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TESTO

1. La strada del presepio

Primo Mazzolari

Se il mondo vorrà avere ancora uomini liberi,
se vorrà avere uomini giusti,
se vorrà avere uomini che sentono la fraternità,
bisogna che noi non dimentichiamo la strada del presepio!
Esso infatti è la scuola dove l'alunno anche più superficiale
può imparare i grandi insegnamenti del Natale:
il gusto delle cose semplici e pulite, il silenzio, la pace, l'amore.
Il presepio: un punto luminoso dove tutto converge, dove c'è il Bambino,
capace solo lui di lavare la faccia della terra e farla girare dalla parte giusta!

presepenatalesemplicità fraternità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Simone Nannetti, inserito il 20/02/2023

TESTO

2. Io sono il tuo Dio   2

Io sono il tuo Dio e ti sto vicino; non ti basta? Che vuoi dunque di più sulla terra di ciò che riempie il mio cuore?

Io sono il tuo Dio e ti resto fedele anche quando ti mando la croce; per quanto questa pesi, ricordati che io sono con te: che vuoi di più?

Io sono il tuo Dio e penso a te. Dall'eternità io penso a te. Ho scritto il tuo nome profondamente nel mio Cuore, perché tu non avessi mai a dimenticarti di te.

Io sono il tuo Dio e regolo tutto per il meglio, per il tuo meglio: se ora non lo capisci, un giorno lo vedrai con tutta chiarezza.

Io sono il tuo Dio e ti amo fedelmente; conosco tutto ciò che affligge il tuo cuore; vedo ogni sguardo, ascolto ogni parola che ti contraria. Accetta tutto con tranquillità e pace, perché sono io che ho disposto così; tu persevera, restami fedele affinché il mio cuore te ne ricompensi.

Io sono il tuo Dio. Sei solo? Ti farò compagnia. Nessuno ha una buona parola per te? Vieni da me che sarò sempre il tuo tutto, ti compenserò di ciò che ti è negato in terra.

Io sono il tuo Dio. Che vuoi di più? Fatti coraggio! Nulla ti costi, perché chi possiede il mio divin Cuore ha tutto ciò che gli può abbisognare. Il mondo passa, il tempo fugge, gli uomini scompaiono, la morte tutto rapisce. Una cosa sola ti resterà per sempre: il tuo Dio!

Diopreghierarapporto con Dio,

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 20/02/2023

TESTO

3. Giuseppe, l'uomo del sì   2

Giuseppe Impastato S.I.

Sempre pronto alle chiamate,
urgenti, notturne, inattese...
Lui, l'uomo, sempre all'oscuro...
Solo ordini e perentori:
prendi, va, àlzati,
fuggi, torna.
.. senza perché.

Povero Giuseppe! I suoi piani
stravolti senza spiegazioni,
i suoi progetti sempre cambiati
e lui - Giuseppe - il fedele,
il giusto - a dire sempre sì,
ad accollarsi i pesi,
ad assumersi responsabilità...

Tutto è stabilito in alto
e lui deve accettare e agire.
Prendere con sé Maria,
senza badare ai fatti,
senza pensare ai dubbi,
senza dar retta alla gente.
A Gesù dare un nome,
la sicurezza di una casa,
protezione, educazione, un mestiere...

Lui, il falegname, conosce il prezzo
del Dio che scende tra noi uomini.
Lui, un anello che da lontano
porta a Cristo, alla salvezza.
Grazie, Giuseppe.

prontezzagiustoGiuseppesan giuseppedisponibilitàserviziol

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 20/02/2023

TESTO

4. Sull'inutilità dei preti (versione integrale)   1

Luigi Maria Epicoco

La gente pensa che fare il prete sia un mestiere.
Uno che magari si sveglia la mattina
ed è convinto di poter mettere su
una bancarella per vendere parole,
benedizioni,
e santini.

La gente pensa che fare il prete sia una roba fuori dal mondo.
Uno che magari fa fatica a stare dentro le cose
e per questo si rifugia in una qualche sagrestia.

