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TESTO Santissima Trinità

don Fulvio Bertellini

Santissima Trinità (Anno A) (26/05/2002)

Vangelo: Gv 3,16-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

La situazione di partenza

Come sempre il Vangelo di Giovanni si presenta come oscuro ed enigmatico. Il brano di questa domenica non sfugge alla regola. Ma basta poco per inquadrare la situazione. Innanzitutto, inquadriamo la scena. Come se fossimo a teatro, facciamo l'elenco dei protagonisti: Dio, il mondo, il Figlio unigenito. Il mondo, ovvero gli uomini che stanno nel mondo, contrapposti a Dio. Non per volontà di Dio, ma perché perseguono ostinatamente la loro volontà. Gli uomini, quando vogliono fare a meno di Dio, diventano il "mondo": una massa indifferente o contraria a Dio, che cade sotto il dominio della morte. Ci accorgiamo che questa è esattamente la nostra situazione di partenza, il nostro mondo, il mondo in cui viviamo. Un mondo di uomini che fanno a meno di Dio, e si ritrovano con guerre, odio, divisioni, corruzione, sete di guadagno e di potere. Se fossimo a teatro, diremmo che è un duello all'ultimo sangue. I due nemici - Dio e il mondo - si dovrebbero sfidare senza possibilità di remissione, finché uno dei due vinca.

Lo sviluppo imprevisto

Ma "Dio ha tanto amato il mondo...": la scena si sviluppa secondo un copione imprevedibile. Dio ama questo mondo, questa massa di uomini che lo rifiuta. Non c'è lotta e non c'è duello. L'uomo si contrappone ostinatamente a Dio, ma Dio ostinatamente va in cerca dell'uomo. Quella che poteva essere una lotta senza quartiere diventa una vicenda assolutamente nuova. Il mondo deve essere riconquistato all'amore di Dio. Ma deve essere riconquistato con l'amore e non con la forza. Altrimenti il vincitore sarebbe la morte. La morte qui fa la parte del nemico, ma è un nemico che non ha consistenza propria: è semplicemente il risultato dell'allontanamento da Dio. Dovremmo piuttosto dire, più correttamente, che il mondo è nello stesso tempo, nemico e vittima. Nemico, perché si contrappone a Dio; vittima, perché la sua stessa follia lo porta nel dominio della morte. Una situazione irresolubile, se non entrasse in scena un personaggio nuovo: il Figlio unigenito.

L'Unigenito

L'unigenito è dato da Dio. Viene definito "figlio", perché partecipa della stessa forza e dello stesso amore di Dio; viene definito "unigenito", perché la sua relazione con Dio è assolutamente speciale ed unica. Anche noi siamo "figli di Dio", ma non nello stesso senso dell'Unigenito. E' questo Figlio che ricrea il legame tra Dio e il "mondo": in lui è possibile ritrovare il filo perduto dell'amicizia originaria, gli uomini possono sperimentare concretamente la riconciliazione di Dio. In Gesù diventa possibile reimparare ad essere contemporaneamente uomini e figli, a vivere una vita pienamente umana senza essere contrapposti a Dio. Il mondo deve essere salvato, non deve essere condannato e distrutto.

Il finale

Come finisce questa storia? Vincerà l'amore di Dio, manifestato nell'unigenito, o vincerà l'ostinazione del mondo? La risposta dell'evangelista coinvolge il lettore e ascoltatore: "chi crede in lui ha la vita eterna". Ognuno di noi si ritrova a recitare una parte in questa scena, ognuno di noi diventa protagonista. Non come nello spettacolo "Saranno famosi", dove al termine solo il più bravo rimane e gli altri sono tutti eliminati; ma come se fosse uno spettacolo assolutamente nuovo, in cui il più bravo (l'Unigenito) si affatica per fare entrare in scena il maggior numero di personaggi possibile. E qui si comprende l'importanza della festa di oggi, in cui celebriamo il mistero della Trinità. Se Dio fosse semplicemente il Dio uno (come lo pensano i musulmani) sarebbe il protagonista unico, senza spazio per nessun altro, se non per comparse occasionali. Se Dio fosse invece una molteplicità di attori, ugualmente ruberebbero la scena, muovendo gli uomini come burattini (così si comportano ad esempio gli dei dell'antica Grecia, come avviene nell'Iliade di Omero). Ma il nostro Dio è uno e trino, e per questo capace di lasciare spazio a un mondo che lo rifiuta, e di tornare a coinvolgere l'uomo nel suo spettacolo di amore.

Flash sulla I lettura

"Dio misericordioso e pietoso": la fede di Israele non è solamente fede nel Dio unico. Anche presso altri popoli troviamo l'adorazione privilegiata per un'unica divinità rispetto alle altre, o il riconoscimento di un unica principio divino. Israele, oltre ad adorare un solo Dio, lo scopre come buono e affidabile. Dio ha misericordia dell'uomo, si prende cura di lui, ha un volto personale, si lega alla storia dell'uomo attraverso il suo popolo.

"Che il Signore cammini in mezzo a noi": il capitolo 34 del libro dell'Esodo, da cui è presa questa lettura, narra il rinnovamentop dell'Alleanza dopo che essa è stata infra con l'adorazione del vitello d'oro. Il peccato del popolo rischia di compromettere la sua stessa esistenza: il perdono di Dio lo ricostituisce nella sua identità. Israele scopre di essere un popolo peccatore e perdonato, il popolo in cui Dio accetta di camminare, sebbene sia un popolo "dalla dura cervice".

La storia dell'antico Israele tuttavia continua ad essere segnata dal peccato, dalla difficoltà a corrispondere all'iniziativa di Dio. Qui si inserisce la rivelazione trinitaria del Nuovo Testamento. Dio si manifesta come il Dio di Gesù Cristo, che nella morte in croce offre all'uomo la riconciliazione definitiva, e come il Dio-Spirito Santo, che scioglie il cuore indurito dell'uomo e lo rende capace di corrispondere pienamente all'Alleanza.

Flash sulla II lettura

"Siate lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda...". Ci troviamo di fronte ad una lettura del tutto particolare: poche righe sintetiche di saluto finale. E' importante che noi ne cogliamo la tonalità, al di là delle differenze di linguaggio e di usanze che ci separano da questo testo scritto poco meno di duemila anni fa. Nelle nostre comunità non si usa più il "bacio santo". Certe volte è già tanto se riusciamo nella Messa, allo scambio della pace, a superare la nostra ritrosia e stringerci la mano. Ma al di là del bacio, della stretta di mano o del sorriso, quel che dovrebbe emergere in una comunità cristiana è un clima gioioso, caldo, accogliente. Solo così la comunità può essere in sintonia con "il Dio dell'amore e della pace". Invece le nostre assemblee rischiano spesso di ridursi a convergenze occasionali o periodiche di individui singoli, che adorano un Dio misterioso e solitario. Per questo la lettera si conclude con la citazione dei tre nomi trinitari, associati ai loro doni caratteristici: la grazia del Signore Gesù, l'amore di Dio, la comunione dello Spirito Santo. Dalla contemplazione del suo mistero di amore, nasce immediatamente uno stile di vita e uno stile di preghiera: uno stile di comunione, che entra in sintonia con "tutti i santi". E noi siamo adoratori solitari, o uomini di comunione?

 

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