte dalla cattiveria, dal menefreghismo, dall'egoismo in special modo ai più deboli.
Non possiamo far finta di non vedere, non possiamo pensare che non spetti a noi curare quelle ferite perché se non lo facciamo siamo colpevoli tanto quanto coloro che le hanno inferte.

rapporto con Diocaritàpresenza di Diosolidarietàcaritàamore

inviato da Riccardo Ripoli, inserito il 08/05/2012

PREGHIERA

35. Popolo di perdonati   2

Don Angelo Saporiti

Signore Gesù,
spesso mi sono chiesto che razza di Chiesa è la tua?
Davanti a tanta gente che viene in chiesa solo per farsi vedere,
o per abitudine, o per sentirsi a posto con la coscienza,
malignando e spettegolando sugli altri
qualche volta ho pensato anche io come tanti:
basta, me ne vado, non vengo più,
meglio credere solo in Dio, ma non nella Chiesa.
E non mi accorgevo che ragionando in questo modo,
stavo anche io giudicando, stavo lanciando pietre contro altri tuoi figli,
stavo uccidendo i miei fratelli e le mie sorelle.
Ma tu, Signore, nella tua bontà
hai fermato la mia mano.
Ogni volta che giudicavo, ogni volta che pensavo di andarmene,
tu, Signore, mi hai sempre messo davanti i miei sbagli,
le mie falsità, le mie imperfezioni, i miei tradimenti,
la mia fede fragile, il mio peccato quotidiano...
Ti prego, Signore,
fa' che ogni volta che vorrei lanciare una pietra contro la Chiesa
o contro qualcuno della mia comunità,
fammi capire che la tua Chiesa
è un popolo di perdonati, non di giusti o di perfetti.
Fammi capire che la Chiesa
non è un tribunale,
ma una casa abitata da gente perdonata.
Fammi capire, Signore,
che tu non vuoi una Chiesa di ghiaccio,
ma una Chiesa con un cuore caldo
capace di accogliere senza ferire,
di amare senza pretendere,
di perdonare senza rinfacciare,
di dire la verità senza far piangere.
Questa è la Chiesa che tu vuoi
e che anche io
ogni giorno mi impegnerò a costruire
con il tuo aiuto e la tua grazia.
Amen.

chiesaperdonogiudiziocomunitàpopolo di Dio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 07/04/2012

TESTO

36. Davanti al cielo stellato   3

Antonietta Milella, Meditazione sul Salmo 8

Quando ti senti solo, quando ti senti abbandonato, quando ti senti messo da parte, quando pensi che nessuno si ricordi di te, affacciati alla finestra, alza gli occhi e guarda il cielo stellato. Quante luci riesci a vedere? Quante ne immagini nello spazio ristretto del tuo limitato orizzonte?

Pensa... ciò che vedi ha una profondità infinita, le luci che distingui sono nulla, gocce d'acqua nell'oceano del cielo profondo e sconfinato.

Pensa... ogni stella si muove secondo una legge per lei fissata dalla notte dei tempi, intorno a lei girano i pianeti, intorno ai pianeti i satelliti, ognuno con una precisione millimetrica, secondo un tempo che è stato dato ad ogni più piccolo essere come sua misura.

Moltiplica quelle luci, moltiplica quei movimenti, moltiplica il tuo piccolo quadro di cielo all'infinito, e... sei infinitamente distante dalla verità.

Pensa... dietro ad ognuna di quelle luci, dietro ad ogni impercettibile movimento, dietro ad ogni realtà percepita dall'uomo con i suoi strumenti imperfetti c'è qualcuno che quella realtà, quel movimento, la legge che lo regola li ha creati. Tanta perfezione, per cosa?

Guarda te ora... guarda i tuoi occhi capaci di comprendere e abbracciare ciò che è così tanto più grande di loro, guarda il tuo cuore, quel cuore che ora senti piagato e pensa...

Il tuo cuore ha in sé un'ansia infinita di amore, un desiderio infinito di assoluto, di Dio... ha un'ansia infinita di infinito. Eppure il cuore per quanto grande è piccolo rispetto al corpo che lo contiene! Eppure il cuore soffre più di qualsiasi altro organo, più di qualsiasi altra parte del corpo!

Pensa... le cose piccole capaci di cose grandi! Gli occhi, il cuore capaci di accogliere la più grande pena, ma anche la più grande manifestazione di amore, quella di Dio!

"Chi è l'uomo perché te ne curi, chi è l'uomo perché te ne ricordi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e onore lo hai coronato. Tutto hai messo ai suoi piedi".
Così recita un salmo.

Di fronte a quel cielo stellato ci sei tu, di fronte alla più grande meraviglia del Creato ci sei tu, piccolo, fragile, smarrito, turbato, ma ci sei.

Tu sei prezioso di più della più luminosa stella che riesci a vedere ad occhio nudo dalla tua finestra, sei prezioso perché Dio ha fatto tutto quello che ti sta davanti per te, perché potessi percepire un frammento della sua potenza, della sua grandezza, un frammento del suo amore.

Se ad ogni stella, ad ogni pianeta, ad ogni molecola, ad ogni atomo che sono inerti e senza vita ha dato il compito così grande di celebrare la sua gloria, quanto più grande è il progetto su di te, sull'uomo che si eleva su tutte le cose create e le domina con il suo pensiero!
Guarda lontano, guarda in alto; guarda ora dentro di te.

Scoprirai che quell'universo che ti sembra così irraggiungibile, così perfetto e misterioso, davanti ai tuoi occhi è dentro di te. E' un universo da esplorare, è un universo in cui troverai le risposte che cerchi, è l'universo delle emozioni e dei sentimenti che arricchiscono e illuminano il cielo sconfinato della tua anima.

Guarda, ma ad occhi chiusi: E vedrai dentro di te accendersi tante stelle luminose. Vedrai che nel buio più profondo, proprio come in quel cielo da cui tu ora hai distolto lo sguardo, spuntano fiori stupendi, che tu non ti eri accorto di avere piantato.

Fratello, nel tuo cuore Dio ha seminato ciò che vuole tu impari a guardare: vuole che tu nel tuo cuore riscopra l'amore con cui lui ti guarda, vuole che tu almeno una volta ti fidi di lui.

E' ansioso di manifestarti il suo progetto meraviglioso che ha in serbo per te, desidera che almeno una volta tu gli permetta di entrare per farsi conoscere più da vicino.

Vuole incontrarti non nel cielo infinito, ma nella tua pena, nella tua sofferenza, nella tua difficoltà di ogni giorno, nel tuo bisogno di amore non soddisfatto, per trasformarli in canto di gioia, in inno di lode a lui, che non ha smesso neanche un momento di occuparsi di te.

gratitudinericerca di sensoricercasenso della vitagrandezzapiccolezzaumanitàfiduciasperanza

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inviato da Antonietta Milella, inserito il 21/01/2012

TESTO

37. A Natale tutto cambia...

Giuseppe Impastato S.I.

Fratello, se a Natale non riesci a cantare a squarciagola:
"Osanna, Pace agli uomini da Dio amati",
se non ti viene di alzare con gratitudine le mani al cielo
per lodare benedire ringraziare,
se hai difficoltà a stringere le mani a chi ti sta accanto
solo perché è un prediletto da Dio,
se non avverti la spinta a gettarti in ginocchio per adorare Dio
e temi di rovinare la striscia dei pantaloni,
se non avverti la fame di giustizia e di verità
che vibra attorno a te oggi in questo mondo,
se non ardi dal desiderio che ci sia pace e amore
anche per le creature dell'Africa e dell'Asia,
se non brami occhi puri e cuore limpido
per vedere il mondo che Dio ama e salva,
è tempo che tu smetta di illuderti.
Tu non attendi più un Messia e un Salvatore.
Dillo pure: mi bastano le varie assicurazioni,
la carta di credito, il libretto di assegni,
le multi-proprietà, gli investimenti che rendono,
le giuste conoscenze, le amicizie influenti,....
Fratello, puoi andare in chiesa per Natale,
ma se a Gesù non hai spalancato la tua vita,
non celebrerai il vero Natale.
Fratello, se a Natale sai dire solo:
"Auguri di Buon Natale",
"buone feste",
"buona fine e buon principio"
il Natale è per te un giorno di vacanza,
non un giorno di festa e di gioia piena.

Nataleconversioneaperturachiusura

5.0/5 (3 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/11/2011

RACCONTO

38. Il principe felice   2

Oscar Wilde

Alta sopra la città, su una lunga, esile colonna sporgeva la statua del Principe Felice. Era tutto dorato di sottili foglie d'oro fino, i suoi occhi erano due lucenti zaffiri, e un grande rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada.

Tutti lo ammiravano. "E' bello come una banderuola" osservò un giorno uno degli assessori di città che ambiva farsi una reputazione d'uomo di gusto; "però è meno utile" si affrettò a soggiungere, per timore che la gente lo giudicasse privo di senso pratico, cosa che egli non era affatto.
"Perché non sai comportarti come il Principe Felice?" chiese una madre piena di buon senso al suo bambino che piangeva perché voleva la luna. "Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nulla".
"Sono contento che a questo mondo ci sia qualcuno veramente felice" borbottò un uomo disilluso ammirando la splendida statua.
"Assomiglia a un angelo" dissero i Trovatelli uscendo dalla cattedrale nei loro lucenti mantelli scarlatti e nei loro lindi grembiulini candidi.
"Come fate a dire questo?" osservò il professore di matematica, "se non ne avete mai veduti!"
"Oh, si, che ne abbiamo visti, nei nostri sogni!" risposero i bambini, e il professore di matematica aggrottò la fronte e fece la faccia scura, perché non trovava giusto che i bambini sognassero.

Una sera volò sulla città un Rondinotto. I suoi amici se n'erano andati in Egitto sei settimane innanzi, ma egli era rimasto indietro perché si era innamorato di una bellissima Canna. L'aveva conosciuta al principio di primavera mentre volava giù per il fiume in caccia di una grossa falena gialla, ed era stato talmente attratto dalla sua vita sottile che si era fermato a parlarle.
"Vuoi che m'innamori di te?" le aveva chiesto il Rondinotto, cui piaceva venir subito al sodo, e la Canna gli aveva fatto un profondo inchino. Così egli le volò più volte intorno, sfiorando l'acqua con le ali, e increspandola di cerchi argentei. Questa fu la sua corte, e durò tutta l'estate.
"Proprio un attaccamento ridicolo," garrivano le altre Rondini, "E' senza un soldo, ma in compenso ha un sacco di parenti," e a dire il vero il fiume era zeppo di Canne.
Poi, non appena venne l'autunno, le Rondini volarono via tutte. Quando se ne furono andate il Rondinotto si sentì solo, e incominciò a stancarsi della sua bella.
"Non sa conversare" si disse, "e temo sia una civetta poiché seguita a frascheggiare col vento." E infatti, ogni volta che il vento spirava, la Canna si piegava con inchini graziosissimi.
"Riconosco che sei casalinga," prosegui il Rondinotto, "ma a me piace viaggiare e di conseguenza anche a mia moglie dovrebbero piacere i viaggi".
"Vuoi venir via con me?" le chiese infine, ma la Canna scosse la testa, era troppo affezionata alla sua casa. "Tu mi hai preso in giro!" gridò il Rondinotto. "Me ne vado alle Piramidi. Addio!" e volò via.
Volò tutto il giorno, e a sera giunse alla città.
"Dove alloggerò?" si disse. "Spero mi abbiano preparato dei festeggiamenti."
Ma poi notò la statua sull'alta colonna. "Andrò ad abitare lì," esclamò. "La posizione è bellissima, e ci si deve respirare dell'ottima aria fresca."

Così si posò proprio tra i piedi del Principe Felice.
"Ho una camera da letto tutta d'oro" mormorò sottovoce tra sé e sé, guardandosi attorno e preparandosi per la notte, ma giusto mentre stava mettendo la testa sotto l'ala gli cadde addosso una grossa goccia d'acqua.
"Che cosa strana!" esclamò. "In cielo non c'è neanche la più piccola nuvola, le stelle sono chiare e luminose, eppure piove. Il clima del Nord Europa è semplicemente spaventoso. Alla Canna la pioggia piaceva, ma questo era dovuto unicamente al suo egoismo".
In quella cadde un'altra goccia.
"A che serve una statua se non riesce a riparare dalla pioggia?" brontolò; "bisogna che mi cerchi un buon comignolo," e fece per volarsene via. Ma proprio mentre stava per aprire le ali una terza goccia cadde, ed egli allora alzò gli occhi e vide... ah, che cosa vide? Gli occhi del Principe Felice erano gonfi di lagrime, e lagrime rigavano le sue guance dorate. Il suo viso era così bello sotto la luce della luna che il piccolo Rondinotto si senti invadere da una profonda pietà.
"Chi sei?" chiese.
"Sono il Principe Felice".
"Perché piangi, allora? Mi hai inzuppato tutto."
"Quando ero vivo e avevo un cuore umano," rispose la statua, "non sapevo che cosa fossero le lagrime, perché abitavo nel Palazzo di Sans-Souci, dove al dolore non è permesso di entrare. Durante il giorno giocavo coi miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nella Grande Sala. Intorno al giardino correva un muro altissimo, ma mai io mi curai di sapere che cosa si stendesse al di là di esso, ogni cosa intorno a me era così bella! I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e se il piacere è felicità, io ero veramente felice. Così vissi, e così morii. E ora che sono morto mi hanno messo qui tanto in alto che adesso vedo tutta la bruttezza e tutta la miseria della mia città, e sebbene il mio cuore sia di piombo altro non mi resta che piangere".
"Come mai? Non è d'oro massiccio?" si chiese mentalmente il Rondinotto, perché era troppo educato per rivolgere ad alta voce domande di carattere personale.
"Lontano lontano," proseguì la statua con la sua dolce voce musicale, "lontano in una stradina c'è una povera casa. Una finestra di questa casa è aperta e attraverso vi vedo una donna seduta a un tavolo. Ha il viso magro e sciupato, e le sue mani sono rosse e ruvide e tutte bucherellate dall'ago, poiché fa la cucitrice. Sta ricamando passiflore su un abito di raso che la più bella tra le damigelle d'onore della Regina indosserà al prossimo ballo di Corte. In letto, in un angolo della stanza, il suo bambino giace ammalato. Ha la febbre e vorrebbe mangiare delle arance, ma sua madre non ha nulla da dargli, fuorché acqua di fiume, perciò il bambino piange. Rondinotto, piccolo Rondinotto, non gli porteresti il rubino che luccica sull'elsa della mia spada? I miei piedi sono attaccati a questo piedistallo e io non mi posso muovere".
"Sono aspettato in Egitto" rispose il Rondinotto. "I miei amici in questo momento volano sul Nilo, e discorrono con i grandi fiori di loto. Tra poco andranno a dormire nella tomba del gran Re, dove il Re stesso riposa nel suo sarcofago dipinto, avvolto in gialli lini e imbalsamato con aromi. Ha il collo adorno di una collana di giada verde pallida, e le sue mani assomigliano a foglie avvizzite".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me per una notte soltanto, ed essere il mio messaggero? Il bambino ha tanta sete, e la madre è così triste!"
"Non credo che mi piacciano i bambini" replicò il Rondinotto. "L'estate scorsa, quando stavo sul fiume, c'erano due ragazzi maleducati, i due figliuoli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Naturalmente non mi hanno mai preso, si capisce: noi rondini voliamo troppo bene per lasciarci colpire, e del resto io vengo da una famiglia famosa per la sua agilità; comunque però era una grave mancanza di rispetto".
Ma il Principe Felice aveva un viso così doloroso che il Rondinotto ne provò pena. "Qui fa molto freddo" disse, "ma per farti piacere resterò ancora una notte e sarò tuo messaggero".
"Grazie, piccolo Rondinotto" disse il Principe.

Così il Rondinotto colse il grande rubino che ornava la spada del Principe e volò sopra i tetti della città, tenendo stretto il gioiello nel becco appuntito. Passò accanto alla torre della cattedrale, su cui erano scolpiti i grandi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e udì un suono di danze.
Una fanciulla bellissima si affacciò al balcone col suo innamorato. "Guarda che stelle meravigliose" egli le disse, "e come è meraviglioso il potere dell'amore! "
"Spero che il mio vestito sarà pronto per quando ci sarà il ballo di Stato" rispose la fanciulla. "Ho ordinato che sia ricamato a passiflore, ma le cucitrici sono talmente pigre! "
Passò sopra il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Passò sul Ghetto, e vide i vecchi Ebrei che contrattavano tra di loro, e pesavano il danaro su bilance di rame. E finalmente giunse alla povera casa e vi guardò dentro. Il bambino si agitava febbrilmente sul letto, mentre la madre si era addormentata: era tanto stanca! Saltellò nella stanza e posò il grosso rubino sul tavolo, accanto al ditale della donna. Poi volò piano attorno al letto, e accarezzò con le sue ali la fronte del piccolo, facendogli vento dolcemente.
"Come mi sento fresco!" disse il bambino. "Forse incomincio a star meglio" e si addormentò di un sonno tranquillo.
Allora il Rondinotto rivolò dal Principe Felice e gli raccontò quello che aveva fatto. "E' strano" osservò, "ma benché faccia un freddo cane adesso ho caldo."
"Perché hai compiuta una buona azione" gli disse il Principe.
Il piccolo Rondinotto incominciò a pensare, ma subito si addormentò: il pensare gli metteva sempre addosso un gran sonno.
Quando il giorno spuntò, volò giù al fiume e prese un bagno.
"Che fenomeno straordinario!" esclamò il Professore di Ornitologia che passava in quel momento sul ponte. "Una Rondine d'inverno!" E mandò al giornale locale una lunga lettera in proposito. Tutti la citarono: era costellata di un sacco di vocaboli che nessuno capiva.
"Questa sera parto per l'Egitto" disse il Rondinotto, e questa previsione lo mise di ottimo umore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase a lungo seduto in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano e bispigliavano tra di loro: "Che forestiero distinto!" Cosicché il Rondinotto si divertì un mondo.
Quando la luna sorse rivolò dal Principe Felice. "Hai qualche commissione da darmi per l'Egitto?" disse. Sono di partenza.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me ancora una notte?"
"In Egitto mi aspettano" rispose il Rondinotto. "Domani i miei amici voleranno fino alla Seconda Cateratta. Laggiù, tra i giunchi, se ne sta accovacciato l'ippopotamo, e su un grande trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli contempla le stelle, e quando risplende la stella del mattino proferisce un unico grido di gioia, e poi tace. A mezzogiorno i leoni fulvi scendono a bere all'orlo dell'acqua. Hanno occhi simili a verdi berilli, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "lontano lontano, dall'altra parte della città, vedo un giovane in una soffitta, appoggiato a una scrivania ingombra di carte, e in un boccale accanto a lui c'è un mazzolino di viole appassite. Ha i capelli bruni e crespi, le sue labbra sono rosse come una melagrana, e i suoi occhi sono grandi e sognanti. Sta sforzandosi di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per poter seguitare a scrivere. Non c'è fuoco nel suo camino, e la fame lo ha fatto svenire".
"Va bene, aspetterò presso di te un'altra notte" disse il Rondinotto, che aveva proprio un cuore d'oro. "Devo portargli un altro rubino?"
"Ahimé, non ho più rubini, ormai" disse il Principe, "tutto ciò che mi è rimasto sono i miei occhi, ma sono fatti di zaffiri rari, e furono portati dall'India più di mille anni fa. Strappane uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà legna da ardere, e finirà la sua commedia".
"Caro Principe" disse il Rondinotto, "io non posso fare questo"
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, piangendo, "ubbidiscimi, ti prego".
Così il Rondinotto strappò l'occhio del Principe e volò fino alla soffitta dello studente. Era facile entrarvi, perché nel tetto c'era un buco. Il Rondinotto vi sfrecciò attraverso, e penetrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato tra le mani, perciò non avvertì il frullio d'ali dell'uccello, e quando alzò gli occhi vide il bellissimo zaffiro adagiato in mezzo alle viole appassite.
"Incominciano ad apprezzarmi!" gridò; "certo me lo manda qualche grande ammiratore. Adesso potrò finalmente terminare la mia commedia!" Ed era tutto felice.
Il giorno dopo il Rondinotto volò giù al porto. Si posò sull'albero di una grossa nave e stette a osservare i marinai che a forza di funi calavano su dalla stiva pesanti casse. "Issa-oh! " si gridavan l'un l'altro a mano a mano che le casse salivano.
"Io vado in Egitto!" garrì il Rondinotto, ma nessuno gli badò, e quando spuntò la luna volò ancora una volta dal Principe Felice.
"Sono venuto a salutarti" gli disse.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi rimanere con me ancora per questa notte?"

"E' inverno ormai" rispose il Rondinotto, "e fra poco arriverà la fredda neve. In Egitto il sole è caldo sulle verdi palme, e i coccodrilli riposano nel fango e si guardano attorno con occhi pigri. I miei compagni stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosee e bianche li guardano, e tubano tra loro. Caro Principe, debbo lasciarti, ma non ti dimenticherò mai, e la prossima primavera ti porterò due gemme bellissime, al posto di quelle che tu hai regalate. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il vasto mare".
"Nella piazza qua sotto" disse il Principe Felice, "ci sta una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nella cunetta del marciapiedi, e si sono tutti bagnati. Suo padre la picchierà se non porterà a casa un po' di danaro, e perciò la piccola piange. Non ha né calze né scarpe, e la sua testolina è nuda. Strappa l'altro mio occhio e portaglielo, così suo padre non la batterà".
"Resterò con te ancora per questa notte" disse il Rondinotto, "ma non posso strapparti l'altro occhio. Rimarresti completamente cieco".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "fa' come ti dico".
Così il Rondinotto strappò l'altro occhio del Principe e sfrecciò giù nella piazza. Passò roteando accanto alla piccola fiammiferaia e le fece scivolare il gioiello nel palmo della mano.
"Che bel pezzettino di vetro!" esclamò la bambina, e corse a casa ridendo.
Poi il Rondinotto ritornò dal Principe. "Adesso sei cieco" disse, "perciò io resterò con te per sempre".
"No, piccolo Rondinotto" mormorò il povero Principe, "tu devi andare in Egitto".
"Resterò con te per sempre" ripetè il Rondinotto, e dormì ai piedi del Principe. Poi tutto il giorno seguente se ne stette appollaiato sulla spalla del Principe, e gli raccontò quello che aveva veduto in paesi lontani. Gli parlò dei rossi ibis, che sostano in lunghe file sulle rive del Nilo e col becco acchiappano pesciolini dorati; gli parlò della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa; gli parlò dei mercanti che viaggiano piano al fianco dei loro cammelli e recano tra le mani rosari d'ambra; gli parlò del Re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora un enorme cristallo; gli parlò del grande serpente verde che dorme in un palmizio ed è nutrito da venti sacerdoti con focacce di miele; gli parlò infine dei pigmei che veleggiano su un grande lago sopra larghe foglie piatte e sono sempre in guerra con le farfalle.
"Caro Rondinotto" disse il Principe, "tu mi parli di cose meravigliose, ma più meraviglioso di qualsiasi cosa è il dolore degli uomini e delle donne. Non vi è Mistero più grande della Miseria. Vola sulla mia città, piccolo Rondinotto, e raccontami quello che vedi".

Così il Rondinotto volò sopra la grande città, e vide i ricchi gozzovigliare nelle loro splendide dimore, mentre i poveri sedevano fuori, ai cancelli. Volò in bui vicoli, e vide i visi bianchi dei bambini affamati che fissavano con occhi assenti le strade oscure.
Sotto l'arcata di un ponte due ragazzini si stringevano l'uno all'altro cercando di riscaldarsi a vicenda.
"Che fame, abbiamo!" dicevano.
"Non potete dormire laggiù" gridò la guardia, e i due bambini si allontanarono sotto la pioggia.
Allora il Rondinotto tornò indietro e raccontò al Principe quello che aveva veduto.
"Sono tutto ricoperto d'oro fino" disse il Principe, "tu devi togliermelo di dosso, foglia per foglia, e darlo ai miei poveri: i vivi credono che l'oro possa renderli felici".
Il Rondinotto piluccò via foglia dopo foglia del fine oro, finché il Principe Felice divenne tutto opaco e grigio. Foglia per foglia del fine oro egli portò ai poveri, e le facce dei bambini si fecero più rosate, ed essi risero e giocarono giochi infantili nelle strade.
"Abbiamo pane, adesso! " gridavano.
Poi venne la neve, e dopo la neve venne il gelo. Le strade sembravano pavimentate d'argento, tanto erano lucide e scintillanti; lunghi ghiaccioli, simili a lame di cristallo, pendevano dalle gronde delle case; tutti giravano impellicciati e i ragazzini indossavano cappucci scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
Il povero piccolo Rondinotto aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe; gli voleva troppo bene. Raccoglieva briciole fuor dell'uscio del fornaio quando questi aveva la schiena voltata, e cercava di scaldarsi battendo le ali.
Ma alla fine capì che era prossimo a morire. Ebbe giusto la forza di volare un'ultima volta sulla spalla del Principe.
"Addio, caro Principe" mormorò, "mi permetti che ti baci la mano? "
"Sono contento che tu vada in Egitto, finalmente, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "sei rimasto qui anche troppo tempo, ma tu devi baciarmi sulle labbra, perché io ti amo".
"Non è in Egitto che io vado" disse il Rondinotto, "vado alla Casa della Morte. La Morte non è forse la sorella del Sonno?" E baciò il Principe Felice sulle labbra, e cadde morto ai suoi piedi.
In quel momento si udì nell'interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il fatto è che il cuore di piombo si era spaccato netto in due.

Certo faceva un freddo cane. Il mattino seguente per tempo il Sindaco andò a passeggiare nella piazza sottostante in compagnia degli Assessori. Nel passare dinnanzi alla colonna alzò gli occhi verso la statua:
"Dio mio! Com'è conciato il Principe Felice! " esclamò.
"Davvero! Com'è conciato! " esclamarono gli Assessori che ripetevano sempre quel che diceva il Sindaco, e andarono tutti su per vedere meglio.
"Gli è caduto il rubino dall'elsa della spada, gli occhi non ci sono più, e la doratura è scomparsa" disse il Sindaco, "insomma, sembra poco meno che un accattone!"
"Poco meno che un accattone" ripeterono in coro gli Assessori civici.
"E qui, ai piedi della statua, c'è persino un uccello morto! " proseguì il Sindaco. "Dobbiamo assolutamente emanare un'ordinanza che agli uccelli non sia permesso di morire qui!"
E lo Scrivano Pubblico prese appunti per la stesura del decreto.
Così tirarono giù la statua del Principe Felice.
"Dal momento che non è più bello non è nemmeno più utile" osservò il Professore di Belle Arti dell'Università.
Quindi fusero la statua in una fornace e il Sindaco indisse un'adunanza della Corporazione per decidere quel che si doveva fare del metallo.
"Dobbiamo costruire un'altra statua" disse, "e sarà la mia statua".
"La mia" ripeté ciascuno degli Assessori, e litigarono. L'ultima volta che ebbi loro notizie stavano ancora litigando.
"Che cosa curiosa! " disse il sorvegliante degli operai della fonderia. "Questo rotto cuore di piombo non vuole fondersi nella fornace. Bisogna che lo gettiamo via".
E lo gettarono infatti su un mucchio di spazzatura dove avevano buttato anche il Rondinotto morto.

"Portami le due cose più preziose che trovi nella città" disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
"Hai scelto bene" gli disse Dio, "poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d'oro il Principe Felice mi loderà".

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 06/05/2011

TESTO

39. Partecipi della Pasqua di Cristo

San Gregorio di Nazianzo, Discorso 45, 23-24

Saremo partecipi della Pasqua, presentemente ancora in figura,
ma fra non molto ne godremo di una più trasparente e più vera,
quando il Verbo festeggerà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre.
Offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività.
Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo.
Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo.
Se sei Simone di Cirene, prendi la croce e segui Cristo.
Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito,
fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio,
che ti aspettava alla prova.
Egli fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato,
e tu diventa giusto per lui.
Se sei Giuseppe d'Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso,
assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l'espiazione del mondo.
Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio,
seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito,
cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione.
E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime.
Fa' di vedere per prima la pietra rovesciata,
vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo.

pasquaresurrezionerapporto con Gesùrisurrezione

4.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2011

PREGHIERA

40. Camminando verso Pasqua   3

Don Angelo Saporiti

Il mio viaggio verso Pasqua è incominciato.
Ho fatto tanti propositi:
rinuncerò a qualcosa,
frenerò la lingua,
sarò più paziente,
cercherò di vedere il positivo...
Ed ecco che già iniziano i problemi,
le difficoltà, le stanchezze,
la tentazione di lasciar perdere,
di rimandare al giorno dopo,
di dimenticare la mia promessa...
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
e sono già stufo e sbuffo.
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
ma non ci credo che ce la farò...
E provo vergogna... e anche un po' di rabbia...
Ma forse... ho sbagliato tutto.
Sì...
Ho sbagliato a pensare
che il cammino verso Pasqua,
significhi solo una serie di impegni e di rinunce,
una moltiplicazione di sacrifici e di preghiere...
Forse, in questa Quaresima,
dovrei solo abbandonarmi a te,
lasciarmi andare a te così come sono:
fragile, incapace, limitato, peccatore.
Abbandonarmi a te, perché
tu, Signore, sei il cammino che percorro.
Tu, Signore, sei la mano che mi guida.
Tu, Signore, sei lo sguardo che mi fa percepire gli altri.
Tu, Signore, sei la bocca quando ti do testimonianza.
Tu, Signore, sei l'orecchio, che ascolta le parole non dette.
Tu, Signore, sei la strada di questa Quaresima
che mi porta incontro a te,
che mi porta incontro agli altri.
Amen.

quaresimatentazionifiducia in Dio

4.3/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 08/03/2011

PREGHIERA

41. Preghiera per i cari figli in Paradiso   1

Associazione Figli in Paradiso - Ali tra cielo e terra

Signore ti preghiamo per i nostri cari figli che vivono nel tuo Regno. Noi abbiamo voluto sempre il meglio per loro, sognavamo che ci superassero in ogni cosa, ma questo sorpasso ci è sembrato troppo azzardato, troppo precoce. Ci hanno anticipato nel passare da questo mondo al Paradiso.

Per noi è contro natura tutto questo. Di solito sono i figli che seppelliscono i genitori, ma un genitore che seppellisce il figlio, è troppo grande il dolore che procura. Tutto è nel tuo cuore o Padre, tutto tu conosci.

Sai cosa portiamo nel nostro cuore, vedi le nostre ferite che non si rimargineranno più. Una cosa ti chiediamo, donaci la forza di andare avanti, di capire che i nostri figli sono con te nella pace infinita, dove sono felici e sereni.

Non farceli vedere chiusi in una tomba, no. Lì riposa solo il loro corpo mortale, ma il loro spirito, il loro sorriso, il loro sguardo continuano a vivere nel tuo Regno.

Maria, tu che hai visto morire in un modo orribile il tuo caro Figlio, sostienici nelle ore di angoscia, di paura, di solitudine, di depressione, di rabbia, aumenta la nostra fragile fede.

Anche tu hai vissuto tutto questo, ma la forza l'hai avuta dal sapere che il tuo caro Gesù era in paradiso. Così hai avuto il coraggio di portare avanti la Chiesa e sei stata sostegno ai discepoli spaventati e sfiduciati. Sostieni anche noi con il tuo amore.

Donaci la speranza che un giorno raggiungeremo i nostri figli e potremo lodare insieme il Dio che ci ha creati.

Cari figli, pregate per i vostri genitori, per i vostri fratelli e le vostre sorelle, fateci sentire la vostra presenza angelica, dateci ogni sera la carezza ed il bacio della buona notte e pregate per noi. Amen

morteresurrezionedolorelutto

inviato da Frate Angelo, inserito il 19/02/2011

TESTO

42. Don Camillo non ti crucciare

Giovannino Guareschi, Tutto don Camillo, volume primo, pag. 248

..."Pioverà, pioverà, don Camillo" lo rassicurò il Cristo. "E' sempre piovuto da che mondo è mondo. La macchina è combinata in modo tale che, a un bel momento, deve piovere. O sei del parere che l'Eterno abbia sbagliato nell'organizzare le cose dell'universo?".

Don Camillo si inchinò. "Sta bene" disse sospirando. "Capisco perfettamente quanto sia giusto quello che voi dite. Però che un povero prete di campagna non possa neanche permettersi di chiedere al suo Dio di far venire giù due catinelle d'acqua, perdonate, ma è sconfortante."

Il Cristo si fece serio. "Hai mille ragioni don Camillo. Non ti resta che far anche uno sciopero di protesta." Don Camillo ci rimase male e si allontanò a capo chino, ma il Cristo lo richiamò.

"Non ti crucciare, don Camillo" sussurrò il Cristo. "Lo so che il vedere uomini che lasciano deperire la grazia di Dio (era in atto uno sciopero degli lavoratori agricoli e la roba del raccolto e degli allevamenti cominciò ad intristire) è per te peccato mortale perché sai che sono sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Ma bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perché non hanno più fede nella giustizia divina, e ricercano affannosamente i beni della terra perché non hanno fede nella ricompensa divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede, e le macchine volanti sono per essi gli angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di fare diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza perché, se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose e l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. Ma il tuo Dio non è fatto di numeri, don Camillo, e nel cielo del tuo Paradiso volano gli angeli del bene. Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull'infinito e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. E odierà le macchine che hanno ridotto il mondo a una manciata di numeri e le distruggerà con le sue stesse mani. Ma ci vorrà del tempo ancora, don Camillo. Quindi rassicurati: la tua bicicletta e il tuo motorino non corrono per ora nessun pericolo".

Il Cristo sorrise e don Camillo lo ringraziò di averlo messo al mondo.

progressofedeumanitàscienzasenso della vita

inviato da Osvaldo Pozzi, inserito il 11/01/2011

TESTO

43. Tu lo puoi chiamare amore ma è Dio

Maria Teresa Crovetto, Perle di Spirito

Quando pensi all'amore e lo desideri
senza averlo trovato;
tu lo puoi chiamare amore, ma è Dio!

Quando guardi il bambino diverso
e lo trovi cento volte più bello degli altri:
tu lo puoi chiamare amore, ma è Dio!

Quando guardi gli avvenimenti sbagliati del mondo
e desideri rimediarvi:
tu lo puoi chiamare amore, ma è Dio!

Quando senti nel cuore il desiderio
di far vivere la pace alle persone che ami:
tu lo puoi chiamare amore, ma è Dio!