Lo sanno tutti che certe volte con la scusa di amare Dio
alla fine si rischia di non amare nessuno.
Ma è vero anche che certe volte tu ti accorgi che Dio lo hai incontrato
perché non puoi fare a meno di amare tutti.

E amare non è un mestiere,
è sentirsi responsabili.

Fare il prete non è un mestiere.
È la stessa cosa che capita a chi perde la testa per amore:
non c'è più il calcolo
ma solo l'ostinato desiderio di non perderti il bandolo della matassa che pensi di aver incontrato in qualcuno o in qualcosa.

Uno pensa che basta mettersi una tonaca e la magia è fatta.
Ma la tonaca non funziona se sotto non c'è un uomo,
uno che sa che è il più miserabile di tutti,
eppure è stato scelto,
eppure è stato amato.

E quanto è difficile accettare il peso di quella tonaca che oggi appare più inzozzata dal tradimento di chi avrebbe dovuto amare
e invece se n'è solo servito.

Ma poco importa se bisogna caricarsi anche sulle spalle l'infamia degli altri.
Non si diventa preti per essere benvisti.
Si diventa preti per diventare servi inutili proprio come diceva Gesù.
Servi inutili a tempo pieno!
Servi senza un utile.
Servi gratuiti.

L'amore salva solo se è gratuito.
È questo lo scopo di ogni vero amore: amare senza contraccambio.
Amare a fondo perduto.
Amare e basta.
Come fa una madre, un padre, un vero amico, o chiunque fa le cose con amore.
Come in questi tempi così difficili tenuti in piedi dall'amore di medici, infermieri,
uomini e donne nascosti da tonache improvvisate, fatte di polipropilene e mascherine.

L'amore quando è gratuito fa miracoli.
Per questo ha senso un prete.
Perché è messo lì in mezzo alla gente a ricordare che c'è qualcosa per cui vale la pena vivere, combattere e in alcuni casi anche perdere.

È messo lì perché ognuno possa avere il diritto di avere anche paura della vita, della morte, delle cose belle e brutte che capitano e che molto spesso sono più grandi delle nostre forze e proprio per questo ci danno le vertigini.
Ma avere il diritto di poter avere paura non significa lasciare che essa decida al posto nostro.

Chi ti ama non ti dice che non soffrirai mai,
che non sbaglierai mai,
che non avrai mai paura delle cose che ti succederanno,
ma ti dice che tu puoi vivere tutto,
accettare tutto,
affrontare tutto.
E te lo dice perché è con te.

La sua presenza è la cosa più convincente,
non le sue parole,
i suoi ragionamenti,
le sue raccomandazioni.

Si diventa preti per essere una presenza.
Si diventa preti per rendere l'invisibile visibile.
Come accade sull'altare.
Come accade quando si ascolta, senza pretese, senza giudicare.
Come quando si stringe una mano per infondere forza.
Come quando si tiene in braccio un bambino che piange,
o come si accarezza la fronte di uno che muore.

Fare il prete non è un mestiere,
è un modo inutile di amare.
Inutile come ogni amore.
Inutile come l'aria.

Vedi versione breve letta da Roul Bova su RTL 120.5.

pretisacerdotivocazioneamore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

5. Le beatitudini del vescovo

Mimmo Battaglia, Omelia del 31/10/2021

Beato il Vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.

Beato il Vescovo che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell'abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.

Beato il Vescovo che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.

Beato il Vescovo che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare al fianco dell'uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.

Beato il Vescovo che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell'animo umano per trovarvi l'oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.

Beato il Vescovo che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini.

Beato il Vescovo che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.

