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TESTO

101. Elemosina

David Maria Turoldo

L'elemosina non è quella che facciamo noi, quella che intendiamo noi, no! "Elemosyné", cioè l'elemosina, è amore che trabocca. In realtà vuol dire questo. E' come un vaso pieno il cui contenuto si riversa. L'elemosina è la partecipazione misericordiosa alla condizione dell'altro. Solo allora tu, in questa maniera, entri nella sfera di Dio, perché Dio è l'esser per l'altro.

elemosinacaritàcondivisionesolidarietà

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 15/12/2002

TESTO

102. Non si può che amare uno per volta   1

Madre Teresa di Calcutta

L'importante non è quanto facciamo, bensì l'amore che poniamo in quello che facciamo. Gesù non ha detto: "Amate il mondo intero", ma ha detto: "Amatevi l'un l'altro". Non si può che amare uno per volta. Se uno guarda la quantità, si perde. E mentre si ferma a parlare della fame, qualcuno al suo fianco sta morendo. La fame non è di solo pane. C'è fame d'amore. Di essere amati. Di amare. Una fame terribile quella dell'amore! La solitudine: un'altra fame terribile!

amoresolidarietàcaritàprossimo

inviato da Elena Mencareli, inserito il 15/12/2002

TESTO

103. Vuoi onorare il corpo di Cristo?   2

San Giovanni Crisostomo

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto anche: "Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare" e "ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l'avete fatto neppure a me".

Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.

Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane. Gli offrirai una calice d'oro e non gli darai in bicchiere d'acqua? che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o piuttosto non s'infurierebbe contro di te? e se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?

Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offre, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò, mentre adorni l'ambiente per il culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questo è il tempio vivo più prezioso di quello.

Clicca qui per la versione breve.

caritàamoresolidarietàgiustiziaricchezzapovertàcultoeucaristia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 14/12/2002

TESTO

104. Urgenza

Henri J. M. Nouwen

Finché non avvertiamo la dolente urgenza di coloro che soffrono, la nostra solidarietà resta sospesa nelle intenzioni e non discende nel cuore, spingendoci a prender cura davvero degli altri.

solidarietàsofferenzaamorecarità

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 14/12/2002

TESTO

105. Lettera al "fratello marocchino"   1

Tonino Bello

Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!

La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.

Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?

Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.

Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.

Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.

extracomunitaristranieriaccoglienzacaritàsolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

TESTO

106. Il servizio rende liberi

Baden Powell

La repressione delle tendenze egoistiche e lo sviluppo dell'amore e dello spirito di servizio del prossimo aprono il cuore alla presenza di Dio e producono un cambiamento totale nella persona, dandole un'autentica gioia celeste, tento da farne un essere completamente diverso. Il problema per lui diventa ora non "cosa mi può dare la vita", ma "cosa posso dare io nella vita".

Il servizio non è solo per il tempo libero. Il servizio dev'essere un atteggiamento della vita che trova modi per esprimersi concretamente in ogni momento.

Non riceviamo una paga o una ricompensa per un servizio reso, ma proprio questo fa di noi, che lo rendiamo, uomini liberi. Non lavoriamo per un datore di lavoro, ma per Dio e per la nostra coscienza.

serviziocaritàamoregratuità

inviato da Corradini Don Lorenzo, inserito il 07/12/2002

TESTO

107. Che dite che io sia? (Mt 16,15)

Madre Teresa di Calcutta

Chi è Gesù per me?
Gesù è il Verbo fatto uomo.
Gesù è il pane della vita.
Gesù è la vittima offerta
per i nostri peccati sulla croce.
Gesù è il sacrificio offerto per i miei
e per i peccati del mondo.
Gesù è la parola che va proclamata.
Gesù è la verità, che deve essere narrata.
Gesù è la vita, che deve essere percorsa.
Gesù è la luce, che deve essere fatta splendere.
Gesù è la vita, che deve essere vissuta.
Gesù è l'amore, che deve essere amato.