Quando senti il desiderio di solitudine
per contemplare i tuoi pensieri
e senti nel cuore la gioia di esistere:
tu lo puoi chiamare amore, ma è Dio che prega in te!

amorevedere Dioriconoscere Diorapporto con Dio

inviato da Elena Zanchiello, inserito il 05/09/2010

TESTO

44. Scusami..   5

Cristina Carmagnola

Per le parole che non ho detto e per quelle che purtroppo ho detto.
Per la mano che non ho teso.
Per quel grido che ho ignorato.
Per tutte le volte che ho chiuso gli occhi, quando era più facile.
Per quel dito che ho puntato.
Per tutti i sorrisi falsi che ho esibito.
Per quando ho bevuto tutta la poca acqua che c'era.
Per tutte le volte in cui ho voluto vedere solo le nubi,
senza cercare il sole che splendeva dietro.
Per tutti i doni che avrei potuto condividere
e che invece ho tenuto gelosamente nascosti.
Per tutte le volte in cui ho dato ascolto all'urlo della vendetta,
e ho ignorato il sussurro della speranza.
Perché non avevo capito che dare fa coppia con ricevere.
Perché la mia ipocrisia non ha limiti.
Perché al canto del gallo anch'io dovrò rispondere dei miei "non lo conosco".
E, infine, perché do sempre per scontato il tuo perdono.

perdonoperdono di Dioesame di coscienzaipocrisiapeccatoconfessionericonciliazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristina Carmagnola, inserito il 14/08/2010

TESTO

45. Fede è   1

Fede è: cercare colui che non conosci;
conoscere colui che non vedi;
vedere colui che non tocchi;
amare colui che già ti ha cercato,
ti ha conosciuto, ti ha visto,
ti ha toccato, ti ha amato.
E' fidarsi di chi si è già fidato di te
affidando alle tue fragili mani
un dono di amore che vale ogni rischio.

fedefiduciarapporto con Dio

inviato da Fortunato Forner, inserito il 11/08/2010

RACCONTO

46. Un piccolo gesto   4

Un giorno, ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola. Il suo nome era Kyle e sembrava stesse portando tutti i suoi libri. Dissi tra me e me: "Perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì? Deve essere un ragazzo strano".

Io avevo il mio week-end pianificato (feste e una partita di football con i miei amici), così ho scrollato le spalle e mi sono incamminato.

Mentre stavo camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro a Kyle. Gli corsero addosso facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango. I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell'erba un paio di metri più in là. Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi. Mi rapì il cuore! Così mi incamminai verso di lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi. Raccolsi gli occhiali e glieli diedi dicendogli: "Quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere". Kyle mi guardò e disse: "Grazie!". C'era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.

Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove viveva. Scoprii che viveva vicino a me così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima. Lui mi spiegò che prima andava in una scuola privata. Prima di allora non sarei mai andato in giro con un ragazzo che frequentava le scuole private. Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri.

Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andava di giocare a football con i miei amici e lui disse di sì. Stemmo in giro tutto il week end e più lo conoscevo più Kyle mi piaceva così come piaceva ai miei amici.

Arrivò il lunedì mattina ed ecco Kyle con tutta la pila dei libri ancora. Lo fermai e gli dissi: "Ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!". Egli rise e mi passo la metà dei libri.

Nei successivi quattro anni io e Kyle diventammo amici per la pelle.

Una volta adolescenti cominciammo a pensare al college, Kyle decise per Georgetown e io per Duke. Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi. Kyle sarebbe diventato un dottore mentre io mi sarei occupato di scuole di football.

Kyle era il primo della nostra classe e io l'ho sempre preso in giro per essere un secchione. Kyle doveva preparare un discorso per il diploma. Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare. Il giorno dei diplomi vidi Kyle, aveva un ottimo aspetto. Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori. Si era un po' riempito nell'aspetto e stava molto bene con gli occhiali. Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano. Ragazzi qualche volta ero un po' geloso!

Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po' nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi: "Ehi ragazzo, te la caverai alla grande!". Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) e sorrise mentre mi disse: "Grazie".

Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce: "Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri. I genitori, gli insegnanti, gli allenatori ma più di tutti i tuoi amici. Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare. Voglio raccontarvene una".

Guardai il mio amico Kyle incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro. Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week-end. Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stava portando a casa tutte le sue cose.

Kyle mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso. "Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto".

Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni. Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole.

Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine.

Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.

Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni.

Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio. Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo. Cercate il buono negli altri.

"Gli amici sono angeli che ci sollevano in piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola".

amiciziagentilezzaimportanza delle piccole cosesemplicitàbontà

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inviato da Lisa, inserito il 26/06/2010

TESTO

47. Scalzarsi per entrare nell'altro   2

Una mattina, riflettendo su un annuncio, mi soffermai di fronte a una espressione che risuonò in un modo molto speciale nel mio cuore: "scalzarsi per entrare nell'altro". Chiesi al Signore che cosa volesse dire. Mi venivano in mente parole come rispetto, delicatezza, attenzione, prudenza.

Ricordai le parole dell' Esodo 3,5: "Non ti avvicinare di più, togliti i sandali perché sei in un luogo sacro". Erano le parole di Yahvé a Mosè davanti al roveto che ardeva senza consumarsi, e pensai: "Se Dio parla al cuore del mio fratello, il suo cuore è un luogo sacro".

Mi misi subito a pregare. Gesù mi presentava uno a uno tutti i miei amici e conoscenti e poi altri ancora e scoprii che come di solito entro nell'interno di ognuno senza togliermi i sandali, semplicemente entro senza badare al modo, entro.

Sentii un bisogno molto forte di chiedere perdono al Signore e ai miei fratelli. Sentii che il Signore mi invitava a scalzarmi e poi a camminare e notai una specie di resistenza: "non volevo sporcarmi".

Mi sentivo più sicuro camminando con i sandali quando mi avvicinavo agli altri: la comodità, la paura...

Superato questo primo momento cominciai a camminare e ad ogni passo il Signore mi faceva vedere qualcosa di nuovo.

Mi accorsi che scalzo potevo scoprire meglio i diversi tipi di terreno su cui camminavo, distinguere quello umido da quello secco, il prato dalla terra. Dovevo guardare ad ogni passo ciò che calpestavo, avere riguardo del luogo dove avrei posato il mio piede.

Mi resi conto che le tante cose di cui sono portatori i miei fratelli mi sfuggono, non le conosco, non ne tengo conto perché entro con i calzari. Ho sperimentato che, scalzo, camminavo più adagio; non usavo il mio ritmo abituale, ma cercavo di posare il piede con maggiore soavità! Ho pensato allora ai tanti segni che ho lasciato nel cuore dei miei fratelli lungo il cammino e ho sentito un forte desiderio di entrare negli altri senza lasciare una scritta che dica: "Qui sono passato io".

Infine, ho attraversato i diversi tipi di terreno, prima prati, poi terra, fino ad arrivare a una salita con pietre.

Avevo voglia di fermarmi e mettermi di nuovo i sandali; ma il Signore mi invitò a camminare scalzo un pochino ancora.

Mi accorsi che tutti i terreni non sono uguali e anche tutti miei fratelli non sono uguali. Perciò, non posso entrare in tutti allo stesso modo.

Questa salita richiedeva di essere fatta ancora più adagio e, più camminavo con passo leggero, più diminuiva il dolore dei miei piedi. Questo mi fece pensare che quanto più difficile è il terreno di mio fratello, tanto più devo entrare con delicatezza e con più attenzione. Dopo questo percorso con il Signore, ho capito che togliersi i calzari è entrare senza pregiudizi… solamente attento ai bisogni del fratello, senza attendersi una risposta determinata ed entrare senza interessi, dopo aver spogliato la mia anima.

Poiché credo, che il Signore, sia vivo e presente nel cuore dei miei fratelli, m'impegno a fermarmi e a togliermi i sandali. Conto per riuscirci sulla sua grazia!

camminovitadelicatezzaincontrorispettoattenzionepazienza

4.0/5 (2 voti)

inviato da Pina Oro, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

48. Cicatrici   1

In un caldo giorno d'estate nel sud della Florida, un bambino decise di andare a nuotare nella laguna dietro casa sua. Uscì dalla porta posteriore correndo e si gettò in acqua nuotando felice. Sua madre lo guardava dalla casa attraverso la finestra e vide con orrore quello che stava succedendo. Corse subito verso suo figlio gridando più forte che poteva. Sentendola il bambino si allarmò e nuotò verso sua madre ma era ormai troppo tardi.

La mamma afferrò il bambino per le braccia, proprio quando il caimano gli afferrava le gambe. La donna tirava determinata, con tutta la forza del suo cuore. Il coccodrillo era più forte, ma la mamma era molto più determinata e il suo amore non l'abbandonava. Un uomo sentì le grida, si precipitò sul posto con una pistola e uccise il coccodrillo. Il bimbo si salvò e, anche se le sue gambe erano ferite gravemente, poté di nuovo camminare.

Quando uscì dal trauma, un giornalista domandò al bambino se voleva mostrargli le cicatrici sulle sue gambe. Il bimbo sollevò la coperta e gliele fece vedere.

Poi, con grande orgoglio si rimboccò le maniche e disse: "Ma quelle che deve vedere sono queste". Erano i segni delle unghie di sua madre che l'avevano stretto con forza. "Le ho perché la mamma non mi ha lasciato e mi ha salvato la vita".

Anche noi abbiamo cicatrici di un passato doloroso. Alcune sono causate dai nostri peccati, ma alcune sono le impronte di Dio quando ci ha sostenuto con forza per non farci cadere fra gli artigli del male. Ricorda che se qualche volta la tua anima ha sofferto.... è perché Dio ti ha afferrato troppo forte affinché non cadessi!

sofferenzaamore di Diosalvezzaabbandono in Dio

4.3/5 (3 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 15/04/2010

TESTO

49. Gesù Risorto non smetterà mai di volerti bene   1

Paolo Spoladore, Tutti ti cercano

Gesù risorto non smetterà di darti amore e capacità di amare, anche quando non vorrai più amare e rispettare nessuno, nemmeno te stesso.
Gesù risorto non smetterà di sceglierti anche quando non sceglierai più niente di vitale e luminoso.
Gesù risorto non smetterà di darti vita anche quando non la saprai usare, né la saprai sfruttare per il bene e la luce.
Gesù risorto non smetterà di darti il "camminare" anche quando non avrai più voglia di muoverti.
Gesù risorto non smetterà di abbracciarti anche quando tu non avrai più voglia di abbracciare nessuno.
Gesù risorto non smetterà di darti le stelle anche quando non avrai più voglia di guardare il cielo e di orientarti.
Gesù risorto non smetterà di darti doni anche quando non farai altro che sprecarli tutti.
Gesù risorto non smetterà di darti occasioni e fortune, anche quando non ti accorgerai delle prime e non benedirai le seconde.
Gesù risorto non smetterà di usarti misericordia, anche quando tu farai da giudice ingiusto dei tuoi simili.
Gesù risorto non smetterà di far crescere i fiori, anche quando tu li comprerai di plastica.
Gesù risorto non smetterà di dar luce ai tuoi occhi, anche quando non vorrai vedere nulla con gioia e gratitudine.
Gesù risorto non smetterà di darti le mani, anche quando le userai solo per sfruttare i poveri e gli innocenti.
Gesù risorto non smetterà di darti la capacità di "prendere la mira" anche quando non la userai per cacciare e mangiare, ma solo per uccidere e devastare.
Gesù risorto non smetterà di darti intelligenza, anche quando la userai da sciocco e da superbo.
Gesù risorto non smetterà di darti fiducia, anche quando non l'avrai più nemmeno per te stesso.
Gesù risorto non smetterà di darti speranza, nemmeno quando tutto ti sembrerà più brutto.
Gesù risorto non smetterà, non smetterà mai di amarti e di chiederti se non puoi amare anche tu un po' di più con gioia e verità, per la tua felicità e la pace di tutti.
Gesù risorto non smetterà mai di volerti bene e non potrai impedirglielo. Tu proprio non potrai impedirglielo.

GesùCristorisurrezionesperanzarapporto con Diofiducia

inviato da Maria Teresa Osele, inserito il 08/12/2009

PREGHIERA

50. Prestaci i tuoi occhi   1

Rivista Papa Giovanni

O Signore,
aiutaci a non disprezzare mai
nessun uomo,
a vedere in tutti il bene e non il male
e i valori assoluti
di cui ciascuno è portatore
perché è una persona.
Se tu ci presterai i tuoi occhi,
avremo la misura esatta
di quello che vale ogni persona:
i tuoi occhi vedono
in ogni nostro fratello
uno per cui Dio ci ha donato la vita.

accoglienzapreghierainterioritàamorefratellanzanon giudicare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Mario Varano, inserito il 08/12/2009

TESTO

51. Il corpo del Signore   1

San Francesco d'Assisi, Ammonizione I, FF 141-145

Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto." Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: "Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio" (Gv 14,6-9).

Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio (cf. 1Tm 6,16; Gv 4,24 e 1,18). Perciò non può essere visto che nello Spirito, poiché è lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla (Gv 6,64 Vg). Ma che il Figlio, in ciò in cui è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il Padre né da come si vede lo Spirito Santo.

Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo Spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tuti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché ne dà testimonianza lo stesso Altissimo, il quale dice: "Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza (che sarà sparso per molti") (Mc 14,22.24); e ancora: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,55 Vg).

E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore. Tutti gli altri, che hanno la presunzione di riceverlo senza partecipare dello stesso Spirito, mangiano e bevono "la loro condanna" (cf. 1Cor 11,29). Perciò: "Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?" (Sal 4,3) Perché non conoscete la verità e non credete "nel figlio di Dio?" (cf. Gv 9,35).

Ecco, ogni giorno egli si umilia (cf. Fil 2,8), come quando "dalla sede regale" (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: "Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

eucaristiamessa

5.0/5 (1 voto)

inviato da Antonio Antonucci, inserito il 07/12/2009

TESTO

52. Prossimo

Don Ricciotti Saurino, Canne d'organo

Eppure ero convinto di essere proprio così, mentre leggevo sul display del salumiere il numero precedente al mio, e mi dicevo: "Sono il prossimo!" Anche l'infermiera della sala di attesa del dottore, con aria soddisfatta mi ha detto qualche volta: "Lei è il prossimo!" Perfino negli uffici pubblici all'invito "avanti il prossimo" mi hanno riconosciuto come tale.

Ora in chiesa, dove siamo tutti fratelli, mi sento decisamente rispedito in coda alla fila.

A nulla vale esibire il biglietto con il numero alto di frequenze, essere arrivato in anticipo ad ogni suono di campana, dimostrare di aver occupato per trenta anni il solito posto, portare la testimonianza delle persone alle quali ho stretto la mano migliaia di volte al segno della pace. Mi sento dire: "Non sei prossimo!"

Grido all'ingiustizia e preferisco la fila dal salumiere e quella nella sala di attesa dove è riconosciuto il mio diritto.

Oso chiedere qualche chiarimento e qualcuno mi dice che i numeri progressivi sono stati aboliti da tempo e le unità di misura tradizionali, in metri e centimetri, non erano affidabili e precisi per tale valutazione.

Come al solito - penso - la simpatia e l'arbitrio di qualcuno dichiara volta per volta chi è il prossimo.

Avrei dovuto scegliermi un valido compagno di viaggio e stargli vicino. Forse una persona in vista o forse proprio il sacerdote, ma mi dicono che anche questo sistema non garantisce nulla, neppure la vicinanza fisica ti assicura la "prossimità" evangelica.

Eppure i nuovi banchi della chiesa splendono grazie al mio olio, l'organo suona una musica esaltata dal mio vino e persino la vetrata raffigurante il buon samaritano si è realizzata per il pronto intervento della mia borsa. Dove arrivo io si capovolgono le cose, difatti ho sentito dire con ironia che semmai posso ritenermi prossimo alla canna d'organo, al banco o alla vetrata.

Che disdetta, in una chiesa affollata sono prossimo alla canna dell'organo, equidistante dalle altre, sempre presente e indipendente... Ma io voglio essere prossimo di qualcuno, perché a costui sarà affidata l'ultima arringa in mio favore davanti al trono di Dio!

Ho sbirciato sul foglietto della domenica che bisogna prendersi cura, portare a cuore una persona, se vuoi essere prossimo.

Mi sono girato intorno per vedere se ci fosse qualcuno che ho preso a cuore. Ho scrutato tutti i volti presenti, ma, tranne qualche simpatia, non ne ho trovato uno del quale mi sarei preso cura.

Con la mente ho vagato all'esterno della Chiesa, sono entrato nelle case di persone amiche e non ho trovato uno per il quale fossi disposto a pagare di persona. Ho fatto restaurare le canne dell'organo, ma non ho trovato una persona alla quale avrei restaurato la vita.

In verità occasioni non sono mancate, ma sinceramente... una volta ho ritenuto non fosse mia competenza, un'altra non ne valeva la pena, un'altra ancora non era il momento, e poi... non se lo meritava, pensavo che mentisse, se fosse stato un altro... e così ho dribblato coraggiosamente fino ad oggi.

Ora bisogna che mi dia da fare, - mi sono detto - e ho scelto un gruppo di volontari che non restaurano chiese, ma persone. Anche tra questi è stata forte la tentazione di farlo per vantarmene con gli amici, con i colleghi e qualche volta mi è sorto il dubbio se lo facessi per me stesso o perché veramente portavo a cuore il bisogno dell'altro.

Ho cominciato ad amarlo disinteressatamente, profondendo non solo le mie energie, ma anche le mie risorse e solo allora ho capito di essere prossimo quando non sono più riuscito a misurare la distanza, perché più che vicino alle mie braccia, era vicino al mio cuore. E' proprio vero che l'unità di misura della vicinanza del prossimo non è il metro: non posso misurare ciò che fa parte della mia vita, ciò che è dentro il mio cuore.

Ho scoperto anche che si può essere prossimo del lontano e senza mai averlo conosciuto: ho seguito un missionario, un seminarista. Se ogni cristiano avesse il suo prossimo staremmo meglio tutti, uniti da una catena di solidarietà.

Voglio farmi prossimo a qualcuno e ciò mi basta, se poi qualcuno vuole avermi a cuore, la cosa non può che farmi piacere.

Ho deciso, non restauro più canne d'organo, è meglio restaurare il mantice che le fa vivere, vibrare e suonare.

prossimosolidarietàvicinanza

inserito il 06/12/2009

RACCONTO

53. Dove finirono l'oro, l'incenso e la mirra?   2

Bruno Ferrero, Storie di Natale

Anche se non lo davano a vedere, i più eccitati erano l'asino e il bue. Non riuscivano ad addormentarsi. Quella notte e quella giornata erano state meravigliosamente caotiche: la nascita del bambino, gli angeli, i pastori, la stella e poi l'arrivo dei tre re con i manti di stoffe ricamate e le pellicce e i loro strani quadrupedi con la gobba. E soprattutto il luccichio degli scrigni che racchiudevano i doni portati dai tre re. Li avevano ammirati tutti e ora stavano là, abbandonati sulla paglia, mentre la donna cullava dolcemente il bambino e l'uomo dalle mani grandi e forti attizzava il fuoco e porgeva un po' di fieno alle due bestie.

Tra le fessure sconnesse della baracca, altri due occhi fissavano eccitati i doni dei re. Erano occhi pieni di ingenua astuzia. Non avevano perso un solo attimo della giornata e ora osservavano con interesse il primo sbadiglio di stanchezza fiorito sulla bocca dell'uomo. Erano gli occhi di Disma, il più bravo dei ladruncoli di Betlemme, agile e svelto come un furetto.

Il bambino si addormentò per primo, poi la madre si assopì sul mucchio di paglia che l'uomo aveva preparato e rassettato. L'uomo aspettò che il fuoco si spegnesse, poi si abbandonò anche lui sulla paglia con un sospiro di stanchezza e si addormentò. L'asino e il bue lo imitarono. Un silenzio profondo avvolse la baracca.

Un fagotto tintinnante

Disma scivolò nell'ombra e si avvicinò alla porta. Era sbarrata da un robusto paletto. Non poteva scardinarla: avrebbe svegliato tutti. Esaminò le pareti, sfiorandole con la mano. Un' assicella si mosse. Disma intuì che poteva allargare la fessura quel tanto che bastava per permettergli di infilarsi dentro la vecchia stalla. Con consumata abilità, il ragazzo spostò l'asse cercando di non farlo cigolare e si infilò nel varco con le movenze sinuose di un gatto.

Si mosse leggero, cercando di abituare gli occhi all'oscurità. I tre scrigni erano sotto la culla improvvisata del bambino, illuminati dall'ultimo bagliore delle braci del fuoco.

Il bue sbuffò nel sonno e l'asino scalciò nella paglia. Sognavano anche loro. Disma trattenne il fiato, immobile. Nella stalla i respiri ripresero regolari.

Il ragazzo si mosse rapidamente. Afferrò i tre scrigni e li infilò nella bisaccia di tela che portava a tracolla. Diede un'occhiata al bambino e gli parve di vedere sul suo piccolo viso un sorriso, scosse le spalle e uscì dalla fessura che aveva aperto. Quando fu fuori della stalla, sorridendo rimise a posto l'assicella che aveva spostato per entrare, poi si allontanò di corsa. Faceva grandi balzi di gioia, tenendo con le due mani il fagotto tintinnante della refurtiva. Ripassava a memoria il contenuto e pensava eccitato alla bella somma che ne avrebbe ricavato. Il più grosso degli scrigni conteneva monili, bracciali e monete d'oro, il secondo era pieno di purissimo incenso e il terzo conteneva una fiala di preziosissima mirra. Un colpo di fortuna incredibile. Doveva solo essere prudente e nascondere tutto bene. Il mondo era pieno di ladri.

La sorpresa

Entrò in casa dal tetto, come faceva di solito. Non aveva né padre né madre e il vecchio parente che lo teneva in casa non si curava di lui.

Nella sua stanzetta, sotto il pavimento ricoperto di paglia, Disma aveva scavato una nicchia in cui nascondeva le sue cose preziose.

«Terrò nascosti per qualche mese l'oro, l'incenso e la mirra. Poi li venderò un poco alla volta, a Gerusalemme o anche a Damasco, dove non desterà sospetti...» pensava.

Accese una lampada ad olio finemente incisa che proveniva dall'atrio della casa del centurione romano, che la stava ancora cercando, ed esaminò il bottino. Aprì con cautela il primo scrigno e non riuscì a trattenere un'imprecazione stizzita: «Ma che diavolo è successo?». Spalancò con furia gli altri due astucci, guardò, annusò e poi imprecò ancora più rabbiosamente. Qualcuno gli aveva giocato uno scherzo terribile. Forse quell'uomo era molto più furbo di quanto desse a vedere. Invece dell'oro, lo scrigno conteneva un grosso martello, al posto dell'incenso c'erano tre grossi chiodi e la bottiglietta, invece della mirra raffinata, conteneva volgare aceto.

«Accidenti, accidenti! Che me ne faccio di questa robaccia? La rifilerò ai soldati romani per qualche moneta...».

Tre croci

Passarono gli anni. Disma era diventato il più ricco e sfrontato predone del deserto. I suoi uomini compivano razzie nelle più ricche città d'Oriente e l'esercito di Roma era stato costretto più volte a scendere a patti con lui. Ma un giorno, arrivò da Roma un governatore ambizioso di nome Ponzio Pilato che, per fare carriera e ingraziarsi i notabili di Gerusalemme, decise di catturare Disma. Ci riuscì con un tranello e Disma fu condannato alla pena più terribile ed infamante: la morte mediante crocifissione.

Erano in tre a salire sul Golgota, il luogo delle condanne, poco fuori Gerusalemme, dove erano state preparate tre croci. Disma conosceva il vecchio brigante legato con lui, ma non riusciva a spiegarsi il terzo condannato. Aveva il volto nobile e pieno di bontà, anche sotto i segni della tortura. Dicevano che era un profeta di Galilea di nome Gesù, che faceva miracoli, che era stato condannato perché si era proclamato Figlio di Dio e Messia.

Gli occhi gelidi e feroci di Disma si incontrarono con quelli del terzo condannato. Per il bandito tutto divenne stranamente diverso: la sua rabbia feroce svanì e si sentì stranamente in pace.

Il boia cominciò il suo miserabile compito con il profeta galileo: impugnò un grosso martello e tre grossi chiodi, mentre un soldato inzuppava una spugna di aceto. Improvvisamente Disma capì: eccoli i doni dei re che lui aveva rubato tanti anni prima in una stalla di Betlemme, dove c'erano un uomo e una madre e un bambino. Quel bambino era il Messia! Quindi anche lui aveva contribuito a crocifiggere il Figlio di Dio... Con le lacrime agli occhi, Disma sentì che Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Con la solita insensibilità, i soldati si misero a litigare per dividersi le vesti dei condannati. Quando le tre croci furono innalzate con il loro carico di dolore, la gente cominciò a farsi beffe dei condannati. Si accanivano particolarmente contro Gesù. I capi del popolo lo schernivano: «Ha salvato tanti altri, ora salvi se stesso, se egli è veramente il Messia scelto da Dio». Anche i soldati lo schernivano: si avvicinavano a Gesù, gli davano da bere aceto e gli dicevano: «Se tu sei davvero il re dei Giudei salva te stesso!».

L'altro bandito crocifisso si era unito agli schernitori e insultava Gesù: «Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi!». Disma lo rimproverò con asprezza: «Tu che stai subendo la stessa condanna non hai proprio nessun timore di Dio? Per noi due è giusto scontare il castigo per ciò che abbiamo fatto, lui invece non ha fatto nulla di male».

Poi aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno».

Gli occhi del Messia torturato e morente guardarono Disma con bontà infinita, poi il feroce bandito udì le parole più belle e amorevoli di tutta la sua vita disperata: «Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso».

doninatalere magibuon ladrone

4.0/5 (2 voti)

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 24/11/2009

RACCONTO

54. Il Natale di Martin   1

Leone Tolstoi

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: - La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.

Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi».
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole:
- Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.

L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso.
Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno.
- Entra - disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica! - rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera - rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.

Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa.
- Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l'accompagnò alla porta.

Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava.
Dopo un po', vide una donna che vendeva mele da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.

Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio:
- Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: «Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l'avete fatto a me».
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

natalesolidarietàgratuitàriconoscere Dio

4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 24/11/2009

RACCONTO

55. Se Gesù bussasse alla porta di casa...   5

Mariangela Forabosco

C'era una volta un paese qualunque, in un posto qualunque, abitato da gente qualunque, che viveva una vita qualunque. Vi accadevano cose belle e cose brutte, come in tutti i paesi qualunque; era un paese dove la vita scorreva apparentemente tranquilla, presa dalle cose di tutti i giorni.
La gente di quel paese qualunque, però, non era poi tanto "qualunque"; infatti era l'erede nientemeno che di un Regno, annunciato tanti secoli prima da un grande Re, il cui nome era Gesù Cristo, sceso dal suo Regno celeste per insegnare agli uomini il modo per entrarci e diventare, così, suoi coeredi. Egli, nel suo soggiorno terrestre, con i suoi discorsi ed il suo comportamento, aveva stravolto le idee umane di Regno, riferite per lo più alla potenza, alla forza, al dominio, spesso al terrore e alla dominazione; aveva invece parlato di pace, amore, fratellanza, uguaglianza, tolleranza, carità. Per aver parlato di ciò, fu crocifisso dagli uomini e furono perseguitati pure i suoi apostoli e i suoi seguaci, chiamati Cristiani. L'annuncio del suo Regno, però, non si interruppe mai, continuò fino ai giorni nostri, giungendo anche in quel paese qualunque, in cui viveva un apostolo qualunque, responsabile della continuazione dell'annuncio e della vita evangelica dei cristiani.

Da tempo, il pastore di quella comunità si era accorto che qualcosa non andava per il suo verso. I Cristiani che frequentavano la chiesa non erano molti, i bambini addirittura pochissimi, le cose di questo mondo stavano prendendo il posto dell'aspettativa del Regno, anche se, a onor del vero, la gente era buona, faceva i fatti suoi, non faceva parlare di sé. Quel pastore, invece, voleva qualcosa di più: voleva realizzare il Regno già quaggiù, facendo sì che nel suo paese qualunque, con la sua gente qualunque, con un apostolo qualunque si compisse quanto il Re Gesù Cristo aveva chiesto agli uomini per avere la sua eredità eterna:"amatevi l'un l'altro come io ho amato voi!"
Un giorno, nel corso di una funzione religiosa, il pastore iniziò il suo sermone così: "Cari fratelli, care sorelle, questa notte ho avuto una visione...".
Un bisbiglio serpeggiò tra i fedeli. "Ha avuto una visione! Che sarà mai?".
"Una visione bellissima", continuò l'apostolo, "ho visto Gesù in tutto il suo splendore!".
"Ha visto Gesù....ma, sarà vero?". "Il nostro apostolo ha visto Gesù!!!". Il brusio tra i fedeli era ormai incontrollabile, mentre tutti tenevano gli occhi incollati al volto dell'Uomo di Dio, in attesa del seguito del suo discorso.
"E' vero, pare impossibile anche a me, umile apostolo, che Gesù si sia degnato di apparirmi, ma è proprio così: Gesù è venuto da me e mi ha lasciato un messaggio per noi tutti, me compreso".
"Un messaggio, anche per noi? E che sarà mai"? si chiedeva la gente, ormai in preda ad una grande curiosità, mista ad un po' di ansia.
"Gesù mi ha detto che la prossima settimana visiterà tutte le case del nostro paese, compresa la mia naturalmente, senza preavviso, e si nasconderà nelle spoglie delle persone, di qualunque persona, può essere la nonna, il figlio, il marito, la moglie, un forestiero, insomma, può essere proprio qualunque sta intorno a noi, capito? Adesso andatevene, raccontate quanto vi ho detto anche a chi non viene in chiesa e sappiate comportarvi di conseguenza. Ricordatevi che Gesù guarda soprattutto se mettete in pratica il suo insegnamento:"Ama gli altri come te stesso".

Potete immaginare il chiacchiericcio e l'emozione della gente all'uscita dalla chiesa. La voce dell'arrivo di Gesù si sparse in un battibaleno in tutto il paese, ne varcò i confini e arrivò in città, e subito reporter dei più famosi giornali e delle stazioni televisive invasero il paese qualunque, insediandosi nei pochi hotel disponibili ed assediandolo con camper, antenne e quant'altro.
Venne il lunedì, e ogni persona del paese passò la giornata a guardarsi intorno, a fissare gli altri con occhi terribilmente fissi, quasi per scorgere, sotto le loro sembianze, la parvenza della presenza di Gesù. Fu una giornata di nervosismo, di scatti repentini, di risposte poco gentili, insomma, fu una giornata poco... "caritatevole". Durante la notte, però, le persone, in un dormiveglia ansioso, ebbero modo di riflettere sul loro comportamento e capirono che non avevano messo per niente in pratica l'insegnamento di Gesù. "Se per caso era in una delle persone che ho incontrato oggi, mamma mia, che figura ho fatto!!!! Domani starò più attento".
Intanto, i giornalisti, la sera del lunedì fecero sapere a mezzo mondo che la venuta di Gesù tra la gente del paese qualunque aveva fatto schizzare i nervi a tutti e le cose erano peggiorate rispetto a prima, ne sapeva qualcosa uno di loro, che era addirittura stato malmenato per aver calpestato le aiuole di un bel giardino, mentre tentava di riprendere una lite famigliare dietro una finestra.

Venne il martedì e il detto "la notte porta consiglio" fu quanto mai veritiero.
La signora Maria, uscita per fare la spesa di buon mattino, incrociò la signora Bice. Come sempre, le venne istintivo di tirare dritto voltando la faccia dall'altra parte (aveva sparlato di lei con la sua amica più cara, quella strega!), ma le balenò il pensiero: "E se è Gesù? Non posso non salutarlo!", e per la prima volta, dopo dieci mesi, le disse, se pur tra i denti: "Buona giornata, Bice!".
La Bice, che era ben peperina, stava per non rispondere al saluto, ma pensò: "E se è Gesù?". Mai avrebbe rinunciato a salutare Gesù, per cui disse sorridendo: "Cara Maria, buona giornata anche a te!!!". E sentirono tutte e due un gran peso che se ne andava e una gran gioia che le rallegrava.
L'infermiera Tina, raggiunto il suo reparto, ne trovò di tutti i colori: si innervosì, rispose alla caposala, stava per adirarsi con un malato difficile quando un pensiero le balenò improvviso: "E se Gesù si fosse nascosto in qualcuna di queste persone? Ma guarda, non ci avevo pensato!". Immediatamente cambiò il proprio atteggiamento, diventò gentile ed affabile con tutti e, di conseguenza, tutti diventarono gentili con lei.
"Mamma, guarda che disegno ho fatto!". "Piantala, che devo vedere la puntata di Demiful...!", rispose secca la donna. Pian piano, però, affiorò nella sua mente un dubbio: "E se Gesù si è nascosto in mio figlio"?. Immediatamente, spense la televisione, rinunciando per la prima volta alla sua telenovela preferita, e chiamò il figlio.
Di giorno in giorno, nel paese qualunque, tra quella gente qualunque, si diffuse in modo dirompente la consapevolezza che il Cristo Re poteva nascondersi nelle spoglie di qualunque persona, chiunque poteva essere Gesù e, di conseguenza, il comportamento di ognuno cambiò: le parole gentili sostituirono gli improperi, ogni persona fu guardata con occhi nuovi, con amore, con più rispetto, i mariti ebbero più riguardo per le mogli, le mogli si sforzarono di capire più profondamente i mariti, i genitori dedicarono più tempo ai figli, gli anziani furono apprezzati per la loro esperienza, i malati furono accuditi con amore e gentilezza, i forestieri furono accolti con disponibilità.
I giornalisti, come sempre pronti a cogliere le minime manifestazioni che facessero notizia, constatarono un crescendo di atteggiamenti positivi: l'armonia si poteva toccare con mano, gli sforzi per migliorare i rapporti con gli altri erano palpabili, insomma, sembrava un paese nuovo, Regno di pace, d'amore, il Regno in terra del Re Gesù Cristo. La notizia positiva si diffuse in mezzo mondo e ogni paese cercò di copiare la ricetta dell'Amore, con la consapevolezza, finalmente, che Gesù è in ogni uomo ed applicando quanto Egli ci disse: "Ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me".

Ed è così che il pastore qualunque della gente qualunque del paese qualunque riuscì a realizzare sulla terra il Regno di Dio, obbedendo alla richiesta che recitiamo sempre nel Padre Nostro: "Venga il tuo regno!".
E nascendo la PACE in ogni cuore, nacque la pace in tutta la terra!

regno di DiopaceamorefratellanzaGesùCristo Recarità

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inviato da Mariangela Forabosco, inserito il 13/09/2009

TESTO

56. Le beatitudini oggi   1

Tonino Bello, Alle porte del regno

Ce l'hanno spiegata con mille sfumature, e vien quasi da pensare che ogni biblista abbia un suo modo di leggere questa pagina delle beatitudini: l'unica che vorremmo salvare, se di tutti i libri della terra si dovesse sottrarre all'incendio solo il Vangelo e di tutto il Vangelo si dovesse preservare dalle fiamme soltanto una sequenza di venti righe.

Si intuisce subito che queste parole pronunciate da Gesù nascondono promesse ultraterrene.

Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero. Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni. Traducono, come nessun altro frasario umano, le nostre nostalgie di futuro, e ci proiettano verso quei cieli nuovi e terre nuove in cui la settimana si accorcia a tal punto da conoscere solo il sabato eterno.

Imprigionano il "non ancora" - sempre abbozzato e mai esploso pienamente - di quel "risus paschalis" che ora sperimentiamo solo nella smorfia delle nostre troppo rapide convulsioni di letizia per cedere subito il posto all'amarezza del pianto.

Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c'è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso "regno dei cieli", la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità. Sì, Gesù vuol dare una risposta all'istanza primordiale che ci assedia l'anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. E' l'unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l'uomo. Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale.