Beato il Vescovo che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia "dura" come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo.

serviziovescovobeatitudini

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

PREGHIERA

6. Preghiera per l'Avvento

Beato Charles de Foucauld, Aleteia

Ancora venti giorni! Il Tempo si avvicina...
Ma se questo atteso Giorno sarà Beato, quanto è già dolce il presente!
Eccoti, mio Dio, nascosto nel grembo di Maria,
Tu sei qui in questa piccola casa, adorato da Lei, da Giuseppe e dagli angeli.
Mettimi vicino a loro, mio Signore.
Mio Signore e mio Dio, quando sono nel tuo Santuario,
ai piedi del Tabernacolo, sei vicino a me
come lo sei con San Giuseppe durante l'Avvento?
Quando ti doni a me nella Santa Comunione,
non sei anche tu vicino a me e in me, come lo eri nella Beata Vergine?
Mio Dio, quanto sono felice, quanto sono felice.
Ma Signore, ti prego, convertimi,
Lasciami ai piedi del tabernacolo, fa' che riceva la Santa Comunione
senza indifferenza, senza addormentarmi davanti all'Altare,
che non riceva più con tiepidezza il tuo Corpo Divino!
Convertimi, convertimi, mio Signore, te lo chiedo nel tuo Nome!
Ricordati che hai promesso di concedere tutto ciò che ti viene chiesto
nel Tuo Nome, e di donare lo Spirito Santo a chiunque te lo chieda.
Mio Dio, dammi lo Spirito Santo, il tuo Spirito, e fammi passare questo Avvento
e tutti i giorni della mia vita glorificandoti il più possibile;
Per quanto è possibile per me, per quanto è la tua volontà su di me,
Mettimi vicino ai tuoi santi genitori con tutto l'amore e l'umiltà,
annegato e perso nell'ammirazione, nella contemplazione ai tuoi piedi
durante questo Avvento e per sempre.
E quello che ti chiedo per me,
lo chiedo per tutti gli uomini,
e soprattutto per coloro per i quali devo pregare in modo particolare,
in te, per te e con te.
Amen.

avventopreghieracomunioneeucaristiaattesa

inviato da Milly Parodi, inserito il 11/02/2022

RACCONTO

7. Seduto su un tronco   2

Questa è una leggenda degli indiani Cherokee a riguardo del "rito di passaggio".

Il padre porta il figlio nella foresta, gli mette una benda sugli occhi e lo lascia lì da solo. Il giovane deve rimanere seduto su un tronco tutta la notte senza togliere la benda finché i raggi del sole non lo avvertono che è mattino. Non può e non deve chiedere aiuto a nessuno. Se sopravvive alla notte, senza andare a pezzi, sarà un uomo.

Non può raccontare della sua esperienza ai suoi amici o a nessun altro, perché ogni giovane deve diventare uomo da solo.

Il ragazzo è chiaramente terrorizzato: sente tanti rumori strani attorno a lui. Ci sono senz'altro bestie feroci che lo circondano. Forse anche degli uomini pericolosi che gli faranno del male.

Il vento soffia forte tutta la notte e scuote il tronco su cui è seduto, ma lui va avanti coraggiosamente, senza togliere la benda dagli occhi. In fondo, è l'unico modo per diventare uomo!

Finalmente, dopo una notte terrificante, esce il sole e si toglie la benda dagli occhi. Ed è così che si accorge che suo padre è seduto sul tronco a fianco a lui. È stato di guardia tutta la notte proteggendo suo figlio da qualsiasi pericolo.

Il padre era lì, anche se il figlio non lo sapeva.

Anche noi non siamo mai soli. Nella notte più terrificante, nel buio più profondo, nella solitudine più completa, anche quando non ce ne rendiamo conto, Dio non ci abbandona mai, e fa la guardia, seduto sul tronco a fianco a noi.

pauraamore di Diorapporto con Diofedefiduciaabbandonoabbandono in Dio

inviato da Qumran2, inserito il 23/12/2020

PREGHIERA

8. Supplica alla Beata Vergine Maria

Matteo Maria Zuppi

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.
Maria, Madre nostra e di ogni persona,
stella del mattino che quando la notte è più buia
orienti i nostri passi ed annunci il sole
che nasce per noi che siamo nelle tenebre e nell'ombra di morte,
volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi.
Maria, Fonte della nostra gioia,
guarda con il tuo amore di Madre la città degli uomini
ridotta a deserto di vita, nell'ansia e nell'angoscia.
Ci sentivamo sicuri e forti e ci scopriamo incerti e fragili
perché esposti ad un pericolo invisibile e insidioso.

