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TESTO Dio, quel Pane che si fa lievito in noi

padre Ermes Ronchi

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/08/2009)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

In questo breve Vangelo di otto versetti, Gesù per ot­to volte ci parla di un Dio che si dona: «Prendete la mia carne e mangiate». Farsi pane è un bisogno incontenibile di Dio.

Qui emerge il genio del cri­stianesimo: non più un Dio che domanda agli uomini of­ferte, doni, sacrifici, ma un Dio che offre, sacrifica, dona, perde se stesso dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo. «Mangiate e bevete di me»: mangiare e bere Cristo significa diventare luce da lu­ce, Dio da Dio, della stessa sua sostanza. Per farlo occorre co­gliere il segreto vitale di Gesù, assimilarne il nocciolo vivo e appassionato.

Gesù ha scelto il pane come simbolo dell’intera sua vita. Perché per arrivare ad essere pane c’è un lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si tolgono cortecce e gusci perché appaia il buono na­scosto di ogni cuore: spiga dentro la paglia, chicco den­tro la spiga, farina dentro il chicco. Il percorso del pane è quello di coloro che amano senza contare le fatiche. Se­mini il grano nella terra oscu­ra, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline. È bello a gennaio vedere le foglioline tremare mentre si alzano so­pra la neve. Ma se ti fermi lì, hai vinto il nero della terra e il bianco della neve, ma non di­venti pane. Per diventarlo de­vi andare su, salire, e a giugno la spiga gonfia si piega verso la terra, quasi a voler ritornare lì, a dire: «ho finito». Invece vie­ne la mietitura, e se lo stelo di­ce «basta, ho già patito la vio­lenza della falce!» non diven­ta pane. Poi viene la battitura, la macina, il fuoco, tutti pas­saggi duri per il chicco. A co­sa serve alla fine tutto questo? Serve a saggiarci il cuore. Dio ci mette alla prova perché sa che dentro di noi c’è del buono, vuole soffiare via la pula perché appaia il chicco, to­gliere la crusca perché appaia la farina. Al buono di ciascu­no Dio vuole arrivare.

Cristo si fa pane perché o­gnuno di noi prima di mori­re deve diventare pane per qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama. E goccia di sangue, che è il simbolo di tutto quanto abbiamo di buono e di caldo e di vivo, che mettiamo a disposizione di chi amiamo e, ancor più, di chi ha bisogno di essere a­mato. Dio è pane incammi­nato verso la mia fame. Sa­permi cercato, nonostante tutte le mie distrazioni, no­nostante questa mia vita su­perficiale e le risposte che non do, sapere che io sono il desiderio di Dio è tutta la mia forza, tutta la mia pace.

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