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PREGHIERA

1. Ciò di cui ho bisogno   1

don Filippo Lupi

Signore Gesù,
non ho bisogno di riconoscere
che sei sempre presente nei fratelli che incontro,
ma ho necessità del tuo amore per amarli come li ami tu.

Non ho bisogno della paura dell'inferno per fare il bene,
ho necessità di conoscere il bene, che è Dio Padre,
per fare la sua volontà di bene.

Non ho bisogno di un rito
per sentirmi in comunione con gli altri esseri umani,
ho necessità del tuo Spirito
per vivere la stessa vita del Cristo che ci è donata nel rito.

Non ho bisogno di riconoscere la creazione bella
perché creata da Dio,
ho necessità di vivere il tuo sguardo sul creato
per accogliere tanta bellezza.

Non ho bisogno di pensare alla resurrezione
per vivere il tempo della morte,
ho necessità di riconoscere
la tua presenza in essa come crocifisso.

Non ho bisogno di capire tutto
e di dare una spiegazione a tutto,
ho necessità di sapere
che tutto ha una via che conduce alla pienezza.

Non ho bisogno di qualcuno
che mi dica cosa è bene e cosa è male,
ho necessità di una Parola
che sappia illuminare ogni situazione che vivo.

Signore noi tutti siamo in viaggio verso te
e quando siamo stanchi o smarriti
solo in te troviamo riposo e una guida:
ti fai pane per questo cammino di pienezza,
grazie Signore Gesù.

eucarestiafedesperanzacarità

inviato da Filippo Lupi, inserito il 11/10/2024

RACCONTO

2. Lodare il Signore

Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte, ci addormentammo all'alba vicino a un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e s'inoltrò nel deserto sen­za riposarsi un solo istante.

Quando fu giorno gli domandai: «Che ti è successo?».

Rispose: «Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli alberi, vedevo le pernici sui monti, le rane nell'acqua e gli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a lui.»

gratitudinestuporecreatocreazionevitalodelodarepreghiera

4.0/5 (1 voto)

inviato da Simona, inserito il 11/03/2024

PREGHIERA

3. Preghiera a Maria per i morti da coronavirus

don Paolo della Peruta & Annamaria Pizzutelli

Santa Maria, Madre di Dio e madre nostra,
la tristezza ci assale
e il dolore ci toglie il respiro
in queste giornate segnate
dalla paura del contagio
e... dalla morte!
Questo virus invisibile sta portando via
nella solitudine più assoluta
le persone che amiamo, le nostre storie, i nostri affetti...

Santa Maria, Madre di Dio e madre nostra,
sii accanto al letto di morte di ogni malato
che parte per il suo viaggio verso il giorno senza tramonto,
come lo sei stata, in quelle tre del pomeriggio,
con Gesù sotto la croce.

Santa Maria, Madre di Dio e madre nostra,
non lasciare nel buio della solitudine
ogni tuo figlio che emette l'ultimo respiro,
la tua presenza materna,
renda “presente” il volto e l'affetto delle persone amate;
accogli questi tuoi figli
tra le tue braccia amorose
come hai fatto col tuo figlio Gesù.

Santa Maria, Madre di Dio e madre nostra,
avvolta di luce e di bellezza infinita, tendi la mano
a chi attraversa il confine tra la morte e la Vita
per accompagnarlo alla porta del Paradiso.

Santa Maria, Madre di Dio e madre nostra,
siamo certi che quanto ti chiediamo...
il tuo affetto di madre lo ha già ottenuto
da Dio, Padre di misericordia e di perdono.

Santa Maria, Madre di Dio e madre nostra,
prega per ogni tuo figlio, prega per noi peccatori...
ora e nell'ora della morte.

coronaviruspandemiaepidemiamariamorti

inviato da Don Paolo Della Peruta, inserito il 03/04/2020

4. Natale: un nuovo inizio è sempre possibile   1

don Giovanni Benvenuto

Perché il Natale affascina tutti? Forse per la presenza di un bambino.
E forse perché quel Bambino ci dice che Dio ci è vicino, il che è già tanto.
A me il Natale piace perché mi fa pensare che è sempre possibile un nuovo inizio. Ne abbiamo così bisogno tutti quanti, di sapere che è possibile ricominciare.

Quando ci sembra che i nostri giorni siano tutti uguali. Quando ci manca quel qualcosa di speciale che ci fa alzare al mattino e ci fa battere il cuore, e ci dà lo stimolo per spegnere la sveglia e alzarci in piedi senza perdere inutilmente altro tempo.
O magari quando i giorni sono tutti diversi gli uni dagli altri, e allora ci pare che non ci sia nulla che li accomuni, perché la nostra vita non ha una direzione precisa. Perché senza una meta, anche il viaggio nei posti più diversi ci sembra senza significato.
In quei giorni il Natale ci ricorda che ogni giorno è un dono da accogliere e vivere.

Quando gli amici ci sembrano lontani e ci sentiamo piccoli, invisibili, e ci sentiamo come se non fossimo stati invitati a quella festa in cui tutti sembrano divertirsi ed essere al proprio posto.
Quando abbiamo sbagliato a dire quella cosa che ci pare abbia rovinato quel rapporto. Quando ci sentiamo soli, anche in mezzo ad una folla.
In quei giorni il Natale ci ricorda che ci basta il sorriso di un bambino per ritrovare il nostro posto nel mondo, e ricominciare.

Forse Gesù è nato per questo. Per dirmi che ogni giorno può essere un nuovo inizio, se Lui è con me.
Che ogni giorno può essere l'inizio di qualcosa di nuovo, dentro di me, se c'è Lui a lottare accanto a me.
Rinasci Gesù, dentro di me. Fa' rinascere anche me.
A Natale e ogni singolo giorno.



nataleattesainizioricominciaresperanzarinascita

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

5. Il vero sacrificio   1

Un grande re ascoltava il sermone del Buddha che parlava della rinuncia e del sapersi accontentare, ed ebbe l'improvviso desiderio di guadagnarsi l'approvazione del grande Maestro.
Il Buddha teneva sempre con sé un tamburo a sonagli ed un giorno, un suo discepolo gli chiese:
"Maestro, perché tieni sempre accanto a te questo tamburello?"
Il Buddha rispose: "Perché un giorno suonerò questo tamburo quando si avvicinerà a me la persona che avrà compiuto il più grande sacrificio."
E tutti si chiesero chi mai sarebbe stato.

Il re che aveva sentito questa dichiarazione, ritornò al suo palazzo e fece caricare una notevole quantità di tesori sulla groppa dei suoi elefanti, poi si mise in viaggio per portare questi beni alla presenza del Buddha, certo di ottenere la sua benedizione.
Lungo la strada, una vecchina gli si avvicinò e lo supplicò: "Ho fame, potete darmi qualcosa da mangiare?".

Il re prese un frutto di melograno e glielo porse dalla palanchina.
La vecchina se ne andò in cerca della strada per arrivare dal Buddha e faticò non poco per trovarla.

Nel frattempo il re arrivò nella dimora del Buddha, fece portare davanti a lui gli elefanti con il loro carico di immense ricchezze ed attese ansiosamente il suono del tamburo.
Proprio in quel momento giunse la vecchina, stanca ed affaticata, e con grande dolcezza pose ai piedi del Maestro il frutto che le era stato regalato.
Il Buddha prese il melograno con un sorriso e subito dopo suonò il tamburo.

Il re rimase sorpreso ed irritato e con voce roca ansimò: "Swami! Io vi ho portato beni di una ricchezza inestimabile e voi suonate il tamburo per un melograno? Che sacrificio è mai questo?"
Il Buddha con voce amabile rispose: "Il sacrifico non si valuta in termini di quantità, è la qualità che conta. Voi siete un re ed è naturale per voi offrire oro e pietre preziose, ma questa donna non aveva nemmeno di che mangiare e questo frutto rappresentava il suo unico pasto; avrebbe potuto mangiarlo e soddisfare la sua fame, ma non lo ha fatto e lo ha offerto a me. Quale sacrificio è più grande di questo? Non è sacrificio offrire qualcosa di superfluo, ma rinunciare a ciò che ti è caro ed essenziale per te."

sacrificiooffertagenerositàricchezzapovertà

inserito il 29/12/2018

RACCONTO

6. Le chiavi del castello   2

Don Luca Murdaca, ilbuongiorno.wordpress.com

Un giorno un Re, dovette partire per un lungo viaggio e non volle lasciare incustodito il suo castello... allora promise al primo che si fosse reso disponibile di dare le chiavi del castello per poter utilizzare tutte le stanze e viverci finché non fosse tornato. Un giovanotto si rese disponibile. Il re diede a lui un bel mazzo di chiavi, ma presto il giovane si accorse che nel mazzo mancava una chiave, quella del portone principale che il Re chiuse prima di partire. Il giovane quindi fu costretto a vivere per lungo tempo prigioniero nel castello. È vero, aveva accesso ad ogni stanza, ma non aveva la possibilità di uscire dal castello né di far entrare nessuno. Questo per lui divenne motivo di grande tristezza.

Possiamo avere tante chiavi nella nostra vita, ma senza la chiave principale, quella che ci fa uscire da noi stessi, dal nostro egoismo, dalla nostra pigrizia... senza quella chiave che si chiama Amore, resteremo prigionieri della nostra stessa vita.

relazionealtruismolibertàamoresolitudineapertura

4.0/5 (3 voti)

inviato da Luca Murdaca, inserito il 19/02/2018

PREGHIERA

7. Lettera a Gesù Bambino   1

Giuliano Guzzo, www.giulianoguzzo.com

Caro Gesù Bambino,

una manciata di giorni e sarà il Tuo, se ancora vorrai visitare quest'umanità distratta e sperduta, in tutt'altre faccende affaccendata. E' incredibile, infatti, eppure accade ogni anno: si avvicina il Natale e di tutto ci si occupa - di mercatini, di cibo, di idee regalo, di pandori con la farina di insetti - fuorché della Ragione di Tutto, del Regalo dei Regali, di un Dio che non solo non se la tira, ma si umilia fino a farsi neonato, minuto ospite del mondo che Egli stesso ha creato; un po' come se Messi chiedesse di iscriversi alla squadra dei pulcini; se Federer elemosinasse la racchetta più economica; se Armani si aggirasse, sognante, fra bancarelle di capi di terza mano.

Un meraviglioso ed abbagliante paradosso che solo a Te, caro Gesù, sarebbe potuto venire in mente. Tuttavia, dicevo, quaggiù si stenta a rendersene conto. Non chiedermene la ragione, ma è così. La prima richiesta che mi permetto di avanzare con questa lettera è, quindi, quella di donarci lo stupore per la Tua venuta, il desiderio di fiondarci tra pecore e pastori, di bramare un posto che - oggi come 2000 e passa anni fa, purtroppo - pare interessi a pochi: quello dinnanzi a una grotta senza viste panoramiche, Jacuzzi né pavimento riscaldato ma con, dentro, una Grande Luce. Anzi, la sola vera Luce, al cui confronto le stesse stelle più splendenti non sono che fiacche lampadine.

La seconda richiesta che Ti rivolgo, sono Giga spirituali illimitati. La voglia di tornare a pregare, di farlo con intensità, fermi e in ginocchio, cosa oggi non facile. Come difatti saprai, qui è un continuo invito alla corsa: corri per affermarti, corri per cogliere l'attimo, corri per vincere, corri per restare in forma. Lo stesso Avvento è stato da tempo rimpiazzato dalla «corsa per gli acquisti»; come se a Natale si festeggiassero dei centometristi giamaicani e non un Bambino che, pur non potendo ancora camminare, ha fatto fare - da subito - enormi balzi in avanti all'umanità. Regalaci, insomma, la capacità di tornare ad affidarci a Te, la sola Bussola di cui abbisogna quel povero migrante che è il nostro cuore.