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.

Maria, salute degli infermi,
ti affidiamo coloro che, nel nostro Paese e nel mondo intero,
sono oppressi dalla malattia.
Guariscili, aiuta chi lotta tra la vita e la morte,
sostieni coloro che li assistono difendendo la vita con il loro servizio
negli ospedali e nei luoghi di cura.
Maria, consolatrice degli afflitti,
sostieni i più deboli, gli anziani soli e turbati,
che non possono essere visitati,
perché sentano la tenerezza della tua presenza
e non manchi loro la carezza che rassicura e fa sentire amati e difesi.
Ricordati di chi non è padrone di sé e sente tanta agitazione.
Guida chi vive per strada e non ha dove andare,
chi è straniero e si sente solo.
Aiuta tutti dolce Madre nostra.

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.

Madre del buon Consiglio
tutti possiamo colpire ed essere colpiti dal male.
Insegnaci ad essere responsabili di noi stessi e del prossimo,
in una ritrovata comunione di destino,
forti nella speranza e intelligenti nella carità,
perché terminata questa prova possiamo abbracciarci
ed amarci gli uni gli altri come il tuo figlio Gesù ci ha comandato
e per primo ci ha amato.
Maria, porta del cielo,
ti supplichiamo: versa nel nostro cuore l'azzurro del tuo amore,
che ci liberi dalla paura e ci fa incontrare Gesù, nostra salvezza,
perché Lui spezza le catene del male
e con il suo amore fino alla fine ci fa sentire forti perché amati per sempre.

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta. Amen.

Supplica dell'arcivescovo Matteo Maria Zuppi alla Beata Vergine Maria durante la preghiera per l'Italia dal Santuario della Beata Vergine di San Luca di Bologna (22 aprile 2020)

pandemiaaffidamentocoronavirus

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

9. Quando parli con Dio

Mons. Giuseppe Pecoraro, Cieli di luce, edizioni O.DI.PA, Palermo 1990, pag.75

Quando parli con Dio, non parlare solo di te stesso;
quando ti è possibile, parla insieme agli altri con Dio;
e quando parli con gli uomini, ricordati che anche Lui è presente e ti ascolta.

orazionepreghiera

4.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 23/06/2020

TESTO

10. Hanno sloggiato Gesù

Chiara Lubich, Hanno sloggiato Gesù

S'avvicina Natale e le vie della città s'ammantano di luci.
Una fila interminabile di negozi, una ricchezza senza fine, ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e babbo-Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane burattine e nani rossi. Tutto si muove con garbo.
Ah! Ecco gli angioletti... Macché! Sono fatine, inventate di recente, quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino coi genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l'incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è "accalappiato" il Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù!
Ama del Natale la poesia, l'ambiente, l'amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.
Punta sul Natale per il guadagno migliore dell'anno.
Ma a Gesù non pensa.
"Venne fra i suoi e non lo ricevettero..."
"Non c'era posto per lui nell'albergo"... nemmeno a Natale.

Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l'Opera di Maria, ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll'arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo "mistero d'amore", stenderei canovacci per rappresentazioni e film.
Non so quel che farei...
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.
Quando sono stata, venticinque anni fa, in una terra in cui dominava l'ateismo, un sacerdote scolpiva statue d'angeli per ricordare il Cielo alla gente. Oggi lo capisco di più. Lo esige l'ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualche cosa che addolora.
Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendoGli festa come non mai.

nataleconsumismoGesù

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

11. Chi sono io?   1

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, Edizioni Paoline

Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia
tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l'amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

identitàaccettazionelimitiimperfezioni

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

12. Ho visto un Uomo   3

Giulia Madonna, Fonte

Ho visto un Uomo
vestito di bianco
e stanco
sotto la pioggia battente
e il vento freddo
salire lento
verso l'altare
carico di dolore
di sofferenza
ma anche di speranza.

Ho visto un Uomo
anziano
zoppicante
fare le tante scale
con sulle sue spalle
tutto il dolore del mondo.