Beati: provocazione all'impegno

Che cosa significhi il termine "beati" è difficile spiegarlo.

C'è chi ha voluto specularci sopra, capovolgendo addirittura il senso delle parole del Signore per utilizzarle a scopi di imbonimento sociale. Quasi Gesù avesse inteso dire: state buoni, poveri, perché la misura della vostra felicità futura sarà inversamente proporzionale alla misura della vostra felicità presente. Anzi, quante più sofferenze potete collezionare in questa vita, tanto più vi garantite il successo nell'altra.

E' questo un modo blasfemo di leggere le beatitudini, perché spinge i poveri all'inerzia, narcotizza i diseredati della terra con le lusinghe dei beni del cielo, contribuisce a mantenere in vigore un ordine sociale ingiusto e, in un certo senso, legittima la violenza di chi provoca il pianto degli oppressi dal momento che a costoro, proprio per mezzo delle lacrime, viene offerto il prezzo per potersi pagare, in contanti, il regno di Dio. C'è invece, chi ha visto nella formulazione delle beatitudini un incoraggiamento rivolto ai poveri, agli afflitti, agli umili, ai piangenti, ai perseguitati... per sostenerli con la speranza dei beni del cielo. Quasi Gesù avesse inteso dire: se a un certo punto vi sentite sfiniti per le ingiustizie che patite, tirate avanti lo stesso e consolatevi con le promesse della felicità futura. Guardate a quel che vi toccherà un giorno, e questo miraggio di beatitudine vi spronerà a camminare, così come il desiderio del riposo accelera e sostiene i passi di chi, stanchissimo, sta tornando verso casa.

Anche questo è un modo stravolto di leggere le beatitudini. Meno delittuoso del primo, ma pur sempre alienante e banale. Perché punta sull'idea della compensazione. Perché con la lusinga della meta, non spinge la gente a mutare le condizioni della strada. Perché se non proprio a rassegnarsi, induce a relativizzare la lotta, ad arrendersi senza troppa resistenza, a vedere i segni della ineluttabilità perfino dove sono evidenti le prove della cattiveria umana e a leggere i soprusi dell'uomo come causa di forza maggiore.

E c'è finalmente, il modo legittimo di leggere le beatitudini. Che consiste, essenzialmente, nel felicitarsi con i senzatetto e i senza pane, come per dire: complimenti, c'è una buona notizia! Se tutti si son dimenticati di voi, Dio ha scritto il vostro nome sulla palma della sua mano, tant'è che i primi assegnatari delle case del regno siete voi che dormite sui marciapiedi, e i primi a cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi che ora avete fame.

Felicitazioni a voi che, a causa della vostra mitezza, vi vedete sistematicamente scavalcati dai più forti o dai più furbi: il Signore non solo non vi scavalca nelle sue graduatorie ma vi assicura i primi posti nella classifica generale dei meriti.

Auguri a tutti voi che state sperimentando l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri: c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi, e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia.

Rallegratevi voi che, in un mondo sporco di doppi sensi e sovraccarico di ambiguità camminate con cuore incontaminato, seguendo una logica che appare spesso in ribasso nella borsa valori della vita terrena ma che sarà un giorno la logica vincente.

Su con la vita voi che, sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile anche sulla terra: non lasciatevi scoraggiare dal sorriso dei benpensanti, perché Dio stesso avalla la vostra testardaggine.

Gioia a voi che prendete batoste da tutte le parti a causa della giustizia: le vostre cicatrici splenderanno un giorno come le stimmate del Risorto!

Perché di essi sarà...

Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.

Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace... siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei "poveri", ci interessa fino a un certo punto.

E neppure ci interessa molto sapere se i poveri "in spirito" siano una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.

Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.

Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta... vengono presentate come partecipazione all'esperienza pasquale di Cristo che, attraverso la morte, è entrato nella gloria.

E allora; se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il Cristo l'archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di risurrezione!

La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo, queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le "chances" della loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera espressiva che non lascia dubbi interpretativi: "...perché di essi sarà..."

Quel "...perché di essi sarà..." rappresenta il titolo giuridico di possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di avere non solo la "legittima" ma l'intero asse patrimoniale del regno. E' un passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno può avere il coraggio di impugnare. E', insomma, il timbro a secco che autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito notarile.

La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte all'eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o, almeno, i poveri dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi.

Insomma, o ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri, o ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri.

Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel "Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".

E' la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello delle beatitudini, che sorregge quell'arcata di impegno che ha la chiave di volta nell'opzione dei poveri.

Beati o benedetti

Veniamo a sapere, dunque, che, come titolo valido per l'usufrutto del regno, esiste un'alternativa al titolo di "povertà": quello della "solidarietà" con i poveri. Diventare, cioè, così solidali con loro da esserne il prolungamento. Fare tutt'uno con loro, così da esserne considerati quasi la protesi.

Se si vuole entrare nel regno della felicità perciò occorre vistare il passaporto o col titolo di "beati" o col titolo di "benedetti".

E' splendida l'esortazione che al termine della messa nuziale viene pronunciata sugli sposi: "Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre".
"Beati... perché di essi sarà...".
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi..."

Non potrà mai dimenticare lo stupore di Mons. Gasparini, vescovo missionario nel Sidamo, quando un giorno, indicandomi un gruppo di bambini etiopi, dagli occhi sgranati per fame, dalle gambe filiformi, devastati dalle mosche sul corpo scheletrito, mi disse quasi sottovoce: "Vedi: che questi bambini siano figli di Dio non mi sorprende più di tanto. E neppure che siano fratelli di Gesù Cristo. Ma ciò che mi sconcerta e mi esalta è che questi poveri siano eredi del paradiso! Sembra un assurdo. Ma è proprio per annunciare quest'assurdo, che sono felice di aver speso tutta la mia vita in mezzo a questa gente". "Beati... perché di essi..."
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi...".

Il Signore ci conceda che, nel mazzo delle carte d'identità racchiuse da quei due pronomi personali, un giorno, col visto d'ingresso, poco importa se con la sigla "beati" o con la sigla "benedetti", egli possa trovare anche la nostra.
E ci riconosca. Alle porte del regno.

beatitudiniregno di Diobeatipovertàsolidarietà

inviato da Qumran2, inserito il 06/08/2009

RACCONTO

57. Il falco pigro   7

Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali

Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato. «E l'altro?» chiese il re.
«Mi dispiace, sire, ma l'altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell'albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo».
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno poté schiodare il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull'albero, giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. «Portatemi l'autore di questo miracolo», ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. «Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?», gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò: «Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare».

Talvolta, Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo a cui siamo tenacemente attaccati, affinché ci rendiamo conto di avere le ali.

Altra Morale. Siamo tutti nati per volare, per sprigionare l'incredibile potenziale che possediamo come esseri umani. Ma a volte ci sediamo sui nostri comodi rami casalinghi, abbarbicati alle cose che per noi sono familiari. Le possibilità sono infinite, ma per molti di noi, rimangono inesplorate. Ci conformiamo alla familiarità, al comfort e all'ordinario. Così per molte persone le vite sono mediocri invece che eccitanti, emozionanti e elettrizzanti.
Quello che è successo al pennuto di questa bellissima storia è ciò che ci succede quando riusciamo ad allontanarsi dalla nosetra cosiddetta "zona di comfort", superando le paure e i limiti che spesso ci tengono bloccati.

vitasofferenzaconoscenza di sévita nuovaricononoscere i propri talenti

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inviato da Qumran2, inserito il 18/07/2009

TESTO

58. La provvidenza

San Giovanni Maria Vianney, Omelia per la II Domenica dopo Pentecoste

Non temiamo mai che la santa Messa comporti ritardi nei nostri affari temporali; succede tutto il contrario: stiamo certi che tutto andrà meglio, e che anzi i nostri affari riusciranno meglio che se avessimo la disgrazia di non assistervi. Eccone un esempio ammirevole. Viene riferito di due artigiani, che esercitavano lo stesso mestiere e che dimoravano nel medesimo borgo, che uno di essi, carico di una grande quantità di bambini, non mancava mai di ascoltare ogni giorno la santa Messa e viveva assai agevolmente con il suo mestiere; mentre l'altro, che pure non aveva bambini, lavorava parte della notte e tutto il giorno, e spesso il santo giorno della domenica, e a mala pena riusciva a vivere. Costui, che vedeva gli affari dell'altro riuscirgli così bene, gli chiese, un giorno che lo incontrò, dove poteva prendere di che mantenere così bene una famiglia tanto grande come la sua, mentre lui, che non aveva che sé e sua moglie, e lavorava senza posa, era spesso sprovvisto di ogni cosa.

L'altro gli rispose che, se voleva, l'indomani gli avrebbe mostrato da dove gli proveniva tutto il suo guadagno. L'altro, molto contento di una così buona notizia, non vedeva l'ora di arrivare all'indomani che doveva insegnargli a fare la sua fortuna. Infatti, l'altro non mancò di andare a prenderlo. Eccolo che parte di buon animo e lo segue con molta fedeltà. L'altro lo condusse fino alla chiesa, dove ascoltarono la santa Messa. Dopo che furono tornati: "Amico, gli disse colui che stava bene a suo agio, torni pure al suo lavoro". Fece altrettanto l'indomani; ma, essendo andato a prenderlo una terza volta per la stessa cosa: «Come? - gli disse l'altro. Se voglio andare alla Messa, conosco la strada, senza che lei si prenda la pena di venirmi a prendere; non è questo che volevo sapere, bensì il luogo dove trova tutto questo bene che la fa vivere così agiatamente; volevo vedere se, facendo come lei, posso trovarvi il mio tornaconto». «Amico, gli rispose l'altro, non conosco altro luogo oltre la chiesa, e nessun altro mezzo fuorché l'ascoltare ogni giorno la santa Messa; e quanto a me, le assicuro che non ho adoperato altri mezzi per avere tutto il bene che la stupisce. Ma lei non ha letto ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo, di cercare anzitutto il regno dei cieli, e che tutto il resto ci sarà dato in soprappiù?».

Forse vi stupisce, fratelli? Me, no. È ciò che vediamo ogni giorno nelle case dove c'è devozione: coloro che vengono spesso alla santa Messa fanno i loro affari molto meglio di quelli ai quali la loro poca fede fa pensare che non ne hanno mai il tempo. Ahimé!, se avessimo riposto tutta la nostra fiducia in Dio, e non contassimo affatto sul nostro lavoro, quanto saremmo più felici di quanto lo siamo!

- Ma, mi direte, se non abbiamo niente, non si dà niente.

- Cosa volete che vi dia il buon Dio, quando non contate che sul vostro lavoro e per niente su di lui? Visto che non vi concedete neanche il tempo per fare le vostre preghiere al mattino né alla sera, e vi accontentate di venire alla santa Messa una volta alla settimana.

Ahimé!, non conoscete le ricchezze della provvidenza del buon Dio per colui che si fida in Lui. Volete una prova evidente? Essa sta dinanzi ai vostri occhi; guardate il vostro pastore e considerate questo. dinanzi al buon Dio.

- Oh!, mi direte, è perché a lei viene dato.

- Ma chi mi dà se non la provvidenza del buon Dio? Ecco dove sono i miei tesori, e non altrove.

provvidenzarapporto con Diointerioritàpreghiera

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney, Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

59. Digiuno, elemosina e preghiera   1

san Giovanni Maria Vianney, Omelia per la VII Domenica dopo Pentecoste

Leggiamo nella Sacra Scrittura che il Signore diceva al suo popolo, parlandogli della necessità di fare delle opere buone per piacergli e per far parte del numero dei santi: «Le cose che vi chiedo non sono al di sopra delle vostre forze; per farle, non è necessario innalzarvi fino alle nubi, né attraversare i mari. Tutto ciò che vi comando è, per così dire, a portata di mano, nel vostro cuore e attorno a voi». Posso ripetere la stessa cosa: è vero, non avremo mai la fortuna di andare in cielo se non facciamo opere buone; ma non ci spaventiamo: ciò che Gesù Cristo ci chiede, non sono cose straordinarie, né al di sopra delle nostre capacità; non chiede a noi di stare tutto il giorno in chiesa, neanche di fare grandi penitenze, cioè fino a rovinare la nostra salute, e neppure di dare tutto il nostro avere ai poveri (benché sia verissimo che siamo obbligati a dare ai poveri quanto possiamo, e che lo dobbiamo fare per piacere a Dio che ce lo comanda e per riscattare i nostri peccati). È pur vero che dobbiamo praticare la mortificazione in molte cose, domare le nostre inclinazioni...

Ma, mi direte voi, ce ne sono più d'uno che non possono digiunare, altri che non possono dare l'elemosina, altri che sono talmente occupati che spesso riescono a stento a fare la loro preghiera al mattino e alla sera; come dunque potranno salvarsi, dal momento che bisogna pregare di continuo e bisogna necessariamente fare opere buone per conquistare il cielo?

Visto che tutte le vostre opere buone si riducono alla preghiera, al digiuno e all'elemosina, potremo fare facilmente tutto questo, come vedrete.

Sì, anche se avessimo una cattiva salute o fossimo addirittura infermi, c'è un digiuno che possiamo facilmente fare. Fossimo pure del tutto poveri, possiamo ancora fare l'elemosina e, per quanto grandi fossero le nostre occupazioni, possiamo pregare il buon Dio senza essere disturbati nei nostri affari, pregare alla sera e al mattino, e persino tutto il giorno. Ed ecco come.

Noi pratichiamo un digiuno che è assai gradito a Dio, ogni volta che ci priviamo di qualche cosa che ci piacerebbe fare, perché il digiuno non consiste tutto nella privazione del bere e del mangiare, ma nella privazione di ciò che riesce gradito al nostro gusto; gli uni possono mortificarsi nel modo di aggiustarsi, gli altri nelle visite che vogliono fare agli amici che hanno piacere di vedere, gli altri, nelle parole e nei discorsi che amano tenere; questi fa un grande digiuno ed è molto gradito a Dio allorché combatte il suo amor proprio, il suo orgoglio, la sua ripugnanza a fare ciò che non ama fare, o stando con persone che contrariano il suo carattere, i suoi modi di agire...

Vi trovate in una occasione nella quale potreste soddisfare la vostra golosità? Invece di farlo, prendete, senza farlo notare, ciò che vi piace di meno... Sì, se volessimo applicarci bene, non soltanto troveremmo di che praticare ogni giorno il digiuno, ma ancora ad ogni momento della giornata.

Ma, ditemi, c'è ancora un digiuno che sia più gradito a Dio del fare e del soffrire con pazienza certe cose che spesso vi sono molto sgradevoli? Senza parlare delle malattie, delle infermità e di tante altre afflizioni che sono inseparabili dalla nostra miserabile vita, quante volte non abbiamo l'occasione di mortificarci, accettando ciò che ci incomoda e ci ripugna? Ora è un lavoro che ci annoia, ora una persona antipatica, altre volte è un'umiliazione che ci costa di sopportare. Ebbene, se accettiamo tutto questo per il buon Dio, e unicamente per piacergli, questi sono i digiuni più graditi a Dio...

Diciamo che c'è una specie d'elemosina che tutti possono fare.

Vedete bene che l'elemosina non consiste soltanto nel nutrire chi ha fame, e nel dare vestiti a chi non ne ha; ma sono tutti i favori che si rendono al prossimo, sia per il corpo, sia per l'anima, quando lo facciamo in spirito di carità. Quando abbiamo poco, ebbene, diamo poco; e quando non abbiamo, diamo in prestito, se lo possiamo. Colui che non può provvedere alle necessità degli ammalati, ebbene, può visitarli, dir loro qualche parola di consolazione, pregare per loro, affinché facciano buon uso della loro malattia. Sì, tutto è grande e prezioso agli occhi di Dio, quando agiamo per un motivo di religione e di carità, perché Gesù Cristo ci dice che un bicchiere d'acqua non rimane senza ricompensa. Vedete dunque che, benché siamo assai poveri, possiamo facilmente fare l'elemosina.

Dico che, per grandi che siano le nostre occupazioni, c'è una specie di preghiera che possiamo fare di continuo, anche senza distoglierci dalle nostre occupazioni, ed ecco come si fa. Consiste, in tutto quello che facciamo, nel non fare altro che la volontà di Dio. Ditemi, vi pare molto difficile lo sforzarsi di fare soltanto la volontà di Dio in tutte le nostre azioni, per quanto piccole esse siano?

digiunaredigiunopreghieraelemosinaquaresima

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inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

60. La morte non esiste   3

don Oreste Benzi, commento a Giobbe per la commemorazione di tutti i fedeli defunti

Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio. Noi lo vedremo, come ci dice Paolo, faccia a faccia, così come Egli è (1Cor 13,12). E si attuerà quella parola che la sapienza dice al capitolo 3: Dio ha creato l'uomo immortale, per l'immortalità, secondo la sua natura l'ha creato. Dentro di noi, quindi, c'è già l'immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell'abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura.

morteimmortalitàrapporto con Diovita eternasperanzaparadiso

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inviato da Federica Cassetta, inserito il 05/06/2009

TESTO

61. Non scoraggiarti

Elisabetta della Trinità, Pensieri, Il passero solitario

Non scoraggiarsi mai. E' più difficile liberarsi dallo scoraggiamento che dal peccato. Non inquietarsi se non si constatano progressi nello stato della propria anima. Spesso Dio permette questo per evitare un sentimento di orgoglio. Egli sa vedere i nostri progressi e contare ogni nostro sforzo.

coraggioforzapeccatoperdonomalesantità

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inviato da Luca, inserito il 05/06/2009

TESTO

62. Sete di risurrezione   1

Mariangela Forabosco

E' arrivata la Primavera ed ogni anno, in natura, si ripete puntuale il miracolo della rinascita, e tutte le creature rinnovano in sé l'energia vitale per dimostrare e donare, ad un mondo distratto ed indifferente, la potenza creatrice e amorosa del Creatore.

Passeggiando in giardino, davanti al mistero di una piccolissima gemma che diventa un turgido bocciolo, quasi geloso di svelare la meraviglia dei suoi petali, mi afferra uno stupore crescente.

C'è un giardino, però, in cui non è necessario aspettare la primavera per vedere realizzati i miracoli della creazione ed è il " cuore dell'uomo".

Dio ha creato l'uomo e la donna per "sete d'amore", perché, essendo lui amore, non poteva fare a meno di amare e di essere amato. Ed ecco il miracolo: uomo e donna, creati a sua immagine, ricevono il suo amore e sono chiamati a diventarne messaggeri e testimoni, per diffonderlo a chi sta loro accanto e al mondo intero.

Le vite che si donano diventano, così, veicolo dell'Amore di Dio e vanno a saziare l'incontenibile e misteriosa sete d'amore delle creature, come un fiore sbocciato e donato sazia la sete di bellezza e di armonia.

L'uomo, però, non ha accolto il dono dell'Amore di Dio, che significa donarsi, perdonarsi, compatirsi, comprendersi, ed ha messo al primo posto l'amore per se stesso e per gli idoli creati dalle sue stesse mani, diventandone schiavo (Salmo 113 B, 4-8). Allora Dio, non potendo fare a meno di amare l'uomo e di essergli fedele, ha giocato l'ultima carta per salvarlo ed è sceso in terra nella Persona del Figlio, Gesù Cristo, facendosi "peccato" ( cfr. 2 Corinzi 5,21 ) lui stesso, Innocente, per liberare l'umanità dal peccato e dalla morte. Gesù, sulla terra, ha camminato con gli uomini ed ha parlato del Padre che è nei Cieli come del "nostro Padre" ( Matteo 6,9 ) che, dalla creazione, non vuole forzare i figli ad amarlo, avendoli resi liberi di accettare o rifiutare il suo amore. Il Padre, però, non smette mai di aspettare che i figli tornino per lasciarsi amare da lui, per poter dire loro parole d'amore e fare festa ( Luca 15, 11-24 )! Gli uomini, ancora una volta, non hanno saputo e voluto rispondere con l'amore alla richiesta d'amore del loro Creatore e così l'hanno ucciso: hanno crocifisso l'amore, pensando di poter togliere di mezzo l'imbarazzante "Rabbì " che parlava di cose troppo scomode per le coscienze: pace, perdono, conversione, riconciliazione, giustizia, dignità umana, strane beatitudini che fanno "vincere" i poveri, gli ultimi, gli affamati, i perseguitati..., amore addirittura per i nemici, misericordia, dono totale di se stessi agli altri fino a perdere la propria vita...
"Il mondo non lo riconobbe" (Giovanni 1,10).

Ognuno di noi c'era, quel venerdì che chiamiamo Santo, sul Calvario, ed ognuno di noi, con la parte del proprio cuore in cui vince l'avidità, la gelosia, l'invidia, la lussuria, il risentimento, la rabbia, ha battuto i chiodi nelle mani e nei piedi dell'Innocente. "Dio è morto", ha scritto qualcuno. Si, Dio è morto facendo suo il peccato e la morte dell'uomo, ma non poteva finire così, con il buio di quel venerdì e col silenzio di quel sabato. Se Dio fosse morto, tutta la creazione sarebbe morta, io sarei morta, la primavera sarebbe morta.

No! Dio ha trascinato in sé la morte e l'ha distrutta, trasformandola in vita, nella sua vita, che è immortale, incorruttibile (Corinzi 15, 20-27, 53-55). Essendo vero uomo, Gesù ha, con la sua Passione, Morte e Risurrezione, innalzato a sé ogni uomo, ogni vita umana (Giovanni 3,14-17) donando ognuno di noi all'abbraccio misericordioso del Padre, che dalla creazione non aspetta altro che ritorniamo a lui, bisognosi del suo perdono e, a nostra volta, capaci di perdonare.

La sete d'amore di Dio lo ha portato a farsi lui stesso creatura, affinché nel cuore dell'uomo si continuasse a compiere il miracolo per cui era stato creato: l'amore vissuto, rinnovato, donato, gratuito, generoso, spassionato, umile, felice, sofferto, offerto, coraggioso, sorridente, radicale, ingenuo, totale.

La capacità di amarsi viene solo da Dio e se ci allontaniamo da lui, nostra unica fonte del vero amore, perdiamo la capacità di amare e accadono le cose che quotidianamente tutti vediamo e di cui ci lamentiamo. "La società va male", diciamo, "è tutta colpa della società...".

No, sono io, siamo noi che abbiamo perso il contatto con la fonte della vera vita, diventando schiavi dei vitelli d'oro che ci siamo costruiti.

L'uomo, però, ha fame d'amore, continua a cercare qualcuno o qualcosa da amare, perché è Dio stesso che ha posto nel nostro cuore il seme del suo amore.

Che fare? Perché non provare a diventare "distributori" consapevoli di amore? Perché abbiamo così tanta paura di amare? Perché temiamo di assecondare il nostro bisogno di Risurrezione? Perché non ci opponiamo alla tentazione di seguire la corrente, che ci invita a privilegiare i pensieri e le scelte di morte?

Noi cristiani siamo tali perché crediamo in Cristo, il Vivente, il Risorto, Colui grazie al quale siamo destinati, a nostra volta, ad essere eternamente viventi e risorti: perché, allora, non scegliere di vivere secondo la Sua Parola, che è Parola di vita eterna? (Giovanni 6, 67-69)

Se i genitori, ad esempio, avessero il coraggio di raccontare ai loro figli le meraviglie che ogni giorno compie in noi l'Amore di Dio, se vivessero la Risurrezione nelle scelte di vita quotidiane, se trasmettessero loro la Speranza che deriva dalla Risurrezione di Cristo, allora ogni giorno sarebbe Pasqua, ogni giorno l'amore vincerebbe e non saremmo sconvolti da tante notizie che parlano di delitti in famiglia, di ragazzi che filmano violenze sui coetanei più deboli, di famiglie distrutte da odi e rancori, di stragi del sabato sera...L'elenco non finirebbe mai, ma io propongo che ognuno di noi, nel suo piccolo, anziché soffermarsi sulle cose negative, faccia l'elenco di tutte le cose belle che ogni giorno ci vengono donate. Cerchiamo poi di arricchire l'elenco con le cose belle, dettate dall'amore, che nel nostro quotidiano possiamo fare. Facciamo crescere, nel giardino del nostro cuore, la parte divina che Dio ha preso da sé e ci ha donato.

Scegliamo consapevolmente di soddisfare la nostra "sete di Risurrezione", affinché il Signore, nostro Dio, possa dirci parole di bene e d'Amore per l'eternità.

risurrezioneamoreparolafamiglia

inviato da Mariangela Forabosco, inserito il 02/06/2009

TESTO

63. Mia madre

card. Joseph Mindszenty, Memorie

Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario, della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella soglia...».

Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di segregazione in carcere.

Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.

Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre: l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè vedere gli altri quattro.

Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.

Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero sofferto.

Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.

In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro; la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso la patria.

In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.

Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.

Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.

Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.

Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che verosimilmente non vedrò mai.

Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.

affetto filialematernità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristiano Ballan, inserito il 02/06/2009

TESTO

64. Il mio Dio è sconcertante

Gemella

Il mio Dio è sconcertante:
è intimo ed è trascendente,
è dolce e violento,
è eterno e nasce sempre.

Ci crea per la felicità ma conosciamo il dolore.
Benedice ciò che tanti temono
ama quello che tanti disprezzano,
chiede ciò che sembra impossibile.

È venuto a portare la guerra ed è pacifico.
È Dio e uomo.
Maledice le ingiustizie e sopporta gli ingiusti.

È Padre Onnipotente e il dolore continua a torturare la terra.
Esige che conquistiamo il mondo, immergendoci in esso,
che amiamo tutto quanto è umano e ci vuole proiettati nell'Aldilà.

Chiede la santità per tutti e sceglie a capo della sua Chiesa l'apostolo che lo rinnegò.

Predilige i deboli e i poveri
e sono quelli che continuano a soffrire di più.
Imprime la sua legge in ogni circostanza
e fonda una Chiesa che viene a conflitto a volte con questo grido interiore della coscienza.

È sempre presentee nessuno può vedere il suo volto.
Chi ama l'uomo, ama lui, eppure continua a esser l'Unico.

È tutta la nostra vita e non ha nome.
Quanto più ti avvicini a lui, quanto più lo ami, meno lo capisci razionalmente.

È libertà ed è venuto a obbedire.
È amore, ma esiste l'inferno.

È il cuore della storia:
non cade un capello senza la sua complicità,
eppure milioni di uomini sentono la terra vuota di lui e lo
considerano superfluo.

È allegria e dolore insieme.
È il santo e amico dei peccatori,
è il vergine e permise che le prostitute lo amassero,
andò contro i ricchi ma mangiava con loro.

È difficile il mio Dio sconcertante per l'uomo che vuole misurarlo in tutto, per quanti vorrebbero imporgli una logica.
Ma il mio Dio sfugge a tutte le logiche e alle nostre misure.

Il mio Dio è così:
meraviglioso e ineffabile, unico e sconcertante.
È l'Essere ed è movimento, è ciò che era e quello che sarà.
E tutto e niente esiste senza di lui.
Il mio Dio è sconcertante:
è colui in cui si crede senza vederlo,
che si ama senza toccarlo,
in cui si spera senza sentirlo,
si possiede senza meritarlo.

bellezzaamoreDio

inviato da Francesco, inserito il 02/06/2009

TESTO

65. Lettera sulla preghiera   7

Bruno Forte, Messaggio per la Quaresima 2007

Mi chiedi: perché pregare? Ti rispondo: per vivere.

Sì: per vivere veramente, bisogna pregare. Perché? Perché vivere è amare: una vita senza amore non è vita. È solitudine vuota, è prigione e tristezza. Vive veramente solo chi ama: e ama solo chi si sente amato, raggiunto e trasformato dall'amore. Come la pianta che non fa sbocciare il suo frutto se non è raggiunta dai raggi del sole, così il cuore umano non si schiude alla vita vera e piena se non è toccato dall'amore. Ora, l'amore nasce dall'incontro e vive dell'incontro con l'amore di Dio, il più grande e vero di tutti gli amori possibili, anzi l'amore al di là di ogni nostra definizione e di ogni nostra possibilità. Pregando, ci si lascia amare da Dio e si nasce all'amore, sempre di nuovo. Perciò, chi prega vive, nel tempo e per l'eternità. E chi non prega? Chi non prega è a rischio di morire dentro, perché gli mancherà prima o poi l'aria per respirare, il calore per vivere, la luce per vedere, il nutrimento per crescere e la gioia per dare un senso alla vita.

Mi dici: ma io non so pregare! Mi chiedi: come pregare? Ti rispondo: comincia a dare un po' del tuo tempo a Dio. All'inizio, l'importante non sarà che questo tempo sia tanto, ma che Tu glielo dia fedelmente. Fissa tu stesso un tempo da dare ogni giorno al Signore, e daglielo fedelmente, ogni giorno, quando senti di farlo e quando non lo senti. Cerca un luogo tranquillo, dove se possibile ci sia qualche segno che richiami la presenza di Dio (una croce, un'icona, la Bibbia, il Tabernacolo con la Presenza eucaristica...). Raccogliti in silenzio: invoca lo Spirito Santo, perché sia Lui a gridare in te "Abbà, Padre!". Porta a Dio il tuo cuore, anche se è in tumulto: non aver paura di dirGli tutto, non solo le tue difficoltà e il tuo dolore, il tuo peccato e la tua incredulità, ma anche la tua ribellione e la tua protesta, se le senti dentro.

Tutto questo, mettilo nelle mani di Dio: ricorda che Dio è Padre - Madre nell'amore, che tutto accoglie, tutto perdona, tutto illumina, tutto salva. Ascolta il Suo Silenzio: non pretendere di avere subito le risposte. Persevera. Come il profeta Elia, cammina nel deserto verso il monte di Dio: e quando ti sarai avvicinato a Lui, non cercarlo nel vento, nel terremoto o nel fuoco, in segni di forza o di grandezza, ma nella voce del silenzio sottile (cf. 1 Re 19,12). Non pretendere di afferrare Dio, ma lascia che Lui passi nella tua vita e nel tuo cuore, ti tocchi l'anima, e si faccia contemplare da te anche solo di spalle.

Ascolta la voce del Suo Silenzio. Ascolta la Sua Parola di vita: apri la Bibbia, meditala con amore, lascia che la parola di Gesù parli al cuore del tuo cuore; leggi i Salmi, dove troverai espresso tutto ciò che vorresti dire a Dio; ascolta gli apostoli e i profeti; innamorati delle storie dei Patriarchi e del popolo eletto e della chiesa nascente, dove incontrerai l'esperienza della vita vissuta nell'orizzonte dell'alleanza con Dio. E quando avrai ascoltato la Parola di Dio, cammina ancora a lungo nei sentieri del silenzio, lasciando che sia lo Spirito a unirti a Cristo, Parola eterna del Padre. Lascia che sia Dio Padre a plasmarti con tutte e due le Sue mani, il Verbo e lo Spirito Santo.

All'inizio, potrà sembrarti che il tempo per tutto questo sia troppo lungo, che non passi mai: persevera con umiltà, dando a Dio tutto il tempo che riesci a darGli, mai meno, però, di quanto hai stabilito di poterGli dare ogni giorno. Vedrai che di appuntamento in appuntamento la tua fedeltà sarà premiata, e ti accorgerai che piano piano il gusto della preghiera crescerà in te, e quello che all'inizio ti sembrava irraggiungibile, diventerà sempre più facile e bello. Capirai allora che ciò che conta non è avere risposte, ma mettersi a disposizione di Dio: e vedrai che quanto porterai nella preghiera sarà poco a poco trasfigurato.

Così, quando verrai a pregare col cuore in tumulto, se persevererai, ti accorgerai che dopo aver a lungo pregato non avrai trovato risposte alle tue domande, ma le stesse domande si saranno sciolte come neve al sole e nel tuo cuore entrerà una grande pace: la pace di essere nelle mani di Dio e di lasciarti condurre docilmente da Lui, dove Lui ha preparato per te. Allora, il tuo cuore fatto nuovo potrà cantare il cantico nuovo, e il "Magnificat" di Maria uscirà spontaneamente dalla tue labbra e sarà cantato dall'eloquenza silenziosa delle tue opere.

Sappi, tuttavia, che non mancheranno in tutto questo le difficoltà: a volte, non riuscirai a far tacere il chiasso che è intorno a te e in te; a volte sentirai la fatica o perfino il disgusto di metterti a pregare; a volte, la tua sensibilità scalpiterà, e qualunque atto ti sembrerà preferibile allo stare in preghiera davanti a Dio, a tempo "perso". Sentirai, infine, le tentazioni del Maligno, che cercherà in tutti i modi di separarti dal Signore, allontanandoti dalla preghiera. Non temere: le stesse prove che tu vivi le hanno vissute i santi prima di te, e spesso molto più pesanti delle tue. Tu continua solo ad avere fede. Persevera, resisti e ricorda che l'unica cosa che possiamo veramente dare a Dio è la prova della nostra fedeltà. Con la perseveranza salverai la tua preghiera, e la tua vita.

Verrà l'ora della "notte oscura", in cui tutto ti sembrerà arido e perfino assurdo nelle cose di Dio: non temere. È quella l'ora in cui a lottare con te è Dio stesso: rimuovi da te ogni peccato, con la confessione umile e sincera delle tue colpe e il perdono sacramentale; dona a Dio ancor più del tuo tempo; e lascia che la notte dei sensi e dello spirito diventi per te l'ora della partecipazione alla passione del Signore. A quel punto, sarà Gesù stesso a portare la tua croce e a condurti con sé verso la gioia di Pasqua. Non ti stupirai, allora, di considerare perfino amabile quella notte, perché la vedrai trasformata per te in notte d'amore, inondata dalla gioia della presenza dell'Amato, ripiena del profumo di Cristo, luminosa della luce di Pasqua.

Non avere paura, dunque, delle prove e delle difficoltà nella preghiera: ricorda solo che Dio è fedele e non ti darà mai una prova senza darti la via d'uscita e non ti esporrà mai a una tentazione senza darti la forza per sopportarla e vincerla. Lasciati amare da Dio: come una goccia d'acqua che evapora sotto i raggi del sole e sale in alto e ritorna alla terra come pioggia feconda o rugiada consolatrice, così lascia che tutto il tuo essere sia lavorato da Dio, plasmato dall'amore dei Tre, assorbito in Loro e restituito alla storia come dono fecondo. Lascia che la preghiera faccia crescere in te la libertà da ogni paura, il coraggio e l'audacia dell'amore, la fedeltà alle persone che Dio ti ha affidato e alle situazioni in cui ti ha messo, senza cercare evasioni o consolazioni a buon mercato. Impara, pregando, a vivere la pazienza di attendere i tempi di Dio, che non sono i nostri tempi, ed a seguire le vie di Dio, che tanto spesso non sono le nostre vie.