Sperando di non esagerare, avrei un terzo e ultimo desiderio. Ti vorrei chiedere di salutarci tanto, prima di venirci a trovare, Charlie Gard e tutti i piccoli come lui, scartati da un mondo che, da tempo, non sa più dare un significato alla fragilità, un senso al dolore, una direzione alle lacrime. Già lo sapranno, ma è bene che a questi Angeli venga ricordato che alcuni, qui, non si sono dimenticati di loro e che in loro nome continueranno a sottolineare che, se non si è favorevoli ad accogliere sempre la Vita, si può ben festeggiare Halloween, il Black Friday e, che so, la giornata mondiale del peto, ma il Natale, ecco, meglio lasciarlo stare. Per un briciolo di coerenza, se non altro.

Detto questo, caro Gesù, concludo - oltre che con la speranza le Poste Celesti sappiano recapitare questo messaggio per tempo dato che con l'eternità, sai com'è, hanno già abbastanza pratica quelle Italiane - con un ringraziamento. Ti ringrazio, senza voler dare ciò per scontato, per essere in viaggio e per riposare già nel ventre di Maria, al sicuro, dove le unghie e i soldati degli Erode, inclusi gli odierni, non possono arrivare. Non saprei dire, adesso, quanti saremo ad accoglierTi come meriti, ma dico grazie fin d'ora per la gioia che vorrai condividere col Tuo gregge, anche se è quello che è. Siamo infatti solo poveri diavoli stanchi di credersi grandi. Ma è per questo, in fondo, che aspettiamo un Bambino.

nataleavventoaccoglienzaspiritualitàstuporevita

inviato da Qumran2, inserito il 19/02/2018

TESTO

8. Andiamo fino a Betlemme (versione completa)

Don Tonino Bello

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone, e scendere, lungo i sentieri profumati di menta, giù per le gole di Giudea. Per noi ci vuole molto di più che una mezzora di strada. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare l'antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù.

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori i quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d'Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste... per andare a trovare che? «Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia».

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, lo so. Molto più difficile di quanto sia stato per i pastori ai quali, perché si mettessero in cammino, bastarono il canto delle schiere celesti e la luce da cui furono avvolti. Per noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorientati da sussurri e grida che annunziano salvatori da tutte le parti, e costretti ad avanzare a tentoni dentro infiniti egoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nel buio.

Andiamo fino a Betlemme. E' un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so. Ma questo, che dobbiamo compiere «all'indietro», è l'unico viaggio che può farci andare «avanti» sulla strada della felicità. Quella felicità che stiamo inseguendo da una vita, e che cerchiamo di tradurre col linguaggio dei presepi, in cui la limpidezza dei ruscelli, o il verde intenso del muschio, o i fiocchi di neve sugli abeti sono divenuti frammenti simbolici che imprigionano non si sa bene se le nostre nostalgie di trasparenze perdute, o i sogni di un futuro riscattato dall'ipoteca della morte.

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.

Mettiamoci in cammino, dunque, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.

Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte e illuminato di stelle.

E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.

Clicca qui per la versione breve.

nataleincarnazionericerca di Diosperanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

RACCONTO

9. La valigia   1

Un uomo morì. Appena varcata la soglia dell'aldilà vide Dio, con una valigia, che gli veniva incontro.
E Dio disse:
- Figlio, è ora di andare.
L'uomo stupito domandò:
- Di già? Così presto? Avevo tanti progetti...
- Mi dispiace ma è giunta l'ora della tua partenza.
E si incamminarono. Curioso l'uomo chiese a Dio:
- Cosa porti nella valigia?
E Dio gli rispose:
- Ciò che ti appartiene.
- Quello che mi appartiene? Porti le mie cose, i miei vestiti, i miei soldi?
Dio rispose:
- Quelle cose non ti sono mai appartenute, erano del mondo.
- Porti i miei ricordi?
- Quelli non ti sono mai appartenuti, erano del tempo.
- Porti i miei talenti?
- Quelli non ti sono mai appartenuti, erano delle circostanze.
- Porti i miei amici, i miei familiari?
- Mi dispiace, loro mai ti sono appartenuti, erano compagni di viaggio.
- Porti mia moglie e i miei figli?
- Loro non ti sono mai appartenuti. Ti sono stati solo affidati.
- Porti il mio corpo?
- Non ti è mai appartenuto. Era della polvere.
- Allora porti la mia anima?
- No, l'anima è mia.
Allora l'uomo, di scatto, afferrò la valigia per guardarvi dentro e, con le lacrime agli occhi disse:
- Ma è vuota! Allora non ho mai avuto niente?
- Beh, le cose materiali, per cui hai tanto lottato, non puoi portarle con te. Il vero bene della vita è il tempo. Ecco perché non dovevi sprecarlo ma impegnarlo per prepararti alla vita eterna, accumulando l'unico tesoro che ha valore nel mio Regno: i tuoi gesti di amore. Il resto non conta nulla.

Questo è quanto ci raccomanda il Signore, con tutto il suo cuore:
Non accumulate per voi tesori sulla terra; accumulate invece per voi tesori in cielo” (Mt 6,19-20)

morteimportanza delle cosealdilàtemporegno di Dioamorevitasenso della vitainterioritàesterioritàgiudizio

4.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 03/12/2017

TESTO

10. Lettera a coloro che si sentono falliti   2

Tonino Bello, Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 363-368

Questa lettera la scrivo un po' anche a me. Sono convinto, infatti, che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all'alba abbiamo visto svanire...

I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me, sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l'hanno fatta a raggiungere neppure gli standard sui quali "normalmente" scorre una esistenza che voglia dirsi realizzata.

Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e, immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto di brillante carriera per un distacco irreversibile della retina.

Ugo, ragazzo prodigio fino alla maturità classica che si è insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a districarsene. Oggi ha quarant'anni, e sua moglie, ad ogni lite, gli rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo studio di un avvocato.

Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte all'Accademia Chigiana di Siena ha avuto decine di occasioni per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell'altro. Alla fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.

Lucia che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi non è partita perché i suoi l'hanno ostacolata. Ora margherite non ne sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da regalo.

Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della vita voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia della salvezza.

A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire a uno a uno gli ideali accarezzati in gioventù. A voi che avete meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete rimasti al palo. A voi che non avete trovato mai spazio, e siete usciti da ogni graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti. A voi che una malattia, o una tragedia morale, o un incidente improvviso, o uno svincolo delicato dell'esistenza, hanno fatto dirottare imprevedibilmente sui binari morti dell'amarezza. A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.

A tutti voi voglio dire: "Volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!".

La riuscita di una esistenza non si calcola con i fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l'applausometro delle platee, o con gli indici di gradimento delle folle.

Da quando l'Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell'impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell'atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n'è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell'antichità, il pregio della riuscita.

Non voglio sommergervi di consolazioni. Voglio solo immergervi nel mistero. Nella cui ottica una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre carreggiate mai divenute carriere, non sono inutili, ma costituiscono il fondo di quella Cassa deposito e prestiti che alimenta ancora oggi l'economia della salvezza.

A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!

fallimentocrocecrocifissosalvezzasuccessoprogettisogni

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

PREGHIERA

11. Preghiera per un bambino che riceve il Battesimo

Mirella Iovine

Signore, ti prego per (nome bambino):
è nato unico ed irripetibile: fa' che cresca nella consapevolezza
di essere un dono prezioso per te e per tutti noi.
È nato in una famiglia felice:
fa' che non ci siano mai né divisioni, né incomprensioni.
È nato nell'amore e nella libertà: fa' che conservi sempre
il suo cuore per amare e la sua mente per pensare.
È nato pieno di voglia di vivere: fa' che non si scoraggi mai
di fronte alle delusioni e alle amarezze della vita;
È nato in una famiglia cristiana che scegliendo il Battesimo
ha messo nel suo cuore il seme della fede:
fa' che crescendo possa alimentare questo dono
e confermarlo con il sacramento della Cresima,
perché possa fare le giuste scelte tra un bene e un altro bene.
Signore, sii sempre il suo compagno di viaggio e la luce dei suoi passi
affinché non smarrisca mai la strada che conduce a te.
Il suo splendido sorriso possa sempre brillare sul suo volto
e contagiare tutti coloro che lo amano e che gli augurano
un futuro sereno e colmo di gioia e di felicità.
Amen!

battesimo

inviato da Mirella Iovine, inserito il 26/09/2017

RACCONTO

12. Il quarto dono

Gulli Morini

Gesù è nato a Betlemme e dal lontano oriente tre sapienti si sono messi in viaggio per venire a conoscere il re dei re. Li guida una stella, ma in realtà non sanno cosa troveranno. Il linguaggio degli astri ha detto loro che è nato un re: porterà la pace nel mondo, inizierà un regno che non avrà mai fine e unirà il cielo con la terra, ma non ha detto loro dove accadrà tutto questo e, soprattutto, come. Ecco allora che, seguendo la stella, arrivano in Palestina.
Dove andreste a cercare il futuro re? Nella città più grande, nei palazzi dove abitano i ricchi e i potenti, ed è proprio quello che fanno i tre magi a Gerusalemme.

«Dov'è il re dei Giudei che è nato?», vanno chiedendo a tutti, ma nessuno sa rispondere loro.
«Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» affermano con sicurezza i tre forestieri, e all'udire queste parole tutti, ma proprio tutti, si stupiscono, perché a un re normalmente si fa omaggio, ma non adorazione; per questo tutti comprendono bene che i Magi cercano un grande re, non uno dei tanti che regnano sulla terra.
Il loro abbigliamento, le loro domande insistenti non passano inosservate e vengono riferite a chi ha il potere in quel paese, e cioè al re Erode, ma anche ai soldati romani che da anni hanno conquistato la Palestina e sono di fatto i veri padroni del territorio.
Il comandante del presidio di Gerusalemme invia loro un soldato con la scusa di proteggerli, ma in realtà per sapere cosa c'è di vero nelle loro affermazioni.
Erode raduna i suoi consiglieri più fidati, gli studiosi della bibbia di quel tempo per conoscere dove avrebbe dovuto nascere il più grande di tutti i re, cioè il Messia d'Israele. La risposta, come potete leggere nel Vangelo di S. Matteo, è Betlemme, allora il re fa' chiamare segretamente i Magi perché ha in mente un piano. Invia i magi a Betlemme e chiede loro di tornare quando l'avranno trovato, così potrà andare anche lui ad ad «adorarlo». Di fatto pensa solo ad individuare il suo rivale per eliminarlo.

Ecco allora che i tre Magi riprendono il cammino assieme al soldato romano che li scorta sul suo cavallo, armato di lancia e di spada. I tre personaggi parlano tra di loro, sono emozionati perché sperano di arrivare presto alla fine del loro viaggio. Il soldato, che si chiama Longino, ascolta tutto con grande attenzione, così impara quali sono le caratteristiche di questo re nato da poco che i tre sapienti stanno cercando con impazienza.
Sarà un re più grande di ogni altro re; il suo regno si estenderà su tutti i popoli (e questo preoccupa molto il romano se pensa che l'impero della sua Roma possa essere in pericolo), ma nonostante tutto questo sarà un regno di pace, un regno buono, come non ce ne sono stati altri.
Alla sera, quando si accendono le prime stelle, i tre saggi scrutano con visibile apprensione il cielo e d'improvviso scoppiano in esclamazioni di gioia: la stella, ecco di nuovo la stella!
«Quale stella?» chiede Longino ai sapienti che lo guardano con occhi pieni di felicità.
«Guarda, quella è la stella che ci ha guidati», dice Melchiorre indicando un punto luminoso nel cielo.
«E' la stella del più grande dei re, come dicono tutti i libri che insegnano il linguaggio delle stelle», continua Gasparre.
«L'abbiamo vista per la prima volta nei territori d'oriente, da dove veniamo, alcuni mesi fa», aggiunge Baldassarre.
«Per settimane ci ha guidato, poi è sparita, così abbiamo proseguito il cammino solo sulla fiducia», riprende Melchiorre.
«Ma ora i nostri occhi la vedono di nuovo e la nostra gioia è talmente grande che tu non puoi nemmeno immaginare», conclude Gasparre.
«Voi saggi stranieri non lo sapete - dice Longino - ma la stella è proprio nella direzione di Betlemme, che dista da qui meno di un'ora di cammino».
I tre Magi sono eccitati come bambini.
«Cosa aspettiamo? Presto, prepariamo i doni. Partiamo subito», si dicono l'un l'altro.
Longino vorrebbe trattenerli, ma i tre sapienti insistono tanto che alla fine il romano è costretto a far loro da guida.