Ho visto un Uomo
concentrato
nel suo silenzio
fremente
nella sua preghiera
chiedere il perdono
di tutti i peccati
degli uomini
e la loro Salvezza.

Ho visto un Uomo,
uomo fra gli uomini,
innalzarsi
su tutti
e pregare
per tutti.

Ho visto un Uomo
dire
"nessuno si salva da solo"
perché
non siamo soli
se crediamo
in Dio
e nella sua Salvezza.

Ho visto un Uomo
che,
con tutti gli altri uomini del mondo,
si salverà
perché ha creduto
e crederà
per sempre.

papa francescofedepreghierasofferenzapandemiacoronovirus

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 03/04/2020

TESTO

13. Il cuore di Dio. Pasqua: questo giorno, ogni giorno

Alessandro D'Avenia, Avvenire, 5 aprile 2015, Pasqua

Riparare i viventi è il titolo di un bel romanzo scritto della bravissima Maylis de Kerengal che in questi giorni mi ha accompagnato.
Mi sembra il titolo perfetto per questa domenica.
La storia parla di un adolescente che, uscito con i suoi amici in una fredda notte in cerca dell'onda perfetta da cavalcare all'alba con i loro surf ruggenti, sulla strada del ritorno ha un incidente ed entra in coma irreversibile. I suoi genitori consentono l'espianto degli organi, anche se è il cuore il vero protagonista della storia. Il cuore che viene estratto dal petto del ragazzo va a riempire quello di una donna in attesa di un organo che la salvi grazie ad un trapianto. Ad un tratto la madre di Simon, il ragazzo morto, si chiede che accadrà al contenuto del cuore di suo figlio: «Che ne sarà dell'amore di Juliette una volta che il cuore di Simon ricomincerà a battere dentro un corpo sconosciuto, che ne sarà di tutto quel che riempiva quel cuore, dei suoi affetti lentamente stratificati dal primo giorno o trasmessi qua e là in uno slancio d'entusiasmo o in un accesso di collera, le sue amicizie e le sue avversioni, i suoi rancori, la sua veemenza, le sue passioni tristi e tenere? Che ne sarà delle scariche elettriche che gli sfondavano il cuore quando avanzava l'onda? Che ne sarà di quel cuore traboccante, pieno, troppo pieno?».

Che ne sarà del nostro cuore, con tutto quello che ha filtrato di amore e disamore in una vita? Ma non è forse questo il senso della grande promessa di Dio: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez. 36, 26-7)?
Anche noi eravamo a rischio di vita, anzi eravamo già morti, il nostro cuore aveva subito troppi infarti, non riusciva più ad amare senza rischiare il colpo di grazia. E proprio per un colpo di grazia riceviamo un cuore nuovo, che viene trapiantato gradualmente nella nostra vita nella misura in cui lo vogliamo.
L'uomo nuovo di cui parla Paolo nelle sue Lettere è un uomo dopo il trapianto. Rimane l'uomo vecchio, ma il trapianto irrora gradualmente ogni fibra trasformandola. In noi comincia ad abitare il battito di un Altro, che non muore.
La vita di Dio che non può essere distrutta entra e gradualmente trapianta (ci innesta nella sua vita come si fa in botanica), purifica, trasforma, nella misura di quanto vogliamo. C'è tanto del cuore di Dio nella nostra vita quanto noi vogliamo ne venga trapiantato ogni giorno.

Ad un certo punto della narrazione il medico che condurrà l'operazione di trapianto avverte la paziente perché si prepari: «Il cuore sarà qui fra trenta minuti, è splendido, è fatto per lei, vi intenderete alla perfezione. Claire sorride: ma aspetterà che sia qui prima di togliere il mio, vero?».
Il nostro rimarrà, proprio quello nostro, ma il centro di ogni pensiero, decisione, amore, caduta, tristezza, malinconia, il motore di ogni nostro amore e disamore, non verrà tolto, ma trasformato.