Un dono particolare che la fedeltà nella preghiera ti darà è l'amore agli altri e il senso della chiesa: più preghi, più sentirai misericordia per tutti, più vorrai aiutare chi soffre, più avrai fame e sete di giustizia per tutti, specie per i più poveri e deboli, più accetterai di farti carico del peccato altrui per completare in te ciò che manca alla passione di Cristo a vantaggio del Suo corpo, la chiesa. Pregando, sentirai come è bello essere nella barca di Pietro, solidale con tutti, docile alla guida dei pastori, sostenuto dalla preghiera di tutti, pronto a servire gli altri con gratuità, senza nulla chiedere in cambio. Pregando sentirai crescere in te la passione per l'unità del corpo di Cristo e di tutta la famiglia umana. La preghiera è la scuola dell'amore, perché è in essa che puoi riconoscerti infinitamente amato e nascere sempre di nuovo alla generosità che prende l'iniziativa del perdono e del dono senza calcolo, al di là di ogni misura di stanchezza.

Pregando, s'impara a pregare, e si gustano i frutti dello Spirito che fanno vera e bella la vita: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Pregando, si diventa amore, e la vita acquista il senso e la bellezza per cui è stata voluta da Dio. Pregando, si avverte sempre più l'urgenza di portare il Vangelo a tutti, fino agli estremi confini della terra. Pregando, si scoprono gli infiniti doni dell'Amato e si impara sempre di più a rendere grazie a Lui in ogni cosa. Pregando, si vive. Pregando, si ama. Pregando, si loda. E la lode è la gioia e la pace più grande del nostro cuore inquieto, nel tempo e per l'eternità.

Se dovessi, allora, augurarti il dono più bello, se volessi chiederlo per te a Dio, non esiterei a domandarGli il dono della preghiera. Glielo chiedo: e tu non esitare a chiederlo a Dio per me. E per te. La pace del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con te. E tu in loro: perché pregando entrerai nel cuore di Dio, nascosto con Cristo in Lui, avvolto dal Loro amore eterno, fedele e sempre nuovo. Ormai lo sai: chi prega con Gesù e in Lui, chi prega Gesù o il Padre di Gesù o invoca il Suo Spirito, non prega un Dio generico e lontano, ma prega in Dio, nello Spirito, per il Figlio il Padre. E dal Padre, per mezzo di Gesù, nel soffio divino dello Spirito, riceverà ogni dono perfetto, a lui adatto e per lui da sempre preparato e desiderato. Il dono che ci aspetta. Che ti aspetta.

preghierapregare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 30/04/2009

TESTO

66. Un pieno di gioia (Messaggio in occasione dell'inizio della Quaresima - 22 febbraio 1993)   1

Tonino Bello

Carissimi,

incomincia il periodo dell'anno più ricco di grazia, che dal Mercoledì delle Ceneri ci porta alla Pasqua della Resurrezione. Dovrebbe essere l'identikit del nostro itinerario cristiano.

Si parte con l'anima piena di rimorsi, di peccati e di stanchezza e si giunge nell'estuario della luce e della speranza. Perché tutti sappiamo che il dolore, la morte, la malattia non sono stagioni permanenti della vita, ma sono passaggi che ci introducono nella gioia che non ha tramonti.

La mia esortazione quindi, di amico e di vescovo, è che affrontiate sin dall'inizio, con animo deciso al cambiamento, questo tempo di salvezza.

Perché non progettate un po' di digiuno, un po' di preghiera in più, semplice e autentica che vi metta in rapporto vero con Dio? Gli altri atteggiamenti penitenziali propri della quaresima potrebbero esprimersi rinnovando i rapporti con le persone, riscoprendone il volto, facendo la pace. Tutto il resto è chiacchiera.

Un capitale grossissimo da investire sul versante della nostra crescita comunitaria è quello che ci viene offerto dai nostri sofferenti.

Sabato prossimo celebreremo la giornata Diocesana dell'ammalato. E io mi rivolgo a voi, protagonisti del mistero della sofferenza, perché facciate un grande offertorio della vostra povertà. Siamo in tanti. Stavolta ci sono in mezzo anch'io e guiderò il popolo della sofferenza davanti al Signore perché egli dia prosperità e pace alla nostra città.

E ora desidero rivolgermi ai giovani. Ogni anno in quaresima abbiamo vissuto nelle nostre cattedrali incontri carichi di forza e di entusiasmo. Anche quest'anno, nonostante la mia non presenza fisica, v'incontrerete ugualmente guidati da persone che hanno fatto esperienza di Cristo. Sono certo che il bisogno di vedere il volto di Dio e ascoltarne il messaggio, prevalga su tutte le altre gratificazioni di amicizia, d'incontro, di tenerezza, di festa che permeano questi nostri raduni settimanali. Comunque, cari giovani, un affettuosissimo saluto ed un augurio per tutte le cose belle, i progetti, gli affetti che coltivate nel cuore.

Per tutti voi, carissimi fedeli, il Signore faccia il pieno già in anticipo della gioia che si sprigionerà dagli otri della Pasqua.

quaresimamercoledì delle cenericonversione

inviato da Sandra Aral, inserito il 12/03/2009

RACCONTO

67. L'alpinista   3

Si racconta che un alpinista, dopo lunghi anni di preparazione, decise di realizzare il suo sogno e di scalare una montagna molto alta. Volendo tutta la gloria per sé, decise di andarci da solo.

Le ore passarono in fretta e l'oscurità lo sorprese. Non avendo il necessario per accamparsi, decise di proseguire la scalata. Il buio gli impediva di vedere il proprio sentiero. Le nuvole nascondevano la luna e le stelle.

Aveva quasi raggiunto la vetta quando l'inevitabile capitò. Perse l'appoggio e cadde nel vuoto. Ebbe giusto il tempo di vedere delle macchie scure e si sentì inghiottito dall'abisso.

I principali avvenimenti della sua vita sfilarono altrettanto velocemente davanti ai suoi occhi.

Sentiva la morte avvicinarsi quando un violento colpo sembrò quasi squarciargli il ventre: aveva raggiunto la fine della corda di cui aveva fissato un'estremità nella roccia... e l'ancoraggio aveva fortunatamente resistito.

Riprese fiato e si rese conto di essere ancora lì, sospeso nel buio e nel silenzio assoluti. Ormai disperato, urlò:
- Dio mio, aiutami!!!
Immediatamente, una voce grave e profonda penetrò il silenzio:
- Che vuoi che faccia?
- Salvami, mio Dio!!!
- Credi veramente che io possa salvarti?
- Certamente, Signore!!!
- Se è così, taglia la corda che ti mantiene!!!

Ebbe un momento di esitazione, poi l'uomo si attaccò con maggiore disperazione alla corda. Il gruppo di salvataggio racconta che l'indomani trovarono l'alpinista morto. Il freddo l'aveva invaso e tra le sue mani indurite egli teneva ancora, disperatamente, la corda... a soli due metri dal suolo!!!

E tu, avresti tagliato la corda?
Nella vita, dobbiamo prendere decisioni che mettono alla prova la nostra fede.
E tu? Tu che conti tanto sulle tue corde... Accetteresti di tagliarle?
Tutti i giorni dobbiamo ravvivare la nostra fede e fare nostra, la preghiera di Isaia: "Il Signore nostro Dio ci tiene per mano e ci dice: non temere. Io sono con te."

fiducia in Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Mela, inserito il 05/02/2009

TESTO

68. Il primo presepe

Johann Jorgensen

La santa sera tutto era pronto, a Greccio, come frate Francesco aveva desiderato; verso l'ora di mezzanotte, tutto il popolo di quei pressi era convenuto intorno al presepe per festeggiare la nascita del Signore. Come ci racconta Tomaso da Celano: «Greccio era diventata una nuova Betlemme; la foresta risuonava di voci melodiose e le rocce echeggiavano ai canti della folla». Ognuno portava torce accese, mentre, vicino al presepe, stavano i frati coi loro ceri; tanto che i boschi erano rischiarati come fosse pieno giorno. Sulla mangiatoia che serviva d'altare, un prete lesse la messa, perché il divino fanciullo fosse presente, sotto le specie del pane e del vino, al modo stesso che lo era stato corporalmente a Betlemme. Ci fu pure un istante in cui Giovanni Vellita ebbe l'impressione di vedere un vero bambino coricato nella mangiatoia, ma che sembrava morto, o, per lo meno, addormentato. Ed ecco che frate Francesco si avvicina al bambino e lo prende teneramente tra le braccia; ed ecco che anche il bambino si sveglia, sorride a frate Francesco, e, con le sue piccole mani, gli accarezza le guance barbute e la stoffa grigia della sottana! Visione che, del resto, non aveva nulla di stupefacente per messer Vellita: poiché egli conosceva già parecchi cuori, in cui, allo stesso modo, Gesù era stato morto, o per lo meno addormentato, fino al giorno in cui frate Francesco, con la sua parola e il suo esempio, non l'aveva risvegliato e risuscitato.

Dopo la lettura del Vangelo, frate Francesco, in veste di diacono, si avanzò verso la folla. «Sospirando profondamente, ci dice Celano, accasciato sotto la pienezza della sua pietà, e traboccante di meravigliosa gioia, il santo di Dio si drizzò presso la mangiatoia. E la sua voce, la sua voce forte e dolce, la sua voce chiara e sonora, trascinò gli uditori a ricercare il bene supremo».

Frate Francesco predica alla folla. «Con parole d'una dolcezza squisita, parla del povero re nato quella notte che è il Signore Gesù, nella città di David. E, ogni volta che vuole pronunciare il nome di Gesù, ecco che egli è tutto arso dal fuoco del suo amore, e che, invece di dirgli questo nome, lo chiama teneramente il Bambino di Betlemme! E, questa parola Betlemme, la dice col tono d'un agnello belante; e quando ha proferito il nome di Gesù, lascia scivolare la lingua sulle labbra, come per assaporare la dolcezza che quel nome ha sparso dietro di sé, passando su quelle labbra. E non fu che molto tardi che terminò quella santa notte di vigilia, e che ciascuno, con il cuore pieno di gioia, se ne ritornò alla sua casa».

«In seguito, questo luogo, dove era stato piantato il presepe, fu consacrato al Signore con l'erezione di un tempio; e sopra la mangiatoia fu alzato un altare in onore del nostro beato Padre Francesco: così che, là dove poco prima le bestie senza ragione mangiavano il fieno dalla greppia, oggi gli uomini, per la salute delle loro anime e del loro corpo, ricevono l'Agnello immacolato, Nostro Signore Gesù Cristo, che, spinto da ineffabile amore, ha dato la sua carne per la vita del mondo, e che, col Padre e lo Spirito Santo, vive e regna in somma grandezza per tutti i secoli dei secoli. Così sia!».

natalepresepepresepioSan Francesco

inviato da Franco Canzian, inserito il 19/12/2007

PREGHIERA

69. Guidaci verso di Te!

Giovanni di Dalyatha, Qiqajon

Gloria all'abbondanza del tuo inenarrabile amore!
La tua porta è aperta, Signore, ma nessuno entra
la tua gloria è manifesta, ma nessuno vi fissa gli occhi
la tua luce è sorta nelle pupille, ma non vogliamo vedere
la tua mano è tesa a dare, ma nessuno prende
tu inciti tramite seduzioni, ma non acconsentiamo
tu sbalordisci con cose terribili miste a misericordia,
ma noi non accorriamo a te.
Dio nostro, buono, abbi pietà della nostra miseria.
Creatore nostro, dolce, fascia le nostre ferite.
Padre nostro, ripieno di clemenza, persuaditi
a costringerci ad avvicinarci a te,
visto che noi non vogliamo persuaderti.
Fa' uscire, Signore, la nostra anima,
dalla prigione nella quale ci siamo rinchiusi,
verso la vera luce, anche se noi non vogliamo.
Prevalga su di noi, Signore, la tua forza
e ci faccia uscire dal torpore al quale siamo inclini.
Alza, Signore, da davanti ai nostri occhi
tutti i veli dei quali è coperta la vista della nostra anima,
che le impediscono di vedere la tua vera luce.
Che in essa, continuamente senza interruzione,
siamo spogliati, con i volti scoperti
e restiamo nel desiderio di lui
e nella dolcezza della sua bellezza per i secoli dei secoli. Amen.

libertàsequelarapporto con Dioconversionepigriziaaccidia

inviato da Chiara, inserito il 11/11/2007

TESTO

70. Negli occhi dei bambini, lo sguardo di Dio   1

Gianni Fanzolato

Dio ha donato i suoi occhi all'uomo,
perché potessimo vedere l'anima dentro:
finestre trasparenti spalancate all'infinito,
specchio terso e lucente dell'interiorità.

Glo occhi che conservano la freschezza delle origini
riflettono luce, irradiano lampi di gioia, riflettono Dio.
Ecco perché gli occhi non invecchiano mai.

E' bello riposare in uno sguardo di fanciullo:
parlano con quegli occhi magici ed incantati.
Sono un libro aperto i loro occhioni di madreperla:
ti parlano con la vivacità del lampo e il crepitio delle faville
di un mondo fantastico, di stupore, di giochi inventati.

Gridano con l'esuberanza dei colori dell'iride
che la vita è un arcobaleno di delizie, uno scrigno di tesori.
Sono i loro occhi che ci regalano voli di gabbiani e aquiloni,
e tramonti dipinti da variopinti colori
e danze di rondini e di farfalle che ricamano il cielo a festa.

La loro trasparenza travalica spazio e tempo e sei nella pace:
nel loro sguardo profondo si disegna il mondo beato della quiete.
Sono quegli sprazzi di innocente furbizia nelle pupille
a togliere il malumore e a far ritornare il sereno nell'anima.

Gli occhi di chi è bambino nel cuore e nella mente
spalancano i cieli, sciolgono le nubi cariche di presagi,
fanno vibrare un caldo sole che ti avvolge ed accarezza,
e ti contagiano di quella pace che cerchi in ogni dove.

Sì, nella lucentezza degli occhi bambini ed incantati
scorgi come d'incanto gli stessi occhi di Dio che ti vuole bene.

bambinisemplicità

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 18/08/2007

PREGHIERA

71. O Dio, che sei amato   1

S. Agostino

O Dio, che sei amato da ogni essere che può amare,
ne sia esso cosciente o no;
o Dio, che abbandonare è andare in rovina,
a cui tendere è amare, che vedere è possedere;
o Dio, al quale ci stimola la fede,
ci innalza la speranza, ci unisce la carità:
ormai io te solo amo, te solo seguo,
te solo cerco
e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto,
poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio
e io desidero essere di tuo diritto.
Comanda e ordina ciò che vuoi, ti prego,
ma guarisci e apri le mie orecchie
affinché possa udire la tua voce.
Guarisci e apri i miei occhi
affinché possa vedere i tuoi cenni.
Allontana da me i movimenti irragionevoli
affinché possa riconoscerti.
Dimmi da che parte devo guardare
affinché ti veda,
e spero di poter eseguire tutto ciò che mi comanderai.
Riammetti, ti prego, il tuo schiavo fuggito, o Signore e Padre clementissimo.

rapporto con Diopentimentoconversione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/10/2006

RACCONTO

72. Credere senza vedere   3

Un imperatore disse al rabbino Yeoshua Ben Hanania: «Vorrei tanto vedere il vostro Dio.»
«È impossibile», rispose il rabbino.
«Impossibile? Allora, come posso affidare la mia vita a qualcuno che non posso vedere
«Mostratemi la tasca dove avete riposto l'amore per vostra moglie. E lasciate che io lo pesi, per vedere se è grande.»
«Non siate sciocco. Nessuno può serbare l'amore in una tasca», rispose l'imperatore.
«Il sole è soltanto una delle opere che il Signore ha messo nell'universo, eppure non potete vederlo bene. Tanto meno potete vedere l'amore, ma sapete di essere capace di innamorarvi di una donna e di affidarle la vostra vita. Non vi sembra evidente che esistono alcune cose nelle quali confidiamo anche senza vederle?»

fedecredereinterioritàesterioritàDio

3.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 06/10/2006

TESTO

73. L'uccellino e il sole divino

S. Teresa di Lisieux, Storia di un'anima

Gesù, Gesù, se è tanto delizioso il desiderio di amarti, che sarà possederti, godere del tuo amore?

In qual modo può, un'anima imperfetta quanto la mia, aspirare a possedere la pienezza dell'Amore? Gesù, mio primo, mio solo Amico, tu che amo unicamente, dimmi, quale mistero è questo? Perché non riservi queste aspirazioni immense alle anime grandi, alle aquile che roteano altissime? Io mi considero come un uccellino debole, coperto di un po' di piuma lieve; non sono un'aquila, ho dell'aquila soltanto gli occhi e il cuore perché, nonostante la mia piccolezza estrema, oso fissare il Sole divino, il Sole dell'Amore, e il mio cuore prova tutte le aspirazioni dell'aquila... L'uccellino vorrebbe volare verso quel Sole che affascina gli occhi, vorrebbe imitare le aquile, sue sorelle che vede elevarsi fino alla divina dimora della santissima Trinità... Ahimé! Tutto quello che può fare, è sollevare le sue alucce, ma volar via, questo non è nelle sue piccole possibilità. Che ne sarà di lui? Morirà di dolore vedendosi così impotente? No! L'uccellino non se ne affliggerà nemmeno. Con un abbandono audace vuol fissare ancora il suo Sole divino: niente gli fa paura, né vento, né pioggia, e se le nuvole pesanti nascondono l'Astro d'amore, l'uccellino non cambia posto, sa che di là dalle nubi il Sole splende sempre, che la sua luce non si offuscherà nemmeno per un attimo.

In certi momenti il suo cuore si trova assalito dalla tempesta, gli pare che non esistano altre cose se non le nubi che lo circondano; e allora è il momento della gioia perfetta per il povero esserino debole. Che felicità per lui restare lì ugualmente, e fissare la luce invisibile la quale si nasconde alla sua fede! Gesù, fino da ora capisco il tuo amore per l'uccellino, perché non si allontana da te... Ma io lo so, e tu lo sai, spesso questo cosino minimo e imperfetto, pur rimanendo al suo posto (cioè sotto i raggi del Sole), si lascia distrarre un poco dalla sua occupazione unica, becca un granellino di qua o di là, corre dietro a un vermiciattolo... Poi, trovando una pozzanghera, si bagna le piume appena spuntate, vede un fiore che gli piace, allora la sua piccola testa si occupa di quel fiore... e poi, non potendo planare come le aquile, il povero uccellino s'interessa ancora alle piccolezze della terra. Tuttavia, dopo questi malestri, invece di andare a nascondersi in un angolino per piangere la sua miseria e morir di pentimento, l'uccellino si volge verso il Sole amato, presenta ai raggi benefici le alucce bagnate, geme come la rondine, e con un canto dolce racconta tutti i particolari della sua infedeltà, pensando nel suo abbandono temerario di acquistare così maggior diritto, attirare più pienamente l'amore di Colui che non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori.

Se l'Astro adorato rimane sordo al lamento cinguettato della sua creaturina, se rimane velato, ebbene, la creaturina resta bagnata, accetta di essere intirizzita di freddo, e si rallegra ancora di questa sofferenza che ha pur mentata... Gesù, com'è felice il tuo uccellino di essere debole e piccolo. Oh, che sarebbe di lui se fosse grande? Mai avrebbe l'audacia di comparire alla tua presenza, di sonnecchiare dinanzi a te... Si, ecco un'altra debolezza dell'uccellino: quando vuoi fissare il Sole divino e le nuvole gli impediscono di vedere anche un solo raggio, nonostante la sua buona volontà gli occhi gli si chiudono, la testolina si nasconde sotto l'ala, e il povero esserino si addormenta, credendo di fissar sempre il suo Astro amato. Quando si desta, non si cruccia; il suo cuoricino rimane in pace, ricomincia il suo ufficio d'amore, invoca gli Angeli e i Santi i quali s'innalzano come aquile verso il fuoco divorante oggetto della sua brama, e le aquile, impietosite, proteggono il fratellino, e mettono in fuga gli avvoltoi che vorrebbero divorarlo.

Gli avvoltoi, immagini dei demoni, l'uccellino non li teme, non è destinato a diventar la loro preda, bensì sarà preda dell'Aquila che egli contempla nel centro del Sole d'amore. O Verbo divino, tu sei l'Aquila adorata, io ti amo. Tu mi attiri, sei tu che, slanciandoti verso la terra dell'esilio, hai voluto soffrire e morire per attirare le anime fino al seno dell'intimità eterna della Santissima Trinità, sei tu che, risalendo verso la Luce inaccessibile ove soggiornerai sempre, resti pur sempre nella valle delle lacrime, nascosto entro l'aspetto di un'Ostia bianca... Aquila eterna, tu vuoi nutrire della tua sostanza divina me, povero esserino che rientrerei nel nulla se il tuo sguardo divino non mi desse la vita minuto per minuto. Oh, Gesù, lasciami dire, nell'eccesso della mia riconoscenza, lasciami dire che il tuo amore arriva fino alla follia... Come vuoi che, dinanzi a questa follia, il mio cuore non si slanci verso te? Come potrebbe aver limiti la mia fiducia? Per te, lo so, i Santi hanno fatto anch'essi delle follie, hanno fatto grandi cose perché erano aquile.

Gesù, sono troppo piccola per fare cose grandi, e la follia mia è sperare che il tuo Amore mi accolga come vittima! La mia follia consiste nel supplicare le aquile, sorelle mie, perché mi ottengano la grazia di volare verso il Sole dell'Amore con le ali stesse dell'Aquila divina... Così, per quanto tempo tu lo vorrai, o mio Amato, il tuo uccellino rimarrà senza forza e senza ali; terrà sempre fissi in te gli occhi; vuole essere affascinato dal tuo sguardo divino, vuol diventare preda del tuo Amore... Un giorno, oso sperare, Aquila adorata, verrai in cerca del tuo uccellino, e risalendo con lui al focolare dell'Amore, lo immergerai per l'eternità nell'abisso ardente di quell'Amore al quale egli si è offerto come vittima...

O Gesù, perché non posso dire a tutte le piccole anime quanto ineffabile è la tua condiscendenza... Sento che se, cosa impossibile, tu trovassi un'anima più debole, più piccola della mia, ti compiaceresti di colmarla con favori anche più grandi, se si abbandonasse con fiducia completa alla tua misericordia infinita. Ma perché desiderare di comunicare i tuoi segreti d'amore, Gesù, non sei tu solo che me li hai insegnati, e non puoi forse rivelarti ad altri? Sì, lo so, e ti scongiuro di farlo, ti supplico di abbassare il tuo sguardo divino sopra un gran numero di piccole anime... Ti supplico di scegliere una Legione di piccole vittime degne del tuo Amore....

abbandono in Diorapporto con Dio

inviato da Debora Cavallone, inserito il 14/07/2006

TESTO

74. Convertirsi

Paolo Spoladore

Smetti di assaggiare gli altri e gli eventi, per vedere se ti piacciono o meno, se sono buoni o cattivi, smetti di giudicare se sei o non sei sufficientemente al centro della loro attenzione. Assaggia te stesso, e cambia, in nome di Dio, la tua vita.

conversione

inviato da Cristina Griotti, inserito il 23/05/2006

TESTO

75. L'apostolato dei laici   1

Charles de Foucauld

E' certo che accanto ai preti ci vogliono delle Priscilla e degli Aquila che vedano quello che il prete non vede, arrivino dove il prete non può arrivare, vadano da chi lo evita, evangelizzino, con un contatto benefico, una bontà che si riversi su tutti, un affetto sempre pronto a donarsi, un buon esempio che attiri quanti girano le spalle al prete e gli sono ostili. Essere apostoli con quali mezzi? Con quelli che Dio mette a sua disposizione. (...) I laici devono essere apostoli con tutti coloro che possono raggiungere: i vicini e gli amici anzitutto, ma non soltanto loro, perché la carità non ha confini, abbraccia tutti quelli che abbraccia il cuore di Gesù.

Con quali mezzi? Con i migliori secondo quelli ai quali si rivolgono: con tutti quelli con cui sono in rapporto, senza eccezione, con la bontà, la tenerezza, l'affetto fraterno, l'esempio delle virtù, con l'umiltà e la dolcezza che sempre attraggono e sono così cristiane; con alcuni senza mai dir loro una parola su Dio e la religione, pazientando come pazienta Dio, essendo buoni com'è buono Dio, mostrandosi loro fratelli e pregando; con altri, parlando di Dio nella misura in cui sono in grado di accettarlo e, appena hanno in mente di ricercare la verità con lo studio della religione, mettendoli in contatto con un prete scelto molto bene e capace di far loro del bene... soprattutto, bisogna vedere in ogni essere umano un fratello - "Voi siete tutti fratelli, voi avete un solo padre che è nei cieli".

laicimissionarietàapostolatopreti

inviato da Anna, inserito il 01/05/2006

TESTO

76. Il Dare   2

Kahlil Gibran

Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare.
E lui rispose:
Date poca cosa se date le vostre ricchezze.
E' quando date voi stessi che date veramente.
Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani?
E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l'osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa?
E che cos'è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso?
Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo?
Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono.
E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno.
Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota.
Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa.
Vi sono quelli che danno con rimpianto e questo rimpianto è il loro sacramento.
E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito.
Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell'aria la sua fragranza.
Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
E' bene dare quando ci chiedono, ma meglio è comprendere e dare quando niente ci viene chiesto.
Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare.
E quale ricchezza vorreste serbare?
Tutto quanto possedete un giorno sarà dato.
Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni possa essere vostra e non dei vostri eredi.
Spesso dite: "Vorrei dare ma solo ai meritevoli".
Le piante del vostro frutteto non si esprimono così né le greggi del vostro pascolo.
Esse danno per vivere, perché serbare è perire.
Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi.
Chi merita di bere all'oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello.
E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere?
E chi siete voi perché gli uomini vi mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza?
Siate prima voi stessi degni di essere colui che dà e allo stesso tempo uno strumento del dare.
Poiché in verità è la vita che dà alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni.
E voi che ricevete - e tutti ricevete - non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato.
Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme.
Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.

daregenerositàgratuitàriconoscenza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Daniela Antonini, inserito il 25/02/2006

TESTO

77. Il Cammino dei Magi

Kociss Fava

"Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme...".

Oro, incenso. Mirra anche. Furono tra le prime cose che vide, venendo alla luce. Non che gli importasse granché delle ricchezze: in seguito l'ebbe a dimostrare. Doveva comunque essere uno spettacolo da perderci gli occhi. Il luccichio dei doni traboccanti dalle consunte bisacce da viaggio, contrapposto all'estrema frugalità del ricovero ove era nato. Gli effluvi stordenti delle resine aromatiche, spandendosi, andavano a mescolarsi con l'odore secco e pronunciato dello stallatico. Non di meno l'omaggio più gradito e inatteso fu certo la devozione che quegli uomini ricchi e distinti dimostrarono per il Neonato. Chissà lo sgomento provato da Maria e Giuseppe. Abituati com'erano all'unica compagnia dei pastori, si trovarono quei signori sontuosamente vestiti, chini in adorazione del Bambino.

Si dice fossero sapienti venuti da oriente: stranieri dunque. Scrutando il cielo, o forse dentro se stessi, videro una stella che tracciò loro la via. A noi, che sperimentiamo tempi di soluzioni facili e di frastuoni diffusi, piace pensare fosse una stella grande. Enorme, con la coda pure. Dimentichi che il rapporto autentico con Dio può instaurarsi e maturare solo nel silenzio di un cuore disposto a sentirne il potente sussurro. Nel deserto, luogo privo di inutili echi, radunò il Signore il popolo eletto per manifestare la Sua volontà. Sempre in luoghi solitari si sarebbe ritirato Gesù, per pregare il Padre.

Con o senza l'aiuto degli astri, ma sicuramente con la promessa di Dio nel cuore, i Magi intrapresero il lungo e faticoso cammino. Solo chi lo desidera con passione, giunge a vedere il volto di Cristo.

re magiepifaniaricercarapporto con Dio

inviato da Kociss Fava, inserito il 05/02/2006

TESTO

78. Il mistero del male. La bellezza che salva

Abbé Pierre

La situazione del mondo è tale, che ci è impossibile non interrogare Dio. Dio che è eterno Amore, Amore infinito. Personalmente, nei miei 93 anni ormai, avendo anche avuto l'occasione di vedere e di toccare con mano, in ogni angolo della terra, tante miserie, tante ingiustizie, tanti mali, tanti crimini, tanti delitti di ogni sorta, più di una volta ho osato chiedere: "Dio mio, ma perché? A che gioco stai giocando? Forse al massacro dell'umanità?". Ho letto da qualche parte che anche Woody Allen, lui pure ferito da questa crudele realtà, ha esclamato: "se Dio esiste, spero abbia una spiegazione di tutto questo...".

E' comprensibile non capire questa "assenza" di Dio, e gridargli con tutto l'Amore e anche la rabbia che abbiamo dentro di noi: "Signore basta! Quanti miliardi di persone innocenti devono ancora soffrire e morire ingiustamente?". Certo, amo Dio profondamente e credo con tutte le mie forze che Lui può tutto, anzi è Tutto, ma non posso stare zitto. Di questa situazione del mondo, non capisco nulla. Non capisco nulla, ma a differenza di Woody Allen che "spera", io sono che Dio ha una spiegazione.

Credo nella perfezione infinita di Dio, ma nello stesso tempo mi interrogo, devo interrogarmi sul perché di questa sofferenza così ingiusta e detestabile.

E so benissimo che mentre io sento il bisogno, il dovere di gridare a Dio: "Mio Dio, basta!", Lui pure, a sua volta, avendoci dotati di intellligenza e di responsabilità, potrebbe gridarci ugualmente: "Basta!". E chiederci conto di come mai, anziché utilizzare la nostra intelligenza, le nostre risorse e le nostre conoscenze per alimentare sulla terra solo paure e guerre, per disumani sfruttamenti dei più deboli, per rompere l'armonia del creato spezzando le regole che regolano l'ambiente, non mettiamo le nostre qualità migliori al servizio dell'umanità, cominciando dai più deboli e dai più sofferenti. Gridiamo pure "Basta" a Dio, ma sappiamo anche ascoltare i suoi "Basta"... questo non ci impedisce di vedere la bellezza e la bontà che pur esitono nel mondo: nella vita che comincia, ovunque e comunque, nell'immensità del mare, nell'incanto delle stelle, soprattutto nella gioia del sorriso dei bimbi... questi doni che Dio ci fa di continuo possono essere una prima spiegazione alle nostre giuste interpellanze di Dio. E devono essere anche le ragioni per dare, da parte nostra, la risposta alle interpellanze di Dio nei nostri confronti. Non possiamo dimenticare che la prima risposta di Dio ai nostri interrogativi sull'esistenza del male nel mondo è la reale presenza di Gesù nell'Eucaristia. Questa presenza esige coerenza nella vita di noi cristiani. Pur non dandoci la risposta, l'Eucaristia ci indica da che parte stare, concretamente, in questo mondo minato dall'odio, dal terrorismo, dalla miseria e dalla sofferenza, non solo materiale, di troppo miliardi di figli di Dio. Innocenti. Ci dà la forza di non scoraggiarci, pur così terribilmente fragili. Ci rende capaci, se lo vogliamo, di donarci tutti agli altri, ben sapendo che non possiamo essere felici prendendo ma donandoci senza riserva, senza altri calcoli, senza speculazione alcuna, agli altri. E non dimentichiamo che lo spirito di Dio soffia. Dove e come vuole. Una "sveglia" per tutti gli umani.

sofferenzamaledoloregiustiziaingiustiziaimpegnoresponsabilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benevenuto, inserito il 09/12/2005

PREGHIERA

79. Quando

Adolfo Rebecchini

Quando mi sento stanco
e le mie sole forze non sembrano più sufficienti per andare avanti,
dammi la forza di cercarti sempre, Signore.

Quando il buio della notte
scende cupo nel mio cuore e tutto mi appare triste e doloroso,
rischiarami con la luce della tua Parola.

Quando intorno a me
vedo gente che soffre e piange,
fammi donare sempre gioia e speranza.

Quando gli altri sono in difficoltà
e hanno bisogno di me,
fammi essere presenza discreta e amica.

Quando le falsità e i compromessi
regolano la mia vita,
dammi il coraggio dell'autenticità senza riserve.

Quando voglio far valere
sempre e solo le mie idee,
dammi l'umiltà di considerare anche le posizioni altrui.

Quando prevalgono
le lotte e le divisioni,
fammi essere portatore di unione e di concordia.

Quando,...

Solo quando sarò capace di fidarmi di te, Signore,
riuscirò a vedere e a proclamare il tuo Regno
che è già tra noi, con noi e dentro di noi.

speranzafiduciaaffidamentorapporto con Diofede

4.5/5 (2 voti)

inviato da Adolfo Rebecchini, inserito il 02/10/2005

PREGHIERA

80. Il buon giardiniere

Signore,
taglia, pota, strappa e monda
tutto ciò che mi impedisce di vederti,
di ascoltarti, di riconoscerti e di amarti.
Anche se il taglio mi farà male,
tu continua: insieme vedremo meglio.

Se tu strappi,
va' fino alla radice,
quella che fa il male.
Tu solo puoi riuscirci.
Non dimenticare di annaffiare la pianta.
Sii per me, Signore,
il buon Giardiniere.

Ricorda anche di mettere il concime:
il tuo Amore.
lo credo che tu puoi trasformare
un virgulto selvaggio
in una pianta rigogliosa e splendida.
Poiché hai già fatto per me tante meraviglie
io non smetto di ringraziarti.

Perdona, Signore, le mie riserve
mentre aspetto di vedere la tua Luce.
Spero di essere pronto
quando vorrai raccogliermi.

rapporto con Dioaffidamentoconversione

inviato da Anna, inserito il 23/09/2005

RACCONTO

81. Il fiore più bello

In un paesino di montagna c'è un'usanza molto bella. Ogni primavera si svolge una gara tra tutti gli abitanti. Ciascuno cerca di trovare il primo fiore della primavera. Chi trova il primo fiore sarà il vincitore e avrà fortuna per tutto l'anno. A questa gara partecipano tutti, giovani e vecchi. Quest'anno, quando la neve iniziava a sciogliersi e larghi squarci di terra umida rimanevano liberi, tutti gli abitanti di quel paesino partirono alla ricerca del primo fiore. Per ore e ore iniziarono a cercare alle pendici del monte, ma non trovarono alcun fiore.

Stavano già ritornando verso casa quando il grido di un bambino attirò l'attenzione di tutti. "È qui! L'ho trovato". Tutti accorsero per vedere. Quel bambino aveva trovato il primo fiore, sbocciato in mezzo alle rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo. Il bambino indicava col braccio teso giù in basso, ma non poteva raggiungerlo perché aveva paura di precipitare nel terribile burrone. Il bambino però desiderava quel fiore anche perché voleva vincere la gara.

Cinque uomini forti portarono una corda. Intendevano legare il bambino e calarlo fino al fiore. Il bambino però aveva paura. Aveva paura che la corda si rompesse e di cadere nel burrone. "No, no - diceva piangendo - ho paura!". Gli fecero vedere una corda più forte e quindici uomini che l'avrebbero tenuto. Tutti lo incoraggiavano. Ad un tratto il bambino cessò di piangere. Tutti fecero silenzio per sentire che cosa avrebbe fatto il bambino. "Va bene - disse il bambino - andrò giù se mio padre terrà la corda!".

