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TESTO Nella fragilità di Dio il segreto della vita

padre Ermes Ronchi

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (25/05/2008)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Una parola scorre sotto tutte le parole di Gesù, come una corrente sotterranea, una nervatura delle pagine: «vita». Che hai a che fare con me, o carne e san­gue di Cristo? La risposta è una pre­tesa perfino eccessiva, perfino sconcertante: io faccio vivere! In­calzante certezza da parte di Gesù di possedere qualcosa che inverte il corso della vita, orientandola non più alla morte ma all'eternità.

La sorpresa è che Gesù non dice: «Prendete di me la mia sapienza». Non dice: «Bevete la mia innocen­za, mangiate la santità, la divinità, il sublime che è in me, la giustizia assoluta, la potenza illimitata». Di­ce invece: «Prendete la fragilità, la debolezza, la precarietà, il dolore, l'intensità di questa mia vita». Il mio Dio è così, conosce i senti­menti, sa la paura e il desiderio, ha pianto, ha gridato i suoi perché al cielo, è stato rifiutato dalla terra. Per questa sua fragilità è il Dio per l'uomo, con il suo dolore è il Dio per la vita mia fatta di germogli a­mari.

Quasi un Dio minore, ma è solo così che diventa il «mio» Dio. Non si può giungere alla divinità di Cristo se non passando per la sua umanità, carne e sangue, corpo in cui è detto il cuore, mani che im­pastano polvere e saliva sugli oc­chi del cieco, lacrime per l'amico, passioni e abbracci, i piedi intrisi di nardo, la casa che si riempie di pro­fumo e di amicizia, e la croce di sangue.

I verbi ripetuti quasi in una incan­tatoria monotonia – mangiare, be­re – sono innanzitutto il linguaggio della liturgia del vivere, di una Eu­caristia esistenziale, della comu­nione totale con Cristo. «Nella co­munione il cuore assorbe il Signo­re e il Signore assorbe il cuore, co­sì i due diventano una cosa sola» (Giovanni Crisostomo). E tu sei fat­to vangelo. E se sei fatto vangelo senti la certezza che l'amore è più vero dell'egoismo, la pietà più u­mana del potere, il dono più divi­no dell'accumulo.

Io mangio e bevo il mio Signore, quando assimilo il nocciolo vivo e appassionato della esistenza di Ge­sù e mi innesto sul suo tronco che è il suo modo di vivere. Chi fa pro­prio il segreto di Cristo, costui tro­va il segreto della vita. A questo mi conduce l'Eucaristia domenicale, dove il sublime confina con il quo­tidiano, l'infinito con il perimetro fragile del pane e del vino, là Dio è vicino a me che temo la solitudine e il dolore. Se solo lo accolgo, tro­vo il segreto della vita.

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