La natura umana è riparata perché il Perfetto Uomo ha attraversato tutto l'umano, ha conosciuto tutto ciò che passa per il cuore dell'uomo e lo ha sentito come fosse suo, anche il peccato, non come atto ma nelle sue conseguenze (dalla tentazione, al dolore, alla morte). E quel cuore che ha cessato di battere sulla croce, quel cuore che ha dato tutto, tanto che, quando il soldato lo trafisse con la lancia, sputò sangue e acqua, il siero che si riversa nella sacca del pericardio quando dopo un infarto la parte densa del sangue si separa da quella più leggera, proprio quel cuore diventa nostro.

Quel cuore in realtà non è vuoto, non è il cuore di un morto, inservibile per un trapianto. È il cuore di un vivo, è il cuore del Vivente, è il cuore della Vita; il cuore che ci consente di avere passione per la vita e di patire per la vita; il cuore che ci concede il trasporto erotico per il creato e le creature e la capacità di patire per il creato e le creature. Il cuore di Dio, spiritualmente trapiantato in noi grazie al Battesimo e riparato dagli altri Sacramenti, batte fortissimo nel petto dei cristiani, che per questo ogni giorno, se vogliono, risorgono.
E quando quel cuore verrà pesato (amor meus pondus meum, il mio amore è il mio peso, dice Agostino) alla fine della vita lo si troverà 'pieno' dell'amore di Dio stesso, perché era il Suo in noi.

Solo lui ripara i viventi e i morenti, perché il Suo cuore non ha conosciuto la corruzione della morte, conosce solo la vita e ciò che dà la vita.
Si dice che, dopo aver bruciato Giovanna D'Arco, i carnefici trovarono intatto il suo cuore in mezzo alla cenere. Quel cuore non poteva essere distrutto, perché la sua materia non apparteneva a questo mondo e il fuoco degli uomini non poteva consumarlo. Era il cuore di Giovanna o quello di Dio?

Se è amore che vogliamo per vivere, è un cuore nuovo che vogliamo. Oggi è il giorno del trapianto.

pasquacuore nuovoconversionerinascitaamoreamare

inviato da Marcello Rosa, inserito il 06/07/2018

PREGHIERA

14. Mensa umano mistero   1

Adriana Zarri

Facci, Signore, il dono della cena.
Tu ti sei seduto a cena.
Oh, sì, ma non era una cena come tutte le altre,
sebbene tutte le altre le fossero ordinate:
era una cena unica,
in cui tu eri commensale e vivanda;
E gli apostoli mangiarono con te e di te.
Ma prima di considerare il mistero eucaristico,
lasciaci considerare questo semplice
e dolce “mistero” umano della mensa,
che tu tante volte
hai voluto condividere con i tuoi amici.

L'Eucaristia è il sacramento della tavola,
così come la tavola
è il sacramento della nostra amicizia.
Perciò, prima di farci il dono dell'Eucaristia,
facci, Signore, il dono della cena:
della semplice mensa degli uomini,
della condivisione dell'amore e dei beni,
della cordialità del pacato discorrere
e del calore del volersi bene.

Dacci di sapere cenare in amicizia,
come facevi a casa tua,
come facevi a Cafarnao nella casa di Pietro,
e a Betania, nella casa di Lazzaro;
come facesti a Gerusalemme, nel Cenacolo.

Donaci amore per invitare amici,
ospitalità per servirli,
cordialità per discorrere con loro,
gioia per mettere la tovaglia bella,
letizia per versare il vino dolce.

E fa' sì che in ogni pranzo e in ogni cena
avvertiamo la tua visibile presenza,
ospite sempre invitato, amico sempre amato,
nostro pane, nostro vino,
nostro banchetto eterno.

cenaultima cenaeucaristiaospitalitàamiciziaconvivialità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 06/07/2018