Il viaggio diventa sempre più disagiato, perché ormai il buio è totale e si intravede solo la via al bagliore delle stelle. L'aspettativa dell'evento ha contagiato anche il soldato, cosicché la comitiva procede in silenzio. Ognuno pensa a ciò che tra poco troverà: un sapiente, un re, un inviato dal cielo, un pericoloso concorrente.
Dopo più di un'ora di viaggio difficoltoso i quattro finalmente giungono in vista delle luci di Betlemme. A quel tempo non c'erano le strade illuminate come adesso. Solo chi era sveglio aveva un lume acceso che filtrava appena dalle finestre già chiuse. Nel buio totale della campagna bastava una luce o due per segnalare la presenza di un villaggio.
Eccolo il paesino tanto a lungo cercato. Una decina di case costruite sulla roccia, qualche muro che circonda cortili e piccoli orti, una luce accesa fuori di una porta dalla quale esce luce e un brusìo continuo. I quattro entrano e si trovano in una locanda. Tre soldati romani ad un tavolo, qualche altro cliente agli altri tavoli, ben lontani dai soldati. Longino si avvicina ai commilitoni, scambia qualche parola in latino, poi va dall'oste, parla animatamente per qualche minuto, poi torna dai Magi che aspettano in piedi vicino alla porta.
«Nessuno sa nulla, nessun personaggio importante è passato di qui ultimamente. Tanti ebrei sono passati di qui in occasione dell'ultimo censimento, ma si trattava quasi esclusivamente di povera gente, se non proprio di straccioni. In qualche momento c'è stata tanta gente che qualcuno ha dovuto alloggiare nelle grotte dei pastori che si trovano intorno al villaggio.»
I quattro escono delusi dalla locanda e si ritrovano in una specie di piazza, nello spazio lasciato libero da alcune casette tutt'intorno. I magi guardano il cielo e interrogano muti la stella che li ha guidati fin qui. Tutte le stelle brillano con qualche tremore della luce, ma questa brilla in un modo strano anche se non fa più luce delle altre.
«E' qui vicino, guardate la stella, sembra che danzi», dice Gasparre come in trance.
«Sembra che stia cantando e che ci chiami», risponde Melchiorre come in estasi.
«Andiamo», dice Gasparre come in sogno.
Longino non capisce bene, ma anche lui è affascinato da questa strana atmosfera che si è creata e senza parlare segue i tre sapienti che si sono incamminati per un sentiero che esce dal paese, nella stessa direzione della stella.

A meno di cinque minuti di cammino c'è una grotta, dentro una piccola luce. I piedi camminano da soli, i quattro procedono come automi e si fermano sulla soglia della grotta. Quello che vedono è molto diverso da quel che si aspettavano. Un giovane uomo che gioca con un bimbo in braccio mentre la moglie, giovanissima, sta cucinando in un angolo della grotta. Di fianco a loro un bue ed un asinello legati vicino ad una greppia. Il giovane uomo si accorge della presenza dei nuovi arrivati e senza nessuna esitazione li invita ad entrare.
«La notte è umida, lì fuori: entrate e dividete con noi la nostra cena.» Poi, rivolto alla moglie: «Maria, il Signore benedice la nostra dimora con quattro ospiti.»
«Siate i benvenuti, riposatevi qualche istante mentre io impasterò e cuocerò per voi delle focacce», risponde lei.
I quattro entrano, si siedono su alcune logore stuoie per terra ed osservano questa piccola famiglia cercando con gli occhi conferme ai loro pensieri più profondi. Si aspettavano tutto tranne la straordinaria normalità di ciò che vedono: una semplice famiglia che vive l'ancor più semplice felicità di tutti i giorni che è stata loro concessa dalla nascita di un figlio. La sicurezza che accompagnava i tre saggi durante la loro ricerca è svanita. Più che delusi sono sorpresi. Qui niente ha l'apparenza dell'abitazione di un re, nemmeno le persone che stanno davanti a loro hanno un comportamento di chi aspira a comandare, le parole che sentono non son quelle di chi ha studiato tanto sui libri o di chi ha grandi sogni ed ambizioni. Eppure tutt'intorno a quel bambino c'è una tale atmosfera d'amore che i tre saggi, ma anche il soldato, ne sono conquistati. Non sono sicuri di essere davvero arrivati perché qui non corrisponde nulla alle loro aspettative, per questo debbono cambiare completamente prospettiva per poter vedere con altri occhi ciò che sta loro innanzi.
Più tardi, mentre mangiano tutti insieme, decidono di fidarsi della loro intuizione e raccontano del loro viaggio, del messaggio delle stelle, dei presagi sul futuro di quel bimbo che ora dorme nella mangiatoia degli animali. Maria e Giuseppe, suo sposo, ascoltano stupiti il racconto dei Magi. Capiscono che possono fidarsi di loro e raccontano dei pastori che, la notte della nascita di Gesù, loro figlio, erano accorsi raccontando di visioni di angeli nel cielo.
Longino ascolta anche queste notizie senza ben capire se deve considerarle verità o frutto d'immaginazione. L'unica cosa che percepisce chiaramente è un'atmosfera di serenità che lo circonda. Per i Magi invece questo racconto è la conferma che cancella tutti i loro dubbi. Sicuramente quel bimbo che dorme tranquillamente nella paglia profumata sarà il grande re annunciato dalle stelle, ma sarà anche molto diverso da tutti gli altri. Il loro cuore e non solo la mente finalmente si è aperto, è ora di aprire anche le bisacce e offrire i doni che hanno portato dal loro paese per il Re dei re. A turno depongono ai piedi del bambino Gesù l'oro, segno di ricchezza della regalità, l'incenso, profumo che sale al cielo segno di unione Dio, e mirra, profumo raro e prezioso, segno di nobiltà e di pulizia terrena, ma anche di profonda umanità, visto che viene usato anche nei riti di sepoltura.
Longino è confuso da questa atmosfera che si è creata: percepisce che quel bambino avrà un futuro misterioso e decide di donare anche lui qualcosa, ma non ha nulla. Allora prende la lancia e la depone ai piedi di Gesù: un re deve avere potere anche se sarà un re di pace: se non vorrà fare guerre almeno potrà difendersi, e la lancia è l'arma più adatta a tener lontani i nemici. Giuseppe e Maria osservano tutto con grande attenzione mista a sorpresa: anche questi doni sono davvero inaspettati. Poi Giuseppe prende la lancia e la restituisce al soldato.
«Amico soldato, non ti offendere se non accetto il tuo dono. Capisco la tua buona intenzione e te ne sono profondamente grato. Non so cosa diventerà da grande mio figlio, ma prego il Signore che non tocchi mai un'arma e che il suo potere sia solo di amore.»
Longino si guarda intorno ma non vede ombra di rimprovero o di commiserazione, ma solo sguardi di comprensione e di stima, allora riprende la lancia e torna a sedersi sulla sua stuoia silenzioso. C'è qualcosa che gli sfugge, che non riesce a capire, che non riesce ad accettare. È tardi, per tutti c'è bisogno di dormire. Il sonno dei Magi è ricco di emozioni, di presagi, di calcoli astronomici. Quello di Longino è un sonno pesante, un po' disilluso, ma anche affascinato dalla serenità di un incontro inaspettato.

È Gesù che sveglia tutti poco prima dell'alba perché ha fame. Maria lo allatta cantando sottovoce per non disturbare gli ospiti, ma questi sono già svegli. I tre saggi discutono tra si loro sommessamente, mentre Longino accompagna Giuseppe a prendere del latte dai pastori che stanno in una grotta poco lontano. Il cielo è ormai chiaro, è l'ora di salutarsi, ma prima che Gesù si riaddormenti i tre sapienti lo prendono a turno in braccio e lo cullano guardandolo con grande affetto. Sembra che se lo mangino con gli occhi, che vogliano fissare per sempre nella mente l'immagine di quel fanciullo che per loro è così importante. Prima di riconsegnarlo alla madre lo sollevano e tenendolo più alto delle loro teste chinano il capo in segno di omaggio, di sottomissione e di adorazione. Anche il romano saluta con gentilezza e accarezza delicatamente il piccino.
I quattro s'incamminano silenziosamente verso Betlemme, ma dopo poco Baldassarre chiede a Longino: «Cambiamo strada, non torniamo a Gerusalemme, andiamo direttamente ad oriente, torniamo a casa.»
«Ma Erode vi aspetta.»
«E lascia che aspetti: secondo me considera il bambino come un rivale che intralcia i suoi progetti», risponde Gasparre.
«E poi non potrà certamente capire quali possano essere i piani di questo fanciullo: non sono chiari nemmeno per noi!», conclude Melchiorre.
Dopo qualche giorno i Magi salutano il soldato romano e lo rimandano alla sua guarnigione.
«Vai, riferisci al tuo comandante ciò che hai visto: Roma non deve aver paura di un bimbo che parlerà di pace e non di guerra. Il cielo ti benedica buon Longino.»

Passano più di trent'anni, Gesù è stato crocifisso da pochi giorni e a Gerusalemme si è sparsa la voce che è risorto. Alcuni discepoli dicono perfino di averlo visto, di aver mangiato con lui. Nel Cenacolo sono riuniti i suoi apostoli, hanno paura perché c'è chi li ha già minacciati di morte. Il sommo sacerdote e i capi religiosi vogliono chiudere per sempre l'avventura di un maestro, di un profeta troppo scomodo che ha avuto l'ardire di chiamarsi Figlio di Dio: chiunque osa affermare che Gesù è risorto viene imprigionato. Alla porta del Cenacolo qualcuno bussa: è un soldato romano, e subito il terrore si dipinge sul volto degli apostoli. Ma è un volto noto, è il vecchio Longino, il più anziano tra i soldati della guarnigione, rispettato da tutti perché non ha mai abusato del proprio potere.
Appena entrato depone la spada e la lancia per terra e chiede di parlare con Pietro. È qui a titolo personale, spiga subito, non in veste ufficiale. Vuole sapere se è vero quel che dicono di Gesù. Pietro si fida di lui e racconta di averlo visto più volte e di aver assistito alla sua ascensione al cielo in Galilea. Allora Longino si mette a piangere, sommessamente, ma incapace di smettere. Tutti gli apostoli gli sono intorno stupiti cercando di fargli coraggio, poi, finalmente, il vecchio soldato riesce a trattenersi. Viene fatto sedere e comincia il suo racconto.
«Sono io che sul Golgota ho trafitto il costato di Gesù con quella lancia», dice con fatica.
«Ti ho visto, c'ero anch'io - conferma Giovanni - ma non sei stato tu ad ucciderlo, non devi avere rimorsi».
«Lo so, ma non avevo ancora capito nulla, ero deluso per la seconda volta.»
«Non capisco per cosa tu sia rimasto deluso, e soprattutto perché la seconda volta», dice Pietro.
«E' una storia lunga», esordisce il vecchio soldato, quindi racconta il primo incontro con Gesù nella grotta di Betlemme. «Cercavo un re, il più grande dei re, ma ho trovato un bambino, una famiglia meravigliosamente normale, troppo normale per far crescere un re speciale. Ho provato nonostante la mia delusione ad offrirgli tutto ciò che avevo, cioè la mia lancia, ma mi è stata rifiutata, allora ho pensato, a differenza dei tre sapienti, di aver fallito la mia ricerca. È passato tanto tempo da quel giorno. Sono tornato a Roma e dopo parecchi anni son tornato qui e ho sentito parlare di Gesù. L'ho cercato, una volta l'ho persino ascoltato e ne sono rimasto turbato. Forse, pensavo, nonostante tutto poteva essere lui quello che doveva venire, anche se era così diverso da come l'aspettavo. Ma la mia speranza è morta con lui sul Golgota. Non sono io che l'ho ucciso, ma la mia incredulità lo ha trafitto, proprio con quella lancia che più di trent'anni fa lui mi aveva rifiutato. Ma adesso è risorto. Tanti lo dicevano e io non volevo crederci. Eppure questa notizia sconvolgente si è aggrappata al mio cuore e non ha più voluto staccarsi: ho cercato inutilmente di cancellarla, di pensare che era impossibile, che era una solo una voce messa in giro per confondere i più deboli e creduloni. Alla fine mi son deciso a venire da voi, i suoi amici per avere una parola definitiva, ed ora voi mi testimoniate che è vero: è risorto. Solo adesso, finalmente, i miei occhi cominciano a vedere, il mio cuore crede quel che la mia mente ha sempre rifiutato. Comincio adesso a capire che nulla è successo per caso, che tutto, proprio tutto è servito perché il suo disegno si compisse. Quando a Betlemme ho voluto donargli la mia lancia, Gesù non l'ha rifiutata, l'ha accettata ma me l'ha lasciata in custodia fin quando non è servita, sul Golgota. Sì, ha preso anche la mia lancia non per conquistare o comandare, ma solo per donarci il suo sangue fino all'ultima goccia.»
Maria, presente in mezzo al gruppo degli apostoli, non ha perso una sola parola del romano: il suo stupore e la sua commozione sono evidenti. Non apre bocca, come pure nessuno dei dodici, come se volesse ben imprimersi nella memoria quella testimonianza.
Dopo qualche istante di silenzio, Pietro propone di pregare tutti assieme e di ringraziare Dio per il dono di Gesù. Longino si ritira in un angolo della stanza per rispetto delle usanze degli Ebrei. È una preghiera semplice «Benedetto sei tu, Signore, che ci hai donato Gesù, tuo figlio, il quale ha versato il suo sangue per la nostra salvezza ed è risorto dai morti per confermare la nostra fede.»
Nel silenzio che segue alla preghiera si sente un fragore come di un vento che scuote le porte, le finestre si spalancano con frastuono e una luce, come una palla di fuoco entra nel cenacolo e si divide in tante piccole fiamme che scendono sulla testa degli apostoli e sulla Madonna. Ancora una volta Longino è testimone di un evento straordinario ed assiste alla prima predicazione pubblica fatta dagli apostoli per bocca di Pietro dopo la discesa dello Spirito Santo. Nei giorni successivi frequenta assiduamente i dodici, poi dà le dimissioni da soldato e si fa battezzare.

