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TESTO Commento su Luca 19,1-10

don Walter Magni  

Ultima domenica dopo Epifania (anno C) (07/02/2016)

Vangelo: Lc 19,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Quest'ultima domenica dopo l'Epifania (7 febbraio 2016) viene intitolata dalla nostra liturgia ambrosiana: "domenica del perdono". Mentre l'autore del libro dell'Esodo, rivolgendosi direttamente a Dio dice: tu sei un "Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà" (Es 34,6-7), capace di perdono senza limiti, con Gesù il perdono di Dio diventa visibile, possibile, umanamente fattibile. Come ci insegna Gesù incontrando lo sguardo di Zaccheo.

"Gesù attraversava la città"
C'è una città, Gerico, e Gesù che l'attraversa: "il Signore Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando". Verbo intrigante il verbo attraversare. All'imperfetto, volendo tradurre un'azione che perdura e continua. Perché Gesù non è solo uno che vede, ma osserva attraversando con lo sguardo le cose. Raggiungendo con lo sguardo il cuore delle persone, la questione di fondo delle situazioni più intricate. Il cuore di una città come Gerico. Fissando tutto con uno sguardo carico di simpatia e di compassione. Perché questo è il Suo modo di entrare nel mondo, di raggiungere in radice l'umanità, sanandola. Direbbe il libro degli Atti che Gesù di Nazareth "passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" (10,38). E tutto questo a fronte di chi, invece, passa sfiorando le cose e distogliendo lo sguardo. Scusandosi di non saper sostenere lo sguardo dell'altro. Così si attraversa la vita senza accorgersi di nulla. Senza vedere. Senza simpatia, senza un minimo di compassione. Irrigiditi in certi schemi ideologici, catturati più dai teoremi religiosi che dai segni di grazia che abitano il cuore di chi ci sta accanto. Così, mentre ancora le nostre città sono attraversate da folle che osannano l'ultimo arrivato, nessuno s'accorge di chi si arrampica su un albero per cercare di vedere, di capire qualcosa. Ma era solo un pover'uomo, piccolo di statura. Obbligato a vedere di schiena la folla. Una folla compatta, come una siepe che preclude la vista di qualsiasi orizzonte. Perché la folla passa sempre e non s'accorgerà mai che c'è sempre qualcuno sull'albero della ricerca.

Zaccheo cercava di vedere Gesù
Di lui sta scritto che "cercava di vedere quale fosse Gesù". Semplicemente lo desiderava e già questo lo salva. Un desiderio del quale nessuno di accorge. Tanto che se qualcuno l'avesse percepito, forse l'avrebbe interrogato. Come fecero un giorno i farisei con quel cieco dalla nascita che Gesù aveva risanato. Perché sei qui? Come è avvenuto? Cosa ti ha fatto? Cosa ti sta capitando? Così Zaccheo, vedendo solo una barriera di schiene e mai un volto, come una muraglia, s'inventa un luogo di avvistamento e sale su un albero di sicomoro. Albero che nella Bibbia appartiene alla famiglia dei fichi e i rabbini sanno che stare sotto il fico significa essere alla ricerca della verità. Zaccheo, senza saperlo, aveva scelto l'albero giusto. Ed ecco che "Gesù, giunto sul luogo, alzò lo sguardo". Forse una fitta gli attraversò subito il cuore. Un fiotto di emozione gli prese la gola. Quel rabbi che sapeva raccontare così bene i sogni di Dio, aveva alzato lo sguardo su di lui. Alzato in tutti i sensi: sopra tutti i suoi complessi e le sue paure. Oltre i giudizi e i pregiudizi della gente che lo attorniava. Lo sguardo di Gesù su di lui superava qualsiasi distanza. Anche nei confronti di quella sua professione così poco pura e così compromettente. S'intuiva in quello sguardo il cuore di un Dio che non scarta nessuno. A fronte di una società che seleziona e scarta ciò che ritiene irrecuperabile, quello sguardo lo riportava a un Dio che invece risparmia: "Tu risparmi tutte le cose. Tu hai compassione di tutti e nulla disprezzi di quanto hai creato. Se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata" (Sap 11,24-26).

Imparare ad alzare lo sguardo
Diceva Simone Weil che "una delle verità fondamentali del cristianesimo, verità troppo spesso misconosciuta, è questa: ciò che salva è lo sguardo".
Zaccheo, come l'adultera e la Samaritana, come Pietro e tanti altri nel Vangelo deve la salvezza anzitutto ad uno sguardo.
Perché lo sguardo di Gesù è uno sguardo che crea. Che richiama all'esistenza chiunque è stato raggiunto dai Suoi occhi. Risvegliandogli dentro il suo essere più vero. Ma è anche uno sguardo che rivela, che svela. In grado di manifestare all'uomo che Lo incontra nuove opportunità, le sue potenzialità nascoste. La sua stessa realizzazione.
Da uno sguardo in cui ti senti amato nasce quello che si potrebbe chiamare un vero e proprio subbuglio del cuore, come un movimento, uno svelarsi di sentimenti, di emozioni, di gesti. Nasce la fretta del cuore, l'urgenza dell'amore: "scese in fretta e lo accolse pieno di gioia". Perché da quello sguardo era già scaturito il perdono. Un perdono del quale neppure si parla, ma che è già in azione. Cambiando le tue relazioni, i tuoi affari, la direzione della tua vita: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Come siamo lontani dal Gesù dei vangeli, noi che pensiamo che essere cristiani significhi distribuire anzitutto la patente di peccatore, il marchio dello scarto, il giudizio che finisce per non dare speranza. Da Gesù dovremmo semplicemente imparare ad alzare lo sguardo. Alzarlo da tanti giudizi. Permettendo a tutti coloro che incontriamo di sentirsi a casa. Ospitati e perdonati. Pronti a ricominciare.

 

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