PREGHIERA

15. E ancora vieni in mezzo a noi

Francesco De Luca

E ancora vieni in mezzo a noi.
Ancora nasci in mezzo all'umanità.
Il tuo Natale è un farci capire
che non sei stanco
di questa gente,
di questi uomini,
di questo popolo.
Ancora nasci
in mezzo all'umanità.
Non sei stanco di noi, mentre noi
già siamo stanchi
di tutto.
Non ci abbandoni,
quando noi preferiamo lasciar tutto e fuggire.
Ti fermi a parlare
e fai parlare di Te,
quando noi preferiamo l'omertà del silenzio.
Sei presente, per supplire
le nostre assenze,
sei disponibile per annullare
le nostre scuse,
sei attivo per smascherare
le nostre giustificazioni.
E ancora nasci in questa umanità.
Non possiamo essere Te, piccolo bambino del presepe,
abbiamo paura della tua nudità, sentiamo freddo,
abbiamo paura del tuo coraggio di nascere sempre,
siamo vigliacchi.
Ma pur non potendo essere Te
vorremmo essere i pastori
che pieni di stupore e senza indugio vengono a trovarti,
o i magi che mai stanchi e indomiti ti cercano, nel buio e nella luce,
ma siamo noi...
stanchi di rinascere, paurosi di essere nudi,
pigri nel correre verso di Te, incapaci di cercare, superficiali ad ogni stupore,
e Tu nasci in questa umanità.
Donaci il coraggio di accoglierti: bambino, straniero, diverso;
infondici la forza di vedere oltre, dacci la possibilità di fare del bene.
Liberaci dalle catene dell'egoismo e dell'indifferenza, donaci il coraggio dell'essenziale, facci accogliere ogni uomo, come se accogliessimo Te.
Facci credere nell'incredibile, vedere l'invisibile, fare l'impossibile.

nataleincarnazionegiustiziaaccoglienzasperanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 19/02/2018

TESTO

16. Il vero significato dell'Avvento   1

Goffredo Boselli

Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".

Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.

L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.

Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.

Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:

"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?

Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.

Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.

Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.

Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.

Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.

Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.

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inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

RACCONTO

17. Il bambino rapito

C'era una pacifica tribù che viveva in pianura ai piedi delle Ande. Un giorno, una feroce banda di predoni, che aveva il covo nascosto tra le vertiginose vette delle montagne, attaccò il villaggio. In mezzo al bottino che portarono via c'era anche un bambino, figlio di una famiglia della tribù di pianura, e lo portarono con loro in montagna.
La gente di pianura non sapeva come fare a scalare la montagna. Non conoscevano nessuno dei sentieri usati dalla gente di montagna, non sapevano come trovare quella gente o come trovare le loro tracce su quel terreno scosceso. Ciò nonostante mandarono un gruppo di uomini, i loro migliori guerrieri, a scalare la montagna per riportare a casa il bambino.
Gli uomini cominciarono la scalata prima in un modo, poi in un altro. Provarono un sentiero, poi un altro. Dopo diversi giorni di duri sforzi, erano riusciti ad andare solo un centinaio di metri su per la montagna. Sentendosi completamente impotenti, gli uomini di pianura si diedero per vinti e si prepararono a tornare al villaggio giù in basso.
Mentre stavano per fare marcia indietro videro la madre del bambino che veniva verso di loro. Si accorsero che stava scendendo dalla montagna che loro non erano riusciti a scalare. E poi videro che portava il bambino in una sacca dietro le spalle. Uno degli uomini dei gruppo la salutò e disse: «Non siamo riusciti a scalare questa montagna. Come hai fatto tu a riuscirci quando noi, che siamo gli uomini più forti del villaggio, non ce l'abbiamo fatta?».
La donna scrollò le spalle e disse: «Non era il vostro bambino!».

Dio ha detto a ciascuno di noi:
«Tu sei il figlio che amo.Tu sei il mio bambino».
E niente e nessuno lo ha fermato per riportarci a casa.

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inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

18. Considerare il fratello un candidato all'unità

Chiara Lubich, Payerne (Svizzera), 26 settembre 1982

Ecco la prima idea che può già rivoluzionare la nostra anima se noi siamo sensibili al soprannaturale: la fratellanza universale che ci libera da tutte le schiavitù, perché siamo schiavi delle divisioni fra poveri e ricchi, fra generazioni: padri e figlioli, fra bianchi e neri, fra razze, fra nazionalità, persino fra cantone e cantone siamo schiavi, ci critichiamo; ci sono degli ostacoli, delle barriere. No, La prima idea è svincolarsi da tutte le schiavitù e vedere in tutti gli uomini, in tutti gli uomini...