Gesù è la gioia, che deve essere condivisa.
Gesù è il sacrificio, che deve essere offerto.
Gesù è la pace, che deve essere data.
Gesù è il pane della vita, che deve essere mangiato.
Gesù è l'affamato, che deve essere nutrito.
Gesù è l'assetato, che deve essere dissetato.
Gesù è l'ignudo, che deve essere rivestito.
Gesù è il senza tetto, che deve essere ospitato.
Gesù è il malato, che deve essere sanato.
Gesù è l'uomo solo, che deve essere consolato.
Gesù è il non voluto, che deve essere voluto. Gesù è il lebbroso, che deve essere lavato nelle sue ferite.
Gesù è il mendicante, che deve essere gratificato di un sorriso.
Gesù è l'ubriaco, che bisogna ascoltare .
Gesù è il malato di mente che bisogna proteggere.
Gesù è il piccolo che bisogna abbracciare.
Gesù è il cieco, che bisogna guidare.
Gesù è il muto, cui bisogna parlare.
Gesù è lo zoppo, con cui bisogna camminare.
Gesù è il drogato, che bisogna aiutare.
Gesù è la prostituta, da sottrarre al pericolo e da sostenere.
Gesù è il prigioniero, che bisogna visitare.
Gesù è il vecchio, che deve essere servito.

Per me
Gesù è il mio Dio
Gesù è il mio sposo
Gesù è la mia vita
Gesù è il mio solo amore
Gesù è il mio tutto di tutto.
La mia pienezza.

Gesù,
ecco chi amo con tutto il cuore,
con tutto il mio essere.
Gli ho dato tutto,
persino i miei peccati.
E lui m'ha sposata a se stesso.
In tenerezza e amore.
Ora e per la vita.
Sono al sposa del mio sposo crocifisso.
Amen.

Gesù Cristocaritàamoresolidarietàtestimonianza

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 07/12/2002

ESPERIENZA

108. La lampada   1

Madre Teresa di Calcutta

A Melbourne andai visitare un povero vecchio la cui esistenza era ignorata da tutti. La sua stanza era disordinata e sudicia. Tentai di pulirla, ma egli si oppose: «La lasci stare, sta bene così.»

Senza che io insistessi, alla fine me la lasciò pulire. Nella stanza c'era una magnifica lampada, coperta di polvere: «Perché non l'accendi?». gli chiesi.

«A che scopo, se nessuno viene a trovarmi?», mi rispose, «Io non ne ho bisogno.»

Allora gli dissi: «L'accenderesti se le suore venissero a trovarti?»

E lui: «Sì. Pur di sentire una voce umana in questa casa, l'accenderei.»

Alcuni giorni dopo ricevetti da lui questo brevissimo messaggio: «Di' alla mia amica che la lampada che accese nella mia vita continua a brillare.»

amorecaritàsolidarietàanzianitàvecchiaiasolitudine

inviato da Anna Barbi, inserito il 04/12/2002

ESPERIENZA

109. Come si ama Dio

Madre Teresa di Calcutta

Tutti desideriamo amare Dio. Ma come si fa?
Gesù si convertì in pane di vita per saziare la nostra fame.
Quindi si fece ignudo, sfrattato, abbandonato, lebbroso, drogato, prostituta, di modo che tutti noi, tanto voi come io, potessimo saziare la sua fame con il nostro amore.
Sicuramente non vi capiterà di vedere nei vostri paesi malati rosi da vermi, ma ci sono vermi che tarlano i cuori.
Mi commosse moltissimo il gesto di una bambina piccola che decise di mandarmi i soldi della sua prima comunione invece di tenerseli per comprare un vestito per quella festa.
In Africa ci sono molte migliaia di persone che muoiono di fame a causa della siccità.
Mi imbattei in strada in una bambina di cinque o sei anni e le diedi un pezzo di pane.
Cominciò a mangiarlo briciola per briciola, dicendo che avrebbe avuto ancora fame, una volta terminato il pane.
Lei aveva già fatto esperienza di cosa è la fame, qualcosa che né io né voi ancora sappiamo cos'è.

amaresolidarietàcaritàpovertà

inviato da Viola, inserito il 04/12/2002

PREGHIERA

110. Ad occhi aperti

Signore, se penso alla mia vita
lo sai che cosa mi viene in mente?
Una corsa ad ostacoli!
Tra la scuola, lo sport, la musica...
non riesco mai a fermarmi un po'
e a guardarmi intorno.

