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TESTO La festa di un Padre che accoglie

padre Ermes Ronchi

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (12/09/2004)

Vangelo: Lc 15,1-32 (forma breve: Lc 15,1-10) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,1-32

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Un uomo aveva due figli. Questo inizio, semplicissimo e favoloso, apre la parabola più bella, e nessuna pagina al mondo raggiunge come questa la struttura stessa del nostro vivere, nessuna lascia intravedere come questa il cuore stesso di Dio.

Si è persa una pecora, si perde una dracma, si perde un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole «é un Dio che si perde dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbandato, è sufficiente...» (A. Casati). Io voglio bene al prodigo. Il prodigo è storia di tutti, questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spesso il gesto di rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d'amore.

Ma il prodigo si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo, ha fame, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari). L'uomo nasce con il cuore malato di cose lontane. Si ricorda del pane di casa e si mette in cammino verso suo padre.

A Dio non importa il motivo per cui ritorni, se per il pane o per il padre, a Lui basta che tu ti metta in viaggio e ti «vede quando sei ancora lontano», ti corre incontro, ti si getta al collo, non ti lascia parlare, per salvarti dal tuo cuore quando il cuore ti accusi, per salvarti anche dalla tentazione di appesantirti del tuo passato.

Il Padre non guarda indietro, non chiede pentimenti, a lui non interessa né giudicare né assolvere, ma aprire un futuro nuovo. Vuole salvare il figlio fallito che si accontenta di essere un garzone, vuole salvarlo da se stesso, dal suo cuore di servo, restituendogli un cuore di figlio. Non saranno mai né penitenza, né paura, né rimorso a liberare l'uomo dal suo male profondo, ma un "di più" di vita, l'abbraccio e la festa di un Padre più grande del nostro cuore.

Il fratello maggiore torna dal suo lavoro ed entra in crisi; virtuoso e infelice, perché misura tutto sulle prestazioni, sulla contabilità del dare e dell'avere: «Io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Sono le parole di chi ha osservato le regole, ma come un salariato; è la confessione di un fallito, che ha fatto il bene ma sognando in cuor suo tutt'altra vita. Onesto ma infelice, perché il suo cuore è assente: «Il segreto di una vita riuscita è agire per ciò che ami ed amare ciò per cui agisci» (Dostoewskij). Ma il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo: «Tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Avrà capito? Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la tua veste nuova, la tua festa. Sono l'eterno mendicante, l'eterno ingannatore. Sono la tua agonia, sono la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.

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