Il soldato romano che trafigge Gesù con la lancia compare anche nei Vangeli Apocrifi: è da queste fonti che abbiamo il suo nome. La tradizione vuole anche che la sua conversione sia stata talmente esemplare da farlo diventare uno dei primi vescovi della Cappadocia, e poi santo martire.

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inviato da Guglielmo Morini, inserito il 26/09/2017

TESTO

13. Dio sempre aspetta   1

Papa Francesco, Omelia 24 settembre 2013, Casa Santa Marta

Dio sempre aspetta. Dio è accanto a noi, Dio cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre. Gesù sempre ci aspetta. Questa è l'umiltà di Dio. Nella storia del Popolo di Dio ci sono momenti belli che danno gioia e anche momenti brutti di dolore, di martirio, di peccato, e sia nei momenti brutti, sia nel momenti belli una cosa sempre è la stessa: il Signore è là, mai abbandona il Suo popolo!

vicinanzapazienzaamore di Diomisericordiaattesastradacammino

inviato da Qumran2, inserito il 20/02/2017

PREGHIERA

14. Siamo qui   1

Paolo VI, La vita in Cristo e nella Chiesa, maggio 2014, pag. 53

Siamo qui, Signore Gesù.
Siamo venuti come colpevoli che ritornano
al luogo del loro delitto.
Siamo venuti come colui che ti ha seguito,
ma ti ha anche tradito,
tante volte fedeli e tante volte infedeli.
Siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto
tra i nostri peccati e la tua Passione,
l'opera nostra e l'opera tua.
Siamo venuti per batterci il petto
e domandarti perdono,
per implorare la tua misericordia.
Siamo venuti perché sappiamo che tu puoi,
che tu vuoi perdonarci
perché hai espiato per noi.

Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza.

* Preghiera pronunciata dal Papa il 4 gennaio 1964 nel Santo Sepolcro, durante lo storico viaggio a Gerusalemme

passionepeccatomisericordia di Diosalvezzagiovedì santovenerdì santopasqua

inviato da Giuseppe Impastato, inserito il 20/02/2017

RACCONTO

15. Accogliere lo straniero   4

Papa Francesco, Udienza Generale del 26 ottobre 2016

Alcuni giorni fa, è successa una storia piccolina, di città. C'era un rifugiato che cercava una strada e una signora gli si avvicinò e gli disse: "Ma, lei cerca qualcosa?". Era senza scarpe, quel rifugiato. E lui ha detto: "Io vorrei andare a San Pietro per entrare nella Porta Santa". E la signora pensò: "Ma, non ha le scarpe, come farà a camminare?". E chiama un taxi. Ma quel migrante, quel rifugiato puzzava e l'autista del taxi quasi non voleva che salisse, ma alla fine l'ha lasciato salire sul taxi. E la signora, accanto a lui, gli domandò un po' della sua storia di rifugiato e di migrante, nel percorso del viaggio: dieci minuti per arrivare fino a qui. Quest'uomo raccontò la sua storia di dolore, di guerra, di fame e perché era fuggito dalla sua Patria per migrare qui. Quando sono arrivati, la signora apre la borsa per pagare il tassista e il tassista, che all'inizio non voleva che questo migrante salisse perché puzzava, ha detto alla signora: "No, signora, sono io che devo pagare lei perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore". Questa signora sapeva cosa era il dolore di un migrante, perché aveva il sangue armeno e conosceva la sofferenza del suo popolo. Quando noi facciamo una cosa del genere, all'inizio ci rifiutiamo perché ci dà un po' di incomodità, "ma... puzza...". Ma alla fine, la storia ci profuma l'anima e ci fa cambiare. Pensate a questa storia e pensiamo che cosa possiamo fare per i rifugiati.

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inviato da Qumran2, inserito il 27/10/2016

PREGHIERA

16. Maria donna del cammino

Antonio Rungi

Vergine Santa, che hai percorso territori sconfinati, dalla Palestina all'Egitto, e seguendo le orme del Tuo Figlio non ti sei risparmiata nessun cammino, proteggi coloro che, per terra, cielo e mare sono in viaggio per qualsiasi motivo che li spinge a lasciare i loro luoghi d'origine e camminare senza mete e senza confini.

Tu che hai affrontato il primo viaggio della carità, da Nazareth a Ain-Karin, per andare incontro alla tua anziana cugina, insegnaci ad andare incontro, con generosità, alla vita nascente, agli anziani, agli ammalati e a tutti i sofferenti della Terra.

Tu che sei andata da Nazareth a Betlemme, per dare alla luce il Tuo Figlio Gesù, conforta le madri che soffrono per motivi attinenti la loro vita di nutrici e genitrici.

Tu che sei stata costretta a lasciare, per la violenza e il terrore di Erode, con Gesù e Giuseppe, la tua Nazareth, guarda con amore e proteggi coloro che sono immigrati storici o di questi giorni, che sono senza patria e senza un popolo, e che sono fuggiti via per motivi di fame, lavoro, guerre e violenze di ogni genere.

Tu che sei rientrata in Patria con la tua famiglia naturale, fa' che tutti coloro che desiderano ritornare alla loro casa, vicina o lontana, possono farlo senza alcuna difficoltà.

Tu che hai camminato insieme a Gesù, per celebrare la Pasqua nella Gerusalemme terrena, fa' che anche noi possiamo festeggiare la Pasqua eterna, senza perderci nel lungo o breve viaggio nel tempo e che, con il tuo santo aiuto, passiamo raggiungere per sempre Gesù.

Tu che hai seguito Cristo, nel suo peregrinare per portare la dolce parola del Vangelo alla gente del suo tempo, guidaci nel cammino della nuova evangelizzazione, ora e sempre.

Tu, Stella che conduci la Chiesa nel suo impegno apostolico e missionario in tutto il mondo, illumina gli annunciatori della parola del Signore ad essere veri testimoni di Gesù.

Tu che hai accompagnato il tuo Figlio Gesù lungo la via del Calvario, e ti sei incontrata con Lui, nel mezzo del cammino del suo patire, sii vicino alle tante sofferenze di questa umanità, che va in cerca della vera libertà.

Tu, infine, che hai partecipato alla Risurrezione del Tuo Figlio e sei stata la prima ed unica creatura ad essere elevata al cielo in anima e corpo, donaci la possibilità di sperimentare ogni giorno la gioia e la serenità di chi cammina con il cuore e la mente rivolti al Signore, che è Dio Amore e Padre di misericordia.

Tu Vergine e Donna del cammino, Tu Madre Immacolata e Purissima del Redentore, spingi i nostri cuori incontro al Signore della vita e della storia, perché nessuno dei tuoi figli vada perduto nel carcere eterno dell'inferno.
Amen.

mariamadonnacamminoimmigratimigranti

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inviato da Padre Antonio Rungi, inserito il 24/05/2016

PREGHIERA

17. Dio di misericordia - Preghiera per i migranti

Papa Francesco, Discorso a Lesvos (Grecia), 16 aprile 2016

Dio di misericordia,
Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini,
che sono morti dopo aver lasciato le loro terre
in cerca di una vita migliore.
Benché molte delle loro tombe non abbiano nome,
da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto.
Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare
il loro sacrificio con le opere più che con le parole.
Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio,
sopportando paura, incertezza e umiliazione,
al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza.
Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio
quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe,
così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlie
attraverso la nostra tenerezza e protezione.

Fa' che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo
dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa
e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace.
Dio di misericordia e Padre di tutti,
destaci dal sonno dell'indifferenza,
apri i nostri occhi alle loro sofferenze
e liberaci dall'insensibilità,

frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.
Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui,
a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste
sono nostri fratelli e sorelle.
Aiutaci a condividere con loro le benedizioni
che abbiamo ricevuto dalle tue mani
e riconoscere che insieme, come un'unica famiglia umana,
siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te,
che sei la nostra vera casa,
là dove ogni lacrima sarà tersa,

dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio.

migrantimisericordiaindifferenza

3.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 18/04/2016

TESTO

18. Benedizione celtica   7

Che tu abbia tempo
per la pazienza,
tempo per comprendere,
tempo per ricordare
le cose buone fatte e da fare.
Tempo per credere
nei tuoi compagni di viaggio,
tempo per capire
quanto valga un amico.

temposaggezzapazienzaamiciziacammino

5.0/5 (4 voti)

inviato da Cesarina Volonté, inserito il 22/03/2016

TESTO

19. Il vero viaggio   1

Marcel Proust

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.

viaggiostuporeconsapevolezza

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran, inserito il 31/10/2015

TESTO

20. Al centro Cristo   1

Giuseppe Impastato S.I.

Quando scoprirò in pieno
che mi ha modellato su di lui,
cesserò di lottare
per realizzare i miei progetti.
Mi arrenderò a chi è morto per me
e non patteggerò
perché sta preparando
la mia risurrezione
e la vuole somigliante alla sua.
Il mio ultimo viaggio intraprenderò
in letizia
e senza timore approderò
perché lì ad attendermi
so che c'è lui!
Da oggi, col suo fuoco
cercherò di inondare di luce
chi incontro.

resurrezionepasquamortevita

5.0/5 (5 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 16/06/2015

PREGHIERA

21. Luci di speranza per la famiglia ferita

don Paolo Gentili e Tommaso e Giulia Cioncolini, Preghiera per il Sinodo dei vescovi sulla famiglia

Signore e Dio di ogni paternità che, con le tue carezze, curi la pecora ferita e lenisci i suoi dolori con il balsamo della tua Parola, illuminaci affinché sappiamo accogliere, con il tuo stesso amore, le persone separate ed i fedeli che, nel divorzio, sono passati ad una nuova unione.

Dai luce ai nostri occhi, affinché possiamo vedere nel dolore delle famiglie spezzate l'apice dell'incapacità di amare che sperimenta qualsiasi uomo e qualsiasi donna.

Insegnaci, con la Grazia dello Spirito, a discernere le differenti situazioni, con sincera fedeltà alle indicazioni del Magistero, evitando inopportune confusioni e illuminando la via buona da seguire.

Sostienici per annunciare loro la Verità del Vangelo e essere, nello stesso tempo, segno della materna tenerezza della Chiesa e delle sue viscere di misericordia.