Mi sembra di essere come uno di quei discepoli
che andavano a Emmaus:
cammino con te a fianco senza riconoscerti.

Aiutami allora, Signore,
a rimanere sempre "ad occhi aperti"
per poter vedere il tuo volto
riflesso in quello dei miei genitori,
dei miei amici, del mio parroco
e, soprattutto, nelle facce sofferenti degli ultimi:
i poveri, i malati, i carcerati...

Fa', o Signore, che riesca sempre
a mettere in pratica con tutti
il tuo comandamento più grande: l'amore.

rapporto con Dioincontrare Diovedere Dioamorecaritàsolidarietàemmaus

inviato da Viola, inserito il 03/12/2002

TESTO

111. Povertà

San Luigi Orione

Chi dà al povero dà a Dio e dalla mano di Dio avrà la ricompensa.

povertàcaritàamorecondivisionesolidarietà

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 03/12/2002

PREGHIERA

112. Un augurio per tutti

Marilena

Benedetto il tuo volto,
se sul tuo volto sai accettare
un po' di lacrime altrui.
Benedette le tue mani,
se le tue mani sanno accettare
il lavoro di un fratello.
Benedette le tue labbra,
se hanno saputo trasmettere
un messaggio d'amore
e sanno baciare un nemico.
Benedetti i tuoi occhi,
se hanno saputo conservare,
tacere un segreto.
Benedette le tue vesti,
se coperte di povertà e umiltà.
Benedetti i tuoi piedi,
se hanno saputo condurti
verso i tuoi fratelli bisognosi,
verso Dio.
Benedetti coloro che seguono Dio,
e sanno scoprirlo.
Ma Dio sa amare anche il nemico,
anche colui che lo tradisce.

solidarietàamare i nemicicondivisioneamorecaritàamore di Dio

inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002

TESTO

113. Come vuoi vivere: felice o infelice?

Abbé Pierre

Voi sarete la generazione più disgraziata
che sia mai esistita
se stupidamente entrate nella vita
con il desiderio mostruoso
che noi abbiamo avuto prima di voi:
«Io, io, io, la mia carriera, la mia ricchezza.
Che mi importa degli altri?».
Sarete infelici,
se metterete il vostro benessere
a vostro esclusivo servizio, indifferenti degli altri.
Sarete invece la più felice generazione
che sia mai esisitita nel mondo,
se capirete che soltanto l'amore
è capace di mettere il benessere
al servizio di tutti.
Ma per far questo,
abbiate cura di non vivere neppure un giorno
nella prosperità, nella comodità,
nel benessere, nei piaceri,
senza che il dolore degli altri
sia venuto fino a voi.

giustiziaingiustiziacompassionesolidarietàamorecaritàcondivisionecompetitivitàricchezzapovertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002

TESTO

114. Cristo non ha mani   2

Cristo non ha mani
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi il suo lavoro.

Cristo non ha piedi
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini
sui suoi sentieri.

Cristo non ha labbra
ha soltanto le nostre labbra
per raccontare di sé agli uomini di oggi.

Cristo non ha mezzi
ha soltanto il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé oggi.

Noi siamo l'unica Bibbia
che i popoli leggono ancora
siamo l'ultimo messaggio di Dio
scritto in opere e parole.

NB: in alcuni pagine web il testo viene attribuito a Raoul Follereau mentre in altre ad un Anonimo fiammingo del XIV secolo.

testimonianzaamorecarità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Suor Irina Mandro, inserito il 03/12/2002

TESTO

115. Cortesia

Papa Giovanni XXIII

La cortesia è un ramo dell'albero della carità.

cortesiaamorecaritàgentilezzaumanità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 27/11/2002

TESTO

116. La carità ha due piedi

Sant' Agostino

La carità ha due piedi, che sono i precetti dell'amor di Dio e del prossimo. Vedi di non zoppicare, ma corri con ambedue i piedi fino a Dio.

amorecaritàcomandamenti

inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 27/11/2002

TESTO

117. La vera carità

S. Teresa di Lisieux

La vera carità consiste nel sopportare tutti i difetti del prossimo, nel non meravigliarci delle sue debolezze e nell'edificarsi dei minimi atti di virtù.

