TESTO Commento su Giovanni 3,16-18
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Santissima Trinità (Anno A) (22/05/2005)
Vangelo: Gv 3,16-18

«16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
* Dopo averci condotto attraverso il tempo pasquale a una comprensione crescente del mistero celebrato nella Settimana Santa e compiutosi con l'invio dello Spirito Santo a Pentecoste, la liturgia, con la celebrazione eucaristica odierna, ci invita a contemplare ed entrare nel mistero stesso della vita intima di Dio: per noi, trasformati e resi figli dalla grazia pasquale, essa si apre, nella rivelazione di Gesù Figlio di Dio, donato dal Padre al mondo per amore.
* A questa vita, in cui siamo stati innestati per mezzo del battesimo, siamo ora invitati a partecipare, nutrendoci di essa alla mensa della Parola e del Corpo e Sangue di Cristo.
* La prima lettura (Es 34, 4-6.8-9) ci presenta il momento centrale del dialogo di Dio con Mosè sul Sinai, mentre vengono nuovamente consegnate le tavole della legge. Il popolo ha appena voltato le spalle a Jhwh per peccare con il vitello d'oro, proprio mentre Dio sul Sinai gli sta offrendo la sua alleanza.
In questo momento preciso Dio promette il suo perdono, ma fa anche di più: Jhwh scende nella nube e proclama il suo nome, rivelando a Mosè la sua identità. Rivela cioè che il suo perdono non è stato un caso unico ed eccezionale; Dio ha perdonato perché la misericordia è una sua caratteristica costitutiva: Dio misericordioso.
E se "misericordioso" è il titolo basilare, gli attributi che seguono definiscono sempre meglio cosa sia questa misericordia divina. Sono titoli che nell'originale ebraico esprimono un'intensità e un'intimità fortissime.
Al peccato di idolatria, dunque, Dio risponde rivelandosi: dona all'uomo la possibilità di scoprire chi è il Dio che lo ha tratto fuori dall'Egitto.
E' una rivelazione del nome di Dio che riguarda la sua relazione con l'uomo, con ciò che Egli è e fa per l'uomo: l'uomo si allontana e Dio è fedele, l'uomo pecca e Dio è misericordioso.
Dio dunque si rivela perché qualcuno lo accolga, riceva questa rivelazione e ne entri in possesso: tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa' di noi la tua eredità.
Nel movimento con cui Dio scende presso Mosè e si mostra è coinvolto anche l'uomo: a chi accoglie tale rivelazione per vivere di essa (che il Signore cammini in mezzo a noi), Dio offre di entrare in comunione con Lui e rinnova l'alleanza.
* Il volto del Dio misericordioso della prima lettura, che offre all'uomo la sua amicizia ma rimane ancora avvolto nella nube, ci è mostrato in piena luce nel brano evangelico (Gv 3,16-18). Anche in questo caso ci troviamo al culmine di un colloquio, a dirci già in maniera indiretta ma inequivocabile che la rivelazione cristiana non è una teoria da manuale, ma vita che si comunica in una relazione personale.
Gesù guida Nicodemo, il suo interlocutore, attraverso un percorso di maturazione dell'esperienza di fede, che lo conduca dal credere che Gesù è un inviato di Dio perché compie dei segni a un'accoglienza di Lui, della sua persona, come Figlio di Dio.
Chi è rinato dall'alto, da acqua e da Spirito, chi cioè è divenuto figlio di Dio per mezzo del battesimo, è reso capace di accogliere la rivelazione del mistero di Dio Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito.
L'amore di Dio non rimane qualcosa di vago e nebuloso: si comunica in una persona concreta e storica, Gesù Cristo. E' Lui il dono d'amore del Padre all'uomo. E' Lui il volto luminoso del Dio che perdona e ama l'uomo perché chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,9)
Chi crede in Lui, decidendosi per un rapporto di adesione totale e personale a Lui, non muore, ma ha la vita eterna: la fede in Gesù è la porta d'accesso alla salvezza dal male e dal peccato che sfigurano la storia umana e ingresso nella vita eterna. Nel vangelo di Giovanni la vita coincide con la relazione esistente tra Gesù e il Padre, offerta e allargata a tutti gli uomini grazie allo Spirito, la Persona-Dono, nel quale la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine persone (cf. Dominum et Vivificantem, 11, Giovanni Paolo II).