- Ma anche nel mio bambino?
- Anche in quella donna lì così chiacchierona?
- Anche in quel vecchio rimbambito?
- Anche in quella povera lì?
- Anche in quell'ebreo?
- Anche in quello lì? ma possibile?

Sì, in tutti, in tutti, in tutti vedere dei possibili candidati all'unità con Dio e all'unità fra di noi.
Ecco, bisogna spalancare il cuore, rompere tutti gli argini e mettersi in cuore la fratellanza universale: io vivo per la fratellanza universale!
Dunque, se tutti siamo fratelli, dobbiamo amare tutti, dobbiamo amare tutti, dobbiamo amare tutti. Guardate, sembra una parolina, è una rivoluzione! Dobbiamo amare tutti. "Anche quella signora che sta di là della mia porta? Ma mi critica, mi guarda male, e poi è un tipo!" Anche lei, dobbiamo amare tutti!

unitàamorefratellanzagratuitàdivisionipregiudizi

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

19. Ricordatevi di Dio

Isacco di Ninive, La filocalia

Ricordatevi di Dio, perché in ogni istante egli si ricordi di voi. Se si ricorda di voi, vi darà la salvezza. Non dimenticatelo lasciandovi sedurre da distrazioni vane. Volete forse che vi dimentichi nei momenti delle vostre distrazioni?

Rimanetegli vicini e obbedienti nei giorni della prosperità. Potrete contare sulla sua parola nei giorni difficili, poiché la preghiera vi renderà sicuri della sua presenza costante. Rimanete incessantemente dinanzi al suo volto, pensatelo, ricordatelo nel vostro cuore. Altrimenti, se lo incontrate appena di tanto in tanto, rischiate di perdere la vostra intimità con lui.

La familiarità tra gli uomini avviene mediante la presenza fisica. La familiarità con Dio consiste nella meditazione e nell'abbandono in lui durante la preghiera.

Chi vuol vedere il Signore, purifichi il suo cuore col ricordo continuo di Dio. Arriverà a contemplarlo ogni istante e dentro di sé sarà tutto luce.

contemplazionevicinanza di Diopresenza di Diorapporto con Diopreghiera

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

TESTO

20. Francesco, va' e ripara la mia casa!

Avevo il cuore in subbuglio, non sapevo cosa fare della mia vita, qual era il progetto di Dio per me. Quelle settimane passeggiavo tanto e la mia meta preferita era la chiesetta diroccata di San Damiano, poco fuori delle mura di Assisi.

Chissà da quando non si celebrava la Messa in quella chiesetta, quando ci andavo vedevo qualche contadino che, dopo il lavoro, entrava e pregava, qualche bambino portava talvolta qualche fiori di campo.

I temporali avevano rovinato le mura e il tetto, che ormai era crollato del tutto, il pavimento non c'era più, c'erano pietre tutto intorno. Quel giorno c'era tanto silenzio, tanta pace e tranquillità. Era una bellissima giornata di sole che ormai volgeva al tramonto.
Sono entrato, come al solito nella chiesetta, mi sono avvicinato al grande Crocifisso e ho iniziato a pregare. Ho pensato al mio animo tanto turbato, alla ricchezza che possedevo, ma anche a quella chiesetta diroccata e alle persone povere che incontravo ogni giorno per le vie di Assisi.

Immerso nei miei pensieri ho alzato gli occhi verso il Cristo in croce e ho sentito una voce molto chiara nel mio cuore: "Va' Francesco, ripara la mia casa, che come vedi, va in rovina!".

Sono rimasto ammutolito e senza parole, ma sentivo già la risposta nascere dentro di me: "Sì, Signore... dimmi cosa devo fare".

Alla fine della mia vita ho capito che Gesù voleva che io riparassi la sua casa, ma anche che mi donassi ai poveri e a tutti gli uomini e costruissi così una Chiesa più vera e più bella, come la voleva lui!

san francescovocazionechiesaimpegnodisponibilità

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2017

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