Fa' che possiamo, come comunità cristiana, divenire locanda per l'umanità ferita, e accompagnare nel doloroso Calvario le persone separate, condividendo con loro la fatica del cammino.

Illumina il nostro cuore affinché, stando accanto, possiamo far percepire loro che non sono sole, e che possono ristorarsi nell'abbraccio dei fratelli, nella presenza feconda della tua Parola, nella preghiera intima e comunitaria, nelle relazioni umane risanate da Cristo.

Concedi ai presbiteri, ai religiosi e religiose, agli sposi e alle persone separate, che si fanno compagni di viaggio per chi vive la separazione ed il divorzio, di educare alla potenza salvifica di Cristo che sa trasformare una vita distrutta nel profumo della vita buona del Vangelo.

Guarda con particolare amore ai figli delle famiglie separate, perché possano scoprire nuovi orizzonti di senso attraverso il dono di sé. Accompagna, in questo tempo, la nostra Chiesa, perché, coniugando Verità e Carità, sia ogni giorno capace di offrire luci di speranza per la famiglia ferita. Amen.

famigliaseparazioneseparatidivorziodivorziatimisericordia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran, inserito il 09/06/2015

PREGHIERA

22. Resta con noi, Signore, perché si fa sera

Antonietta Milella, Commento al Vangelo

Quando le parole non bastano, specialmente quelle scritte dalla tua mano.
Quando non basta che sei venuto a spiegarcele con la tua vita e a testimoniarne la verità con la tua morte.
Quando non basta tutto questo per riconoscerti nel compagno di viaggio che parla con noi.
Quando siamo tristi e smarriti perché pensiamo che te ne sei andato per sempre, nella maniera più atroce, triste e dolorosa e ci hai lasciati irrimediabilmente soli, senza speranza...
Ti prego, fermati a mangiare con noi.
La sera, il buio fa più paura, se tu non ci sei.

Rimani con noi, riposati un po', prima di riprendere il viaggio attraverso le strade del mondo.
Signore, resta con noi che non ancora riusciamo a capirti, non ancora riusciamo a capacitarci che sei andato a morire.
Signore, resta con noi ancora un poco, forse il miracolo di vederti risorto anche noi potremo vederlo, se ci aprirai gli occhi al tuo folgorante mistero.
Torna a spezzare quel pane che la sera prima di morire distribuisti ai tuoi discepoli, invitandoli a fare altrettanto, in memoria di te, perché tutti ne avessimo sempre.
Fatti conoscere nella quotidianità di un gesto così tanto familiare, non capito, dimenticato, quando solennemente lo benedicesti, perché non rimanessimo mai senza di te, mai ci sentissimo soli, mai pensassimo che te ne eri andato per sempre.

Ti voglio incontrare, Signore nel pane spezzato, un gesto che non abbiamo capito abbastanza, ti vogliamo, Signore, riconoscere nella semplicità di ciò che tu hai trasformato in segno indelebile di te che sei il Cristo morto e risorto per noi.
Vogliamo, Signore, incontrarti e abbracciati per sempre, sicuri che non te ne andrai, convinti che quand'anche fosse, hai dato ai tuoi ministri il potere di renderti vivo e presente nell'Eucaristia.
A torto abbiamo pensato che ci avevi illusi, dicendo che saresti stato sempre con noi, sbagliavamo quando ti abbiamo visto morire e non abbiamo creduto che saresti risorto, invano ti stavamo cercando senza guardarti nel volto, senza ascoltare parole che ci avrebbero dato speranza.

Ma ora che il pane è stato spezzato, ora sì che ho capito e ho gioito, perché a tutto tu avevi pensato prima di tornare dal Padre, trasformandoti in cibo e bevanda perenne, per quelli che avevano fame e sete di te.
Grazie Signore perché ora so che tu sei risorto davvero e per sempre.
Grazie, perché ora so dove trovarti.

preghieraeucaristiadiscepoli di emmaus

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inviato da Antonietta Milella, inserito il 05/05/2015

TESTO

23. Vivere le beatitudini   2

Beata te che, povera in spirito,
non ti affanni per le cose di questa terra.
Dio sarà la tua ricchezza

Beata te che, soffrendo per il male che c'è nel mondo,
ti lasci raggiungere dal dolore degli altri.
Dio ti darà la sua consolazione.

Beata te che, avendo un cuore mite,
al male rispondi con il bene.
Dio ti darà la comunione con lui.

Beata te che, avendo fame e sete di santità,
non ti senti mai sazia di Dio.
Dio ti darà la pienezza della vita.

Beata te che sei misericordiosa
pronta a perdonare e a fare il primo passo.
Dio sarà generoso nel perdonarti.

Beata te che hai un cuore sincero e trasparente
incapace di doppiezza.
Dio ti farà dono della sua presenza.

Beata te che diffondi la pace
e costruisci un ambiente fraterno
Dio ti considererà a pieno titolo sua figlia.

Beata te che consideri la sofferenza come normale compagna di viaggio
e non ti meravigli delle calunnie, fraintesi e persecuzioni.
Dio è con te, ti protegge e difende.

Parafrasi delle beatitudini, composta in una comunità femminile

beatitudini

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 21/06/2014

TESTO

24. Fiori di campo   1

don Luigi Verdi

"Guardate come crescono i gigli dei campi" (Mt 6,28). Matteo non scrive come sono belli, ma come crescono i gigli dei campi. Un fiore di serra ha tutto prestabilito: seme, calore, acqua, concime. Ad un fiore di campo il seme lo porta il vento, prende acqua e calore quando viene. La differenza è che un fiore di serra prende la vita come qualcosa di dovuto, un fiore di campo come un dono. Essere come i gigli dei campi vuol dire aprirsi alla bellezza del creato, vivere la vita come un miracolo che si ripete. È riuscire a dire ogni giorno al tuo compagno di viaggio: "È meraviglioso che tu esista".

provvidenzavitadono di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Maurizio Mariani, inserito il 06/03/2013

PREGHIERA

25. Ora tu hai un corpo - Adoriamo il Dio-con-noi   2

Anna Maria Galliano, Stupore di Natale, Paoline, 2012

E' un avvenimento incredibile che tu Dio, il Creatore dell'universo,
abbia voluto un corpo e sia nato bambino nella nostra storia.
E' meraviglioso che tu, l'infinitamente grande, ti sia fatto piccolo,
Tu, l'Onnipotente, ti sia reso povero,
per arricchire noi della tua presenza e dei tuoi doni.
Tu, l'Invisibile, adesso sei visibile in Gesù, uno di noi:
ti contempliamo con stupore e gratitudine.

Ora tu hai un corpo,
Figlio dell'uomo,
e respiri la vita
del nostro splendido
inquieto mondo,
hai occhi che leggono
i nostri sguardi assetati
e fuggitivi,
orecchi che registrano
segreti sospiri
e lamenti,
mani che toccano
ferite intoccabili,
piedi che conoscono
le strade della notte
nell'interminabile
viaggio dell'incontro,
e cuore che sussulta
per limpide amicizie
che profumano di cielo.

Ora tu sei uno di noi

nataleincarnazioneGesù bambino

5.0/5 (4 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 24/12/2012

RACCONTO

26. La vecchia zia Ada   2

Gianni Rodari, Favole al telefono

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.

- Brava, così verranno le formiche, - dissero le altre due vecchine, stizzite.

Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.

- Ecco, - borbottarono le vecchine, - che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.

La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l'uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.

Dopo qualche tempo l'uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.

- Ci sono i vostri uccellini, - dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po' d'invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all'anice e intanto diceva:

- Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.

- Eh, - mormoravano le altre vecchine, - se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?

La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro: - Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.

E quando avevano finito di beccare il biscotto: - Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare.

Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po' matta, perché vecchia e povera com'era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.

Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva piú la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

vecchiaiagenitorifigligratuità

4.7/5 (12 voti)

inserito il 16/12/2012

TESTO

27. Ho imparato   8

Ho imparato che nessuno è perfetto... finché non ti innamori.
Ho imparato che la vita è dura... ma io di più!
Ho imparato che le opportunità non vanno mai perse... quelle che lasci andare tu, le prende qualcun altro.
Ho imparato che quando serbi rancore e amarezza... la felicità va da un'altra parte.
Ho imparato che bisognerebbe usare sempre parole buone... perché domani forse si dovranno rimangiare.
Ho imparato che un sorriso è un modo economico per migliorare il tuo aspetto.
Ho imparato che non posso scegliere come mi sento... ma posso sempre farci qualcosa.
Ho imparato che quando tuo figlio appena nato tiene il tuo dito nel suo piccolo pugno... ti ha agganciato per la vita.
Ho imparato che bisogna godersi il viaggio e non pensare solo alla meta.
Ho imparato che è meglio dare consigli solo in due circostanze: quando sono richiesti e quando è in gioco la vita.
Ho imparato che meno tempo spreco e più cose faccio.
Ho imparato a godermi le cose!
Ho imparato ad accettare le sconfitte, le delusioni.
Ho imparato che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. Per questo bisogna che tu la perdoni.
Ho imparato che ci vogliono anni per costruire la fiducia, e pochi secondi per distruggerla.
Ho imparato che non dobbiamo cambiare amici se comprendiamo che gli amici cambiano.
Ho imparato che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo sempre responsabili di noi stessi.
Ho imparato che la pazienza richiede molta pratica.
Ho imparato che ci sono persone che ci amano, ma semplicemente non sanno come dimostrarcelo.
Ho imparato che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno ad alzarti.
Ho imparato che solo perché qualcuno non ti ama come vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
Ho imparato che non si deve mai dire ad un bambino che i sogni sono sciocchezze, sarebbe una tragedia se lo credesse.
Ho imparato che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno, nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Ho imparato che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si sia spezzato, il mondo non si ferma aspettando che lo ripari.
...E dopo tutto ciò, avrò imparato a vivere?

viveresaggezzavitasenso della vitagratuitàmisericordiacomprensioneforza interiore

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inviato da Qumran2, inserito il 23/09/2012

TESTO

28. Leggi la Parola di Dio: illuminerà il tuo cammino   4

Sei triste e angosciato?
Leggi il cap. 14 del Vangelo di Giovanni

La cattiveria del mondo ti fa paura?
Leggi il salmo 26

Hai peccato?
Leggi il salmo 50

Ti fa paura l'avvenire?
Leggi i versetti 19-34 del cap. 6 del Vangelo di Matteo

Ti senti in pericolo?
Leggi il salmo 90

Ti senti ipocrita?
Leggi il salmo 33

Il Signore ti sembra lontano?
Leggi il salmo 138

Ti assale il dubbio?
Leggi il cap. 20 del Vangelo di Giovanni

Provi la tentazione?
Leggi il cap. 4 del Vangelo di Matteo

Sei disgustato dalla vita?
Leggi il cap. 40 di Isaia

Ti senti fragile e debole?
Leggi il salmo 22

Ti stai chiedendo: perché la fede?
Leggi il cap. 11 della lettera agli Ebrei

Sei sull'orlo della disperazione?
Leggi i versetti 31-39 del cap. 8 della lettera ai Romani

Non hai più il coraggio per affrontare la vita?
Leggi il 12 cap. del libro di Giosuè

Ti sembra che il diavolo sia più forte di Dio?
Leggi il salmo 89

Non ne puoi proprio più?
Leggi i versetti 28-30 del cap. 11 del Vangelo di Matteo

Stai per metterti in viaggio?
Leggi il salmo 120

Non riesci più a sopportarti?
Leggi il cap. 13 della la lettera ai Corinti

La tua preghiera è molto egoista?
Leggi il salmo 66

Hai l'impressione di pregare nel vuoto?
Leggi i versetti I -13 del cap. 11 del Vangelo

Sei in crisi?
Leggi il cap. 8 del libro dei Proverbi

Sei impaziente?
Leggi il cap. 12 della lettera agli Ebrei

Ti senti solo?
Leggi il cap. 15 della 1a lettera ai Corinzi

Sei malato?
Leggi il cap. 26 di Isaia

Vuoi sapere ciò che Dio attende da te?
Leggi il cap. 12 della lettera ai Romani

Hai bisogno di pace?
Leggi il cap. 14 di Giovanni

Non sai come ringraziare il Signore?
Leggi il salmo 102

bibbiavangeloParola di DioSacra Scritturapreghiera

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 21/09/2012

TESTO

29. Parlami d'Amore (versione 2)   3

Michel Quoist, Parlami d'amore, Sei, Torino 1987, pp. 104-107

L'amore non è la folgorazione della bellezza
davanti a un volto che d'improvviso s'illumina per te,
perché la vera bellezza è il riflesso dell'anima,
ma l'anima è oltre, e la cerchi tremando.