Dio Padreaffidamento in Dioabbandono in Dio

inviato da Don Gianni Castignoli, inserito il 23/04/2005

RACCONTO

82. E Dio creò la mamma   4

Bruno Ferrero, 40 Storie nel deserto

Il buon Dio aveva deciso di creare... la mamma. Ci si arrabattava intorno già da sei giorni, quand'ecco comparire un angelo che gli fa: "Questa qui te ne fa perdere di tempo, eh?". E Lui: "Sì, ma hai letto i requisiti dell'ordinazione? Dev'essere completamente lavabile, ma non di plastica... avere 180 parti mobili tutte sostituibili... funzionare a caffè e avanzi del giorno prima... avere un bacio capace di guarire tutto, da una sbucciatura ad una delusione d'amore... e sei paia di mani". L'angelo scosse la testa e ribatté incredulo: "Sei paia?!". "Il difficile non sono le mani - disse il buon Dio - ma le tre paia di occhi che una mamma deve avere". "Così tanti?". Dio annuì. "Un paio per vedere attraverso le porte chiuse quando domanda "che state combinando lì dentro, bambini?", anche se lo sa già; un altro paio dietro la testa, per vedere quello che non dovrebbe vedere, ma che deve sapere; un altro paio ancora per dire tacitamente al figlio che si è messo in un guaio "capisco e ti voglio bene lo stesso".

"Signore - fece l'angelo sfiorandogli gentilmente un braccio - va' a dormire. Domani è un altro...". "Non posso - ripose il Signore - ho quasi finito ormai. Ne ho già una che guarisce da sola se è malata, che può lavorare 18 ore di seguito, preparare un pranzo per sei con mezzo chilo di carne tritata e che riesce a tenere sotto la doccia un bambino di nove anni". L'angelo girò lentamente intorno al modello di madre, esaminandolo con curiosità: "E' troppo tenera", disse poi con un sospiro. "Ma resistente - ribatté il Signore con foga - tu non hai idea di quello che può sopportare una mamma!". "Sa pensare?". "Non solo, ma sa anche fare un ottimo uso della ragione e venire a compromessi", ribatté il Creatore. A quel punto l'angelo si chinò sul modello della madre e le passò un dito su una guancia: "Qui c'è una perdita", dichiarò. "Non è una perdita - lo corresse il Signore - è una lacrima". "E a che serve?". "Esprime gioia, tristezza, delusione, dolore, solitudine, orgoglio". "Ma sei un genio!", esclamò l'angelo. Con sottile malinconia Dio aggiunse: "A dire il vero, non sono stato io a mettercela quella cosa lì...".

mammamadrematernità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Silvia Ongaro, inserito il 21/04/2005

TESTO

83. Buon Natale, amico mio

Tonino Bello

Buon Natale, amico mio: non avere paura.

La speranza è stata seminata in te. Un giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito. E se ti guardi attorno, puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un ramoscello turgido di attese.

E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme. E una foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste, e, pur incurvandosi ancora, resiste sotto le bufere portatrici di morte.
Non avere paura, amico mio.

Il Natale ti porta un lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi.

Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te.

Clicca qui per il biglietto di auguri creato da Avvenire

Natalepaurasperanza

inviato da Luigi Spilla, inserito il 13/04/2005

TESTO

84. Preghiera del malato (11 febbraio 2004)

Ufficio e Consulta Nazionale Cei per la Pastorale della Sanità

Rivolgi, o Signore,
il tuo sguardo d'amore su di noi:
sulle nostre paure, i nostri egoismi,
le nostre ferite del corpo e dello spirito.

Guarisci, con la forza e la consolazione
dello Spirito Santo le nostre infermità.

Rendici capaci di accoglienza reciproca,
di solidarietà gratuita,
di vicinanza amorevole
verso ogni persona sofferente.

Apri i nostri occhi, Signore,
per vedere il tuo volto
in ogni persona che incontriamo;

apri il nostro cuore per amarci gli uni gli altri
come tu ci hai amato, e così manifestare
il Dio della solidarietà e dell'amore.

malatimalattiasofferenzadoloresolidarietà

inviato da Silvana Foggi, inserito il 24/03/2005

PREGHIERA

85. Fermati Signore, ti prego...

Cinzia84

Fermati Signore, ti prego
e stai un po' di tempo con me!
Fermati Signore, ti prego
e spiegami cosa vuoi da me!
Fermati Signore, ti prego
e rendi visibile ai miei occhi
il tuo progetto per me!
Donami occhi per vedere la tua strada,
donami orecchie libere per sentire la tua voce,
donami piedi saldi per non stancarmi mai di seguirti,
donami sapienza per comprendere la tua Parola,
donami Signore un cuore nuovo,
un cuore libero dagli affetti,
libero dalle paure, libero dai dubbi
affinché io possa seguire te, e non il mondo!
Affinché io desideri amare te, non le mie passioni!
Affinché io possa prendere il largo con coraggio,
certa che tu sarai con me durante la tempesta,
al mio fianco nel salto degli ostacoli!
Permettimi, o Signore di scegliere la salita
perché è quella che conduce a te!
Ti offro Signore la mia umile vita,
fatta di se, ma, un giorno, però,...
Tu, Signore rendila fatta
di sì, eccomi, oggi, sia fatta la tua volontà!

vocazioneprogetto di Diosequela

inviato da Cinzia Bellotta, inserito il 23/01/2005

ESPERIENZA

86. Dalla droga alla consacrazione

Orizzonti news 10/2003

Per ventidue anni ho vissuto nell'inferno della droga, della solitudine, della malattia, della morte... Mio padre è morto quando avevo cinque anni, mia madre faceva la prostituta, due fratelli più grandi si bucavano, così io a tredici anni ho cominciato a bucarmi, a quattordici anni mi hanno detto che ero sieropositivo... un trauma!

Le cose sono andate sempre peggio. In carcere ho dovuto crescere in fretta, per difendermi dai grandi, e si è creata in me una grande rabbia, cattiveria. Qualche anno dopo mia madre è morta ed io sono rimasto solo, dopo tre anni muore anche mio fratello di AIDS... allora sono crollato, mi sono lasciato andare definitivamente alla droga ed a tutto ciò che mi addormentava il cervello. Sono andato avanti così per anni, senza capire che senso avesse per me vivere; ho incominciato a stare male fisicamente, a vedere tanti amici morire per overdose, per malattia, ad essere sempre più solo e ad odiare tutti. Per schivare il carcere sono entrato in una comunità, ci sono rimasto per sedici mesi, ma non è cambiato nulla, come sono uscito sono ricaduto subito, ho riprovato qualche anno dopo presso un'altra struttura, ma ci sono rimasto ancora meno, solo quattro mesi, e così mi sono arreso.

Nel 2000 sono stato ricoverato in ospedale per una polmonite, ho subito un piccolo intervento per introdurre una vena artificiale, e per uno sbaglio ho contratto un'epatite Delta fulminante. Dopo una settimana, appena uscito dal coma, mi sono trovato di fronte un prete, che mi ha dato l'estrema unzione; non potevo muovermi, e sono scoppiato a piangere, cosa che credevo di non saper più fare... Avrei dovuto capire tante cose, in quel momento, invece sono ritornato subito al mio "mondo".

Due anni fa la mia compagna, con cui vivevo da diversi anni, anche lei tossicodipendente sieropositiva, si è suicidata. Non ho mai desiderato morire come in quei giorni.

E' allora che qualcuno mi ha parlato di Nuovi Orizzonti, ma non ne volevo sapere, poi per fare un favore a qualcuno ci sono entrato; non è stato facile, ma non posso dimenticarmi l'amore che mi ha dato Lolli (Loredana, che insieme a Giulio e la figlioletta Miriam sono ora in Brasile, ndr), tutto ciò che mi ha insegnato, poi Alessandra, che non si è mai arresa, ed è riuscita a farmi abbandonare a Dio ed a far sì che Lui potesse cambiarmi.

Ora, nonostante tutti i problemi che ho, mi sento felice, vivo, amato; questa casa la sento la mia famiglia, ho deciso di fare le promesse di consacrazione, perché sento di voler donare questa mia vita a tutte le persone che soffrono come ho sofferto io e non sanno che c'è Qualcuno che ci ama infinitamente.

Non so perché mi mette nel cuore tutte queste cose, ma voglio testimoniarle a tutti.

Grazie!

sofferenzadrogasperanzavita nuova

inviato da Alfonso Gargano, inserito il 05/10/2004

PREGHIERA

87. Invocazione allo Spirito (versione lunga)

Tonino Bello, Parole d'amore

Spirito di Dio che agli inizi della creazione ti libravi sugli abissi dell'universo, e trasformavi in sorriso di bellezza il grande sbadiglio delle cose, scendi ancora sulla terra e donale il brivido dei cominciamenti. Questo mondo che invecchia, sfioralo con l'ala della tua gloria.
Dissipa le rughe. Fascia le ferite che l'egoismo sfrenato degli uomini ha tracciato sulla sua pelle. Mitiga con l'olio della tenerezza le arsure della sua crosta. Restituiscile il manto dell'antico splendore, che le nostre violenze le hanno strappato, e riversale sulle carni inaridite anfore di profumi.
Permea tutte le cose, e possiedine il cuore.
Facci percepire la tua dolente presenza nel gemito delle foreste divelte, nell'urlo dei mari inquinati, nel pianto dei torrenti inariditi, nella viscida desolazione delle spiagge di bitume.
Restituiscici al gaudio dei primordi. Riversati senza misura sulle nostre afflizioni.
Librati ancora sul nostro vecchio mondo in pericolo. E il deserto, finalmente, ridiventerà giardino, e nel giardino fiorirà l'albero della giustizia, e frutto della giustizia sarà la pace.

Spirito Santo che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza. Frantuma la corazza della nostra assuefazione all'esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure. Scuotici dall'omertà.
Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri.
E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e della ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.
Donaci la gioia di capire che tu non parli solo ai microfoni delle nostre Chiese.
Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei.

Spirito Santo che hai invaso l'anima di Maria per offrirci la prima campionatura di come un giorno avresti invaso la Chiesa e collocato nei suoi perimetri il tuo nuovo domicilio, rendici capaci di esultanza.
Donaci il gusto di sentirci "estroversi". Rivolti, cioè, verso il mondo, che non è una specie di chiesa mancata, ma l'oggetto ultimo di quell'incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa è stata costituita.
Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle vele perché, sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso impegno missionario ci solleciti a partire.
Se dobbiamo camminare sull'asciutto, mettici le ali ai piedi perché, come Maria, raggiungiamo in fretta la città. La città terrena. Che tu ami appassionatamente. Che non è il ripostiglio dei rifiuti, ma il partner con cui dobbiamo "agonizzare" perché giunga a compimento l'opera della Redenzione.

Spirito di Dio che presso le rive del giordano sei sceso con pienezza sul capo di Gesù e l'hai proclamato Messia, dilaga su questo corpo sacerdotale raccolto davanti a te.
Adornalo di una veste di Grazia. Consacralo con l'unzione, e invitalo a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, e a promulgare l'anno di misericordia del Signore.
Se Gesù ha usato queste parole di Isaia per la sua autoproclamazione nella sinagoga di Nazareth e per la stesura del suo manifesto programmatico, vuole dire che anche la Chiesa oggi deve farsi solidale con i sofferenti, con i poveri, con gli oppressi, con i deboli, con gli affamati e con tutte le vittime della violenza.
Facci capire che i poveri sono i "punti di entrata" attraverso i quali tu, Spirito di Dio, irrompi in tutte le realtà umane e le ricrei. Preserva, perciò, la tua sposa dal sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi sia il sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi sia l'indulgenza alle mode di turno, e non invece la feritoia attraverso la quale la forza di Dio penetra nel mondo e comincia la sua opera di salvezza.

Spirito Santo dono del Cristo morente, fa' che la Chiesa dimostri di aver ereditato davvero. Trattienila ai piedi di tutte le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale, parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto e ripeta con il salmo "le mie lacrime, Signore, nell'otre tuo raccogli".
Rendila protagonista infaticabile di deposizione del patibolo, perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di Madre. In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza.
E donale di non arrossire mai della Croce, ma di guardare ad essa come all'antenna della sua nave, le cui vele tu colmi di brezza e spingi con fiducia lontano.

Spirito di Pentecoste ridestaci all'antico mandato di profeti, dissigilla le nostre labbra, contratte dalle prudenze carnali. Introduci nelle nostre vene il rigetto per ogni compromesso. E donaci la nausea di lusingare i detentori del potere per trarne vantaggio.
Trattienici dalle ambiguità. Facci la grazia del voltastomaco per i nostri peccati. Poni il tuo marchio di origine controllata sulle nostre testimonianze.
E facci aborrire dalle parole, quando esse non trovino puntuale verifica nei fatti.
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli. Aiutaci a vedere i riverberi delle tue fiamme nei processi di purificazione che avvengono in tutti gli angoli della terra. Aprici a fiducie ecumeniche. E in ogni uomo di buona volontà facci scorgere le orme del tuo passaggio.

Spirito del Signore dono del Risorto agli apostoli del cenacolo,
gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitudine della gente e con l'olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro. Liberali dalla paura di non farcela più. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano. Fa' risplendere di gioia i loro corpi. Rivestili di abiti nuziali. E cingili con cinture di luce.
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà.

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Spirito SantoPentecoste

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inviato da Marco V. Stocchi, inserito il 29/07/2004

TESTO

88. Lucciole d'amore, scarafaggi di rabbia   1

"L'uomo è stato creato da Dio perché ami". Questa affermazione riassume in sé tutto quanto sia necessario dire. Certo, poi si possono dare spiegazioni, si può approfondire e discutere. Ma in ogni caso quella frase contiene tutto il necessario. Capita a volte di stupirsi per la gratuità dell'amore che riceviamo. Capita a volte che una persona abbia una semplice gentilezza verso un altro individuo, che dica una parola buona, che abbia anche solo uno sguardo di dolcezza o risponda un "grazie" di cuore, anche quando esso non sia dovuto. Queste sono piccolezze, ma ciascuna è una piccola gemma d'amore, una piccola luce... una lucciola d'amore. Ciò che le caratterizza è la loro semplicità da una parte e la loro assoluta, completa gratuità dall'altra. È un'esperienza bellissima accorgersi poi di come a volte possa instaurasi un vero e proprio circolo virtuoso grazie alla presenza di queste piccole, semplici lucciole d'amore. Se qualcuno lancia a un altro una piccola lucciola d'amore, chi la riceve ne sarà felice. Non è davvero la felicità entusiasta e sfrenata che si può provare nel vedere, per esempio, realizzato un proprio grande desiderio... è tuttavia pur sempre una piccola felicità, un senso di benessere, una piccola lucciola che, a volte, è sufficiente ad illuminare quella che altrimenti sarebbe stata solo una grigia e fredda giornata di noie, di malumori e di preoccupazioni. Forse, allora, capiterà che chi riceve una piccola lucciola d'amore si accorga della sua gratuità e del benessere che gli deriva dal ricevere questo piccolo gesto. Forse capiterà anche che si fermi un momento a riflettere e a gustare quel piccolo benessere. E forse, a questo punto, gli sorgerà il desiderio di fare altrettanto verso altre persone: donare piccole e gratuite lucciole d'amore. Se, poi, questo individuo davvero proverà a donarne alcune, allora si accorgerà con grande, meraviglioso stupore di quanto sia facile lanciare agli altri lucciole d'amore, di quanta poca fatica costi, e di quanta gioia porti non solo agli altri ma anche a lui per primo! Già, perché la fatica che occorre per lanciare piccole lucciole d'amore è davvero poca: un sorriso, una parola gentile, un gesto semplice, una cortesia da nulla, una risposta garbata ad una do-manda... sono molti gli esempi, le occasioni capitano mille volte al giorno! Chi riceve una lucciola d'amore sa quanto essa possa far bene, quanto scaldi il cuore!

Esistono a volte, invece, situazioni opposte: malumori e grattacapi possono chiudere il cuore degli uomini, e questi si riducono allora a scortesie, a risposte sgarbate, a dimenticare un "grazie" o un saluto... e questi comportamenti sono gratuiti e inaspettati, altrettanto quanto le lucciole d'amore. Sono scarafaggi di rabbia, che intristiscono il cuore, oscurano la giornata e rischiano, a volte, di innescare veri e propri circoli viziosi, in cui chi riceve uno scarafaggio di rabbia si incupisce al punto da lanciarne a sua volta ad altre persone, e così via...

Ma talvolta accade qualcosa di meraviglioso: capita infatti che qualcuno riceva uno di questi scarafaggi di rabbia e risponda ad esso con una piccola lucciola d'amore, diretta proprio verso chi gli aveva mandato la scortesia. Forse una sola lucciola in quel momento non basterà a rischiarare un cuore incupito, forse neppure due o tre... ma a volte capita di vedere persone che non si scoraggiano, e che portano dentro sé una luce tanto grande da potersi permettere di intestardirsi nel "bombardare" quel cuore cupo con lucciole d'amore. Oggi una, domani un'altra, dopodomani ancora... e dai e dai, a un certo punto anche nel cuore cupo compare un raggio di luce. E questa persona, che fino ad ieri era cupa, accenna timidamente a lanciare a sua volta a un'altra persona una piccola, minuscola, timidissima lucciola d'amore. Che gioia, che stupore, che meraviglia quando questo accade! Che meraviglia scoprire che c'è un altro cuore che si è rischiarato, e quanta gioia c'è nel vedere che questo cuore ci prende gusto, che assapora la felicità di donare lucciole d'amore, ancora e ancora... diventa quasi una droga!

A volte capita però che le persone siano esauste, che rientrino a casa sfinite da una giornata di duro lavoro, di impegni, di scadenze, di fatiche... è come se, a volte, nel rientrare a casa venisse lasciata fuori dalla porta tutta la luce che avevano albergato in cuore fino a quel momento. Si comportano con le persone più care, con i famigliari, con la moglie, con il marito come se, adesso che sono finalmente a casa, "pretendessero" di ricevere a tutti i costi qualche lucciola d'amore da essi. Se è vero che le lucciole d'amore donate dalle persone più care e dalla persona amata sono le più luminose e le più lenitive nei confronti di un animo stanco ed esausto, è anche vero purtroppo che la pretesa che lucciole ci vengano donate è in se stessa un vero e proprio scarafaggio di rabbia. E uno scarafaggio di rabbia diretto verso la persona amata morde e graffia molto di più che non uno scarafaggio lanciato da un semplice conoscente o addirittura da uno sconosciuto! Le lucciole d'amore non devono essere mai pretese: altrimenti, si spengono. L'unico modo per mantenerle sempre luminose e vive è donarle, e le più preziose sono quelle che rispondono ad un piccolo scarafaggio di rabbia, perché a volte hanno il potere di tramutarlo in una bellissima lucciola!

generositàamoregratuitàdono di séamare i nemici

5.0/5 (1 voto)

inviato da Isabella, inserito il 29/07/2004

TESTO

89. Chi è Gesù

Autori vari

Credo che l'uomo più grande esistito finora sulla terra sia Gesù Cristo, e che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto di più nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di lui, sia stato detto in contrasto con lui.
Elio Vittorini, scrittore

Gesù è la non violenza allo stato puro; è quella parte di noi che fa dono di sé e che si scontra con il negativo della vita. (...) Gesù evoca istantaneamente un' idea di fratellanza disarmata, di protesta pacifica contro ogni autoritarismo e volontà di sopraffazione. Forse per questo molti giovani oggi nel mondo sono portati a vedere in Gesù il fratello...
Nelo Risi, regista

Onestamente, non vi so dire chi sia per me Cristo, oggi. Per me è quello che era ieri, il più sublime caso di estremismo che io conosca.
Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista

Invece di cercare libri e pitture sul Nuovo Testamento, ho aperto il Vangelo e vi ho trovato non già la storia di una persona con i capelli divisi sulla fronte e con le mani congiunte in atto di preghiera, bensì un essere straordinario, dalle labbra tonanti e dai gesti bruschi e decisi che rovesciava tavole, cacciava demoni e passava col selvaggio mistero del vento dal mistero della montagna ad una paurosa demagogia. (...) La letteratura su Cristo è stata, e forse saggiamente, dolce e remissiva. Ma la parola di Gesù è stranamente gigantesca: piena di cammelli che saltano attraverso le crune degli aghi e di montagne scaraventate in mare.
G.K. Chesterton, scrittore

«L'immediatezza con la quale Gesù insegna, non ha paralleli nel giudaismo contemporaneo. ed essa è tale che egli osa perfino opporre alla lettura della legge la diretta e presente volontà di Dio».
«Ognuna delle scene narrate nei Vangeli descrive la straordinaria padronanza di Gesù nell'affrontare le diverse situazioni, a seconda dei tipi di persone che incontra».
«Il suo modo di comportarsi e il suo metodo vengono a trovarsi ogni volta in contrasto con quello che gli uomini si aspettano da lui e con ciò che dal loro punto di vista sperano per sé».
«Bisognerebbe una buona volta mettere vicini tutti i passi dei vangeli nei quali si parla di questo discernimento di Gesù, senza lasciarsi prendere dal timore che si tratti di un impegno meramente sentimentale».
«I vangeli chiamano questa manifesta immediatezza del potere sovrano di Gesù la sua "autorità"».
«L'aiuto che Gesù dà ha il carattere di una partecipazione genuina, che prende in mano con passione la situazione...».
«Essenziale è l'indissolubile connessione fra quanto è stato qui detto e il messaggio di Gesù intorno alla realtà di Dio, del suo Regno e della sua volontà... Rendere presente la realtà di Dio: ecco il mistero essenziale di Gesù».
G. Bornkamm, Gesù di Nazareth

Gesù Cristo

inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004

RACCONTO

90. Antonio, mister D.I.O. per gli amici, e Camilla   1

Mauro Bianchi

Antonio aveva finalmente realizzato il suo progetto, lo scopo della sua esistenza, realizzare una via che unisse tutti i popoli del mondo e per questo venne nominato Dottore In Onniscienza, per gli amici Mr. D.I.O.. Per celebrare l'avvenimento venne realizzato un grandissimo museo, un museo particolare a dire la verità, sempre aperto, 24 ore su 24 e 365 giorni all'anno, un museo dove non si paga il biglietto d' ingresso e tutti coloro che lo visitano non vogliono più andare via e, nonostante tutto, più gente entra e più cresce lo spazio disponibile per altra gente ancora.

Il pezzo forte di questo museo, illuminato da una luce particolare, che lo rende ancora più affascinante, è Camilla, una vecchia e assai malandata Jeep. Camilla era la macchina con cui Mr. D.I.O si spostava in giro per il mondo per studiare, progettare e realizzare il suo disegno. A dire il vero Mr. D.I.O. aveva in testa anche come doveva essere Camilla, innanzitutto il colore della carrozzeria, bianco o nero, rosso, giallo, o quel verde olivastro tanto esotico per lui non facevano alcuna differenza, anche la forma esterna non era di grande importanza, tozza o filante, alta o bassa per lui era la stessa cosa. Le cose veramente importanti per lui erano altre, ad esempio dei buoni fari per poter vedere nell'oscurità, una buona radio per captare anche le voci più lontane, delle ruote sempre capaci di sorreggerne il peso e un cuore, pardon, un motore che non si stancasse mai di farla andare avanti, anche piano, ma sempre avanti, e dei finestrini ampi, per poter vedere bene all'esterno, non solo le bellezze di questo mondo, ma anche e soprattutto per non perdere mai la direzione giusta in cui procedere e riuscire a vedere e interpretare i segnali che Mr. D.I.O., man mano che costruiva la via metteva per evitare che altri si perdessero.

Anche se può sembrare strano fin dai primi tempi in cui i due si trovarono a lavorare insieme capirono entrambi che l'altro aveva qualcosa di speciale, Antonio era convinto che Camilla lo potesse in qualche modo sentire, e Camilla, dal canto suo, sembrava intuirne i pensieri. Anzi, da quella volta che Antonio mise mano al suo computer di bordo aveva maturato una specie di autocoscienza e spesso si chiedeva se i segnali erano abbastanza chiari, se, per esempio, su una strada apparentemente facile anziché un semplice limite di velocità era il caso di mettere anche un avviso del tipo "attento alla curva puoi ucciderti o uccidere qualcun altro", o mettere nei posteggi dei cartelli con la scritta "non rubare il posteggio a chi sta aspettando da prima di te"oppure decorare le macchine nuove con scritte del tipo "non desiderarmi solo perché sono più nuova della tua", o altri ancora che potessero in qualche modo essere di maggior aiuto alle persone intente a raggiungere la propria meta.

Con il passare del tempo l'intesa cresceva sempre di più, tanto che Camilla ogni tanto si permetteva di agire come di testa sua e Mr. D.I.O. la lasciava fare, anche se ogni tanto non rispettava le regole, tagliare per i prati per accorciare la strada o passare con il semaforo arancione per la fretta in fin dei conti erano delle infrazioni venali e comunque lui era sempre lì, pronto a riportarla in carreggiata. I due andarono avanti così per moltissimi anni, Camilla di tanto in tanto usciva di strada, Antonio la riprendeva e se restava qualche piccolo segno sulla carrozzeria non importava, importante era andare avanti, sempre e insieme. Tutto sembrava procedere per il meglio fino a quando Camilla in qualche modo intuì che per lei Mr. D.I.O. aveva in mente qualcosa di speciale, da quel momento fu presa da una strana smania di correre e fare di testa sua. Antonio faceva ricorso a tutta la sua pazienza e abilità per tenere Camilla in strada e ci riuscì sempre fino a quando, ormai vicinissimi al museo dove Camilla avrebbe trovato il suo posto d'onore, Camilla per la smania di arrivare prima uscì dalla strada segnata e, incurante dei cartelli di attenzione, imboccò quella che sembrava una bellissima scorciatoia, una strada larga, ben asfaltata e leggermente in discesa. Viaggiare su quella strada era bellissimo e non si faceva neanche fatica ma inesorabilmente la discesa si faceva sempre più ripida e la strada più stretta e tortuosa, Camilla provò a frenare ma ormai era troppo tardi e i freni non ressero allo sforzo, provò allora ad uscire dalla strada, sperando di riuscire a fermarsi strisciando contro gli alberi che la fiancheggiavano.

Dopo aver strisciato su molti alberi, sobbalzato su innumerevoli sassi Camilla finalmente terminò la sua corsa dentro un fosso, era veramente malridotta, il suo desiderio in quel momento era di farsi rottamare quando si accorse che Antonio non c' era, probabilmente era stato sbalzato fuori durante la sua folle corsa, in quel momento fu presa dal panico, si rese conto di essere veramente sola, capì che anche quando faceva di testa sua Mr. D.I.O. le era comunque vicino, pronto a correggerla e perdonare gli sbagli. Fu questo a farle trovare la forza di rimettersi in moto, in fondo il motore era forte e lentamente e con fatica riuscì a riportarla sulla giusta via anche se la carrozzeria era ammaccata, le ruote non perfettamente allineate e i fari, già appannati dagli anni, sembravano sul punto di piangere (era solo il lavafari rotto che perdeva acqua).

Quando si fermò un attimo per raffreddare l'acqua del radiatore Camilla si accorse che Antonio, Mr. D.I.O. per gli amici, era lì seduto su un paracarro che la guardava ammirato, appena l'acqua nel radiatore si raffreddò Antonio si rimise al volante e portò Camilla nel suo museo e la sistemò al posto che si meritava, il migliore. Ai visitatori che gli chiedevano come mai Camilla, così malridotta era al posto d' onore Mr. D.I.O. dava questa risposta, Avevo un progetto, ma da solo non lo potevo realizzare, avevo bisogno di qualcuno che mi portasse per il mondo, avevo bisogno di qualcuno su cui poter contare, avevo bisogno di qualcuno a cui dare fiducia nella certezza che, anche se talvolta per fare di testa sua sorvola su alcune regole, trova poi il coraggio di ammettere i propri sbagli e la forza per tornare sulla strada segnata, perché è solo nella luce che la illumina che Camilla mette in risalto le sue doti, quelle che le hanno permesso di riuscire a fare tutto questo.

regolepeccatopentimentoperdonouomorapporto con Dio

inviato da Mauro Bianchi, inserito il 27/07/2004

RACCONTO

91. Ho fatto colazione con Dio   3

Traduzione dallo spagnolo di un racconto di Te-La Gitana

Un bambino voleva conoscere Dio. Sapeva che era un lungo viaggio arrivare dove abita Dio, ed è per questo che un giorno mise dentro al suo cestino dei dolci, marmellata e bibite e cominciò la sua ricerca.

Dopo aver camminato per trecento metri circa, vide una donna anziana seduta su una panchina nel parco. Era sola e stava osservando alcune colombe. Il bambino gli si sedette vicino ed aprì il suo cestino. Stava per bere la sua bibita quando gli sembrò che la vecchietta avesse fame, ed allora le offrì uno dei suoi dolci.

La vecchietta riconoscente accettò e sorrise al bambino. Il suo sorriso era molto bello, tanto bello che il bambino gli offrì un altro dolce per vedere di nuovo questo suo sorriso.

Il bambino era incantato! Si fermò molto tempo mangiando e sorridendo, senza che nessuno dei due dicesse una sola parola. Al tramonto il bambino, stanco, si alzò per andarsene, però prima si volse indietro, corse verso la vecchietta e la abbracciò. Ella, dopo averlo abbracciato, gli dette il più bel sorriso della sua vita.

Quando il bambino arrivò a casa sua ed aprì la porta, la sua mamma fu sorpresa nel vedere la sua faccia piena di felicità, e gli chiese: "Figlio, cosa hai fatto che sei tanto felice?". Il bambino rispose: "Oggi ho fatto colazione con Dio!".

E prima che sua mamma gli dicesse qualche cosa aggiunse: "E sai cosa, ha il sorriso più bello che ho mai visto!".

Anche la vecchietta arrivò a casa raggiante di felicità. Suo figlio restò sorpreso per l'espressione di pace stampata sul suo volto e le domandò: "Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha reso tanto felice?". La vecchietta rispose: "Oggi ho fatto colazione con Dio, nel parco!". E prima che suo figlio rispondesse, aggiunse: "E sai? E' più giovane di quel che pensavo!".

rapporto con Diovedere Dioricerca di Dio

inviato da Cecilia Leone, inserito il 16/12/2003

RACCONTO

92. I due specchi   3

Un giorno Satana scoprì un modo per divertirsi. Inventò uno specchio diabolico che aveva una magica proprietà: faceva vedere meschino e raggrinzito tutto ciò che era bello e buono.

Satana se ne andava in giro dappertutto con il suo terribile specchio. E tutti quelli che ci guardavano dentro rabbrividivano: ogni cosa appariva deformata e mostruosa.

Il maligno si divertiva moltissimo con il suo specchio: più le cose erano ripugnanti più gli piacevano. Un giorno, lo spettacolo che lo specchio gli offriva era così piacevole ai suoi occhi che scoppiò a ridere in modo scomposto: lo specchio gli sfuggì dalle mani e si frantumò in milioni di pezzi.

Un uragano potente e maligno fece volare i frammenti dello specchio in tutto il mondo. Alcuni frammenti erano più piccoli di granelli di sabbia ed entrarono negli occhi di molte persone. Queste persone cominciarono a vedere tutto alla rovescia: si accorgevano solo di ciò che era cattivo e vedevano cattiveria dappertutto.

Altre schegge diventarono lenti per occhiali. La gente che si metteva questi occhiali non riusciva più a vedere ciò che era giusto ed a giudicare rettamente.
Non hai, per caso, già incontrato degli uomini così?

Qualche pezzo di specchio era così grosso, che venne usato come vetro da finestra. I poveretti che guardavano attraverso quelle finestre vedevano solo vicini antipatici, che passavano il tempo a combinare cattiverie.

Quando Dio si accorse di quello che era successo si rattristò. Decise di aiutarli.

Disse: "Manderò nel mondo mio Figlio. E' Lui la mia immagine, il mio specchio. Rispecchia la mia bontà, la mia giustizia, il mio amore. Riflette l'uomo come io l'ho pensato e voluto.".

Gesù venne come uno specchio per gli uomini. Chi si specchiava in Lui riscopriva la bontà e la bellezza e imparava a distinguerle dall'egoismo e dalla menzogna, dall'ingiustizia e dal disprezzo.

I malati ritrovavano il coraggio di vivere, i disperati riscoprivano la speranza. Consolava gli afflitti e aiutava gli uomini a vincere la paura della morte.

Molti uomini amavano lo specchio di Dio e seguirono Gesù. Si sentivano infiammati da Lui.

Altri invece ribollivano di rabbia: decisero di rompere lo specchio di Dio. Gesù fu ucciso. Ma ben presto si levò un nuovo possente uragano: lo Spirito Santo.

Sollevò i milioni di frammenti dello specchio e li soffiò in tutto il mondo.

Chi riceve anche una piccolissima scintilla di questo specchio nei suoi occhi comincia a vedere il mondo e le persone come li vedeva Gesù: si riflettono negli occhi prima tutto le cose belle e buone, la giustizia e la generosità, la gioia e la speranza; le cattiverie e le ingiustizie invece appaiono modificabili e vincibili.

benemalepregiudiziSpirito SantoPentecosteincarnazione

3.3/5 (3 voti)

inviato da Tiziana Venturi, inserito il 28/06/2003

TESTO

93. I colori della pace   1

Alessandra

I colori della pace
non esisteranno
fino a quando il nostro cuore
non imparerà ad amare,
fino a quando
vivremo solo
per calcolare,
fino a quando staremo a discutere
le diversità.

Siamo noi uomini
a vederci diversi.
Dio non ha preferenze
ha solo dolore nel suo cuore
a vedere i suoi figli
uccisi, affamati, nudi
e dall'altra parte
gli altri figli ipocriti.

Mio Dio spalanca i nostri occhi
aprici i cuori
questo mondo è così diverso
da come io immagino il tuo.

pacesolidarietàgiustiziaingiustiziamulticulturalitàpregiudizidiversitàconvivenzarazzismodiscriminazionetolleranzadialogocomunione tra i popoli

inviato da Alessandra, inserito il 28/06/2003

ESPERIENZA

94. Amore in azione   1

Madre Teresa di Calcutta

Alcune settimane fa due giovani sono venuti alla nostra casa dandomi molto denaro per nutrire la gente. A Calcutta prepariamo pasti per 9.000 persone al giorno. Volevano che il denaro fosse speso per nutrire questa gente.
Chiesi loro:
«Dove avete trovato così tanto denaro?»
Ed essi risposero:

«Ci siamo sposati due giorni fa. Prima del matrimonio abbiamo deciso che non avremmo avuto abiti da matrimonio, e neppure feste. Diamo a voi il nostro denaro.»

Per un indù di alto ceto sociale questo è uno scandalo. Molti furono sbalorditi nel vedere che una famiglia così elevata non avesse abiti e festeggiamenti per il matrimonio. Poi chiesi loro:
«Perché avete fatto questo?»
Ed ecco la strana risposta che mi diedero:

«Ci amiamo a tal punto che volevamo donare qualcosa ad un altro per cominciare la nostra vita insieme con un sacrificio.»

