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TESTO Il nostro è il Dio della compassione

padre Ermes Ronchi

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/02/2009)

Vangelo: Mc 1,40-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,40-45

40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Non ha nome né volto il leb­broso, perché è ogni uo­mo, voce di ogni creatura. Con tutta la discrezione di cui è ca­pace dice solo: se vuoi, puoi gua­rirmi. Il suo futuro è appeso ad un 'sé seminato nel cuore di Dio.

A nome nostro il lebbroso chiede: che cosa vuole Dio per me? Cosa vuole da questa carne sfatta, da questo corpo piagato, da questi an­ni di dolore? Gli scribi di ogni epoca ripetono che il dolore è punizione per i pec­cati, o maestro di vita, o imper­scrutabile volontà di Dio. Per loro Giobbe è un caso teologico. Ma in quella teologia Dio è assente. La fede del lebbroso invece palpita: Dio è il Dio della compassione o non è!

Cosa vuoi per me? Quello che di­cono gli scribi o vuoi guarirmi? La svolta del racconto non è conte­nuta in una riflessione, ma in un verbo che indica l’essere preso al­lo stomaco, dice di una mano che ti stringe le viscere: provò com­passione. Per i sacerdoti il lebbro­so è un caso, per Gesù è una lama nella carne. Per gli scribi è un teo­rema, per lui è un fremito, che muove e genera gesti, che fa qua­si violenza alla mano, la fa stende­re, la fa toccare. La mano parla prima della voce, le dita sono più eloquenti delle pa­role: Gesù rompe i tabù, toccare il lebbroso è diventare impuro per la legge. Ma per lui l’uomo è sempre puro e vale più della legge. Una ca­rezza più della legge. È l’eloquen­za di toccare il male tremendo: da troppo tempo nessuno toccava più il lebbroso, per paura, per ribrez­zo, per obbedienza alla legge. E la sua carne moriva di solitudine, il suo cuore moriva di assenze.

La guarigione comincia quando qualcuno si avvicina e mi tocca con amore, mi parla da vicino, non ha paura, patisce con me. Il dolore non domanda spiegazioni, vuole partecipazione.

Sentirsi toccati è una delle espe­rienze più belle e vitali. Chi sa toc­carti davvero, chi sa sfiorare il tuo intimo di luce o di piaga, questi so­lo lascia tracce di vita, è il tuo gua­ritore.

La parola, una voce per esistere dentro il vuoto, viene dopo: lo vo­glio, guarisci! Eternamente Dio vuole figli guariti. A me, a Lazzaro, alla figlia di Giairo, alla suocera di Simone ripete: lo voglio, alzati, guarisci.

Dio è guarigione. Dal male di vive­re. Non ne conosco tutti i modi concreti, ma so per certo che non accadrà moltiplicando interventi miracolosi. Non conosco i tempi, ma so che egli rinnoverà battito su battito il cuore, stella su stella la notte. Con la compassione, con un gesto, con una voce – che toccano – una carezza – l’abisso del dolore.

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