L'amore non è seduzione di un'intelligenza viva e sciolta
che scorre in parole e idee per piacerti,
perché l'intelligenza può splendere di mille barbagli
senza essere autentico diamante nascosto nelle profondità dell'amato.

L'amore non è l'emozione di fronte a un cuore
che batte per te
più di quanto non batta per gli altri,
né quella meraviglia d'essere scelto, eletto,
senza motivo ai tuoi occhi
che valga questa follia,
perché un cuore può un giorno turbarsi per un altro,
e lasciarti sanguinare, in lacrime,
senza che il tuo amore muoia.

L'amore non è voglia di catturare, di afferrare
l'oggetto del tuo desiderio,
sia esso cuore, corpo, mente o tutti e tre insieme,
perché l'altro non è "oggetto";
e se lo prendi per te, lo mangi e lo distruggi,
è te che ami credendo di amare l'altro.

Folgorazione e seduzione, fame e fremiti,
emozione e sgorgare di desideri,
tutto ciò è bello e necessario, nell'uomo, nella donna,
ma soltanto per aiutare ad amare chi accetta di amare.

E' la porta socchiusa e le finestre spalancate,
è il vento che entra a folate,
è il richiamo del largo, è il mormorio di Dio
che invitano a uscire dalla casa sbarrata
per andare verso un altro
che hai scelto per colmare la tua vita
perché lo ami e lo vuoi amare.

Amare è volere l'altro libero e non sedurlo,
è liberarlo dai suoi lacci se ne rimane prigioniero,
perché anche lui possa dire: ti amo,
senza esservi spinto dai suoi desideri non domati.

Amare è con tutte le forze volere il bene dell'altro,
anche prima del tuo,
è fare di tutto perché l'amato cresca, e poi sbocci e fiorisca
diventando ogni giorno l'uomo che deve essere
e non quello che tu vuoi modellare
sull'immagine dei tuoi sogni.

Amare è dare il tuo corpo, e non prendere il suo,
ma accogliere il suo quando si offre per essere condiviso,
è raccoglierti, arricchirti,
per offrire all'amato più che mille carezze e folli abbracci,
la tua vita intera raccolta nelle braccia del tuo "io".

Amare è offrirti all'altro,
anche se questi ad un certo momento si rifiuta,
è dare senza tenere il conto di quello che l'altro ti dà,
pagando il prezzo alto senza mai reclamare il resto,
ed è supremo amore perdonare
quando l'amato purtroppo si sottrae,
tentando di consegnare ad altri ciò che ti aveva promesso.

Amare è credere nell'altro e dargli fiducia,
credere nelle sue forze nascoste, nella vita che ha in sé;
e quali che siano le pietre da tagliare
per appianare la strada,
è decidere da uomo ragionevole
di avviarsi coraggiosamente per il viaggio del tempo.

Non per cento giorni, per mille, e neppure per diecimila,
ma per un pellegrinaggio che non finirà,
perché è un pellegrinaggio che durerà
"sempre"...

Se amare è questo, come potrò riuscirci?
Ero scoraggiato...
Non avevo ancora capito...
che l'amore era un fine da raggiungere
e non un punto di partenza
e che, per cercare di riuscirci,
bisognava lottare per tutto il tempo della vita.
Io volevo tutto e subito.

Questo era il mio errore.
Dovevo accettare di adottare
il passo lento e regolare,
il passo dell'autentico montanaro.

Clicca qui per un altro testo di Michel Quoist sullo stesso tema.

amoreinnamoramentoamaredonarsigratuitàlibertàcrescerematurità

3.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 20/09/2012

PREGHIERA

30. Preghiera del docente   2

Diocesi di Brescia, Diocesi.brescia.it

Dio Padre,
origine e principio della Sapienza,
tu che ci hai inviato Gesù il Cristo
come unico e solo Maestro
per ogni essere umano
e che ci hai concesso
lo Spirito di Intelletto,
di Scienza e di Consiglio,
aiutaci a comprendere che educare
non è provare, né dimostrare,
ma evocare e lasciar diventare.

Ti preghiamo:

rendici "servi autorevoli",
capaci di fondere nella nostra persona
il minatore che scava le paure,
l'esploratore che segue le stelle,
e il marinaio che tende verso sponde sicure;

concedici di essere "servi inutili",
in grado di valorizzare lo spazio
di ciascuna relazione umana
in cui ogni nostro alunno si realizza
e in cui, scoprendo se stesso,
giunge all'incontro con te;

insegnaci ad agire da "servi umili",
perché i nostri studenti ci vedano
non come dei miti che li abbagliano,
né come padroniche li vincolano,
nemmeno come amici che li lusingano,
ma come saggi compagni di viaggio
che li orientano a guardare
dove si dirigono i loro passi esistenziali
e verso quale pienezza di vita
desiderano camminare.

Donaci di diventare "servi invisibili",
una presenza che sa amarli
senza pretese nel presente,
ma con una speranza per il loro futuro.
Non ci è dato di risolvere
la loro umanità,
ma solo di custodirla perché,
con il loro impegno,
scelgano di renderla
come tu la desideri per loro.
Amen.

educazioneeducatorieducareinsegnantiinsegnaredocenti

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inviato da Qumran2, inserito il 24/06/2012

TESTO

31. Le cinque tappe dell'amore

Silvana Lunardi

Ho voluto fare un viaggio in un'altra terra per scoprire le differenze tra gli uomini.

Nella mia prima tappa ho incontrato un bambino i suoi occhi erano pieni di gioia e curiosità; guardandolo bene ho scoperto che anche negli occhi dei bimbi della mia terra c'è la stessa gioia e curiosità.

Nella seconda tappa ho visto un contadino, era sudato con la schiena bruciata dal sole, le sue mani ferite e callose. Ho scoperto poi che anche nella mia terra i contadini sudano per il pane di ogni giorno.

Continuando il mio viaggio mi sono fermata per la terza volta, la mia terza tappa, qui ho visto una madre che cullava il suo bimbo, cantava una dolce melodia per addormentarlo, nei miei ricordi ho rivisto gli occhi di mia madre e ho risentito in fondo al cuore la ninnananna che mi cantava, sì anche nella mia terra le mamme sono piene d'amore.

Nella quarta tappa, ho incontrato un povero, chiedeva l'elemosina, la sua mano era tesa verso di me, nel suo sguardo tanta vergogna e desolazione, anche nella mia terra la povertà è uguale.

Alla fine del mio viaggio, nell'ultima tappa, la quinta, ho visto un uomo che pregava, il suo volto sprigionava serenità, le sue mani erano giunte e il capo chino, era immobile! Sembrava vivere in un'altra dimensione.

Mi sono inginocchiata al suo fianco e mi sono messa davanti a Dio, ho pregato, in quel momento ho capito che non esistono differenze tra gli uomini, tutti seguono un'unica strada, quella dell'amore!

uguaglianzaumanitàfraternità

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inviato da Silvana Lunardi, inserito il 24/06/2012

RACCONTO

32. L'amore di una mamma   4

Un angelo scappò dal paradiso per trascorrere la giornata vagando sulla terra. Al tramonto decise di portarsi via dei ricordi di quella visita. In un giardino c'erano delle rose: colse le più belle e compose un mazzo da portare in paradiso. Un po' più in là un bambino sorrideva alla madre. Poiché il sorriso era molto più bello del mazzo di rose, prese anche quello. Stava per ripartire quando vide la mamma che guardava con amore il suo piccolo nella culla. L'amore fluiva come un fiume in piena e l'angelo disse a se stesso: "L'amore di quella mamma è la cosa più bella che c'è sulla terra, perciò prenderò anche quello".

Volò verso il cielo, ma prima di passare i cancelli perlacei, decise di esaminare i ricordi per vedere come si erano conservati durante il viaggio. I fiori erano appassiti, il sorriso del bambino era svanito, ma l'amore della mamma era ancora là in tutto il suo calore e la sua bellezza. Scartò i fior appassiti e il sorriso svanito, chiamò intorno a se tutti gli ospiti del cielo disse: "Ecco l'unica cosa che ho trovato sulla terra e che ha mantenuto la sua bellezza nel viaggio per il paradiso: L'amore di una mamma".

mammaamore materno

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 12/05/2012

PREGHIERA

33. Preghiera dell'animatore "Buon Samaritano"   3

Milena Pavan

Insegnami, Signore,
a servirmi delle mani
per donare premure e attenzioni
facendomi vicino a chiunque ha bisogno di me.

Insegnami, Signore,
a servirmi bene degli occhi e dell'udito
per vedere e percepire con il cuore
che ogni persona che incontro può essere il mio prossimo.

Insegnami, Signore,
a usare bene la parola avendo sempre nel volto il sorriso,
per portare a tutti "belle parole"
che edificano e fanno crescere.

Insegnami, Signore,
a usare i miei piedi per andare incontro
a quel prossimo "un po' scomodo"
perché tu mi chiedi di amarlo come me stesso.

Aiutami, Signore,
a mettere in pratica il tuoi insegnamenti
e diventerò un animatore dal cuore grande,
un vero compagno di viaggio
per i bambini e ragazzi a me affidati.
Amen.

animatorieducatorieducare

4.7/5 (3 voti)

inviato da Milena Pavan, inserito il 08/05/2012

TESTO

34. Intervista a Cleofa, uno dei due discepoli di Emmaus   1

Stuart Jackman, Il caso del Nazareno, Ed. Paoline 1985 (pag. 188-196)

Stavamo tornando a casa, continuando a confabulare sugli avvenimenti di questo fine settimana, riandandovi per la centesima volta. Ci sforzavamo di dare un qualche costrutto alle cose, ma senza molto successo. Ed ecco che, a circa un chilometro dalla città, ci si avvicina un uomo...

- Era il Nazareno?
Be', questa è la cosa buffa: Noi non l'abbiamo riconosciuto. Siamo stati suoi seguaci per quasi due anni. Non eravamo di quelli importanti, ma credevamo in lui, l'abbiamo ascoltato decine di volte mentre parlava... eppure quello che si è avvicinato a noi ieri pomeriggio, ci parve del tutto forestiero.
Inoltre, sembrava completamente all'oscuro di quanto era successo a Gerusalemme in questi ultimi giorni. Si unì alla nostra conversazione, ma ci toccò informarlo sulla crocifissione di venerdì scorso e sulle voci di ieri mattina sulla risurrezione.
Sembrava non fosse al corrente di nulla, ma poi, conversando con noi, si è rifatto ai tempi passati e, cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, è giunto ai giorni nostri. Aveva tutto sulle punte delle dita, formidabile era! Ce ne stavamo lì, imbambolati a bocca aperta a guardarlo. Tutti quei passaggi e brani di profezie, i testi più difficili, egli li ha collegati tra loro... come tasselli di un puzzle. Ha reso chiaro tutto l'insieme e l'ha fatto apparire quasi - come dire? - inevitabile. Soprattutto la risurrezione!
E questo è il punto culminante, la conclusione prodigiosa che dà significato a tutto il resto! Il Messia viene, ma la gente non lo riconosce. Nessuno lo accoglie perché non corrisponde in nulla a quello che noi ci attendevamo ch'egli fosse. Invece di incoronarlo re, lo mettiamo a morte. Non sappiamo chi sia e così ci liberiamo di lui. Ma il Messia è il vincitore della morte. E il terzo giorno egli ritorna in vita per stabilire il suo regno.