Mi ha colpito moltissimo vedere come queste persone fossero affamate di Dio. Un modo per concretizzare l'amore l'uno per l'altra era di fare questo grandissimo sacrificio. Sono sicura che voi non capite che cosa significhi questo. Ma nel nostro paese, in India, sappiamo che cosa significhi non avere abiti e feste per il matrimonio. Tuttavia questi due giovani hanno avuto il coraggio di comportarsi così. Questo è davvero amore in azione.

famigliacoppiasposimatrimonioamorecaritàsolidarietàcondivisione

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inviato da Anna Lianza, inserito il 30/04/2003

RACCONTO

95. Il giardino di Dio   1

Pino Marelli, Nuovi Incontri per i genitori, Elledici

C'era una volta un giardino chiuso da altissime mura, che suscitava la curiosità di molti.
Finalmente una notte quattro uomini si munirono di un'altissima scala per vedere che mai ci fosse di là.
Quando il primo raggiunse la sommità del muro, si mise a ridere forte e saltò nel giardino.
Salì a sua volta il secondo, si mise a ridere e saltò anch'egli.
Così il terzo.
Quando toccò al quarto, questi vide dall'alto del muro uno splendido giardino con alberi da frutta, fontane, statue, fiori di ogni genere e mille altre delizie.
Forte fu il desiderio di gettarsi in quell'oasi di verde e di quiete, ma un altro desiderio ebbe il sopravvento: quello di andare per il mondo a parlare a tutti dell'esistenza di quel giardino e della sua bellezza.

È questo il tipo di uomo che salva l'umanità.
Colui che avendo visto Dio desidera condividerne con gli altri la visione.
Costui avrà un giorno nel giardino un posto speciale, accanto al cuore di Dio.

condivisioneannunciomissione

inviato da Anna Barbi, inserito il 01/04/2003

RACCONTO

96. Voglio ringraziare   1

Paulo Coelho

Matthew Henry è un noto specialista di studi biblici. Una volta, mentre tornava dall'università dove insegna, fu aggredito. Quella sera, egli scrisse questa preghiera:

Voglio ringraziare
in primo luogo, perché non sono mai stato aggredito prima.
In secondo luogo,
perché mi hanno portato via il portafoglio e mi hanno lasciato la vita.
In terzo luogo,
perché, anche se mi hanno portato via tutto, non era molto.
Infine, voglio ringraziare
perché io sono colui che è stato derubato, e non colui che ha derubato.

ringraziamentogratitudinedoni di Diolodevedere oltre le apparenzefortunasfortunaottimismofiducia

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inviato da Anna Lianza, inserito il 31/03/2003

PREGHIERA

97. L'avventura d'ogni giorno   3

Tonino Lasconi, Amico Dio

Signore,
il sole è sorto
e mi metti in mano
una esperienza nuova.
Sarà bella? Sarà noiosa?
Sarà utile?
Non lo so ancora.
Però son certo
che molto dipenda da me.
Questo fammelo capire...
perché spesso rischio
di aspettarmi tutto dagli altri;
tutto da te.
Fammi sentire responsabile
di quello che faccio.
Tu hai creato l'uomo
senza chiedergli il permesso
ti sei però subito legato le mani
e non gli puoi fare niente
se non lo vuole.
Signore,
aiutami a spalancare gli occhi
per vedere dove mi trovo
e chi avrò vicino.
Signore,
aiutami a drizzare bene le orecchie
per raccogliere tutte le voci
che la vita mi invia
e rispondere con coraggio
e fantasia.

esperienzabuongiornonuovo giornolibertà

inviato da Ortensia Cortese, inserito il 26/03/2003

TESTO

98. Profeti di un futuro non nostro   1

Oscar Arnulfo Romero

Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.
Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.
Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte
di quella meravigliosa impresa che è l'opera di Dio.
Niente di ciò che noi facciamo è completo.
Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.
Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.
Nessuna preghiera esprime completamente la fede.
Nessun credo porta la perfezione.
Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.
Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.
Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.
Di questo si tratta:
Noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto,
però dà un senso di liberazione l'iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Una opportunità perché la grazia di Dio entri
e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento,
ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.
Siamo manovali, non capomastri,
servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

futuropresenteimpegnoresponsabilitàseminaresperanzapazienzaattesafiduciafedecollaborazionepastorale

inviato da Corradini Don Lorenzo, inserito il 17/12/2002

PREGHIERA

99. Donaci un cuore che ascolta

Bernard Häring, Prego perché vivo, vivo perché prego

Dio grande e meraviglioso,
molte volte, nelle nostre litanie,
abbiamo detto: «Ascoltaci, Signore»,
senza esserci prima chiesti se noi abbiamo
ascoltato te,
se siamo stati in sintonia con le tue parole,
con i tuoi silenzi.
Vogliamo che tu porga l'orecchio
alla nostra supplica,
senza preoccuparci di correggere
la nostra sordità, la durezza del nostro cuore.
Interpreta tu, Padre, la nostra povera preghiera;
ed ogni volta che ci senti ripetere:
Ascoltaci, Signore,
sappi che intendiamo dirti:
Apri il nostro orecchio
ad ascoltare la tua voce.
Apri i nostri occhi
a vedere te ovunque.
Apri le nostre labbra per lodare te.
Donaci un cuore che ascolta
te, Padre di misericordia,
con il Figlio e lo Spirito d'amore:
ascolta Dio, e perdona!

ascoltorapporto con Diopreghieraintercessionevolontà di Dio

inviato da Eleonora Polo, inserito il 14/12/2002

TESTO

100. Sto cercando Dio

Solo lo sciocco percorre correndo il cammino della vita,
senza soffermarsi ad osservare le bellezze del creato.
Senza soffermarsi a gustare la grandezza del creato.
Sto cercando Dio,
e non lo riesco a trovare in chiese o moschee;
in libri scritti da uomini;
in religioni codificate e, pertanto, mediate da uomini.
Come posso accettare di credere
nella maniera in cui qualcuno mi sta dicendo,
se quel qualcuno è indeciso come me,
è un essere finito come me?
Come può un essere finito come me
pretendere d'aver capito l'infinità di Dio
cercando di spiegarmela in modo finito?
Dio si manifesta nell'infinità di ciò che ha creato.
infinità che ha poi farcito con cose ed esseri finiti.
Ed è così per l'uccello.
Per tutta la lunghezza della sua vita
potrà cercare di volare sempre più in alto,
ma non troverà mai il tetto .
Potrà spingersi sempre più in là,
ma non troverà mai il muro della fine.
Potrà trovare un ostacolo nell'alta montagna,
ma se riesce ad alzarsi di più,
potrà continuare a volare libero fino alla fine dei suoi giorni.
Ed è così per il pesce.
Per tutta la durata della sua vita
potrà continuare a nuotare senza trovare la secca .
Potrà finire nella secca, ma non è il limite del mondo.
E' solo il limite della sua vita.
Potrà trovare acque a lui meno congeniali.
Più calde, più fredde, più dolci, più salate,
ma, se riesce ad adattarsi,
potrà nuotare libero fino alla fine dei suoi giorni.
potrà nuotare libero fino alla fine dei suoi giorni.
Ed è così per qualsiasi altro animale della terra.
Se non viene costretto dall'uomo in recinti o steccati,
può scorrazzare in lungo ed in largo
per tutta la durata della sua vita. Senza limiti.
Ma il pesce, l'uccello e gli altri animali,
non si pongono il problema dell'infinità di Dio.
Non cercano di capirla.
Non cercano di spiegarla.
L'accettano naturalmente.
E questo è il loro modo di ringraziare Dio.
L'uomo no!
L'uomo, a cui è stata data intelligenza
per conservare e sviluppare in modo finito
le bellezze dell'infinità create,
non si adatta.
Pretende di capire e spiegare l'infinità
attraverso la sua intelligenza limitata, finita.
E allora ha cominciato a cercare dove il mondo finisce.
Ma, pur continuando a camminare,
vedeva sempre davanti a sé la stessa distanza
che il suo occhio gli consentiva di vedere.
E ha trovato l'acqua.
Ma, pur accorgendosi di poter galleggiare,
non riusciva ad andare troppo lontano.
E si convinse che la fine era dove finiva l'acqua.
E costruì zattere, piroghe, barche, navi.
Ma, per quanto costruisse imbarcazioni sempre più attrezzate,
sempre più adatte ad affrontare ogni insidia e difficoltà,
si accorse che alla fine del fiume c'era il mare.
E poi l'oceano immenso.
Ma, per quanto navigasse,
riusciva a vedere intorno a sé solo acqua.
E poi qualcuno trovò terre lontanissime.
Ma l'uomo scoprì amaramente che non erano la fine del mondo.
Il mondo continuava ancora.
E l'uomo vedeva sempre davanti a sé la stessa distanza
che i suoi occhi gli consentivano di vedere.
E allora l'uomo disse:
E' chiaro che la fine del mondo non può essere sulla terra dove vivo.
Certamente Dio l'ha messa dove io non posso arrivare. In alto! "
E allora si ingegnò.
Studiò gli uccelli
e cominciò a costruire qualcosa che si alzasse da terra.
E lo continuò a perfezionare.
Volò sempre più velocemente,
sempre più lontano, sempre più alto.
Raggiunse altri mondi e tanti altri ne raggiungerà.
Ma ogni volta s'accorgerà che, per quanto voli alto e lontano,
vedrà sempre davanti a sé la stessa distanza
che i suoi occhi gli consentiranno di vedere.
Ed ogni volta che costruirà qualcosa per guardare sempre più lontano,
s'accorgerà che, dietro, c'è un'immensità sempre più grande.
E per quanto cercherà di conoscere cose,
si renderà conto di quante altre non conosce.
Perché qualsiasi cosa l'uomo costruisca,
case, strade, macchine,
sono sempre cose finite, con confini ben precisi.
E qualsiasi tipo di computer riuscirà a costruire,
e di qualsiasi sofisticata memoria riuscirà a dotarlo
per scoprire ed immagazzinare notizie e conoscenze
che la mente umana, da sola, mai sarebbe in grado di fare,
s'accorgerà di quante ne esistano ancora.
Perché, per quanto sofisticato, quel computer avrà sempre dei limiti.
E così facendo,
utilizzando la sua intelligenza
nella sciocca ed inutile corsa verso la conoscenza dell'infinito ,
l'uomo avrà solo accelerato
la distruzione della sua vita terrena.
Se solo si soffermasse a pensare
che solo un essere infinito
poteva creare l'infinità dell'universo;
per andarci, magari, a passeggiare.
Se solo si soffermasse a godere
delle bellezze che lo circondano:
un prato, un fiore, il mare, l'oceano, una montagna,
il deserto, il cielo, le stelle,
gli occhi di un bambino...
Ma l'uomo corre, corre, corre sempre più forte
per tentare di raggiungere i confini del mondo.
Per tentare di spiegare l'infinità di Dio.
Sto cercando Dio.
Ma non lo riesco a trovare in chiese, moschee, libri,
ed in ciò che l'uomo mi dice.
Sto cercando Dio.
E lo ritrovo in ogni istante.
In ogni cosa che mi circonda.

Dionaturaricercafedecreatocreazioneinfinitouomomondoricerca di senso

inviato da Barbara, inserito il 11/12/2002

ESPERIENZA

101. Come si ama Dio

Madre Teresa di Calcutta

Tutti desideriamo amare Dio. Ma come si fa?
Gesù si convertì in pane di vita per saziare la nostra fame.
Quindi si fece ignudo, sfrattato, abbandonato, lebbroso, drogato, prostituta, di modo che tutti noi, tanto voi come io, potessimo saziare la sua fame con il nostro amore.
Sicuramente non vi capiterà di vedere nei vostri paesi malati rosi da vermi, ma ci sono vermi che tarlano i cuori.
Mi commosse moltissimo il gesto di una bambina piccola che decise di mandarmi i soldi della sua prima comunione invece di tenerseli per comprare un vestito per quella festa.
In Africa ci sono molte migliaia di persone che muoiono di fame a causa della siccità.
Mi imbattei in strada in una bambina di cinque o sei anni e le diedi un pezzo di pane.
Cominciò a mangiarlo briciola per briciola, dicendo che avrebbe avuto ancora fame, una volta terminato il pane.
Lei aveva già fatto esperienza di cosa è la fame, qualcosa che né io né voi ancora sappiamo cos'è.

amaresolidarietàcaritàpovertà

inviato da Viola, inserito il 04/12/2002

PREGHIERA

102. Ad occhi aperti

Signore, se penso alla mia vita
lo sai che cosa mi viene in mente?
Una corsa ad ostacoli!
Tra la scuola, lo sport, la musica...
non riesco mai a fermarmi un po'
e a guardarmi intorno.

Mi sembra di essere come uno di quei discepoli
che andavano a Emmaus:
cammino con te a fianco senza riconoscerti.

Aiutami allora, Signore,
a rimanere sempre "ad occhi aperti"
per poter vedere il tuo volto
riflesso in quello dei miei genitori,
dei miei amici, del mio parroco
e, soprattutto, nelle facce sofferenti degli ultimi:
i poveri, i malati, i carcerati...

Fa', o Signore, che riesca sempre
a mettere in pratica con tutti
il tuo comandamento più grande: l'amore.

rapporto con Dioincontrare Diovedere Dioamorecaritàsolidarietàemmaus

inviato da Viola, inserito il 03/12/2002

PREGHIERA

103. Preghiera di un soldato morto in guerra

Ascolta, mio Dio.
mi hanno detto che non esistevi
e io, come uno stupido,
ho creduto che avessero ragione.
L'altra sera dal fondo di una voragine,
scavata da un obice, ho visto il tuo cielo.
Di colpo mi sono accorto che mi avevano imbrogliato.
Avessi preso un po' di tempo per guardare le cose,
mi sarei accorto benissimo che quelle persone
si rifiutavano di chiamare gatto un gatto.
Mi chiedo, mio Dio,
se ti andrebbe di stringermi la mano...
Eppure sento che non ti sarà difficile comprendermi.
E' curioso che sia dovuto venire
in questo luogo d'inferno,
per aver il tempo di vedere il tuo volto.
Ti amo terribilmente: ecco quello che voglio che tu sappia.
Tra poco ci sarà un orribile attacco.
Chissa! Può darsi che proprio questa sera
io bussi alla tua porta.
Noi due, fino a quest'istante, non siamo stati amici,
e mi chiedo se mi aspetterai sulla soglia della tua casa.
Lo vedi? Adesso piango. Sì, proprio io, piango come un bambino.
Se ti avessi conosciuto prima...
E' l'ora! Bisogna che vada.
E' strano; da quando ti ho incontrato
non ho più paura di morire.

La paternità di questo testo non è chiara: alcuni testi su internet l'attribuiscono a Aleksandr Zacepa, soldato dell'Armata Rossa; altri dicono che è stato trovato sul cadavere di un soldato americano al momento dello sbarco in Africa del Nord, durante l'ultimo conflitto mondiale. Al di là dell'incertezza sull'autore del testo, resta valido il suo messaggio.

morteguerrafedevita eternaricerca di Dio

inviato da Claudio Guazzarotto, inserito il 03/12/2002

TESTO

104. Occhi di Dio

Kahlil Gibran

Chi ci guarda con gli occhi di Dio riuscirà a vedere la nostra realtà più pura ed essenziale.

interioritànon giudicareocchi di Dio su di noigiudizio

inviato da Barbara, inserito il 03/12/2002

RACCONTO

105. Ciò che il mare racconta di Dio

Dio è un mistero. Noi possiamo solo cercare di farcene un'immagine. Giovanni di Ruysbroek, quando pensava a Dio, pensava al mare.

Giovanni vive in Olanda, un paese piatto, piatto. Uomini pacifici coltivano i campi. Giovanni, però, vuole vivere solo per Dio e perciò abbandona la compagnia degli uomini e cerca la solitudine.

Per essere soli bisogna abitare vicino al mare, perché nessuno vuole vivere accanto alle dighe. Lì soffia sempre un forte vento e a volte onde alte scavalcano le barriere delle dighe. Proprio lì Giovanni si è ritirato per abitare in una semplicissima capanna.

La gente si meraviglia. A volte qualcuno viene a visitarlo e gli chiede: "Giovanni, ma che cosa fai da queste parti?". "Io cerco Dio e qui gli sono molto vicino, qui mi riesce facile pensare a lui" risponde.

"Noi pensiamo a Dio quando siamo in chiesa, lì abbiamo delle immagini di lui".
"Anch'io ho un'immagine di lui" dice Giovanni.
"Dov'è? Faccela vedere!".

Giovanni li conduce sulla diga. Il mare è calmo e si stende senza confine.

"Guardate, questa è la mia immagine di Dio: così è il Padre, infinitamente grande come questo mare!".

La gente rimane per molto tempo in silenzio. "Certo, lo vediamo - dice uno -, ma noi abbiamo anche immagini di Gesù; un artista le ha dipinte da poco sulla parete della nostra chiesa". "Se vi fermate fino a stasera, vi farò vedere la mia immagine di Gesù".

Dopo queste parole Giovanni si ritira nella sua capanna. I bambini giocano sulla spiaggia, gli adulti chiacchierano tra di loro. Però i loro sguardi si rivolgono continuamente verso il mare, verso il grande oceano.

La sera tutti vogliono entrare nella capanna di Giovanni. "Dov'è l'immagine di Gesù?".

Giovanni li porta di nuovo con sé allo stesso posto. Il mare è cambiato, è diventato irrequieto. È l'ora dell'alta marea e le onde salgono sempre di più. Una dopo l'altra, battono contro la diga, si accavallano, si infrangono e ritornano formando una bianca schiuma. Le dighe non sono chiuse completamente e l'acqua può entrare dappertutto e inondare la terra. Presto all'intorno tutto è coperto d'acqua.

Giovanni dice: "Adesso il mare non è più lontano. L'immenso oceano ha mandato le sue onde e l'acqua è entrata dappertutto. Anche Dio è così. Il Padre manda il Figlio. Questi bussa dappertutto e va alla ricerca di tutti".

Questa è un'immagine che la gente capisce. Sì, è proprio così; Gesù ha trovato la strada per venire incontro a ciascuno. Un grande silenzio si diffonde tra la folla.

Solo uno vuole porre un'ultima domanda: "Giovanni, possiedi anche un'immagine dello Spirito Santo?".

Giovanni sorride, perché proprio in quel momento l'acqua ha cominciato a muoversi di nuovo. I flutti che inondano la spiaggia cominciano a ritirarsi pian piano.

"Guardate che cosa succede adesso! Il mare torna indietro. E guardate, esso porta con sé foglie, legna, erba. Tutto viene afferrato dal mare e portato via, riportato nell'immenso mare. E questa è l'opera dello Spirito Santo. Ci afferra, ci porta con sé, ci riporta al Padre".

Tutto ritorna a Dio. Anche le persone che sono morte sono con lui.

Trinitàrapporto con DioDio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

106. La vecchietta che aspettava Dio   9

Bruno Ferrero

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese. Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo. Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo 'stato' fondamentale nella vita del cristiano: il tempo dell'Avvento. La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente... è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.

C'era una volta un'anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.

Dopo un po', qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!". E sbattè la porta in faccia alla mortificata vicina.

Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!". E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.

Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.

"Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.

La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto. Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto".

avventoincarnazionerapporto con Diopovertàcaritàsolidarietàamore

4.5/5 (4 voti)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

TESTO

107. La fede è l'intelligenza nella sua riuscita

C. Tresmontant

È all'intelligenza che Gesù fa costantemente appello. E la sollecita. Il rimprovero costante sulla sua bocca è: non comprendete, non avete intelligenza? Non credete ancora? aggiunge anche. La fede che sollecita non ha nulla a che vedere con la credulità. Questa fede è precisamente l'accesso dell'intelligenza a una verità, il riconoscimento di questa verità, il sì dell'intelligenza convinta e non una rinuncia all'intelligenza, un sacrificio dell'intelletto. L'opposizione tra fede e ragione è una opposizione profondamente non cristiana, non evangelica. Bisogna dimenticare questa dialettica troppo celebre, troppo famosa per comprendere ciò che nel Nuovo Testamento si intende per fede, che è l'intelligenza stessa nel suo atto, nella sua riuscita, e la conoscenza stessa della verità insegnata, il riconoscimento del Maestro: il credere nei Vangeli è questa scoperta, questa intelligenza della verità che è proposta. Al ragazzo cui si insegna a nuotare, si spiega che in virtù di leggi naturali non deve aver paura, nuoterà se farà alcuni movimenti molto semplici. Il ragazzo ha paura, si irrigidisce, e non crede. Viene il momento in cui fa esperienza che ciò che gli è stato detto è possibile, crede, nuota. Non si dirà che la fede, in questo caso, si oppone alla ragione, se ne differenzia. Essa è per lui piuttosto identica; anche se la fede è un'altra cosa dell'intelligenza, il sì dell'intelligenza alla verità che essa vede, l'adesione alla verità vista e riconosciuta. Questo è il significato della parola pistis, pisteuein, nei Vangeli. Nel quarto Vangelo, la fede e la conoscenza sono costantemente associate come inseparabili: "Essi hanno conosciuto ed hanno creduto che tu sei il figlio del Dio vivente". È appunto alla nostra intelligenza che Gesù si indirizza e non alla nostra credulità. Contrariamente a quanto alcuni vorrebbero farci credere, la credulità e la debolezza di giudizio non sono affatto un omaggio gradito a Dio. La verità non richiede che l'uomo si abbassi ad animale, né che umilii la ragione, che gli è, al contrario, necessaria per attingere la conoscenza di Dio. Noi subiamo in Occidente da parecchi secoli una tradizione che pretende fondare la conoscenza di Dio sul deprezzamento della ragione, su una frustrazione dell'esigenza di razionalità e di intelligibilità. Questa cattiva coscienza nei riguardi della ragione non è giustificata nella tradizione biblica ed evangelica.

federagioneintelligenzafiduciaabbandono in Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002

TESTO

108. Essere presenza

Cardinale Pironio

"Essere presenza", Signore, è parlare di te senza nominarti.
Tacere nel momento in cui è necessario che siano i gesti al posto della parola.
Essere luce che illumini il linguaggio del silenzio e voce che, anche se sorge della vita, non parla.
È dire agli altri che gli stiamo vicini, pur essendo grande la distanza che ci separa.
È intuire la speranza degli altri e semplicemente riempirla.
È soffrire insieme con quello che soffre al di dentro e mostrargli che Dio guarisce le nostre piaghe.
È ridere con quello che ride e gioire del fratello perché ama.
È gridare con tutta la forza dello Spirito, la verità che è Dio soltanto che ci salva.
È vivere esposto e senza armi, affidandosi ciecamente alla Sua Parola.
È condurre il "deserto" ai fratelli, dividendo il tuo mistero e annunciandogli che tu li ami.
È sapere ascoltare il tuo linguaggio nel silenzio.
È "vedere" al loro posto quando la loro fede sembra spegnersi.
"Essere presenza", o Signore, è sapere aspettare il tuo tempo senza fretta e nella quiete.
È dare tranquillità con una pace molto profonda.
È vivere la tensione dello sconcerto in una Chiesa che, siccome cresce, cambia.
È aprire se stesso ai "segni dei tempi", pur rimanendo fedele alla tua Parola.
È alla fine, essere pellegrino in un cammino pieno di fratelli, che gridano nel silenzio che tu sei vivo e ci tieni stretti nelle tue mani.

testimonianzasolidarietàsperanzapresenza

inviato da Anna, inserito il 30/09/2002

PREGHIERA

109. In questo mondo   2

Rabindranath Tagore

In questo mondo coloro che m'amano
cercano con tutti i mezzi
di tenermi avvinto a loro.
Il tuo amore è più grande del loro,
eppure mi lasci libero.
Per timore che io li dimentichi
non osano mai lasciarmi solo.
Ma i giorni passano
l'uno dopo l'altro
e tu non ti fai mai vedere.
Non ti chiamo nelle mie preghiere,
non ti tengo nel mio cuore
eppure il tuo amore per me
ancora attende il mio amore.

amorelibertàpreghierarapporto con Dioamore di Dio

inviato da Barbara, inserito il 25/09/2002

TESTO

110. Mi ami tu?

Henri J. M. Nouwen, Nel nome di Gesù

Prima di costituirlo pastore del suo gregge Gesù domandò a Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più degli altri?". Poi gli domandò una seconda volta: "Mi ami tu?", e una terza volta ripeté la stessa domanda: "Mi ami tu?". Anche noi dobbiamo porre questa domanda al centro del nostro ministero cristiano, perché è proprio essa che ci permette di essere da un lato inutili, e dall'altro veramente fiduciosi in noi stessi.

Basta guardare Gesù. Il mondo non si curò minimamente di Lui, e Gesù fu crocifisso e sepolto. Il suo messaggio di amore fu rigettato da un mondo assetato di potere, efficienza e dominio. Ma ecco che Gesù risuscito, con le ferite nel suo corpo glorificato, appare ad alcuni amici che hanno occhi per vedere, orecchie per udire e cuore per comprendere. Questo Gesù rigettato, sconosciuto, ferito, chiede semplicemente: "Mi ami tu? Mi ami davvero?". Lui che si era preoccupato solo di annunciare l'amore incondizionato di Dio ha una sola domanda da fare: "Mi ami tu?".

Gesù non chiede: "C'è molta gente che ti prende sul serio? Hai intenzione di compiere grandi cose? Hai già qualche risultato da farmi vedere?". Chiede invece: "Sei innamorato di Gesù?". Forse potremmo formulare la domanda anche in altro modo: "Conosci il Dio incarnato?". E' un cuore che non conosce sospetti, vendette, risentimenti, né tanto meno odi. E' un cuore che vuole solo dare amore ed essere ricambiato con amore. E' un cuore che soffre immensamente perché vede la grandezza del dolore umano e l'ostinazione a non fidarsi del cuore di un Dio che vuole offrire consolazione e speranza.

Il leader cristiano del futuro è uno che conosce intimamente il cuore di Dio, diventato "cuore di carne" in Gesù. Conoscere il cuore di Dio significa annunciare e rivelare in modo coerente, radicale e quantomai concreto che Dio è amore, e solo amore, e che la paura, l'isolamento o la disperazione che possono tormentare l'anima umana sono prove che certamente non vengono da Dio. Tutto questo può sembrare molte evidente e forse banale, ma ben pochi sanno che Dio li ama senza condizioni e senza limiti. Questo amore incondizionato e illimitato è quello che l'evangelista Giovanni chiama il "primo" amore di Dio. "Amiamo Dio", egli dice, "perché Dio ci ha amati per primo"(1 Gv 4,19). L'amore che spesso ci lascia dubbiosi, delusi, arrabbiati e offesi è il "secondo" amore: e cioè accettazione, affetto, simpatia, incoraggiamento e sostegno dei genitori, insegnanti, coniugi, amici. E sappiamo tutti che è un amore quantomai, limitato, violato e fragile. Sotto le numerose espressioni di questo secondo amore si nasconde sempre la possibilità di rigetto, ritiro, castigo, ricatto, violenza e perfino odio. Molti film e drammi contemporanei ritraggono le ambiguità e ambivalenze delle relazioni umane, e non esistono amicizie, matrimoni, comunità in cui le tensioni e gli sforzi del secondo amore non si rivelino in tutta la loro gravità. Si direbbe anzi che gli aspetti piacevoli della vita di ogni giorno nascondano molte ferite aperte che si chiamano abbandono, tradimento, rigetto, rottura, perdita. Tutto questo è, per così dire, l'ombra inseparabile del secondo amore e rivela l'oscurità che non abbandona mai completamente il cuore umano.

L'essenza della buona novella sta proprio qui: nell'annuncio che il secondo amore è solo un pallido riflesso del primo amore, e che il primo amore ci viene offerto da un Dio in cui non ci sono ombre.

gratuitàamoreamore di Diorapporto con Dio

inviato da Polda, inserito il 08/09/2002

RACCONTO

111. I due lumini   2

G. Francesco

C'era in un piccolo paese di montagna un chiesa molto famosa per i suoi meravigliosi quadri, dipinti da artisti di ogni secolo. Questa chiesa era così famosa che andava a visitarla anche gente proveniente da paesi lontani.
Oltre a questi meravigliosi capolavori, in un angolo quasi dimenticato, vi era anche un crocifisso di legno; a differenza dei quadri, ben visibili a tutti i visitatori perché illuminati da potentissimi fari che evidenziavano contorni e colori delle immagini, il piccolo crocifisso, posto nel buio, passava quasi sempre inosservato. Così era molto triste e sconfortato, perché si rendeva conto che nessuno poteva vederlo e quindi non poteva fare quello che doveva fare.
Un giorno, uno spiraglio di luce riuscì ad illuminare una zona di quell'angolino. Il crocifisso, incuriosito da questo fascio di luce, cercò di vedere cosa c'era lì attorno e con grande sorpresa, notò proprio accanto a lui, due lumini.

Con un po' di coraggio tentò di attirare la loro attenzione:
"Salve, io sono il Crocifisso di legno ed avrei un gran bisogno del vostro aiuto".
Uno dei due lumini, con aria da superiore e un po' infastidito, rispose:
"Il mio aiuto? E perché dovrei aiutarti? Non ho proprio voglia di fare niente! E poi non saprei proprio cosa poter fare per te".
Il crocifisso, turbato dalla risposta, ribatté al primo lumino: "Come non sai come potermi aiutare?! Non sai che tu hai la capacità di generare luce?!".
Riprese il primo lumino: "Luce? E come potrei produrla? A me nessuno ha mai detto per che cosa sono stato creato; mi hanno lasciato qui e qui sono rimasto, senza farmi tante domande".
Replicò il crocifisso: "Allora te lo dico io. Tu, con la tua cera e con il tuo stoppino, hai la possibilità di dar vita ad una luce piccola, ma sufficiente ad illuminarmi. Purtroppo però, questa luce non è eterna: la fiamma da cui proviene scioglie, con il suo calore, la cera e la consuma".
E il primo lumino, spaventato: "Cosa vuoi dire? Che perderò la mia forma rotonda e alta? Che mi vedrò morire a poco a poco?".
Rispose il crocifisso: "Sì. E voglio dirti che ad un certo punto non ci sarai più".
"Neanche a pensarci!" disse il lumino, "io non farò niente di quello che tu mi hai detto. Preferisco stare qui, in questo angolo buio, piuttosto che rovinarmi e perdere ciò che ho".
Il crocifisso, ascoltate le parole del lumino, perse la speranza.

Ad un tratto però, si sentì chiamare: "Scusa. Ehi crocifisso, mi senti? Posso parlarti un secondo?".
Il crocifisso volse lo sguardo; capì che quella vocina proveniva dal secondo lumino e rispose: "Sì che puoi parlarmi!".
Allora il secondo lumino domandò: "Ma è vero che io ho il dono di creare luce? E che così facendo potrei aiutarti?".
Rispose il crocifisso: "Sì, è proprio vero. Ma è anche vero che per aiutarmi dovrai sacrificare te stesso".
Il secondo lumino stette un po' in silenzio; poi, con sicurezza, sentenziò: "Ok, ti aiuterò. Lo faccio perché è ciò che voglio fare. Ora che sono a conoscenza del mio dono, voglio farlo fruttificare, anche se dovrò andare incontro alla mia fine. Tu non preoccuparti perché aiutando te, farò qualcosa anche per me stesso: mi potrò realizzare".
Il crocifisso, commosso, ringraziò di tutto cuore il lumino. Si sentiva molto felice perché adesso, illuminato dal suo piccolo amico, poteva fare ciò per cui era stato creato.

Da quel giorno, nella chiesetta, non sono più solo i quadri ad attirare l'attenzione dei fedeli visitatori: c'è un oggettino che esprime umiltà e semplicità; è illuminato da una luce tiepida e tenue che misteriosamente richiama chiunque lo noti, a fermarsi un attimo. Non è un quadro artisticamente meraviglioso, ma ha qualcosa di particolare: mostra l'immagine del Figlio di Dio, Gesù, colui che ha posto i doni del Padre al nostro servizio, dando loro così, un valore ancora più grande. E come se non bastasse, ha infine sacrificato se stesso, facendosi crocifiggere, per noi, perché quello era il destino che Qualcuno aveva disegnato.
Nella chiesetta risuona ancora oggi la storia di un lumino, che oramai vecchio e coperto di polvere, è rimasto abbandonato e solo nel suo buio angolino; e di un lumino che ormai non c'è più, ma che ha fatto la sua storia, lasciando traccia di sé nel cuore di un crocifisso che, grazie al suo amico lumino, narra, ancora oggi, l'umiltà e la bontà di chi ha scelto di vivere e morire per noi.

vitatalentisacrificioGesù Cristocrocesofferenza

5.0/5 (2 voti)

inviato da Giaccaglia Francesco, inserito il 29/08/2002

TESTO

112. Hai mai pensato   2

Sérgio Jeremias de Souza

Hai mai pensato a guardare tutte le cose con gli occhi di Dio?
Provaci! Tutto riacquista un senso nuovo:
il tuo lavoro, il tuo tempo libero, la tua famiglia, i tuoi amici, perfino i tuoi problemi.
Vedere le cose con gli occhi di Dio è un primo passo per diventare a sua immagine e somiglianza.

fedequotidianitàrapporto con Dio

inviato da Polda, inserito il 29/08/2002

RACCONTO

113. Il ricamo di Dio   2

Quando io ero piccolo mia madre era solita cucire tanto. Io mi sedevo vicino a lei e le chiedevo cosa stesse facendo. Lei mi rispondeva che stava ricamando. Osservavo il lavoro di mia madre da un punto di vista più basso rispetto a dove stava seduta lei, cosicché ogni volta mi lamentavo dicendole che dal mio punto di vista ciò che stava facendo mi sembrava molto confuso.

Lei mi sorrideva, guardava verso il basso e gentilmente mi diceva: "Figlio mio, vai fuori a giocare un po' e quando avrò terminato il mio ricamo ti metterò sul mio grembo e ti lascerò guardare dalla mia posizione".

Mi domandavo perché utilizzava dei fili di colore scuro e perché mi sembravano così disordinati visti da dove stavo io. Alcuni minuti dopo sentivo la voce di mia madre che mi diceva: "Figlio mio, vieni qua e siediti sul mio grembo".

Io lo facevo immediatamente e mi sorprendevo e mi emozionavo al vedere i bei fiori o il bel tramonto nel ricamo. Non riuscivo a crederci; da sotto si vedeva così confuso.

Allora mia madre mi diceva: "Figlio mio, di sotto si vedeva confuso e disordinato ma non ti rendevi conto che di sopra c'era un progetto. C'era un disegno, io lo stavo solo seguendo. Adesso guardalo dalla mia posizione e saprai ciò che stavo facendo".

Molte volte lungo gli anni ho guardato il cielo e ho detto: "Padre, che stai facendo?".
E Lui risponde: "Sto ricamando la tua vita".

Allora io replico: "Ma si vede così confuso, è tutto un disordine. I fili sembrano così scuri, perché non sono più brillanti?".

E Dio sembra dirmi: "Figliolo mio, occupati del tuo lavoro... e io faccio il mio. Un giorno ti porterò in cielo e ti metterò sul mio grembo e vedrai il disegno dalla mia posizione... E allora capirai...!!!".

