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TESTO Toccando come lui ci ha toccati

don Angelo Casati  

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IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (25/09/2022)

Vangelo: Gv 6,51-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Pane e vino, mangiare e bere, sono immagini che si rincorrono e si abbracciano nelle letture di questa domenica. Vorrei parlare del pane e del vino come di una benedizione. E vorrei partire nelle mie riflessioni dalla tavola nella casa della Sapienza. La Sapienza edifica con arte una casa, imbandisce con fantasia una tavola. Abbiamo bisogno di casa e di tavola, per un banchetto. E' vero, anche un prato può diventare casa e tavola durante una scampagnata, accade per l'aria che vi si respira. Anche una chiesa può diventare casa e tavola, se vi respiriamo l'aria dell'essere attesi e del condividere. Come ci si fosse dati appuntamento alla tavola.

E un po' ci trema il cuore nel pensare a casa e tavola e pane in una domenica come questa, in cui ricorre la giornata mondiale del migrante e del rifugiato: casa e tavola e pane, per una vita che sia vita. Ritorno con il pensiero alla casa della Sapienza. Mi ha colpito l'ampiezza della convocazione, la più aperta, la voce deve arrivare a tutti. E mi rimangono negli occhi le ancelle, mandate sui punti più alti della città per rivolgere l'invito. Mi sono chiesto quali i punti della città da cui oggi rivolgere l'invito a un banchetto, nella casa della Sapienza. E la voce dice: "Chi è inesperto venga qui!". A chi è privo di senno ella dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato".

Dovrei sentire emozione all'invito nella casa della Sapienza, io che sono inesperto, io che non sono così sicuro di essere, nelle mie scelte, sempre assennato, e corro il pericolo di sentirmi tale. Oggi tutti sanno tutto, tutti sono esperti di tutto, tutti parlano di tutto. No, forse non tutti. Mi chiedo se non abbia contagiato anche me questa pretesa, questa presunzione: io che uso così poco la parola "forse" o la parola "chissà". Chi sa? Giusto, chi sa? Sentirmi inesperto e poco assennato mi sembra condizione per far parte di un gruppo meraviglioso, di sua natura trasversale, quello dei "ricercatori": ogni volta emozionati quando sono in vista di una casa della Sapienza. Emozionati e grati, a un banchetto che non è stato preparato da loro. Ma da altri, o dall'Alto. In ascolto di altri e dell'Alto.

Ebbene nella sapienza vera accade come un incrocio, tra l'alto e la vita. Le parole sapienti non saranno mai pura astrazione: c'è sì un Alto - abbiamo bisogno di orizzonti alti - ma un alto che tocca la vita. Infatti è scritto: "Abbandonate l'inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza": si incrociano sapienza e strade, sapienza e quotidiano. Questa è Sapienza, la sapienza del vivere. Permettete allora che io legga in questo orizzonte le parole di Gesù nella sinagoga di Cafarnao: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo". In lui è disegnato l'alto, una sapienza che viene dall'alto, una sapienza che tiene tutta la luce del cielo, ma contemporaneamente tocca la terra, perdonate, si fa terra, si mescola alla terra, si fa umanità, diventa una benedizione per la vita.

Il Verbo - ricordate il prologo del vangelo di Giovanni - il Verbo, la Sapienza, si è fatta carne. Ed è questo che scandalizza gli interlocutori di Gesù. Un Dio scolorito, sbiadito nella vaghezza della trascendenza, lo avrebbero anche accettato; ma nella umanità - nella carne e nel sangue - del profeta di Nazaret, no. Per loro era una dissacrazione: Dio andava tenuto puro da contatti, un Dio che si sporca le mani, per loro non era più Dio. Lo era per i discepoli, che avevano visto, giorno dopo giorno, la Sapienza farsi occhi che intravedono e mani che toccano e piedi che si affrettano, e udito che raccoglie anche i silenzi, e cuore, cuore che abbraccia donne e uomini, senza mai discriminare, sino alla croce. Un dono incomparabile. Una benedizione.

Con il Signore Gesù siamo toccati nella carne e tocchiamo nella carne. A volte non lo pensiamo o lo dimentichiamo, può diventare una abitudine. Succede a me - non so se a volte anche a voi - sto pensando a quando riceviamo nel cavo delle mani il pane dell'eucaristia: lui tocca la nostra umanità con la sua umanità e noi tocchiamo il lembo del suo mantello. Ed è come se lui ci invitasse a scoprire la sua presenza di benedizione nella vita. Lui pane disceso dal cielo. E nello stesso tempo è come se chiamasse anche noi a diventare benedizione. Toccando, come lui ci ha toccati.

E faccio sosta, breve, sul brano delle lettera ai Corinzi, su parole che mi sembra possano essere inscritte in questo orizzonte. Le stralcio: "Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane". Ti prego, non scolorire la lezione del pane che ricevi: è un pezzo di pane, fa parte di un pane spezzato, ci ricorda che siamo un solo corpo. Forse, e senza forse, il segno era più eloquente nell'antichità, quando nella liturgia si spezzava un pane, una pagnotta di pane, e lo si distribuiva in piccoli bocconi. Ora di quel gesto è rimasto niente più che un pallido cenno nella nostra liturgia quando, dopo la preghiera di benedizione sul pane, si introduce un'antifona dicendo: "canto allo spezzare del pane".

Che non si spezza per tutti e che ha perso la figura del pane. Purtroppo è così, ma non è certo una giustificazione per dimenticare la lezione che è iscritta nel pane dell'eucaristia, e, penso, iscritta in ogni pane: il pane per diventare dono che sfama, va consegnato, e per consegnarlo alle mani dei molti, della moltitudine, va spezzato. E allora, quando guardi il pane del Signore nell'incavo della tua mano, ascoltalo. Lui fatto pane, ti invita a seguirlo in questa forma: diventa anche tu pane.

Lui disceso, lui consegnato, lui spezzato ti invita a seguirlo in questa modalità del vivere, in questi verbi: discendere, consegnarsi, spezzarsi, formare un solo corpo. Pane come una benedizione.

 

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