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TESTO Commento su Giovanni 3,16-18

don Daniele Muraro  

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Santissima Trinità (Anno A) (18/05/2008)

Vangelo: Gv 3,16-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,16-18

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

Come il più delle volte durante le messe festive la seconda lettura di oggi è tolta da una delle lettere che san Paolo scrive ai cristiani delle varie comunità dove era passato e che egli stesso aveva portato alla fede: questa volta i destinatari sono i fedeli di Corinto.

Scrivendo le sue lettere san Paolo mette in mostra la sua indole intellettuale e per interi capitoli sviluppa ragionamenti eccelsi sui misteri della fede. Per lui le verità che predica sono come tesori preziosi da illustrare in tutta la loro ricchezza agli ascoltatori.

Più di una delle dodici lettere di san Paolo sono molto lunghe. In chiusura di tutte san Paolo non manda di infilare delle raccomandazioni pratiche in modo da tradurre gli insegnamenti dottrinali in comportamenti concreti.

Scorrendo i vari capitoli a volte si rimane proprio stupiti per il brusco passaggio dalla contemplazione dei misteri di Dio alla indicazioni di comportamento più dettagliate. San Paolo non teme di lasciare tutto di un tratto la descrizione della piano di salvezza realizzata da Dio per mezzo del suo Figlio Gesù e di scendere a prescrizioni di ordine pratico.

Per lui occorrono tutte e due le dimensioni: quella intellettuale, di comprensione della fede e quella morale, di pratica dei comandamenti. Per prima cosa in ogni sua lettera san Paolo si preoccupa di mostrare i fondamenti dell'agire cristiano, ad un certo punto però fa anche degli esempi per non lasciare il discorso sospeso per aria. D'altra parte la sua predicazione non può essere messaggio di salvezza se non arriva a toccare e trasformare la vita dei suoi ascoltatori.

Come abbiamo detto è soprattutto in conclusione delle lettere che gli appelli morali si fanno più pressanti. Ne abbiamo un esempio stamattina. Nelle prime parole da dove inizia la lettura san Paolo invita i credenti ad essere gioiosi e subito dopo aggiunge: "tendete alla perfezione". Dobbiamo prendere sul serio queste indicazioni proprio perché provengono da uno che ha speso la sua vita nel meditare gli insegnamenti di Gesù e nel tentativo poi di tradurli in atteggiamenti effettivi.

La lettura poi va avanti e san Paolo accumula precetti uno sull'altro, ma noi possiamo fermarci ai primi due: la gioia e la perfezione.

Può sembrare che lo sforzo di essere perfetti si opponga alla condizione di trovarsi nella gioia. Quando uno è contento significa che non sente il bisogno di altro e nemmeno di migliorare: gli basta quello che ha e si sente appagato dei risultati raggiunti.

Per esperienza però sappiamo che le gioie terrene durano poco, perché l'animo umano non può essere soddisfatto da nulla che sia limitato e che possa finire. Partendo da questa considerazione qualcuno ha perfino sostenuto che la vera gioia in questo mondo non può esistere. Al massimo potremmo dare credito a delle illusioni che presto svaniscono e lasciano in bocca il sapore amaro della delusione.

Bisogna comprendere meglio dunque che cosa intenda san Paolo con la parola "perfezione". Precisamente qui "tendere alla perfezione" vuol dire: "rimettere in ordine, attrezzare, preparare, far trovare tutto pronto", ossia il cristiano deve essere un uomo e un credente completo.

Fra le qualità che non possono mancare ad un cristiano, per le ottenere le quali egli deve impegnarsi in modo da farle diventare un patrimonio proprio di mentalità e di comportamento, oltre alla carità, c'è la fede.

Ora la sorgente della vera gioia è proprio la fede. Distinguiamo tra gioia e felicità. Se la felicità proviene dal piacere del possesso, la gioia invece manifesta il sentimento di una presenza. Le cose possono dare felicità, ma solo le persone con la loro vicinanza, il loro sostegno morale, la loro amicizia possono dare gioia.

La fede illumina la nostra mente sulla presenza maggiore di tutte, quella di Dio, che proprio per la sua grandezza spesso passa inosservata. A motivo della sua maestà e della sua santità, di Dio rischiamo di farci una idea manchevole, sempre parziale. Consideriamo Dio tanto superiore a noi da essere irraggiungibile e quindi ci accontentiamo di una immagine di Dio provvisoria, senza certezze, ma piena di dubbi e di questioni aperte.

Sono tanti gli interrogativi che girano nella testa di fronte alla complessità delle vicende umane, con i suoi successi e le sue sconfitte, con le sue aspirazioni e le sue amarezze.

Sono anche i dubbi e gli scetticismi sulle verità della fede, quelle che abbiamo ricevuto per rivelazione e che il Magistero della Chiesa ci propone a credere.

Come recitava il catechismo di una volta due sono i misteri principali della nostra fede: primo: Unità e Trinità di Dio; secondo: Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signore Gesù Cristo.

Troppi cristiani si fermano qui e si arrendono alla possibilità di farsi un'idea più completa di questi dogmi, cioè insegnamenti da credere.

Eppure nel Vangelo di oggi Gesù ci dice che Egli è venuto nel mondo perché Dio Padre lo ha mandato e se uno crede in lui sarà salvato. Chi pur avendo ricevuto la buona notizia della salvezza invece non crede perde l'occasione della sua vita.

Può darsi che nonostante questi ammonimento abbiamo ancora tante resistenze ad accettare la parola di Gesù e della Chiesa, sia di ordine pratico, perché manca l'interesse, sia di ordine teorico, perché facciamo fatica a capire.

Invochiamo allora lo Spirito santo, quello che domenica scorsa abbiamo visto scendere sui primi credenti. È principalmente per mezzo suo che possiamo scoprire il vero volto di Dio Padre e riconoscere senza errori la persona umana e divina di Gesù. È lui che rende completa la nostra fede e la fa diventare motivo di gioia e di sicurezza.

 

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