Nei giorni in cui sembra che nemmeno Dio si ricordi di te, invece di angustiarti ripeti con certezza: "Signore, io confido in te".

fedefiduciaprogettovocazionevitaprogetto di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 29/08/2002

TESTO

114. Euforia serale

Felice d'avere tutta una vita alle spalle.
Felice di sorprendermi in vita ogni mattina.
Felice di poter respirare, essere saggio e sereno.
Felice finora di non esser troppo ammalato.
Felice di aver tempo di pregare Dio.
Felice di non esser attaccato a grandi cose.
Felice di vedere tanta gente che mi vuol bene e mi cura.
Felice di aver vissuto un'epoca straordinaria.
Felice di vedere una Chiesa trasformata.
Felice di sapere che ci sarà un seguito.
Felice di arrivare alla fine e dire:...si avvicina.
Felice di rientrare al porto dopo una lunga traversata.
Felice di non aver che una preoccupazione, morire bene.
Felice di non essere solo a condividere.

gratitudinefelicitàgioia

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 21/08/2002

PREGHIERA

115. Mi hai fatto proprio bene!   2

Card. Anastasio Ballestrero

Signore, nel realizzare il tuo disegno eterno, mi hai chiamato all'esistenza in quel contesto di dati che sono la mia storia.
Perché così e non in altro modo?
Ti sei forse sbagliato? No.
Tu non mi hai creato per sbaglio, né per distrazione, né per contrattempo. Al momento giusto, all'ora tua, secondo il tuo disegno e la tua volontà, secondo la tua scelta, tu mi hai formato.
Sono fatto bene per essere santo.
Se dicessi di no mi parrebbe di mancarti di riguardo, di dire che neppure a te riescono le cose come le vuoi, che anche a te capitano gli infortuni.
Signore, sono fatto bene per te.
Alle volte perdonami se te lo dico, mi trovo fatto un po' meno bene per me.
Ma confesso, sia pure con un po' di fatica, che è più importante essere fatto bene per te che per me.
I miei limiti non devono essere motivo di cruccio per la mia superbia, né motivo di malumore quando gli altri li vedono.
Signore, ti benedico e ti ringrazio che mi hai fatto come mi hai fatto.
Gli altri possono dire quello che vogliono. Io ho solo da dirti: grazie.
Ho solo da benedirti, ho solo da sentire una riconoscenza eterna perché mi hai fatto come mi hai fatto.
E quando gli altri trovano che sono uno sgorbio, più che una cosa buona, io, Signore, credo a te.
Alle volte mi prende la voglia di vedere come te la caverai con questa povera creatura che io sono.
E penso che la vita eterna sarà beata anche per questo: perché là capirò quello che adesso non capisco e mi spiegherò ciò che adesso è un mistero.

vocazioneprogetto di Diorapporto con Diostima di séaccettazione di sé

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 14/06/2002

TESTO

116. Dio aspetta sempre, qualcuno arriverà?   1

Ho incontrato un Dio, figlio di Giuseppe, che crede in me, perché è stato uomo.
Ho incontrato un Dio che ha scelto di essere il medico del mio cuore, l'aroma per il mio palato.
Ho incontrato un Dio che non soffre il daltonismo,
ha occhi per i colori di tutte le pelli.
Ho incontrato un Dio che ama le vedove quanto i profeti.
Ho incontrato un Dio disarmato, che si è fatto cacciare dalla sinagoga
perché non aveva privilegiato gli abitanti del suo paese.
Ho incontrato un Dio incandescente, che converte con la tenerezza.
Ho incontrato un Dio più splendente del sole, più tenero della notte.
Ho incontrato un Dio che non cancella mai nessuno dalla sua memoria.
Ho incontrato un Dio che ha contato i capelli sul mio capo, le ciglia dei miei occhi, i peli della mia barba.
Ho incontrato un Dio che accende la sua lanterna
per vedere dentro l'anima, di chi non ha anima.
Ho incontrato un Dio che supera le distanze,
che non ha paura di toccarmi, di sospingermi,
di scuotermi, di accarezzarmi.
Ho incontrato un Dio che è contro il pessimismo, il malessere, la tristezza.
Ho incontrato un Dio allegro, che balla con le stelle,
saltella con i cerbiatti, corre con il vento, volteggia con i fiocchi di neve.
Ho incontrato un Dio che non ha avuto fortuna nella sua patria, che ha fatto adirare i fedeli della sinagoga.
Ho incontrato un Dio che ha guarito Naaman, lo straniero.
Ho incontrato un Dio che completa le profezie,
non facendo cose meravigliose, ma predicando la misericordia.
Ho incontrato un Dio che si è fatto pellegrino, cercatore itinerante.
Ho incontrato un Dio che ha trasformato le strade in vie, le parole in verità, le morti in vita.
Ho incontrato un Dio che sa aspettare all'infinito:
sa aspettare i buoni; sa aspettare i cattivi;
sa aspettare i vecchi; sa aspettare i bambini.
Saper aspettare un'arte difficile?
Ho capito però perché Dio sa aspettare, sempre, qualcuno.
Perché aspettare nessuno è la cosa più triste al mondo.
La tristezza vera è quando tu non attendi più nessuno, non attendi più nulla dalla vita.
La solitudine più nera non la provi quando trovi il focolare spento,
ma quando non lo vuoi più accendere,
neppure per un eventuale ospite di passaggio.
E' tristezza quando non aspetti più neppure la "vita del mondo che verrà",
quando pensi che ormai i giochi sono fatti, che per te "la musica è finita,
gli amici se ne vanno...", come diceva una famosa canzone.
Poiché Dio è la gioia, aspetta sempre, e sa che qualcuno arriva.
Viva questo Dio nei nostri cuori, per sempre.
Amen.

Gesù Cristoincarnazionerapporto con Dio

inviato da Mariangela Molari, inserito il 14/06/2002

PREGHIERA

117. Vivere, non solo sperare

Jack Riemer

Oh Dio,
veramente non possiamo pregarti
perché cessi la guerra:
infatti sappiamo che
Tu hai fatto il mondo
in modo tale che l'uomo
deve trovare la strada della pace
in se stesso e con il suo vicino.

Oh Dio,
veramente non possiamo pregarti
perché cessi la fame:
infatti Tu ci hai dato
risorse abbondanti,
sufficienti a nutrire il mondo intero,
a condizione di usarle con saggezza.

Oh Dio,
veramente non possiamo pregarti
di sradicare l'ingiustizia:
infatti Tu ci hai dato occhi
capaci di vedere il bene
presente in ogni creatura,
a condizione di usarli con saggezza.

Oh Dio,
veramente non possiamo pregarti
di far scomparire la disperazione:
poiché Tu ci hai dato il potere
di trasformare i tuguri
e di seminare la speranza,
a condizione di usarlo con saggezza.

Oh Dio,
veramente non possiamo pregarti
di far cessare le malattie:
poiché Tu ci hai dato un'intelligenza
capace di trovare cure e medicamenti,
a condizione di usarla con saggezza.

Per questo, oh Dio, ti preghiamo
piuttosto di darci forza,
determinazione e coraggio
di agire e non solo di pregare,
e soprattutto di vivere
e non soltanto di sperare.

amorecaritàsofferenzadolorecroceresponsabilitàmale nel mondo

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 12/06/2002

TESTO

118. Buon Natale, tanti auguri... scomodi!

Tonino Bello

Non obbedirei al mio dovere di Vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.

Non posso, infatti, sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario. Mi lusinga, addirittura, l'ipotesi che qualcuno li possa respingere al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.

Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l'aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.

I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere "una gran luce", dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell'edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.

I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge" e scrutando l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio. E poi vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l'unico modo per morire ricchi.

Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

Nataleincarnazioneconversione

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 12/06/2002

RACCONTO

119. L'angelo custode   1

C'era una volta, e c'è ancora adesso, un angelo custode.

Era un angelo come tanti altri, ma era molto triste perché era custode e protettore di un bambino così discolo che non si era mai visto. Si chiamava Pino, ma ogni volta che lo chiamavano lui rispondeva: "Chi? Io?", e così tutti iniziarono a chiamarlo Pinocchio.

Pinocchio era svogliato, disubbidiente, qualche volta cattivo e tutte le volte il suo angioletto si disperava e non sapeva più come fare per trattenerlo.

Finché un giorno ebbe un'idea grandiosa. Chiese un colloquio con Dio e quando si trovò alla sua presenza espose la sua proposta. Chiese il permesso di scendere sulla terra e di parlare con Pinocchio sicuro in questo modo di riuscire a convincerlo a cambiare vita. Dio ci pensò un po' su' ed infine accordò all'angioletto il permesso di fare quest'ultimo tentativo, ma con la promessa di non toccare la terra con i piedi, altrimenti non avrebbe più potuto risalire in cielo. L'angioletto allora chiese timidamente come avrebbe fatto a non poggiare i piedi per terra, ma Dio non fece altro che sorridere facendo gli auguri di buona fortuna.

L'angioletto cominciò a girovagare per il cielo volando da una nuvola all'altra pensando a come poter scendere sulla terra mantenendo i piedi separati da essa.

Ad un tratto fu attirato dal vociare di alcuni angeli che stavano giocando su di una nuvola attrezzata con un'altalena. Immediatamente capì che aveva trovato lo strumento adatto per la sua missione.Aiutato dagli altri angioletti riuscì a costruire una altalena con le corde lunghe dal cielo alla terra. L'angioletto si accomodò sul sedile e si raccomandò con gli amici di farlo scendere lentamente e poi di trattenere le corde fino al suo segnale di risalita. Per l'occasione aveva vestito il suo abito migliore, quello delle grandi occasioni, un frac tinta nuvola completo di bastone e cappello.

Cominciò la discesa finché non si trovò sospeso a mezz'aria in attesa di Pinocchio.

E Pinocchio non si fece attendere; incuriosito dal personaggio così strano subito si avvicinò domandando chi fosse e come mai avesse la faccia così triste.

L'angioletto iniziò la sua storia da quando era stato assegnato come suo custode elencando tutti i dispiaceri che aveva passato per colpa sua, e ad ogni nuova avventura aggiungeva un granellino di sabbia sulla piccola bilancia che teneva in mano, la quale pendeva inesorabilmente in un solo senso.

Pinocchio lo ascoltò con attenzione; ma lui era furbo; non era mica un bambino che credeva agli angioletti, e così con una alzata di spalle fece per andarsene. L'angioletto disperato vedendo sfuggire il suo protetto cominciò a chiamarlo dicendo che non poteva scendere dall'altalena in quanto non sarebbe più potuto risalire.

Pinocchio si fermò; tornò indietro, guardò l'angioletto in lacrime e gli disse che gli avrebbe creduto se gli avesse fatto vedere il cielo sopra le nuvole. L'angioletto ci pensò un poco su', poi decise che una vita salvata valeva pure una sgridata del "Capo".

Fece salire Pinocchio sull'altalena e diede ordine ai suoi amici di tirare su. L'altalena non si mosse. L'angioletto gridò più forte; niente; come prima.

Pinocchio stava per prendersi la sua rivincita quando l'angelo cominciò ad arrampicarsi su una delle corde. Svelto come un gatto anche lui lo seguì dall'altra corda ed insieme salirono fino alle nuvole. Quando arrivarono su, videro che gli amici erano tutti addormentati e quindi non avevano udito il comando di risalita.

Ma se loro avevano lasciato le corde dell'altalena, come mai non era caduta sulla terra?

I due si accorsero allora che le corde proseguivano in alto, su un'altra nuvola. Ripresero a salire, arrampicandosi finché non spuntarono dall'altra parte.

Si trovarono di fronte al "Capo" che aveva le corde dell'altalena legate ad un dito e li guardava sorridendo. Pinocchio che era davanti si voltò indietro in direzione dell'angioletto per chiedere spiegazioni e con immenso stupore si accorse che il viso dell'angelo era diventato uguale al suo, come una goccia d'acqua.

A quel punto capì tutto, capì che era tutto vero quello che aveva ascoltato dalla bocca dell'angelo, capì che era di fronte a Dio e capì che di fronte a Dio tutti gli angeli custodi sono visti con lo stesso volto degli uomini di cui sono custodi sulla terra.

Ridiscese trasformato, e cominciò a mettere in pratica quello che tutti gli avevano insegnato e lui non aveva mai seguito.

Un giorno ripassò nel luogo in cui aveva incontrato l'angelo e ci trovò ancora l'altalena. Si sedette e cominciò a dondolarsi, felice di sentirsi cullato dalla mano di Dio. Guardò in alto e vide sopra la nuvola il "suo" angioletto sorridente con in mano la stessa bilancia del primo incontro; questi cominciò a versare la sabbia del piatto su Pinocchio trasformandola in una pioggia di polvere dorata che ricoprì il suo cuore e lo riempì di felicità.

Oggi Pinocchio non ha più bisogno di andare a dondolarsi sull'altalena per sentirsi vicino al Padre che è nei cieli, ma ancora oggi i suoi bambini prima di addormentarsi alla sera vogliono ascoltare la stupenda avventura del loro papà e del "suo" angioletto.

angelo custodecoscienza

inviato da Luca Peyron, inserito il 11/06/2002

PREGHIERA

120. La vita è bella, Signore

Michel Quoist

La vita è bella Signore,
e voglio coglierla
come si colgono i fiori in un mattino di primavera.
Ma so, mio Signore,
che il fiore nasce
solo alla fine di un lungo inverno,
in cui la morte ha infierito.

Perdonami Signore, se a volte,
non credo abbastanza nella primavera della vita,
perché, troppo spesso,
mi sembra un lungo inverno
che non finisce mai di rimpiangere
le sue foglie morte
o i suoi fiori scomparsi.

Eppure con tutte le mie forze
credo in Te, Signore,
ma urto contro il tuo sepolcro e lo scorgo vuoto.

E quando gli apostoli d'oggi mi dicono
che ti hanno visto vivente
sono come San Tommaso,
ho bisogno di vedere e di toccare.
Dammi abbastanza fede,
ti supplico, Signore,
per aspettare la Primavera,
e nel momento più duro dell'inverno,
per credere alla Pasqua trionfante
oltre il Venerdì di passione. (...)

Signore tu sei risorto!
Dal sepolcro, grazie a Te,
la Vita è uscita trionfante.

La sorgente d'ora in poi non si prosciugherà mai,
Vita nuova, offerta a tutti,
per ricrearci per sempre
figli di un Dio che ci attende,
per le Pasque di ogni giorno
e di una gioia eterna.

Era Pasqua ieri, Signore,
ma è Pasqua anche oggi
ogni volta che accettando di morire in noi stessi,
con Te apriamo una breccia
nella tomba dei nostri cuori,
perché zampilli la Fonte
e scorra la Tua Vita.

E se tanti uomini,
nel loro sforzo umano
purtroppo, non sanno che sei già lì,
lo scopriranno più tardi
alla tua luce.

Era Pasqua ieri,
ma è Pasqua anche oggi,
quando un bambino divide le sue caramelle,
dopo avere in segreto lottato
per non tenersele tutte lui.

Quando marito e moglie si abbracciano di nuovo
dopo una discussione o una penosa rottura.
Quando i ricercatori scoprono
il rimedio che guarisce
e il medico riaccende la vita
che senza di lui si spegneva.

Quando la porte della prigione si aprono,
perché la pena è terminata,
e quando già nella sua cella
il carcerato divide le sigarette con i compagni.
Quando l'uomo dopo un lungo sforzo
trova lavoro
e porta a casa un po' di denaro guadagnato. (...)

Sì, Signore, la vita è bella,
poiché è tuo Padre che l'ha donata.
La vita è bella,
poiché sei Tu che ce l'hai ridata
quando l'avevamo perduta.
La vita è bella,
perché è la tua stessa Vita offerta per noi...
ma dobbiamo farla fiorire.
E per offrirtela ogni sera
devo raccoglierla
sulle strade degli uomini
come quel bimbo che passeggiando,
raccoglie i fiori dei campi
per farne un mazzo
da offrire ai suoi genitori.
Oh sì Signore,
fammi scoprire ogni giorno, sempre di più,
che la vita è bella!

vitapasquarisurrezionesperanzaaltruismodonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 11/06/2002

TESTO

121. Un buongiorno un po' speciale...   2

Buongiorno....

Quando ti sei svegliato questa mattina ti ho osservato e ho sperato che tu mi rivolgessi la parola anche solo poche parole, chiedendo la mia opinione o ringraziandomi per qualcosa di buono che era accaduto ieri.

Però ho notato che eri molto occupato a cercare il vestito giusto da metterti per andare a lavorare. Ho continuato ad aspettare ancora mentre correvi per la casa per vestirti e sistemarti e io sapevo che avresti avuto del tempo anche solo per fermarti qualche minuto e dirmi: "Ciao". Però eri troppo occupato.

Per questo ho acceso il cielo per te, l'ho riempito di colori e di dolci canti di uccelli per vedere se così mi ascoltavi però nemmeno di questo ti sei reso conto.

Ti ho osservato mentre ti dirigevi al lavoro e ti ho aspettato pazientemente tutto il giorno. Con tutte le cose che avevi da fare, suppongo che tu sia stato troppo occupato per dirmi qualcosa.

Al tuo rientro ho visto la tua stanchezza e ho pensato di farti bagnare un po' perché l'acqua si portasse via il tuo stress. Pensavo di farti un piacere perché così tu avresti pensato a me ma ti sei infuriato e hai offeso il mio nome, io desideravo tanto che tu mi parlassi, c'era ancora tanto tempo.

Dopo hai acceso il televisore, io ho aspettato pazientemente, mentre guardavi la TV, hai cenato, però ti sei dimenticato nuovamente di parlare con me, non mi hai rivolto la parola.

Ho notato che eri stanco e ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho oscurato lo splendore del cielo, ho acceso una candela, in verità era bellissimo, ma tu non eri interessato a vederlo.

Al momento di dormire credo che fossi distrutto. Dopo aver dato la buona notte alla famiglia sei caduto sul letto e quasi immediatamente ti sei addormentato. Ho accompagnato il tuo sogno con una musica, i miei animali notturni si sono illuminati, ma non importa, perché forse nemmeno ti rendi conto che io sono sempre lì per te.

Ho più pazienza di quanto immagini. Mi piacerebbe pure insegnarti ad avere pazienza con gli altri, ti amo tanto che aspetto tutti i giorni una preghiera, il paesaggio che faccio è solo per te.

Bene, ti stai svegliando di nuovo e ancora una volta io sono qui e aspetto senza niente altro che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa dedicarmi un po' di tempo.

Buona giornata...

Tuo papà Dio.

preghieraDioamore di Diorapporto con Dio

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 02/06/2002

RACCONTO

122. La principessa Anima

T.Spidlìk, Il professore Ulipispirus e altre storie

In mezzo alle montagne coperte di neve c'era una verde vallata con giardini, campi fertili, casette di artigiani. Sulla collina più alta c'era un castello dove abitava il vecchio principe con l'unica figlia, di nome Anima. Il principe e la principessa erano tutti e due buoni e la gente della valle li amava. Perciò tutti diventarono tristi quando si sparse la notizia che la principessa Anima era gravemente malata e non poteva uscire dal castello. Molti diedero consigli e portarono erbe medicinali. I medici arrivarono da paesi lontani. Ma nessun rimedio servì a niente. La principessa Anima peggiorava di giorno in giorno e la gente era sempre più triste.

Un giorno arrivò alla porta del castello una vecchietta sconosciuta. La presero per una mendicante e le diedero del pane in elemosina. Ma la vecchietta disse che voleva vedere la principessa malata. I servi non volevano lasciarla entrare e stavano a discutere con lei sul portone del castello finché il vecchio principe fu attirato dalle voci e uscì a vedere la strana vecchietta. Gli sembrò una buona donna e non trovò nessun motivo per non farla salire nella camera dove la figlia giaceva malata. "Dio mio, com'è dimagrita e com'è triste!", sospirò la vecchietta. "Purtroppo - gemette il principe - sembra che non vi sia più speranza". "Vi lamentate inutilmente - gli sussurrò all'orecchio la vecchietta - la principessa guarirà. Ha una malattia particolare. Non è nel corpo, è nell'anima. Per guarire ha bisogno di vedere il volto più bello che esiste sulla terra". Detto questo, la vecchietta improvvisamente sparì.

Al principe sembrava assai strano questo consiglio. Ma quando l'uomo è nella miseria si attacca a tutto. Così invitò pubblicamente tutte le più belle ragazze e i più bei giovani della sua terra a venire al castello. Il bel viso che guarirà la principessa, diceva il bando dei principe, riceverà una lauta ricompensa. Se si tratterà di un giovane, Anima diventerà sua moglie, nel caso di una ragazza, riceverà in dote la metà dell'eredità. Appena il bando fu pubblicato, tutta la più bella gioventù accorse al castello. I giovani sono tutti belli, e ognuno cercava di persuadersi di essere più bello degli altri. Ma tutto fu inutile. Anima peggiorava di giorno in giorno e diventava l'ombra di se stessa. Il principe piangeva, e nessuno riusciva a consolarlo.

Un pomeriggio la vecchietta sconosciuta comparve di nuovo al portone del castello. Di nuovo i servi non volevano lasciarla entrare e la prendevano in giro chiedendole se per caso credesse d'essere lei la più bella del mondo. Ma il principe anche stavolta fu attirato dal trambusto, accorse all'ingresso e condusse subito la vecchietta al capezzale della principessa. «Dio mio, com'è dimagrita e com'è debole!», esclamò la vecchietta. Il principe scoppiò a piangere. Ma la vecchietta aggiunse: " E' un bene che sia qui, sta morendo". Tutto il castello si riempì del pianto disperato del principe, a cui s'unì quello di tutti i servi e di tutte le guardie. Ma la vecchietta non badò affatto alla gran confusione che le sue parole avevano provocato. Corse al muro della stanza, tolse lo specchio che vi era appeso, s'avvicinò al letto e mise lo specchio davanti al volto agonizzante della principessa Anima. Successe il miracolo. La principessa vide il più bel volto dei mondo: era lei la più bella giovane della terra. Lo sguardo su se stessa la guarì all'istante e il pianto del castello si trasformò in grida di esultanza e di gioia.

Ora domanderete come finisce questa favola. Le favole non sono tutte uguali, e questa è una favola vera. La principessa Anima è l'anima umana, la più bella fra tutte le cose che esistono sulla terra. Purtroppo però non lo sa. Cerca la bellezza fuori di sé e non riesce a trovarla, perciò s'ammala e s'indebolisce. Solo quando riesce a conoscere se stessa e la sua bellezza interiore, allora guarisce e la sua gioia è senza fine. Per questo anche questa favola è senza il solito finale.

interiorità

inviato da Giuliana Babini, inserito il 01/06/2002

RACCONTO

123. Lo straniero

Jules Beaulac, (liberamente tradotto)

Arrivava da non si sa dove; lui stesso non se lo ricordava. Aveva camminato tanto e per tanto tempo, a giudicare dal suo sguardo fisso, dalle sue labbra secche e dalla sua barba lunga di più giorni. I suoi vestiti erano neri di polvere e la sua pelle ancor più sporca. Non camminava più, ma ondeggiava di qua e di là. Non aveva più sembianze. Solo lui conosceva il bruciore che gli torceva lo stomaco, tanto aveva fame... i crampi che gli mordevano i polpacci, tanto aveva camminato... il dolore che gli rompeva la testa, tanto il sole gliela aveva picchiata. Non aveva dormito da giorni e notti ormai, aveva mangiato qualcosa a malapena, bevuto un po'...
Ora, davanti a lui un paese: si augurava di trovare un cuore compassionevole. Entrò nel negozio di un fruttivendolo e domandò la "carità" di una arancia o di una mela.
- Hai i soldi?
- No, signore, ma sto morendo di fame...
- Niente soldi, niente frutta! Qui, non si fa credito. Vai a cercare altrove!
Bussò alla porta di una casa privata. La proprietaria, vedendo quella specie di accattone, non aprì la porta... tantomeno il cuore!

Si stava facendo notte, anche per la sua speranza. Come ultimo tentativo andò a suonare all'ufficio parrocchiale... più e più volte. Finalmente, una donna aprì prudentemente la porta e, senza lasciar tempo a parole, gli disse:
- Mi dispiace, signore, non riceviamo più nessuno, l'ora d'ufficio è passata. Se volete qualcosa ripassate domani all'ora indicata sulla targhetta.
Non ebbe il tempo di rispondere che la porta era di già sbarrata.
- Possibile che la carità sia programmata?... - si disse tra sé e sé.

Proprio vicino alla casa parrocchiale c'era una villa con un grande portico ombreggiato e una signora che si dondolava beatamente al fresco:
- Signora, avreste qualcosa da mangiare e un angolo in casa vostra per dormire?
Non aveva ancora finito di domandare, che si sentì folgorare dallo sguardo:
- Sappiate, signore, che io non faccio la carità a tipi come voi! Andate via a lavarvi! E poi andate a lavorare come fan tutti! A parte questo, io ho già le mie buone opere da fare, i miei poveri. Sono una donna buona, io, e una buona cristiana!
Capì che anche lì non avrebbe ottenuto niente. Ma il cervello si arrovellava: ma che razza di cristiani fabbrica questo paese...

Riprese la sua strada trascinando i piedi: era troppo affaticato e... scoraggiato. Non ci sarebbe stato proprio nessuno su questa terra a dargli vitto e alloggio?
Avanzava lentamente, sentiva il cuore stringersi, e le lacrime tiepide rigargli le gote...
All'improvviso si sentì chiamare:
- Ehi, tu! Come sei conciato! Si direbbe che hai camminato per tutta la terra, senza mangiare, senza lavarti e senza riposarti! Mi fai un po' pena! Dai, fermati, entra da me e lasciati vedere!

Non credeva alle sue orecchie. La speranza gli diede la forza di alzare gli occhi e guardare chi lo aveva apostrofato: Dio mio, chi poteva essere? E adesso, che fare?...

Capelli neri, ricci come il mantello di un montone, maschera di cipria, trucco pesante, mascara agli occhi... labbra laccate di rosso, una camicetta abbondantemente scollata e una mini-minigonna!

Capì subito che aveva a che fare con la "maddalena" del villaggio. Senza nemmeno rendersi conto, si ritrovò a tavola, davanti ad una minestra e ad una bistecca saporita mentre dalla stanza gli arrivavano effluvi di incenso e chissà quanti altri profumi e unguenti: come era bello mangiare dopo così tanto tempo! Appena finito, si ritrovò sapone e asciugamano in mano e sentì gorgogliare l'acqua tiepida nella vasca da bagno. Ah! che bello sentirsi finalmente pulito!
Lei gli infilò una camiciola uscita da chissà dove e lo mandò a dormire dopo avergli preparato una tisana. Sprofondò in un sonno di piombo.

Mentre dormiva, la "Maddalena" si accese la ventesima sigaretta e vuotò il sesto bicchiere di cognac... In lei, pensieri diversi la paralizzavano per la sorpresa:
- Poveretto, faceva davvero pena! Non lo potevo lasciar passare, bisognava che facessi qualcosa... Ho dato quello che potevo. Tu, Gesù, che dall'alto del tuo paradiso sai tutto, hai visto quello che è successo questa sera. Spero che te lo ricorderai quando alla fine della vita, sarò davanti a te... Certo, io non vado alla Messa: i devoti si scandalizzerebbero. Le mie "buone opere" non sono nel catalogo delle "signore perbene"! I benpensanti non passano davanti alla mia casa, molti entrano da dietro! Però tu sai che in fondo in fondo ti voglio bene, e io so che tu mi ami, come hai amato una come me che ti ha asciugato i piedi tanto tempo fa. So che un giorno tu mi cambierai cuore e vita. Questa sera ho fatto solo della carità ad un poveruomo: l'ho nutrito, lavato, ospitato ed ascoltato; ebbene, buon Gesù è a te e per te che l'ho fatto!

Tirò l'ultimo sbuffo di fumo di sigaretta dalle narici, scolò il bicchiere già vuoto e si alzò per andare a letto: l'animo era tranquillo come non mai. Si addormentò del sonno dei giusti.

La sua era stata veramente una buona giornata!

Mt 25,35: "Ero forestiero e mi avete ospitato".

Eb 13,2: "Non chiudere la tua porta allo straniero perché rischi di chiuderla all'Angelo del Signore".

Gv 21,7: "Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!»".

caritàtestimonianzaessere cristiani

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 28/05/2002

TESTO

124. Il povero che è in noi

Carl Jung, Lettera ad una donna cristiana

Vi ammiro, voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del pane ad un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete di riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la persona di Gesù in voi?

Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre più difficili... L'arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l'essenza del problema morale e il nocciolo di un'intera visione del mondo... Ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù... quel che faccio al più piccolo dei miei fratello l'ho fatto a Cristo!

Ma se io dovessi scoprire che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso è in me; che sono io stesso ad aver bisogno dell'elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico d'amare, allora che cosa accadrebbe?

Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana. Allora scompaiono amore e pazienza, allora insultiamo il fratello che è in noi, allora ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, ci nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver mai conosciuto quel miserabile che è in noi.

E se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo.

caritàamoreaccettazione di sé

inviato da Mariangela Molari, inserito il 28/05/2002

ESPERIENZA

125. Andate in missione per cercare luoghi e modi per dare la vita

Roberta Pignone

Questo titolo un po' strano è quello che meglio descrive il mio viaggio in Bangladesh fatto proprio lo scorso settembre. Fin dall'inizio del mio cammino di preparazione al PIME, iniziato lo scorso ottobre, ho sempre avuto come motivazione principale quella di scoprire cosa avrei potuto fare come medico in una Missione.

E così mi sono completamente affidata a questo cammino, io ho deciso di parteciparvi, tutto il resto mi è stato donato.

Nel mese di aprile ho saputo che la mia destinazione sarebbe stata il Bangladesh.

Non sapevo nulla di questo paese, solo che è il più povero del mondo...

Sono partita per questa esperienza caricata molto positivamente, la gioia e la curiosità erano davvero grandi, ma avevo anche un po' di paura. Le aspettative erano molte ma ho voluto un po' accantonarle dicendo: "Lascio al Signore di decidere quello che vorrà donarmi con questa esperienza".

Al momento della partenza sapevo solo che io, a differenza delle due ragazze che sono partite con me, sarei stata da sola in un'altra missione più a nord del paese, dove mi aspettava il lavoro in un dispensario.

Il primo impatto all'arrivo a Dahka è stato davvero traumatico, la prima sera i miei sentimenti e le emozioni erano incontrollabili continuavo a ripetermi: Perché sono qui? Non potevo seguire i consigli di chi mi ha sempre un po' scoraggiato in questo viaggio?!. Ma chi me lo ha fatto fare? Voglio tornare a casa!

Dahka è una città lasciata a metà, tutto è stato iniziato ma ben poco è stato portato a termine, grande caos, forti rumori, traffico peggio che a Milano, odori nauseabondi...

Ma in fondo la mia destinazione era un piccolo villaggio del nord, questo mi faceva avere la speranza che le cose sarebbero cambiate.

Dopo due giorni ho raggiunto Boldipukur, la mia piccola e accogliente missione. Le case diroccate hanno lasciato spazio al verde che è la nota caratteristica del B, qua la gente vive nelle capanne in mezzo alla natura, proprio intorno alla missione.
Uno spettacolo meraviglioso!

Così le angosce e le paure che mi avevano accompagnato fino a quel momento hanno lasciato spazio ad una sensazione di pace. Sono stata ospite di una piccola comunità di cinque suore, tre bengalesi e due italiane, suor Eleonora e suor Mariangela. Mi sono sentita subito ben accolta, mi sentivo come a casa mia.

A differenza di Dahka dove sono stata solo spettatrice di un mondo che sentivo estremamente estraneo a me e anche un po' ostile, in questo ambiente sono dovuta scendere allo scoperto, entrando nella quotidianità di questa gente, nelle loro case, nelle loro vite.

Sono entrata con timore, quasi in punta di piedi per non voler far notare troppo la differenza e mi sono scontrata subito con una povertà che disarma e fa cadere tutte le certezze.

Appena arrivata in missione mi hanno mostrato la mia camera e subito mi ha colto una sensazione di disagio: non funzionava il ventilatore, assolutamente necessario per affrontare alcuni momenti della giornata, e l'acqua che scendeva dal mio rubinetto era arancione. "Voglio tornare a casa" e il solito "Chi me lo ha fatto fare?!".

In risposta a queste mie domande mi hanno portato a fare un giro nel villaggio appena fuori le mura della missione e ho visto gente che vive nelle capanne, in una unica stanza c'è tutto e soprattutto nessuna comodità, niente ventilatore, niente acqua corrente, solo la luce per chi è fortunato.

La povertà che ho incontrato nel piccolo villaggio è diversa da quella di Dahka, è una povertà dignitosa, hanno davvero poco per il loro sostentamento, ma quel poco lo condividono.

Ho voluto conoscere la realtà della Sanità in B, suor Mariangela si è fatta carico di questa cosa e mi ha fatto vedere tutto quello che le era possibile, portandomi da una cittadina all'altra, consapevole che di fronte ad alcune realtà sarei rimasta senza parole.

Così ho visitato l'ospedale governativo di Rangpur, la città più grande vicino alla mia missione, una decina di chilometri, penso che le parole non riescano a rendere il significato di quello che ho visto: non credevo di essere in un ospedale. La struttura è fatiscente, mi verrebbe da paragonarla alla stazione centrale, ogni angolo di corridoio o di scala è utilizzato come bagno o spazzatura. Nel reparto di chirurgia generale, uno stanzone enorme nel quale sono ricoverati una cinquantina di persone, uomini e donne insieme, chi su di un letto dalle lenzuola putride, chi addirittura per terra adagiato su delle coperte di lana anch'esse molto sporche. Ogni paziente ha al suo fianco la famiglia per qualsiasi necessità, l'ospedale non dà cibo, ma nemmeno i farmaci necessari al ricovero. Tutto è a carico del paziente.

E' stato sufficiente vedere quel reparto per chiedere alla suora di portarmi via, non volevo veder più nulla e nel cuore la speranza che non succeda mai nulla per cui i missionari abbiano bisogno di un ricovero urgente.

La speranza si è accesa quando invece a Dinajpur ho visto l'ospedale gestito dai Missionari, una stretta al cuore, nella povertà e nella semplicità della struttura, riesco comunque a riconoscere un ospedale. Corridoi e stanze pulite, ognuno ha un proprio letto con lenzuola degne di essere chiamate tali.

L'esperienza comunque più significativa l'ho vissuta proprio al dispensario dove ho potuto agire direttamente.

Il dispensario raccoglie tutti i giorni dalle 100 alle 150 persone e più provenienti dai villaggi limitrofi, solo donne e bambini. Vi lavorano solo due suore infermiere, il numero di utenti sarebbe troppo alto con gli uomini.

Vengono fatte accomodare 5 o 6 persone tutte insieme e ognuno dice apertamente il proprio problema, non esiste certo la legge sulla privacy.

Così le suore gestiscono i loro pazienti, ascoltandoli, facendo diagnosi, consigliando terapie con farmaci che loro stessi devono pagare. E non si può certo eccedere con i farmaci, dipende da quanti soldi può offrire il paziente.

I primi giorni mi domandavo che senso avessero tali terapie che non duravano più di quattro giorni a dosi che da noi non utilizziamo nemmeno nei bambini. E ho fatto fatica a mettere da parte le mie conoscenze e le mie certezze per entrare in un'ottica che è completamente diversa dalla mia.

Ho subito pensato a come noi, facilmente, possiamo avere dei farmaci che ci aiutano e a quanti Km di strada devono fare loro per raggiungere il dispensario che copre un territorio vastissimo. Certo nei villaggi ci sono i loro dottori che nella maggior parte dei casi sono stregoni che impongono terapie che io non ho voluto nemmeno conoscere.