Ma soprattutto... la vera carità non deve starsene chiusa nel fondo del nostro cuore, perché "nessuno accende la lucerna per metterla sotto il moggio, ma per collocarla sul candelabro, affinché serva ad illuminare tutti coloro che sono nella casa". Questa lucerna mi sembra rappresentare la carità, la quale deve illuminare e rallegrare non solamente coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che si trovano nella casa.

Quando il Signore, nell'antica legge, comandava al suo popolo d'amare il prossimo suo come se stesso, non era sceso ancora su questa terra; e ben sapendo a che punto ciascuno ami se stesso, non poteva chiedere di più.

Ma quando egli lascia ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il "Comandamento tutto suo", non esige più solamente che amiamo il prossimo nostro come noi stessi, ma come egli stesso lo ama, e come l'amerà fino alla consumazione dei secoli.

caritàamore

inviato da Luca Peyron, inserito il 27/11/2002

TESTO

118. Quel catino di acqua sporca   1

don Giuseppe Salvioni

Accanto al fonte della vita nuova, la Pasqua ci consegna anche un catino d'acqua sporca. ne ha fatto uso il maestro e nessuno ancora lo ha tolto dalla a tavola curandosi di svuotarlo. I discepoli intimoriti, tornando al cenacolo, si sono abbracciati attorno a questa icona del servizio lasciandola lì nel bel mezzo delle loro incerte discussioni.

Anche noi potremmo immaginare quel recipiente sul nostro altare tra le tovaglie ben stirate, i fiori freschi e il cero pasquale: è la memoria dell'ultimo gesto stravagante del nostro giovane Rabbi.

Quando mi domando come sia possibile far innamorare un giovane a Gesù Cristo mi viene in mente la reliquia del catino...

Quel catino è la freschezza di un uomo che quando è a tavola non ce lo si può trattenere seduto a lungo. L'ultima cena non si è risolta nell'ultima abbuffata: quell'Eucarestia ha nutrito i cuori ma non ha appesantito i corpi perché Gesù si è alzato per lavare i piedi come un servo. Il catino con l'acqua sporca ci invita chiaramente a metterci scomodi prendendoci cura degli altri senza indugiare alla "tavola delle lunghe discussioni", senza intrattenerci in quei festeggiamenti dello "stiamo bene tra noi" che odorano di tradimento.

Solo chi è scattante e sa alzarsi da tavola impara a lasciare il posto ad altri, ai più giovani perché è convinto che di pane ce n'è per tutti.

Quel catino è la scioltezza e l'equilibrio di mani allenate ad accarezzare. Ad uno ad uno tutti i piedi dei discepoli hanno provato il ristoro di quel tratto di cui solo l'artista che li ha plasmati è capace. Un corpo agile e disinvolto quello del maestro abituato a nutrire di intelligenza le sue parole ma anche di armoniosa sapienza i suoi movimenti.

Questo equilibrio ci vuole nel chinarsi e rialzarsi senza rovesciare a terra il contenuto di quella bacinella. Il catino con l'acqua sporca ci racconta di poche parole e di tanti piccoli gesti precisi e geniali... insomma un bene fatto bene senza le lentezze e gli appesantimenti delle abitudini. Solo chi è allenato alla scioltezza e alla fermezza dell'amore incondizionato impara ad accarezzare senza trattenere, a ristorare senza possedere... in una danza gioiosa fatta di genuflessioni e umili abbracci.

Quel catino è il coraggio di smascherare la propria bellezza. Sotto la crosta polverosa della sporcizia Gesù ha ridato vigore e candore ai piedi dei suoi messaggeri. Il Cristo ha confermato ad uno ad uno i suoi lavandone i piedi. Il catino con l'acqua sporca ci risveglia alla straordinaria potenza del perdono che non fa conto dell'inadeguatezza ma riporta il cuore allo splendore originario.

