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TESTO Commento su Giovanni 6,51-59

don Michele Cerutti

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IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (25/09/2022)

Vangelo: Gv 6,51-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Ripercorrendo le domeniche successive al Martirio del Battista siamo sollecitati a verificarci sulla nostra testimonianza di cristiani e la liturgia ci aiuta a confrontarci sull'Eucaristia come via per conformarci a Cristo.
In altre omelie ho narrato dell'esperienza raccontata da un missionario in Brasile giunto in un villaggio laddove i preti arrivano dopo molto tempo e a volte anche qualche anno e dopo una adorazione eucaristica una donna semplice affermò: “Ora comprendo quello che abbiamo vissuto: Noi con Dio, Dio con noi, noi tra noi”.
In un piccolo slogan questa Signora ha espresso la forza dell'Eucaristia.
Oggi i Giudei di Cafarnao sono invece confusi e dopo che Gesù spiega loro che Egli è il pane vivo disceso dal cielo e chi mangia la sua Carne e beve il suo Sangue ha la vita eterna affermano: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Questa espressione nel Vangelo di Giovanni, che circola intorno a Gesù, mette in evidenza l'inevitabile confusione che si respira intorno ai cristiani e alle loro celebrazioni.
Nell'opera Octavius di Minucio Felice (II sec. d.C.) viene riportato un intervento di Frontone, che fa una relazione ai capi romani, sulla difficoltà nel comprendere i cristiani e il loro radunarsi.
Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnecciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empie congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scellerataggine, una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto.
Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe irridono gli dèi, scherniscono i sacri riti; i miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi!. Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. Ho sentito dire che venerano dopo averla consacrata, una testa d'asino, non saprei per quale futile credenza. Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote. E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e legno della Croce, che costituiscono le lugubre sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo con malfattori rotti ad ogni vizio l'altare che più ad essi conviene.

Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, viene ucciso. Orribile dirsi, ne succhiano poi con del sangue, se ne spartiscono a gara le membra, con questa vittima stringono un sacro patto. Il loro banchetto è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una relazione del nostro retore di Cirta. Si avvinghiano assieme nella complicità del buio a sorte.
Non siamo di certo più a questi livelli bassi di confusione, ma ancora oggi comprendere cosa significhi Eucarestia e partecipare al Corpo e al Sangue di Cristo non è sempre chiaro nel cristiano.
Pensate ci viene in aiuto un filosofo ateo il quale afferma che l'uomo è ciò che mangia. Per lui nell'uomo non c'è una differenza fra corpo e spirito e tutto si limita alla dimensione organica.
Con l'Eucaristia il cristiano è veramente ciò che mangia.
San Leone Magno nei primi secoli ci aiuta a ragionare su cosa sia l'Eucaristia:

“La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo”.
Quello che opera l'Eucaristia è l'assimilazione all'unico corpo e quindi non solo un'unione di corpi, di menti e di volontà.
Nell'Eucaristia riceviamo il Corpo e il Sangue di Cristo, ma nello stesso tempo anche Cristo riceve il nostro corpo e il nostro sangue e in questo modo porta su di sé tutta la nostra umanità.
Noi portiamo a Lui tutte le nostre fragilità e Lui ci dona in cambio tutta la sua forza di Risorto.
Gesù in questo scambio prende su di sé tutto e nulla è escluso.
Ne consegue la forza dell'Eucaristia come comunione tra di noi.
Gesù lo riceviamo in noi e Lui prende su di sé tutto noi stessi e noi in cambio dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri.
Se riconosciamo Gesù nell'Ostia santa lo dobbiamo riconoscere nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, ma è anche forestiero, ignudo, malato e carcerato. L'Eucaristia ci spinge ad ogni persona e ci impegna in modo concreto per coloro che sono in necessità e siamo sollecitati alle nostre responsabilità di cristiani per la costruzione di una società più solidale, più giusta e più fraterna.

 

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