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TESTO Gustate e vedete com'è buono il Signore

don Walter Magni  

IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (25/09/2016)

Vangelo: Gv 6,51-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Oggi è Gesù che ci parla dell'Eucaristia. Dell'Eucaristia come pane di vita per stare alle Sue parole: "io sono il pane vivo disceso dal cielo". Sono espressioni che per un verso potremmo ritenere di capire, avendo fatto un po' di catechismo. La Parola di questa domenica è un chiaro invito a superare la superficialità e il fraintendimento nei confronti dell'Eucaristia che stiamo celebrando.

Capire l'Eucaristia?
Nel libro dei Proverbi si dice che "la sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola". La sapienza divina si costruisce una casa nella quale siamo invitati a bere "il suo vino", sedendo alla "sua tavola". Concludendo con un invito insistente: "abbandonate l'inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza". Questo invito a guardare con intelligenza al banchetto che Dio stesso ci ha preparato ci obbliga oggi a guardare con più intelligenza alla realtà eucaristica alla quale stiamo partecipando. Apparteniamo a un'epoca che ci impegna a riappropriarci delle realtà che dicono la nostra fede. E tra queste certamente c'è l'Eucaristia: il gesto più grande che Gesù stesso ci ha chiesto di ripetere in Sua memoria: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19). Quel gesto che più immediatamente chiamiamo comunione, fare la comunione. Un gesto che oggi molti ripetono con frequenza. Talvolta anche in modo scontato e superficiale. Non ci si deve stupire, pertanto, se riandando al finale del capitolo VI di Giovanni dal quale è tratto anche il brano di oggi, dovessimo provare anche noi un certo disagio, uno sconcerto, davanti all'invito di Gesù, fatto ai Giudei e ai Suoi che Lo stavano ad ascoltare, a mangiare la Sua carne e a bere il Suo sangue. Così che alcuni cominciarono ad andarsene dicendo "questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" (6,62).

Il pericolo dell'idolatria
Anche Paolo, nell'Epistola registra un disagio nei confronti dell'Eucaristia. Il pericolo dell'idolatria. Il rischio di un travisamento di questo gesto che Gesù ha totalmente rimesso nelle nostre mani: "state lontani dall'idolatria. Parlo come a persone intelligenti". Paolo sta invitando i cristiani di Corinto ad un atto di maggiore consapevolezza, a una presa di coscienza, come diremmo noi: "giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?". Il punto sul quale siamo invitati a sostare è proprio capire bene che l'azione propria del fare la comunione comporta un ingresso, un rapporto, una relazione con l'intera vita di Gesù Cristo. Non rendersi conto di cosa comporta questa azione diventa idolatria. Come se, facendo noi la comunione, volessimo impossessarci di Lui a nostro piacimento, riducendoLo ai nostri schemi, ai nostri bisogni religiosi. Senza capire che in quel gesto non è tanto Lui che viene assimilato a noi, ma siamo noi che entriamo in un processo di assimilazione a Lui, di identificazione con Lui. Con i Suoi scopi, le Sue finalità, il Suo Vangelo d'amore, di perdono e di misericordia. I monaci di Cluny, intorno all'anno mille, quando si accostavano alla comunione, si toglievano le calzature. Sapevano che stavano per entrare in contatto col roveto ardente, con lo stesso mistero davanti al quale anche Mosè era caduto in ginocchio sulla sabbia, senza parole, in adorazione.

Eucaristia, pane del cammino
Qualche volta c'è il rischio di cosificare l'Eucaristia nella misura in cui semplicemente ci assestiamo davanti ad una particola consacrata. Quasi una sorta di oggetto da guardare estatici e immobili, quasi come una sorta di reperto archeologico di un glorioso passato eucaristico. Come non ricordare quella piccola parola con cui gli Ebrei hanno chiamato quel cibo inatteso dal cielo: manna, manhu, che significa appunto: che cos'è? Intuendo che questa domanda rimane iscritta per sempre dentro di noi, quasi a perpetuare una risposta che non si esaurisce nel tempo: cos'è per me l'Eucaristia? Perché faccio la comunione? Come mi dovessi rendere conto che l'Eucaristia, prima d'essere un fatto di tabernacolo chiuso, di conservazione, fosse anzitutto un cibo che mi accompagna, come la manna accompagnava le tende degli ebrei che si spostano nel deserto. Come una vita che mi nutre, mi investe, mi recupera e mi inserisce nella stessa vita di Dio che in Gesù Si è tutto esposto e rivelato.
Perché in quell'ostia bianca sta racchiusa tutta la vicenda umana di Gesù: le Sue mani, la Sua compassione, i Suoi capelli intrisi di nardo, il foro dei chiodi, le cose che amava e quelle per cui tremava. Gesù non dice: bevete la mia sapienza, mangiate la mia santità, il sublime che è in me. Ma: prendete la mia umanità, come lievito della vostra; prendete i miei occhi, e guardate ogni cosa con la mia combattiva tenerezza; prendete le mie mani e imparate a rialzare e accarezzare. "Mangiare e bere Cristo è un gesto che non si esaurisce nella Messa, ma inizia con il primo respiro del giorno, continua con il Vangelo che mi abita pensieri e parole e che mi rende spazioso il cuore" (E. Ronchi).

 

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