Solo chi guarda in faccia all'acqua sporca smette di giudicare e ritrova quel coraggio che non confonde. Solo chi vede il maestro piegato sui propri piedi non ha più dubbi.

La paura di sbagliare non è l'ultima parola, perché ciò che da bellezza è il perdono e l'accoglienza.

Spesso i ragazzi che crescono accanto a noi mettono a fuoco domande, slanci, dubbi, provocazioni... forse ci invitano ad essere una comunità di discepoli che va per il mondo col catino in mano.

serviziocaritàamoremaestrogiovedì santolavanda dei piedi

inviato da Mariangela Molari, inserito il 25/11/2002

RACCONTO

119. Il quarto Re Magio

Henry van Dyke, The Story of the Other Wise Man

I Magi, mentre scrutavano la volta celeste, scoprirono una nuova stella che brillò per una notte e poi sparì. Dopo qualche tempo, il cielo fu solcato da una scintilla blu che roteando emetteva splendore di porpora, finché divenne una sfera scarlatta con raggi lucenti e un vivissimo punto centrale bianco. Era il segnale della nascita del Re atteso da secoli. Lo videro i magi di Borsippa. Lo vide anche Artibano, che abitava a Ecbatana, distante dieci giorni di cammino.

Gaspare, Baldassare e Melchiorre decisero di partire per Gerusalemme. Anche Artibano, si preparò per il viaggio. Vendette tutti i suoi beni e acquistò uno zaffiro, un rubino e una perla da portare al Re e, montato in sella al velocissimo Vosda, galoppò verso Borsippa. Attraversò boschi, guadò fiumi, s'inerpicò per colline e montagne, quando a una svolta pericolosa trovò un moribondo abbandonato sulla strada.

Artibano saltò dal suo corsiero e, caricatosi l'infelice sulle spalle, lo adagiò sotto una palma, gli bagnò le labbra riarse, lo ristorò e il moribondo dopo qualche tempo aprì gli occhi. «Voglia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ricompensarti - disse - faccia prosperare il tuo viaggio fino a Betlemme, perché è lì che deve nascere il Messia, che tu vai cercando».

Artibano si rimise in cammino verso la mezzanotte... e alle prime luci dell'undicesimo giorno entrò in Borsippa, ma non trova i compagni. Essi avevano atteso 10 giorni, poi erano partiti lasciandogli un messaggio: «T'abbiamo aspettato sino alla mezzanotte..., seguici attraverso il deserto».

Arabano, allora, vende lo zaffiro, appalta una carovana e riprende il viaggio affrontando i pericoli e i disagi del deserto.

Giunse a Betlemme dopo tre giorni che i suoi compagni avevano deposto ai piedi del Re l'oro, l'incenso e la mirra... ed erano ripartiti per un'altra via.

Il villaggio pareva deserto: gli uomini erano nei campi e i ragazzi al pascolo delle greggi. Dalla parte di una casupola sulla strada udì una flebile nenia. Entrato vide una giovane madre. La donna ospitò il forestiero, ristorandolo e parlandogli di tre stranieri, vestiti come lui, giunti dall'Oriente poco prima, guidati da una stella al luogo dove abitava Giuseppe, la sua sposa e il Bambino. Essi l'avevano adorato lasciandogli in omaggio ricchi doni; ma poi erano spariti misteriosamente, come pure, in segreto, la notte successiva scomparve la Famiglia di Nazareth, dirigendosi forse in Egitto.

Artibano si diresse allora verso Ebron alla volta dell'Egitto. Egli sperava di raggiungere la Sacra Famiglia nelle oasi del deserto, sotto le palme o i sicomori, ma invano. Si spinse fino a Elaiopoli e a Menfi; percorse le rive fiorite dei Nilo, si aggirò tra le Piramidi dei Faraoni, all'ombra della sfinge; ma le sue ricerche non approdarono a nulla.