Certo che i ricordi sono davvero tanti e potrei stare raccontare per ore...

Prima di partire mi hanno consigliato di non andare a vivere un'esperienza di questo tipo con l'idea di andare a fare grandi cose, con l'idea di salvare il mondo, ma anzi, di lavorare poco e di guardare, ascoltare, imparare.

E così ho fatto, sono partita dicendo: "Non dirò di no a nulla e farò tutto quello che mi verrà proposto...".

Ora il sentimento che sento davvero forte nel mio cuore è quello della gratitudine, io non ho fatto assolutamente nulla in questa esperienza, ho solo ricevuto tanti doni.

E quello davvero più grosso è stato quello di una comunità accogliente che mi ha permesso di essere davvero libera di guardare, ascoltare, registrare tutto quello che veniva messo sul mio cammino.

Ho fatto migliaia di km per scoprire in terra straniera uomini e donne italiane, sì, i missionari!!

"Negli occhi una terra lontana, nel cuore una speranza, andare ai confini del mondo per far conoscere te" sono le parole di un canto che porto nel cuore da quando sono tornata e racchiudono davvero il senso del mio viaggio.

Porto nel cuore queste persone che mi hanno insegnato uno stile di vita davvero semplice e sobrio, il loro sguardo carico di amore, i loro sorrisi... riflesso di un amore più grande che li accompagna e li sostiene ogni giorno.

Non posso che chiedervi di pregare per queste persone perché possano davvero continuare questa grande opera che non è altro che la loro vita per Dio!

missionepovertàdonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

TESTO

126. Se mi ami non piangere   3

Giacomo Perico, Resta con noi Signore, San Paolo Edizioni, 2011

Se mi ami non piangere! Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine, e in questa luce che tutto investe e penetra, tu non piangeresti se mi ami.

Qui si è ormai assorbiti dall'incanto di Dio, dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al confronto.

Mi è rimasto l'affetto per te: una tenerezza che non ho mai conosciuto.

Sono felice di averti incontrato nel tempo, anche se tutto era allora così fugace e limitato. Ora l'amore che mi stringe profondamente a te, è gioia pura e senza tramonto.

Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi, tu pensami così!

Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine, pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell'amore e della felicità.

Non piangere più, se veramente mi ami!

sul web questo testo viene attribuito a Sant'Agostino ma dovrebbe essere di padre Giacomo Perico, sacerdote gesuita, ispirato dalla morte di suo padre .

morteparadisovita eternadefunti

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inviato da Mariangela Molari, inserito il 25/05/2002

PREGHIERA

127. Guidami

John Henry Newman

Guidami, luce gentile, in mezzo alle tenebre
guidami tu.
Buia è la notte e la mia casa è lontana:
guidami tu.
Dirigi tu il mio cammino; di vedere lontano
non te lo chiedo - un solo passo sicuro mi basta.
In passato non pensavo così, né ti pregavo:
guidami tu.
Amavo scegliere da solo la via; ma ora
guidami tu.
Amavo la luce del giorno e senza timore
cedevo all'orgoglio - non ricordare, ti prego, il passato.
A lungo tu mi sei stato vicino;
posso dunque ripetere:
guidami tu.
Fra acquitrini e paludi, fra crepacci e torrenti
finché la notte è trascorsa.
All'alba, quei volti di angeli torneranno a sorridere,
da me amati un tempo e poi purtroppo perduti.

vocazionemissioneprogetto di Diosequela

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inviato da Suor Cristina Giustozzi, inserito il 24/05/2002

TESTO

128. Ogni giorno è da vivere   2

Madeleine Delbrel

Ogni mattina
è una giornata intera
che riceviamo dalle mani di Dio.
Dio ci dà una giornata intera
da lui stesso preparata per noi.
Non vi è nulla di troppo
e nulla di "non abbastanza",
nulla di indifferente
e nulla di inutile.
È un capolavoro di giornata
che viene a chiederci di essere vissuto.
Noi la guardiamo
come una pagina di agenda,
segnata d'una cifra e d'un mese.
La trattiamo alla leggera
come un foglio di carta.
Se potessimo frugare il mondo
e vedere questo giorno elaborarsi
e nascere dal fondo dei secoli,
comprenderemmo il valore
di un solo giorno umano.

tempovitavalore del tempo

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 23/05/2002

RACCONTO

129. Diario sconcertante   2

Turriseburnea.it

5 ottobre: oggi la mia vita è incominciata. Il babbo e la mamma non lo sanno ancora. Io sono più piccolo di una capocchia di spillo, eppure sono già un essere indipendente. Tutte le mie caratteristiche fisiche e psicologiche sono già fissate. Ad esempio io avrò gli occhi del babbo e i capelli biondi e mossi della mamma. Ed anche un'altra cosa è già stabilita: io sarò una bambina.

19 ottobre: il mio primo sangue, le mie prime vene appaiono. Però i miei organi non sono ancora completamente formati ed allora la mia mamma mi deve sostenere con il suo sangue e con la sua energia vitale. Ma quando sarò nata mi basterà soltanto, e per qualche tempo, il suo latte.

23 ottobre: la mia bocca si apre verso l'esterno. Entro un anno già potrò ridere, quando i mie genitori si chineranno sul mio lettino. Ho deciso, la mia prima parola sarà: "mamma".

P.S. Chi è quel matto che dice che io non sono un essere umano del tutto autonomo, ma che sono invece una parte del corpo di mia madre?

25 ottobre: il mio cuore ha cominciato a battere. Non si fermerà più, senza riposare, fino alla fine della mia vita. Questo è proprio un grande miracolo!

2 novembre: le mie braccia e le mie gambe cominciano a crescere. E cresceranno fino a che non saranno completamente formate: ciò durerà per un certo tempo, anche dopo la mia nascita.

12 novembre: adesso nelle mie mani stanno spuntando le dita. Con esse mi impadronirò del mondo e parteciperò alle fatiche degli uomini.

20 novembre: oggi, per la prima volta, mia madre ha appreso dal suo cuore che mi portava in seno. Chissà quanto è grande la sua gioia!!

25 novembre: adesso già si potrebbe vedere che io sono una bambina. Certamente i miei genitori stanno già pensando a come mi dovrò chiamare. Potessi già saperlo!!!

28 novembre: tutti i miei organi sono già completamente formati. Io sono molto cresciuta.

12 dicembre: mi stanno crescendo i capelli e le ciglia. Chissà come sarà contenta la mamma della sua piccola!

13 dicembre: presto potrò vedere. Però i miei occhi sono ancora cuciti con un filo. Luce, colori, fiori... deve essere magnifico! Soprattutto mi riempie di gioia il pensiero che potrò vedere la mia mamma. Oh se non ci fosse tanto da aspettare. Ancora più di sei mesi!

24 dicembre: il mio cuore è ormai perfetto. Ci devono essere bambini che vengono al mondo con un cuore malato. In questo caso bisogna affrontare terribili pene per salvarli con una operazione. Grazie a Dio il mio cuore è sano, io sarò una bambina piena di forza e di vita. Tutti saranno felici della mia nascita. Domani è Natale...

28 dicembre: oggi mia madre mi ha assassinata!

abortovitamaternità

inviato da Luca Peyron, inserito il 11/05/2002

TESTO

130. Succede....   2

Alessandro Pronzato

La vita è così... Sono cose che capitano. Succede...
Sì.

Succede che io stia bene e quell'altro languisce in un sanatorio. Succede che io rischi l'indigestione e l'indiano muore di fame.

Succede che io tenga il mio bravo conto in banca e il vicino di casa vada a impegnare una coperta al Monte di Pietà.

Succede che io mi preoccupi per scegliere la villeggiatura e la famiglia di fronte si disperi per il pagamento dell'affitto (due camere in otto).

Succede che io vada in ufficio con l'utilitaria - è più maneggevole della coupé - e lo scaricatore si presenti alle 6 di mattino sulla banchina del porto a vedere se qualcuno ha bisogno delle sue braccia.
Succede che i miei figli ricevano per Natale dei doni favolosi e quella bambina sarda scriva: "Caro Gesù Bambino, vorrei una mela...".
Succede.

Succede che io sia un buon cristiano e quegli altri no.

Succede che io faccia l'elemosina e quegli altri la ricevano.

Succede che io abbia (o mi illuda di avere) Cristo senza la Croce, e quegli altri la croce senza il Cristo.
Succede.

Il gioco della vita è bizzarro. "A chi tocca tocca" (purché tocchi sempre agli altri).

Ma ho già i miei fastidi, io! Perché occuparmi di quelli degli altri?

Che c'entro io?

C'entri, eccome! Dal momento che c'entra anche Dio.

Ecco, ora mi sembra sia possibile rispondere a una semplicissima domanda del catechismo: "Dov'è Dio?".
"Dio è all'altro capo della croce".
La mia croce. Proprio questa. E anche quella dell'altro.

Dovunque ci sia una croce, non c'è che da afferrarla con le mie mani. Da un lato qualsiasi. Dall'altro c'è sempre Lui.
D'ora in poi so dove trovarlo.

crocesofferenzasolidarietàingiustiziapovertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 09/05/2002

RACCONTO

131. Il segreto del paradiso   1

Bruno Ferrero, L'importante è la rosa

Una volta un samurai grosso e rude andò a visitare un piccolo monaco. "Monaco", gli disse "insegnami che cosa sono l'inferno e il paradiso!".

Il monaco alzò gli occhi per osservare il potente guerriero e rispose con estremo disprezzo: "Insegnarti che cosa sono l'inferno e il paradiso? Non potrei insegnarti proprio niente. Sei sporco e puzzi, la lama del tuo rasoio si è arrugginita. Sei un disonore, un flagello per la casta dei samurai. Levati dalla mia vista, non ti sopporto".

Il samurai era furioso. Cominciò a tremare, il volto rosso dalla rabbia, non riusciva a spiccicare parola. Sguainò la spada e la sollevò in alto, preparandosi a uccidere il monaco.
"Questo è l'inferno", mormorò il monaco.

Il samurai era sopraffatto. Quanta compassione quanta resa in questo ometto che aveva offerto la propria vita per dargli questo insegnamento, per dimostrargli l'inferno! Lentamente abbassò la spada, pieno di gratitudine e improvvisamente colmo di pace.

"E questo è il paradiso", mormorò il monaco.

Dopo una lunga ed eroica vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all'inferno.

Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.

"Com'è possibile?", chiese il samurai alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".

"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca".

Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.

Qui lo attendeva una sorpresa. Il Paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno. Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.

C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. "Ma com'è possibile?", chiese il samurai.

L'angelo sorrise. "All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui, al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".
Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi.

paradisoinfernoaltruismoamoreegoismoserviziogenerositàcaritàdonare agli altri

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inviato da Marianna Sebastiani, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

132. Come una filigrana   2

Tonino Lasconi

Mi hanno spiegato a scuola
cosa è la filigrana.
E' una carta che,
se tu la guardi distrattamente
e in un posto poco illuminato,
sembra bianca, vuota, inutile.
Ma se tu la guardi controluce
ti rivela stupende figure.
il professore ce lo ha dimostrato.
Ha messo la carta bianca
contro i vetri della finestra:
è apparso un bellissimo volto di Cristo.
Io, Signore, ho pensato
che l'uomo è come una filigrana.
Se lo guardi, distratto,
vedi poco, quasi niente.
Ma se tu lo guardi per bene,
nella luce,
in ognuno scopri lo stupendo tuo volto.
L'uomo, ogni uomo
è una filigrana preziosa.
Signore, aiutami
a vedere gli uomini controluce.

non giudicareaccoglienzaDio in noigiudizio

4.3/5 (3 voti)

inviato da Suor Cristina Giustozzi, inserito il 07/05/2002

TESTO

133. Che cos'è la preghiera?

Mahatma Gandhi

La preghiera, è la chiave che apre la porta dei mattino e chiude la porta della sera. Non c'è pace senza la grazia di Dio e non c'è grazia di Dio senza preghiera. Ecco perché chiedo a tutti voi di seguire la consuetudine della preghiera.

La preghiera non è il passatempo ozioso di una vecchietta. Compresa nel suo vero valore e ben impiegata, essa è il più potente mezzo di azione. Senza dubbio la preghiera richiede una viva fede in Dio. La preghiera vuota è come un suono di tromba, o un rumore di cembali. Deve venire dal cuore. La preghiera che viene dal cuore ci distende, ci dà il senso della nostra misura, ci indica con chiarezza qual è il prossimo passo da fare.

Nella vita possiamo perdere molte cose, ma non la preghiera che ci lega in cooperazione a Dio e gli uni agli altri. La preghiera dovrebbe essere un bagno di purificazione per lo spirito dell'uomo. Se non ci laviamo nel corpo, ne soffre la salute, allo stesso modo lo spirito diventa immondo, se non laviamo il cuore con la preghiera. Vi chiedo, pertanto, di non trascurarla mai.

Scrivendo ad un amico sul tema della preghiera, mi venne tra mano una cosa bellissima scritta da Telinyson e la voglio presentare ai lettori per vedere se riuscissi, per caso, a convertirli ad una fede sicura sull'efficacia della preghiera. Questo il gioiello: "Più cose opera la preghiera di quelle che il mondo possa sognare. Lascia pertanto che la tua voce zampilli come una fonte per me, notte e giorno. Che cos'è l'uomo più di una pecora o di una capra che nutre una vita cieca dentro il proprio cervello se, conoscendo Dio, non alza le mani in preghiera per se stesso e per quelli che lo chiamano amico? E così l'intera terra rotonda, da ogni parte è legata con catene d'oro ai piedi di Dio".

preghiera

inviato da Emilio Centomo, inserito il 04/05/2002

PREGHIERA

134. Ti amo fratello   1

Angela Natilla

Ti amo fratello/sorella
per le piccole attenzioni d'ogni giorno
e ti amo per quello che sei
e in ricchezza e in povertà mi doni.

Ti amo fratello/sorella
anche se sei distante
perché non amo di te
la tua presenza fisica,
amo invece il camminarti a fianco
come amo di te
il fatto che tu mi cammini a fianco.

Ti amo fratello/sorella
perché sei dono di Dio
al mio piccolo cuore
che ti riscalda
e ti ripara dal freddo in nome Suo
anche quando, a volte,
Lo senti meno vicino
o senti vacillare la tua forza
oppure ti ritrovi tu più debole e stanco.

Ti amo fratello/sorella
per le cose minuscole
che sollevano la mia e la tua solitudine
e ti amo perché ti fai bagnare gli occhi di lacrime
quando vedi i miei,
offuscati e socchiusi, annebbiare la fiducia costruita a fatica.

Ti amo fratello/sorella
per il sorriso pacato e forte
delle tue labbra,
come ti amo per il tuo viso preoccupato e affaticato
che mi permetti di vedere.

Ti amo fratello/sorella
per il sole e la luna
che in te fai baciare,
per il cielo e la terra
che fai incontrare,
per il dolore e la gioia
che non allontani
e stringi forte
con le tue mani ed il tuo corpo:
respiro ristretto della tua anima.

Ma sopra le maree ed ogni cielo
che all'orizzonte si perde ad occhio umano, io ti amo
perché sei mio fratello/sorella
e, come tale,
l'altra parte di me che mi abita,
ti amo come tu ami me
e con i nostri corpi protesi in alto
noi siamo l'eredità più bella
lasciata da nostro Padre in terra.

amiciziacomunionefratellanza

inviato da Polda, inserito il 03/05/2002

PREGHIERA

135. Preghiera degli sposi

Madre Teresa di Calcutta

Padre dei Cieli, ci hai dato un modello di vita nella Sacra Famiglia di Nazareth.
Aiutaci, Padre d'amore, a fare della nostra famiglia un'altra Nazareth dove regnano l'amore, la pace e la gioia.
Che possa essere profondamente contemplativa, intensamente eucaristica e vibrante di gioia.
Aiutaci a stare insieme nella gioia e nel dolore, grazie alla preghiera in famiglia.
Insegnaci a vedere Gesù nei membri della nostra famiglia, soprattutto se vestito di sofferenza.
Che il cuore eucaristico di Gesù renda i nostri cuori mansueti e umili come il Suo.
E aiutaci a svolgere santamente i nostri doveri familiari.
Che possiamo amarci come Dio ama ciascuno di noi, sempre più ogni giorno,
e perdonarci i nostri difetti come Tu perdoni i nostri peccati.
Aiutaci, Padre d'amore, a prendere ogni cosa Tu dia e a dare quello che tu prendi con un grande sorriso.
Cuore immacolato di Maria, causa della nostra gioia, prega per noi.
San Giuseppe, prega per noi.
Santi Angeli Custodi, state sempre con noi, guidateci e proteggeteci.
Amen.

famigliacoppiamatrimonio

inviato da Don Sandro Coraglia, inserito il 03/05/2002

PREGHIERA

136. Spirito Santo

Filippa Castronovo

Spirito Santo, che il Padre concede a coloro che credono in Gesù e a lui si sottomettono, riempi di te la nostra vita.
Tu, vivente in noi, ci darai occhi per vedere, orecchie per ascoltare, cuore per convertirci,
bocca per lodare Dio e annunciare le sue meraviglie al mondo.

Spirito Santo, tu sei il dono promesso da Gesù risorto per esseri suoi testimoni.
Spirito Santo, tu sei l'atteso dagli apostoli da Maria e dalle donne che seguirono Gesù.
Spirito Santo, tu vieni a riempire i cuori della tua presenza.
Spirito Santo, tu trasformi i dubbi e i timori colmandoli di gioiosa speranza.
Spirito Santo, tu dai il potere di esprimerci e di essere compresi.

Spirito Santo, tu fai realizzare la vera comunione e comunicazione.
Spirito Santo, tu doni il coraggio di annunziare Gesù Cristo, morto e risorto.
Spirito Santo, tu sciogli la nostra lingua perché possiamo proclamare le meraviglie di Dio.
Spirito Santo, tu sei il dono del Padre a coloro che si sottomettono a Lui.
Spirito Santo, tu vivente in noi, attesti che siamo i figli amati dal Padre.

Spirito Santo, tu conduci i credenti nella via della missione.
Spirito Santo, tu elargisci la tua sapienza e ci fai servire in modo evangelico.
Spirito Santo, tu fai crescere la Chiesa e ne allarghi i confini.
Spirito Santo, tu fai camminare la Chiesa nel timore del Signore.
Spirito Santo, tu consoli la Chiesa, donandole pace.

Spirito Santo, la tua presenza dona la luce e noi vediamo il risorto.
Spirito Santo, in te il Padre consacrò Gesù, riempiendolo di potenza.
Spirito Santo, tu incoraggi i chiamati ad aprire nuove vie al Vangelo.
Spirito Santo, tu fai percorrere le strade del mondo senza timore.
Spirito Santo, tu riservi per te e invii in missione.

Spirito Santo, tu guidi i singoli passi del nostro cammino.
Spirito Santo, tu concedi l'intelligenza per riconoscere la verità e denunciare l'errore.
Spirito Santo, tu riempi di gioia coloro che annunciano la Parola con sincerità.
Spirito Santo, tu guidi la tua Chiesa a scelte sapienti, animate dalla carità.
Spirito Santo, tu crei i profeti e li doni alla Chiesa.

Spirito Santo, tu apri le vie al Vangelo e in esse dirigi gli apostoli.
Spirito Santo, tu fai vivere, con coraggio, le fatiche e le tribolazioni per Cristo.
Spirito Santo, tu costituisci in autorità per guidare a Cristo i fratelli.
Spirito Santo, tu hai parlato per mezzo dei profeti, ora parli per mezzo dei credenti in Gesù.
Spirito Santo, tu trasformi la debole parola umana in annuncio fedele e franco del Regno.

Spirito santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 02/05/2002

ESPERIENZA

137. Stupendo "Presepe vivente" non pubblicizzato a...

Fra Angelo De Padova

In questi giorni tutti i mezzi di comunicazione annunciano che le amministrazioni comunali, le parrocchie, le associazioni, hanno organizzato il: "Presepe vivente a..., nei giorni..., dalle ore... alle ore...; il 6 gennaio l'arrivo dei Magi con i doni...; comparse numero...; scenario suggestivo sul...; prenotarsi allo..., offerta libera" e noi annotiamo le date per poterli vedere tutti. Con questa mia lettera volevo fare anche io un po' di pubblicità ad un presepe reale...

La Società Consumista, Egoista, ha organizzato sulla Campi - Lecce, un presepe vivente, dal 1 gennaio al 31 dicembre (fin quando non ci diamo una mossa); dalle ore 00,00 alle ore 24,00; arrivano i doni (vestiti usati, pasta, olio, burro tutto aiuto CEE). I personaggi (non comparse) sono circa 300; le grotte sono fatte di roulotte bucate, senza finestre, freddissime d'inverno, bollenti in estate; le luminarie: poca luce di giorno (la notte salta sempre perché non avendo il bue e l'asino per riscaldarsi accendono tutti le stufe ed è normale che la piccola cabina elettrica non riesca a mantenere e quindi i vari bambinelli rimangono al freddo e al gelo, riscaldati dalla disperazione dei genitori che danno un po' di calore abbracciandoli, col rischio di soffocarli); gli animali: topi, scarafaggi; i servizi (se così si possono chiamare): una quindicina per 300 persone, acqua fredda; l'assistenza medica (solo le urgenze al pronto soccorso, se fanno in tempo; ma è meglio prevenire che curare). Il resto lo vedrete voi. Ah! Dimenticavo, non bisogna prenotarsi, né fare lunghe code, l'ingresso è gratuito, anzi uscendo da questo presepe vi accorgerete come loro vi avranno dato qualcosa: sì, capirete molte cose della vita. Uscendo non direte Che bello e poi tutto finisce lì. Non avrete parole, ma ve lo ricorderete per tutta la vita. Lo spazio Campo Sosta Panareo per realizzare questo presepe è stato messo a disposizione (e abbandonato) dal Comune di Lecce.

I personaggi di questo presepe mi fanno venire in mente i pastori al tempo di Gesù: non godevano di diritti civili ed erano considerati gli ultimi della società. Vivevano immersi nell'abiezione e dal punto di vista delle norme religiose nell'impurità totale, senza alcuna possibilità di riscatto. Venivano trattati alla stregua di bestie, con una differenza a favore delle bestie: si può tirare un animale caduto in un fosso, ma non un pastore. Proprio a costoro si rivolge l'angelo. Non parole di condanna, ma un annunzio di grande gioia, la nascita di colui che li libererà dall'emarginazione. Quelli che gli uomini avevano confinato nelle tenebre (in un campo sosta) sono i primi a rendersi conto della luce che risplende, mentre quanti vivono nello splendore (ricchezza) rimangono nelle tenebre. Quando Gesù si presenta nella storia, nessun sacerdote di Gerusalemme se ne accorge. I pastori sì, loro se ne andarono dalla grotta "glorificando e lodando Dio": questo era compito esclusivo degli angeli.

Correremo anche noi il rischio di non accorgerci della nascita di Gesù? Ci inginocchieremo davanti ad un bambino fatto di gesso che non soffre né il caldo né il gelo e ci dimenticheremo che nasce in carne ed ossa nel "Campo Sosta Panareo"?. E i musulmani del Campo quella notte ascolteranno gli angeli che canteranno "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama", e il giorno di Natale, stando ai semafori delle nostre città o davanti alle porte delle nostre chiese, ci annunceranno la grande gioia che Gesù è nato anche per loro. Ci vogliamo impegnare quanto prima a cambiare un po' lo scenario di questo presepe vivente (ci vuole qualche novità per l'anno prossimo)? Andate a vedere e decidete quale modifica apportare. Magari un prefabbricato andrebbe bene.
Santo Natale a tutti.

Natalepovertàsolidarietàcaritàamore

inviato da Fra Angelo De Padova, inserito il 30/04/2002

RACCONTO

138. Guardando dalle mura   3

«Chi sono io?» chiese un giorno un giovane a un anziano.

«Sei quello che pensi», rispose l'anziano «Te lo spiego con una piccola storia.»

Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto si videro sulla linea dell'orrizzonte due persone che si abbracciavano.

- Sono un papà e una mamma -, pensò una bambina innocente.
- Sono due amanti -, pensò un nuomo dal cuore torbido.
- Sono due amici che s'incontrano dopo molti anni -, pensò un uomo solo.
- Sono due mercanti che han concluso un buon affare -, pensò un uomo avido di denaro.
- E' un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra -, pensò una donna dall'anima tenera.
- Sono due innamorati -, pensò una ragazza che sognava l'amore.
- Chissà perché si abbracciano -, pensò un uomo dal cuore asciutto.
- Che bello vedere due persone che si abbracciano -, pensò un uomo di Dio.

«Ogni pensiero» concluse l'anziano, «rivela a te stesso quello che sei. Esamina di frequente i tuoi pensieri: ti possono dire molte più cose su te di qualsiasi maestro.»

conoscersinon giudicaregiudiziopensiericomportamenti

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 30/04/2002

TESTO

139. Amami come sei (versione lunga)   2

Mons. Lebrun

Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami come sei...

Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica della virtù e del dovere, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei.

In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nell'infedeltà, amami... come sei... voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.

Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore?

Figlio mio, lascia che ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: Gesù ti amo.

Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola mi importa, di vederti lavorare con amore.

Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore.

Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia.

Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante soltanto per amore. Conto su di te per darmi gioia...

Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di poter amare al di là di quanto puoi sognare...
Ma ricordati... Amami come sei...

Ti ho dato mia Madre: fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro.

Qualunque cosa accade, non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai... Va...

Clicca qui per la versione breve.

accettazione di séamare Dioamore di Dio

4.0/5 (2 voti)

inviato da Sara D'Erasmo, inserito il 26/04/2002

PREGHIERA

140. Ciò che mi muove ad amarti...

S. Teresa d'Avila

Non mi muove, Signore,
ad amarti il cielo che tu
mi serbi promesso.
Né mi muove l'inferno tanto temuto
perché io lasci con ciò di amarti.
Mi muovi tu, mio Dio;
mi muove il vederti
inchiodato su quella croce,
scarnificato.
Mi muove il vedere
il tuo volto tanto ferito,
mi muovono i tuoi affronti
e la tua croce.
Mi muove infine il tuo amore
in tal maniera
che se non ci fosse cielo,
io ti amerei,
e se non ci fosse inferno,
ti temerei.
E non hai da darmi nulla
perché ti ami perché
se quanto aspetto
io non lo aspettassi,
nella stessa maniera che ti amo, io ti amerei.

gratuitàamore di Diotimore di Diocrocepassione

inviato da Sara D'Erasmo, inserito il 25/04/2002

PREGHIERA

141. Tu, lebbroso, mio fratello   1

Raoul Follereau

Tu che sei isolato, evitato, rifiutato, respinto,
tu che gli uomini non vedono, non vogliono vedere,
tu lebbroso, sei mio fratello.
Gesù ti ha toccato, ti ha amato, ti ha guarito.
In te, lebbroso, io vedo lui, il mio Dio.
Tu, lebbra, sei nemica degli uomini.
sei il fetore del nostro disprezzo,
tu sveli l'orgoglio che ci consuma,
riveli il putridume delle nostre ipocrisie,
manifesti l'isolamento dei nostri cuori.
In te, Gesù ha visto il peccato,
che isola, che corrompe, che corrode,
che manda cattivo odore.
Tu, lebbra, mia nemica.
Tu, lebbroso, mio fratello.

lebbrapeccatosolitudine

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 12/04/2002

TESTO

142. Ti voglio per amico   2

Padre Zezhino

Ti voglio per amico
ed è importante per me che tu lo sappia.
Però, anche se tu non lo sapessi e non ti interessasse saperlo,
ti vorrei bene lo stesso!
Non ti voglio bene per me, ti voglio bene per te!
Non sei una persona che voglio possedere,
sei una persona che voglio vedere sbocciare ogni giorno di più.
Se avrai tempo per me, sarò felice di stare insieme a te.
Se sarai occupato e non mi vorrai accanto, cercherò di capire.
Se cercherai il mio tempo, farò in modo di sbrigarmi,
perché immagino che non mi cercheresti senza una ragione:
per me la tua ragione sarà sempre importante.
Se vuoi piangere, ti offro le mie spalle.
Se vuoi urlare contro il mondo ti offro la mia voce,
se vuoi sorridere, ci sarò anch'io a sorridere con te.
Se vuoi pace e silenzio, cercherò di parlare, ma non troppo.
Se per caso cercherai di vedere in me l'unico amico che hai,
cercherò di farti trovare altri amici,
perché non potrei mai darti tutto ciò di cui hai bisogno.
Non voglio essere il tuo unico amico,
sembra bello, però non ti fa bene.
Hai bisogno di altri, come io ne ho bisogno.
Se si spegnerà la tua luce, prendi la mia.
Se la tua pace se ne va, ci sarà ancora la mia, prendila pure.
Se la tua fede si farà confusa, credi con me: in due si crede meglio.
Se avrai paura, uniamo le nostre paure,
forse troveremo il coraggio di vivere.
Allora non ti prometto di non deluderti mai!
Sai che sono umano e perciò posso sbagliare.
Non ti prometto di amarti come vuoi essere amato!
Non ti prometto niente di più che cercare di essere vicino a te e camminare insieme.
Voglio essere il tuo compagno, il tuo amico, il tuo fratello,
senza la presunzione di essere la tua unica forza.
Guardami negli occhi e cerca di immaginarmi come un ponte:
non devi restare in me, devi passare attraverso di me,
perché io sono tuo amico, perché sono tua strada verso l'Infinito,
perché sono il ponte che ti porta all'al di là,
e se non riuscissi a portarti più vicino a Dio,
non sarei stato un vero amico.
Ti voglio per amico.
Pensa a me come a un ponte nel tempo,
dopo di me troverai il vero amico: Dio.
Mi vuoi?

amicizia

inviato da Antonella Muscatello, inserito il 11/04/2002

RACCONTO

143. L'uomo che pregava in silenzio

Una volta un sacerdote stava camminando in chiesa, verso mezzogiorno, passando dall'altare decise di fermarsi lì vicino per vedere chi era venuto a pregare. In quel momento si aprì la porta, il sacerdote inarcò il sopracciglio vedendo un uomo che si avvicinava; l'uomo aveva la barba lunga di parecchi giorni, indossava una camicia consunta, aveva una giacca vecchia i cui bordi avevano iniziato a disfarsi. L'uomo si inginocchiò, abbassò la testa, quindi si alzò e uscì. Nei giorni seguenti lo stesso uomo, sempre a mezzogiorno, tornava in chiesa con una valigia... si inginocchiava brevemente e quindi usciva.

Il sacerdote, un po' spaventato, iniziò a sospettare che si trattasse di un ladro, quindi un giorno si mise davanti alla porta della chiesa e quando l'uomo stava per uscire dalla chiesa gli chiese: "Che fai qui?". L'uomo gli rispose che lavorava nella zona e aveva mezz'ora libera per il pranzo e approfittava di questo momento per pregare, "Rimango solo un momento, sai, perché la fabbrica è un po' lontana, quindi mi inginocchio e dico: "Signore, sono venuto nuovamente per dirTi quanto mi hai reso felice quando mi hai liberato dai miei peccati... non so pregare molto bene, però Ti penso tutti i giorni... Beh Gesù... qui c'è Jim a rapporto".

Il padre si sentì uno stupido, disse a Jim che andava bene, che era il benvenuto in chiesa quando voleva. Il sacerdote si inginocchiò davanti all'altare, si sentì riempire il cuore dal grande calore dell'amore e incontrò Gesù. Mentre le lacrime scendevano sulle sue guance, nel suo cuore ripeteva la preghiera di Jim: "Sono venuto solo per dirti, Signore, quanto sono felice da quando ti ho incontrato attraverso i miei simili e mi hai liberato dai miei peccati... non so molto bene come pregare, però penso a te tutti i giorni... beh, Gesù... eccomi a rapporto!".

Un dato giorno il sacerdote notò che il vecchio Jim non era venuto. I giorni passavano e Jim non tornava a pregare. Il padre iniziò a preoccuparsi e un giorno andò alla fabbrica a chiedere di lui; lì gli dissero che Jim era malato e che i medici erano molto preoccupati per il suo stato di salute, ma che tuttavia credevano che avrebbe potuto farcela. Nella settimana in cui rimase in ospedale Jim portò molti cambiamenti, egli sorrideva sempre e la sua allegria era contagiosa. La caposala non poteva capire perché Jim fosse tanto felice dato che non aveva mai ricevuto né fiori, né biglietti augurali, né visite. Il sacerdote si avvicinò al letto di Jim con l'infermiera e questa gli disse, mentre Jim ascoltava: "Nessun amico è venuto a trovarlo, non ha nessuno". Sorpreso il vecchio Jim disse sorridendo: "L'infermiera si sbaglia, però lei non può sapere che tutti i giorni, da quando sono arrivato qui, a mezzogiorno, un mio amato amico viene, si siede sul letto, mi prende le mani, si inclina su di me e mi dice: «Sono venuto solo per dirti, Jim, quanto sono stato felice da quando ho trovato la tua amicizia e ti ho liberato dai tuoi peccati. Mi è sempre piaciuto ascoltare le tue preghiera, ti penso ogni giorno... beh, Jim... qui c'è Gesù a rapporto!»".

preghierarapporto con Dioperseveranza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 09/04/2002

TESTO

144. Intervista a Dio   2

Ho sognato d'intervistare Dio.
"Ti piacerebbe intervistarmi?", Dio mi domandò.
"Se hai tempo" gli dissi.
Dio sorrise.
"Il mio tempo è eterno, che cosa vuoi domandarmi?"
"Cosa ti sorprende dell'umanità?...".

E Dio rispose:
"Siete così ansiosi per il futuro, perché vi dimenticate del presente.
Vivete la vita senza pensare al presente o al futuro. Vivete la vita come se non dovreste morire mai, e morite come se non aveste mai vissuto...
Avete fretta perché i vostri figli crescano, e appena crescono volete che siano di nuovo bambini. Perdete la salute per guadagnare i soldi e poi usate i soldi per recuperare la salute."

Le mani di Dio presero le mie e per un momento restò in silenzio, allora gli domandai: "Padre, che lezione di vita desideri che i tuoi bambini imparino?".

Dio rispose con un sorriso: "Che imparino che non possono pretendere di essere amati da tutti, però ciò che possono fare è lasciarsi amare dagli altri.
Imparino che ciò che vale di più non è quello che hanno nella vita, ma che hanno la vita stessa.
Imparino che non è buono paragonarsi con gli altri.
Imparino che una persona ricca non è quella che ha di più, ma è quella che ha bisogno di meno.
Imparino che in alcuni secondi si ferisce profondamente una persona che si ama, e che ci vogliono molti anni per cicatrizzare la ferita.
Imparino a perdonare e a praticare il perdono.
Imparino che ci sono persone che vi amano profondamente, ma che non sanno come esprimere o mostrare i loro sentimenti.
Imparino che due persone possono vedere la stessa cosa in modo differente.
Imparino che non si perdona mai abbastanza gli altri, però sempre bisogna imparare a perdonare se stessi.
E imparino che io sono sempre qui. Sempre".

presentefuturovitaimparare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 08/04/2002