Questa vita è il dono che Gesù viene a farci appunto come Figlio mandato dal Padre, cioè quel dono che è il rapporto di amore e obbedienza filiale, per cui tutto riceve dal Padre e, a sua volta, contraccambia.
Gesù ci introduce nel mistero di Dio, in quanto è il Figlio sempre rivolto al seno del padre (Gv 1,18). Questa intimità profonda di Gesù con Dio, in quanto manifestata e donata, è quella vita alla quale abbiamo accesso mediante la fede.
* La seconda lettura (2 Cor 13,11-13) ci porta compiere un ulteriore passo, facendoci riconoscere nella comunità dei credenti, che hanno accolto la rivelazione di Gesù Cristo, il luogo tangibile della manifestazione della vita divina e della comunione con Dio resa disponibile per ogni uomo.
Paolo sta concludendo la sua seconda lettera ai cristiani di Corinto e, per esortarli a una vita di amore e unione nella pace, addita loro come scaturigine e modello della vita fraterna proprio la vita intima di Dio: la grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo sono con tutti voi. Da questi doni, offerti da Dio, prende forma e contenuto la vita della comunità, che si traduce poi concretamente in letizia, tensione alla perfezione, incoraggiamento vicendevole, unione di intenti e pensieri, pace, amore reciproco, fino al bacio di pace al fratello perché in lui si riconosce il Cristo.
I tratti del volto del Dio misericordioso dell'Esodo, rivelati da Cristo, si rendono visibili nella comunità cristiana, nata a Pentecoste per dono dello Spirito Santo e da Lui chiamata a divenire icona del mistero trinitario che ciascuno porta in sé.
* La risposta più bella e piena a questa manifestazione del Dio amore non può che essere l'adorazione e la lode di Dio. Le parole ci sono messe sulle labbra dal salmo responsoriale, tratto dal cantico del libro di Daniele: la comunità credente canta la gloria di Dio riconoscendolo presente nella propria storia di salvezza come Dio dei nostri padri, nel tempio, luogo della sua presenza fra il popolo, nella sua signoria sul mondo, nelle opere delle sue mani.
* Ecco che la rivelazione del volto di Dio Amore, Padre, Figlio e Spirito Santo, ci raggiunge per sorprenderci.
L'uomo viene invitato a partecipare ad essa, a sedere non da spettatore ma da commensale al banchetto della vita imbandito dalle tre divine Persone. Proprio come nella famosa icona di Rublëv, dove lo spazio riservato allo spettatore è parte integrante della scena. Il posto dell'uomo è lasciato vuoto, libero, perché egli prenda parte alla mensa della vita intima di Dio, a quello scambio di reciproco amore e dono.
* Oggi ciascuno di noi, che partecipiamo a questa celebrazione eucaristica, è personalmente raggiunto dall'invito dello Spirito, a cui fa eco la voce della tradizione della Chiesa: Amici, mangiate e bevete! Ciò a cui il Signore invita qui i suoi amici ha luogo sempre mediante il cibo e la bevanda che Dio dona, causa d'una certa ebbrezza spirituale. Questi tre inviti sono quelli del Padre che purifica, del Figlio unigenito, il cui contatto guarisce, e dello Spirito che rende puro ciò che è sporco. Tale è l'ebbrezza del vino nuovo che il Signore offre ai suoi commensali, che li porta verso le cose divine. A coloro che gli sono vicini, il Signore indirizza il suo invito: Amici, mangiate e bevete! (Gregorio di Nissa).
Commento a cura delle Benedettine di Citerna