Scoraggiato e deluso tornò in Palestina nella speranza di poterli trovare. Dopo alcuni anni di peregrinazioni si rivolse ad un rabbino perché gli indicasse in quali paraggi avrebbe potuto incontrare il Messia. Il rabbino, preso un papiro, lesse: «Il Messia conviene cercarlo tra i poveri, tra gli umili, tra i sofferenti e gli oppressi».

A tali parole, Artibano vendette il rubino e si diede a nutrire gli affamati, a rivestire gli ignudi, a curare gli infermi, a visitare i carcerati. Passarono così trentatré anni da quando era partito in cerca della «Vera Luce». I suoi capelli, allora di un bel nero lucido, si erano fatti bianchi. Lacero ed esausto, ma tuttora in cerca del Re, era tornato per l'ultima volta a Gerusalemme nel periodo della Pasqua.

La città santa brulicava di gente, venuta dalle terre più lontane alla festa del Tempio. Era il venerdì della Parasceve... e nella folla si notava un'agitazione particolare. Egli, imbattutosi in un gruppo, domandò la causa del tumulto e dove andavano tutti. «Noi andiamo - risposero - al luogo dei Teschio fuori le mura, dove c'è la crocifissione di due malfattori e di un altro chiamato Gesù di Nazareth, il quale ha fatto molte opere prodigiose in mezzo al popolo ed ora è messo a morte perché si dice Figlio di Dio e Re dei Giudei».

Artibano pensò fra sé: «Non potrebbe essere quel Gesù, nato a Betlemme trentatré anni fa? Che abbia trovato finalmente il mio Re nelle mani dei suoi nemici? Arriverò in tempo almeno per offrire la mia perla per il suo riscatto, prima che Egli muoia?».

Così il buon vecchio seguì la moltitudine, quando, lungo la salita, una fanciulla di Ecbatana, riconosciutolo dal costume per suo connazionale, gli si avvicinò scongiurandolo in ginocchio: «Per amore del Dio della Purezza, abbi pietà di me; sono una misera schiava della tua stessa fede; salvami, ridandomi la libertà».

Il vecchio, non possedendo che un'unica perla, la consegnò alla sventurata concittadina per il suo riscatto.

Improvvisamente si udì un boato; la terra sussulta; il cielo si oscura; le mura delle case si spalancano e crollano; nuvole di polvere riempiono l'aria; soldati e popolo fuggono terrorizzati.

Artibano e la fanciulla si rifugiano sotto i loggiati del Pretorio. Una nuova scossa di terremoto, più violenta, fa cadere una pietra contro le tempie di Artibano, che traballa pallido, esanime.

La ragazza lo sostiene con le sue braccia, mentre il sangue scorre a rivoli dalla ferita. Non è morto, lo si sente pronunziare queste estreme parole: «Non così o mio Signore... quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? Assetato e ti porsi da bere? Quando mai ti vidi forestiero e ti ospitai? In carcere e ti visitai? Nudo e ti rivestii? Per ben trentatré anni ti ho cercato ansiosamente, ma non ho mai avuto la soddisfazione di poter contemplare il tuo volto, né di renderti il minimo servizio, o mio dolce Re!».

Artibano cessò di parlare. Ma un'altra voce si fece udire a suo conforto: «In verità in verità ti dico, che ogni volta che tu hai fatto ciò ai tuoi simili, ai miei fratelli, tu l'hai fatto a me». Un grande respiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Egli aveva finito il suo lungo viaggio. I suoi doni erano stati veramente graditi. Artibano, il quarto dei Magi aveva finalmente trovato il Re.

caritàamoreservizioparadisogiudizio universale

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Angelo, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

120. La vecchietta che aspettava Dio   9

Bruno Ferrero

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese. Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo. Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo 'stato' fondamentale nella vita del cristiano: il tempo dell'Avvento. La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente... è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.

C'era una volta un'anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.

Dopo un po', qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!". E sbattè la porta in faccia alla mortificata vicina.

Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!". E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.

Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.

"Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.

La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto. Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto".

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inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

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