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TESTO Commento su Giovanni 3,16-18

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Santissima Trinità (Anno A) (26/05/2002)

Vangelo: Gv 3,16-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

"Quanto insegni, insegnalo in modo che chi ascolta creda, e credendo abbia speranza e sperando ami". Così S.Agostino scrive in quella sua piccola e bellissima opera su "Come fare catechesi a coloro che si avvicinano per la prima volta alla fede", scritta per incoraggiare il diacono Deogratias che aveva difficoltà nel presentare nella catechesi le motivazioni della fede, pur essendo persona molto capace nel parlare.

E' stupenda la sequenza dei quattro verbi: "ascoltare, credere, sperare, amare".

Il dramma più profondo della cultura contemporanea è voler invece prescindere da questo insieme e vivere solo dell'amare. Ognuno cerca di amare, ma, nel cammino, si incontra con la rabbia, con la noia, con la tristezza. Oppure si illude, esalta una persona da amare, e tanto più la ha innalzata, tanto più piomba poi nel risentimento quando scopre i limiti ed il peccato di quella persona un tempo così apparentemente così perfetta. Anche dinanzi alla vita comune, alla vita ecclesiale ci appare questa dinamica: "Questo gruppo, questa realtà ecclesiale mi ha deluso; allora mi allontano, me ne vado". Un teologo protestante del nostro secolo, Bonhoeffer, faceva riflettere nel suo famoso libro "La vita comune" che questo avviene tanto più facilmente quando si vivono momenti inizialmente entusiasmanti e molto coinvolgenti come, ad esempio, un campo estivo, esperienza che presto faremo in tante parrocchie – l'estate si avvicina! - con tanti gruppi giovanili e non.

La festa della Trinità ci pone dinanzi un altro punto di partenza: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio primogenito". C'è un annunzio da ascoltare, prima di mettersi all'opera nell'amore. E' la rivelazione della Santissima Trinità. E nelle sue lettera lo stesso evangelista scrive: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma Lui ha amato per primo noi". Ecco l'equivoco e insieme la salvezza. Contempliamo allora la sequenza che dall'ascolto conduce alla fede e poi alla speranza e infine all'amore.

Anche in un film uscito in questi giorni, Casomai, del regista D'Alatri, viene posto il problema del fondamento dell'amore: la speranza. Si pone la domanda se sia possibile una fedeltà nell'amore, in questo caso matrimoniale, se il contesto sociale non aiuta, se il mondo del lavoro tende sempre più a sottrarre tempo alla famiglia, se gli amici, al primo segno di crisi, ti dicono di lasciar perdere, se le famiglie di origine non ti sostengono e così via. Un sacerdote, nel film, cita S.Agostino quando dice che due sono le peggiori disgrazie dell'uomo: "Non avere speranza ed avere una speranza senza fondamento. Ma delle due è la seconda possibilità ad essere peggiore". Ed ecco viene messo sì in rilievo il contesto pubblico, sociale, familiare della famiglia – realtà certo importantissima e la Chiesa non manca di sottolinearlo – ma mai gli occhi si levano a domandarsi se non sia più in alto il fondamento della speranza. "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito santo siano con tutti voi". Questo è l'annuncio di Paolo, annuncio fatto ad una comunità, quella di Corinto, che pure Paolo ha rimproverato a lungo per il suo essere luogo di creazione di partiti e non di comunione.

E' apparso il mistero della Trinità, è stato a noi rivelato. Ecco l'annuncio del cristianesimo, ecco il vangelo. Rifiutiamo l'espressione Cristocentrismo, perché in realtà il Figlio non è il "centro"! Come potremmo capire il Figlio, se non amando il fatto che Egli ama il Padre? Che Egli tutto riceve dal Padre, che Egli non ha altro da dire se non ciò che ha udito dal Padre, che Egli vive la sua vita come la vita di "Colui che il Padre ha dato al mondo perché il mondo si salvi"? E come comprendere il Figlio, senza parlare dello Spirito Santo che dall'eternità "riposa su di Lui", e che il Figlio restituisce al Padre, come l'amore che da Lui ritorna all'unica Origine? E cos'è l'Incarnazione del Figlio se non l'opera dello Spirito Santo – "per opera dello Spirito Santo si è incarnato e si è fatto uomo" – opera che continua nella carne della Chiesa, che, sia nel carisma che nell'istituzione (entrambi "spirituali"), vive della presenza dello Spirito di Cristo, dello Spirito del Figlio? Quasi potremmo dire che, amando Cristo, amiamo i suoi amori. Tutto l'esistere del Figlio è questa relazione al Padre e allo Spirito.

Infine ci soffermiamo un istante sullo strettissimo rapporto che la fede cristiana riconosce esistere fra la "giustizia" e la "misericordia" della Trinità. Dall'origine la Chiesa ha rigettato come eresia l'affermazione che due divinità reggano una l'Antico e l'altra il Nuovo Testamento. Nonostante questo serpeggia fra molti la falsa idea che l'Antica Alleanza sia solo l'emergere della giustizia e la Nuova l'assenza di essa e l'unicità del perdono. Questo è stravolgere l'amore della Trinità infinitamente giusto ed infinitamente misericordioso. Già sotto il Sinai – nella prima lettura – sappiamo che senza la misericordia Israele non potrebbe vivere. Solo il perdono salva il popolo dal peccato del vitello d'oro. Insieme contempliamo la "drammaticità" dell'espressione del vangelo "Chi non crede nell'Unigenito è già stato condannato". Essa dice la giustizia del Padre e del Figlio. E' proprio perché tutto l'esistere del Figlio è nella relazione di amore al Padre e allo Spirito che "non credere" al Figlio vuol dire perdere anche il Padre e lo Spirito. Ma non per questo è stato inviato il Figlio! Bensì perché "il mondo si salvi per mezzo di Lui". La storia della salvezza non è il passare dalla giustizia al perdono, ma arrivare alla "piena rivelazione" della giustizia e del perdono che in Cristo sono compiute. Ecco il "dramma", l'azione decisiva che si compie nella storia, quell'evento che apre l'orizzonte della possibilità e della necessità, per l'uomo, di scegliere e di cominciare dall'amore di Dio "che ha amato per primo".

Commento a cura di Andrea Lonardo

 

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