- Se il Messia è il vincitore della morte, come può morire?
Ma se non incontra la morte faccia a faccia come può vincerla?
Questo è quanto il nostro misterioso compagno di viaggio ci spiegò chiaramente. Se il Messia vuole soccorrere gli uomini, deve condividere con loro l'esperienza della morte, deve morire come muoiono tutti gli uomini. Noi non possiamo essere partecipi della vita nel suo regno, se egli non ha prima condiviso con noi la morte.

- I suoi nemici del Sinedrio gli dicevano: "Se sei il Figlio di Dio, salva te stesso"
Eppure sembra un'idea piuttosto ragionevole!

Oh certamente avrebbe potuto farlo!... Ma allora non ci avrebbe aiutati: se egli avesse inventato per sé una scappatoia dell'ultimo minuto, allora non avrebbe fatto per noi alcuna differenza. Non si vince la morte evitandola. La si vince solo se la si accetta per poi superarla, ritornando in vita dall'altro lato. Siccome Gesù Nazareno ha fatto questo, noi non dobbiamo più aver paura della morte.

- E mentre egli vi spiegava tutte queste cose, voi continuaste a non riconoscerlo?
Non prima di aver raggiunto Emmaus. Ci disse che avrebbe proseguito, ma lo convincemmo a fermarsi da noi, come nostro ospite graditissimo. Fu così ch'egli venne a casa con noi e là avvenne il fatto: l'abbiamo riconosciuto durante la cena! Ce ne stavamo seduti attorno al tavolo, pronti a mangiare. Lo invitammo a dire la preghiera di ringraziamento, secondo il nostro costume. A quel punto egli prese il pane, pronunciò la benedizione, e lo spezzò. Lo stavamo guardando, e in quel momento l'abbiamo riconosciuto: Gesù, il Messia, che era morto ed è vivo di nuovo! Ch'egli sia benedetto!

- Lei è sicuro di questo?
Nel modo più assoluto! So perfettamente chi era, perché gli stavamo seduti a fianco e lo fissavamo mentre spezzava il pane. Ed era Gesù! Era proprio Gesù!

- E poi cosa accadde?
E' scomparso! Svanito! Un istante prima era là che ci porgeva il pane, e un attimo dopo era sparito!
Per nulla impauriti, ci siamo precipitati fuori, abbiamo piantato la cena lasciando di stucco le nostre famiglie e siamo ripartiti subito per Gerusalemme.

- Lei sa certamente che le autorità prendono molto sul serio tutta questa faccenda, avrà visto le pattuglie per le strade... Non ha un po' di paura per quanto le potrebbe capitare?
Be', un po' di paura ce l'ho. Ma, vede, il peggio che possano fare è uccidermi. Ma adesso la morte non è più una cosa importante. Gesù l'ha reso sufficientemente chiaro: la morte non è la fine, ma soltanto un inizio. Fino a ieri mattina noi fruivamo solo di una mezza vita... eravamo tutti vivi a metà. Questo è ciò che eravamo. Ma ora è tutto diverso: Lui è di nuovo vivo, e siccome lui è vivo, anche noi siamo vivi a nostra volta. Vivi per davvero, come non l'eravamo mai stati!

Emmausrisurrezioneresurrezionerisortocoraggiofedeconvinzioneprofeziemortevita

5.0/5 (2 voti)

inviato da Laura Baravelli, inserito il 18/04/2012

PREGHIERA

35. Come i re magi   2

Federica Storace, http://berber.altervista.org/come_i_re_magi.htm

Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano:" Dov'è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo". (Mt 2, 1-2).

Signore, ti chiedo di rendermi simile, almeno un pochino, ai Re Magi.

Questi personaggi speciali, tra leggenda e realtà, che finiscono sempre un po' bistrattati nei nostri presepi domestici. Giungono a destinazione quasi alla fine della festa, quando Gesù Bambino è ormai nato e tutti sono già arrivati ad adorarlo prima di loro. Fanno appena in tempo a posare i famosi doni davanti alla capanna e vengono velocemente riposti, con le altre statuine, nella scatola e poi in dispensa, pronti per l'anno dopo... "Toccata e fuga". Una presenza su cui non meditiamo mai abbastanza e che, invece, porta in se tutte le premesse e la fatica di un lungo viaggio.

Rendimi simile a loro, Signore.A questi uomini colti, ricchi, potenti, che avrebbero potuto stare tranquillamente e comodamente nelle loro bellissime case e, invece, si sono messi in cammino.

Con i loro bagagli, le carovane, l'oro, l'incenso e la mirra, con una stella speciale ad illuminare le loro notti e l'eco delle profezie antiche a riscaldare i loro cuori.

Uomini di scienza, di successo e di cultura che, però, non si sono accontentati.

Dona anche a me l'umiltà necessaria per mettermi in viaggio ed infiamma la mia anima del desiderio ardente di trovarti. Non permettere che io mi inganni pensando di poterti raggiungere senza "muovermi", rimanendo ferma in me stessa. Spingimi a lasciare tutto e a mettermi per strada affrontando gli inconvenienti che ogni viaggio comporta, magari un viaggio difficile, in pieno deserto.

Ricordami sempre che bisogna cercare ciò che vale perché né la scienza, né l'intelligenza, né la cultura, né i piaceri, né la ricchezza, niente basta per dare senso alla vita, niente senza aver trovato te, il Salvatore. Tu, Signore, colui che non possiamo incontrare se rimaniamo confinati in casa nostra. Colui che non possiamo scoprire se non facciamo la fatica di superare il nostro limite umano.

I nostri limiti. Quei limiti che, spesso, diventano un comodo alibi per giustificarci, per non trovarci costretti a porgere l'altra guancia, per non dover andare incontro al nostro fratello scomodo, proprio quello che, sfortunatamente!, ci è prossimo ma ci urta il sistema nervoso!

Che cosa si saranno detti questi tre Re multietnici, a rappresentare tutte le genti del mondo e del tempo, durante il viaggio? Cosa sarà passato nei loro cuori? Quali interrogativi? Quali speranze? Quanti, profondi scoraggiamenti ed incertezze? Chissà. Forse le loro speranze e le loro paure sono anche le nostre...

Donami, Signore, alla fine di questo cammino, di trovarti e di poterti adorare con i miei poveri doni.

E allora non sarà più come arrivare ad una festa giunta quasi alla fine ma sarà festa senza fine. Amen.

epifanianatalericerca di Dio

4.2/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

RACCONTO

36. Quando le croci sono troppe   6

Giovanni Francile

Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime. Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un Crocifisso, se ne lamentò con il Signore così: "Ah! Signore, io ho imparato nel catechismo che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti... ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci! Me ne hai data tante e così pesanti che io non ho più la forza di portarle".

Il Signore però gli disse: "Vieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco. Ecco, questa è la più grossa e la più pesante; guarda che cosa c'è scritto sopra".
Quell'uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.

"Lo vedi?" disse il Signore, "questa croce non te l'ho data io, ma te la sei fabbricata da solo. Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, golosità, di divertimenti... e di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi".

"Purtroppo è vero, soggiunse l'uomo, questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!".

Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.

Il Signore continuò: "Guarda quest'altra croce. C'è scritto sopra: ambizione. Anche questa l'hai fabbricata tu, non te l‘ho data Io. Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri... e di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni".

"E' vero, è vero! anche questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella seconda croce e se la mise sulle spalle.

Il Signore additò altre croci, e disse: "Leggi. Su questa è scritto: gelosia, su quell'altra: avarizia, su
quest'altra..."

"Ho capito, ho capito, Signore, è troppo giusto quello che tu dici".

E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se l'era poste sulle spalle. Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l'uomo la sollevò per porsela sulle spalle esclamò: "Oh! Com'è piccola questa! E pesa poco". Guardò quello che c'era scritto sopra e lesse queste parole: "La croce di Gesù".

Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò: "Quanto sei buono!" Poi baciò quella croce con grande affetto.

E il Signore gli disse: "Vedi figlio mio, questa piccola croce te l'ho data io, ma te l'ho data con amore di Padre; te l'ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l'ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al Cielo, perché io l'ho detto: Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Ma ho detto anche: il mio giogo è soave e il mio peso è leggero".

L'uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.

Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l'altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù. Questa se la tenne stretta al cuore fino all'ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del Paradiso.

sofferenzapazienzafedefiduciacrocepeccato

4.6/5 (5 voti)

inviato da Lisa, inserito il 07/04/2012

TESTO

37. Dio trova il ragazzo dell'ascensore

Giuseppe Impastato S.I.

Nessuna luce dall'alto.
Nessuno a spiegargli
perché lo avessero chiamato
in questo grande - sì, gioiosamente grande -
mistero di Dio... Nessuno ad indicargli
come essere padre di un bambino
figlio del cielo, l'Emmanuel...
Nessuno a Nazaret
o nel tempio gli ha svelato
rituali, parole, gesti, atteggiamenti...
Giuseppe, in timoroso ascolto,
ha accompagnato Jahvè
nel suo viaggio in mezzo a noi.

San Giuseppe

4.7/5 (3 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 21/01/2012

TESTO

38. Voglio adottarvi come genitori   3

Michel Quoist

Ascoltami ancora, si dice infatti che dalla bocca dei bambini viene la verità; se sono un bambino sfuggito dal carnaio notturno, trattenuto da un filo d'amore lanciato da chissà dove.

Se sono un bambino caduto dal nido, abbandonato da padre e madre, rapiti o mortalmente feriti alle sbarre della loro gabbia.

Se sono un bambino nudo, senza panni d'amore o con panni imprestati, ma col diritto di vivere, perché sono vivo.

E se nello stesso istante persone innamorate piangono davanti a una culla vuota, consumati nel desiderio di accarezzare un bambino.

Se sono ricchi d'amore che ritengono sprecato, e vogliono gratuitamente donarlo, perché cresca e fiorisca ciò che non hanno piantato.

Allora voglio che vengano silenziosamente a chiedermi se desidero adottarli come miei genitori. Ma non voglio dei fanatici del bambino, come collezionisti d'arte che cercano il pezzo raro che manca alla loro vetrina. Non voglio clienti che hanno fatto l'ordinazione e, pagata la fattura reclamano il loro bebè prefabbricato. Perché non sono fatto per salvare genitori dalle membra amputate, ma loro sono stati fatti, misterioso percorso, magnifico progetto, per salvare dei bambini dal cuore malato, forse anche condannato. E sarà come addormentarci l'un l'altro.

Io berrò il latte di cui ignoravo il sapore, ascolterò musiche sconosciute, imparerò nuove canzoni, sulle vostre dita, sulle vostre labbra genitori adottati, decifrerò lentamente l'alfabeto della tenerezza.

E l'amore sconosciuto per me prenderà il volo alla luce dei vostri occhi. Voi innesterete le vostre vite sulla mia crescita e grazie a voi io rinascerò una seconda volta.

Così sarò ricco di quattro genitori, due lo saranno della mia carne e due del mio cuore e della mia carne cresciuta. Voi non giudicherete i miei genitori sconosciuti, li ringrazierete e mi aiuterete a rispettarli. Perché dovrò riuscire lo so, ad amarli nell'ombra, se un giorno vorrò poterli amare nella luce.

E se in una sera di tempesta, adolescente focoso, impacciato di me stesso, io vi rimprovererò di avermi accolto, non vi addolorate, ma amatemi ancor di più: lo sapete, perché un innesto prenda ci vuole una ferita e, chiusa la ferita, rimane la cicatrice.

Ma io sogno. Io sogno perché non sono che un bambino in viaggio, lontano dalla terra ferma, la mia parola è muta e il canto senza musica.

Ciò che vi dico piano non potrò urlarlo, se non il giorno in cui, avendomi voi adottato, mi avreste messo in cuore tanto amore e autentica libertà, sulle mie labbra parole sufficienti, perché possa dire: papà, mamma, io vi scelgo e vi adotto allora saprete che il vostro amore è dono, e che è riuscito.

adozionefigligenitoriamoregratuitàdonazione

5.0/5 (4 voti)

inviato da Emanuela Pandini, inserito il 11/01/2012

PREGHIERA

39. Aiutami ad essere amico   4

Don Angelo Saporiti, Commento sull'amicizia

Signore,
aiutami ad essere per tutti un amico.
Un amico che sa attendere senza stancarsi,
che sa accogliere con bontà,
che sa donare con amore,
che sa ascoltare senza giudicare,
che sa ringraziare senza pretendere.
Un amico speciale,
che si fa trovare
quando se ne ha bisogno.
Aiutami ad essere un amico
a cui ci si può rivolgere
sempre, di giorno e di notte,
quando lo si desidera.
Un amico capace di offrire riposo al cuore,
capace di irradiare pace e gioia.
Aiutami ad essere un amico disponibile
soprattutto verso i più deboli, i discrimati
e quelli che nessuno difende.
Un amico silenzioso,
che senza compiere opere straordinarie,
aiuti ognuno a sentirti compagno di viaggio,
Signore della tenerezza.

amiciziavicinanzadisponibilità

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 13/12/2011

PREGHIERA

40. Preghiera per la famiglia   1

Don Angelo Saporiti, Commento alla Festa della Famiglia

Ti preghiamo, Signore,
per la nostra famiglia
e per tutte le famiglie della terra.

Fa' che tra di noi ci sia sempre il dialogo e il rispetto,
e che sappiamo accettarci così come siamo,
senza mai rinfacciarci il bene che ci siamo dati.

Fa' che abbiamo cura dei nostri momenti di unità,
del nostro ritrovarci insieme a tavola
e non attorno alla televisione
o da soli al computer.

Fa' che a nessuno di noi sfuggano i bisogni dell'altro
e fa' che sappiamo aiutare chi tra di noi è stanco
o è preoccupato.

Facci anche litigare, ma facci fare la pace.
Facci avere opinioni diverse, ma facci ricercare il bene che non ci divide.
Fa' che ognuno sia se stesso
e che non impedisca all'altro di esprimersi
per quello che è nella sua natura.

Fa', o Signore, che viviamo insieme
momenti di allegria, di gioia e di festa.
E fa' che nei momenti di prova e di tristezza
non perdiamo mai la fiducia in te.

E quando per qualche nostro familiare
arriverà il momento di lasciare questa terra,
fa', Signore, che siano le tue mani a sorreggere i suoi passi
nel viaggio che porta alla tua casa di luce,
dove un giorno ci ritroveremo uniti in te
e come una grande famiglia
sarà festa per sempre.
Amen.

famiglia

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inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 13/12/2011

TESTO

41. Natale, il segreto del nulla

Don Angelo Saporiti, Commento al Natale

"Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio. Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un viaggio di mille miglia ha inizio sotto la pianta dei tuoi piedi".

Questa frase di Lao Tzu, filosofo cinese del sesto secolo prima di Cristo, mi fa pensare al segreto nascosto nella festa del Natale: nasce un bambino in un paesello minuscolo e pressoché sconosciuto, nasce e ha inizio una nuova storia per tutta l'umanità. Una storia di liberazione, di gioia, di meraviglia, di luce. Una storia così travolgente e affascinante da coinvolgere uomini e donne di ogni epoca. Una storia così irresistibile, da attirare anche noi, oggi. Tutto inizia da un bimbo fragile e inerme. Eppure questa inconsistente "nullità" di un neonato è diventata albero robusto, torre di pietra alta millenni, viaggio di popoli verso Dio e dimora stabile di Dio dentro l'umanità. Ogni cosa, anche la più grande, ha inizio da un "nulla" da uno "zero". Nella lingua ebraica "zerà" vuol dire sia "zero", sia "seme". In altre parole: noi siamo zero, ma nel nostro niente è nascosto il nostro tutto, proprio come in un seme. Che questo Natale sia segnato dalla disponibilità del sentirci "nulla", per essere invasi dal "tutto" di Dio.

nataleumiltàsperanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 09/12/2011

RACCONTO

42. I quattro figli e il giudizio frettoloso   1

Un uomo aveva quattro figli. Egli desiderava che i suoi figli imparassero a non giudicare le cose in fretta, per questo, invitò ognuno di loro a fare un viaggio, per osservare un albero, che era piantato in un luogo lontano. Il primo figlio andò là in Inverno, il secondo in Primavera, il terzo in Estate, e il quarto, in Autunno. Quando l'ultimo rientrò, li riunì, e chiese loro di descrivere quello che avevano visto.

Il primo figlio disse che l'albero era brutto, torto e piegato.

Il secondo figlio disse invece che l'albero era ricoperto di gemme verdi e promesse di vita.

Il terzo figlio era in disaccordo; disse che era coperto di fiori, che avevano un profumo tanto dolce, ed erano tanto belli da fargli dire che fossero la cosa più bella che avesse mai visto.

L'ultimo figlio era in disaccordo con tutti gli altri; disse che l'albero era carico di frutta, vita e promesse.

L'uomo allora spiegò ai suoi figli che tutte le risposte erano esatte poiché ognuno aveva visto solo una stagione della vita dell'albero. Egli disse che non si può giudicare un albero, o una persona, per una sola stagione, e che la loro essenza, il piacere, l'allegria e l'amore che vengono da quella vita può essere misurato solo alla fine, quando tutte le stagioni sono complete.

Se rinunci all'inverno perderai la promessa della primavera, la ricchezza dell'estate, la bellezza dell'Autunno. Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo. Non giudicare la tua vita in una stagione difficile. Persevera attraverso le difficoltà, e sicuramente tempi migliori verranno quando meno te lo aspetti! Vivi ogni tua stagione con gioia.

frettagiudizionon giudicareperseveranzadifficoltàsperanzafiducia

4.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 16/10/2011

RACCONTO

43. Scacco alla morte   1

Nardo Masetti

Un uomo molto ricco sta facendo il calcolo di tutti i suoi beni: può veramente felicitarsi con se stesso. Ha tribolato tutta la vita, ha lavorato come un dannato, ma ora potrà vivere sontuosamente per tutto il resto dei suoi giorni. Ode improvvisamente un tocco delicato alla porta: si tratterà, come al solito, del suo cameriere che viene per augurargli la buona notte. Dice un abituale "Avanti!". Non è il servitore ma un personaggio che davvero non si sarebbe aspettato né così presto né in quel momento: la morte. Terrorizzato la supplica di attendere un giorno... un'ora, affinché possa mettere a posto le sue cose. Da tanto tempo non ha più pensato a Dio; come si fa a comparirgli davanti all'improvviso in uno stato simile?! La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso di lui, gli tocca una spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dal campanile scoccano le ventuno.

In una soffitta di una vecchia casa un uomo sta armeggiando con alcuni attrezzi, che ripone in una borsa di logora stoffa. Quella sarà la sua notte. Ha stentato tutto una vita, ma questa volta, se il colpo riuscirà, potrà vivere da ricco e levarsi tutte le soddisfazioni. Con due colleghi ha studiato il piano alla perfezione; ancora poche ore e poi via, con passaporti falsi verso un altro mondo. Sente bussare leggermente alla porta: saranno i colleghi. No, è la morte. L'uomo, oltre che terrorizzato, si mostra anche stizzito e protesta: "Tante volte ti ho desiderata, stanco della mia vita grama e mai sei venuta; ora che sto per cominciare a godere, lasciami la possibilità di gustare un solo giorno della nuova vita... almeno un'ora... almeno qualche minuto per pensare a Dio". La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso l'uomo, lo tocca sulla spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dalla torre civica scoccano le ventidue.

Nel suo studio il vecchio vescovo sta riordinando le sue cose prima del riposo. Sente bussare alla porta: è la morte. Si alza e le va rispettosamente incontro, come è solito fare con ogni persona che vada da lui in udienza. Le dice: "A dire il vero non ti aspettavo questa sera; comunque sì la benvenuta". La morte si meraviglia: questo uomo non ha paura, non supplica, non ha nulla da chiedere; con titubanza avanza verso di lui. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventitré. La morte si ferma di scatto e, con un senso di smarrimento, controlla il suo orologio: sono veramente le ventitre. Confusa e incredula si scusa col vescovo: "Non mi è mai capitato di arrivare con un'ora di anticipo; tornerò fra un'ora, l'appuntamento è stabilito per la mezzanotte". Il vescovo la prega di fermarsi e, visto che ormai è lì, dichiara la sua disponibilità a partire in anticipo. La morte afferma che non può; ha ordini tassativi. Allora lui propone di trascorrere l'ora giocando una partita a scacchi, visto che non ha nulla da preparare per il viaggio eterno, avendo cercato di provvedervi, giorno dopo giorno, da moltissimo tempo. È una partita equilibrata, ma alla fine il vescovo, con una mossa pensata ed astuta, dà scacco matto la morte che, rassegnata sorride e allarga le braccia in segno di resa. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventiquattro. I due personaggi si alzano e sotto braccio, come due buoni amici, escono dalla porta dello studio.

mortesenso della vitavigilanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Nardo Masetti, inserito il 08/07/2011

TESTO

44. Trenta consigli per rendere la vita più bella   3

1. Cammina da 10 a 30 minuti tutti i giorni. Mentre cammini, sorridi.
2. Siediti e stai in silenzio per almeno 10 minuti.
3. Ascolta ogni giorno della buona musica, è un alimento autentico per lo spirito.
4. Quando ti alzi al mattino pronuncia quanto segue: "Il mio proposito odierno è...".
5. Gioca più dell'anno passato.
6. Leggi più libri dell'anno passato.
7. Osserva il cielo almeno una volta al giorno e renditi conto della maestosità del mondo che ti circonda.
8. Sogna di più quando stai sveglio.
9. Vivi con entusiasmo ed energia.
10. Non farti sfuggire l'opportunità d'abbracciare chi apprezzi.
11. Cerca di far ridere almeno tre persone al giorno.
12. Elimina il disordine dalla tua casa, dal tuo scrittoio e lascia che nuove energie entrino nella tua vita.
13. Fai una colazione da Re, pranza come un Principe e cena da Mendicante.
14. Sorridi e ridi di più.
15. La vita è troppo corta per perdere tempo ad odiare qualcuno.
16. Non prenderti troppo sul serio; non lo fa più nessuno.
17. Non devi necessariamente uscire vincitore da ogni discussione; accetta quando non sei d'accordo ed impara dagli altri.
18. Mettiti in pace con il tuo passato, così non ti rovinerai il presente.
19. Non paragonare la tua vita con quella di un altro; ha fatto un cammino diverso.
20. Nessuno è responsabile della tua felicità se non te stesso.
21. Ricorda che non hai il controllo di tutto ciò che succede, però "Sì" di ciò cha fai con esso.
22. Ogni giorno, impara qualcosa di nuovo.
23. Non importa quanto la situazione sia buona o cattiva; cambierà
24. Il tuo lavoro non si occupa di te quando sarai ammalato. I tuoi amici lo faranno; mantieniti in contatto con loro.
25. Lascia perdere tutto ciò che non sia utile, buono o divertente.
26. L'invidia è una perdita di tempo; hai già tutto quello che desideri.
27. Tieniti in contatto con i tuoi familiari; scrivi loro dicendo ."vi sto pensando"!!!
28. Il meglio deve ancora arrivare.
27. Quello che la maggioranza pensa di te, non è un'incombenza.
29. Sfrutta un viaggio. E' un'opportunità da cui devi trarre il maggior beneficio.
30. La vita è bella; godila finché puoi.

vitagioia di vivereapprezzare le piccole cose

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

PREGHIERA

45. Camminando verso Pasqua   3

Don Angelo Saporiti

Il mio viaggio verso Pasqua è incominciato.
Ho fatto tanti propositi:
rinuncerò a qualcosa,
frenerò la lingua,
sarò più paziente,
cercherò di vedere il positivo...
Ed ecco che già iniziano i problemi,
le difficoltà, le stanchezze,
la tentazione di lasciar perdere,
di rimandare al giorno dopo,
di dimenticare la mia promessa...
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
e sono già stufo e sbuffo.
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
ma non ci credo che ce la farò...
E provo vergogna... e anche un po' di rabbia...
Ma forse... ho sbagliato tutto.
Sì...
Ho sbagliato a pensare
che il cammino verso Pasqua,
significhi solo una serie di impegni e di rinunce,
una moltiplicazione di sacrifici e di preghiere...
Forse, in questa Quaresima,
dovrei solo abbandonarmi a te,
lasciarmi andare a te così come sono:
fragile, incapace, limitato, peccatore.
Abbandonarmi a te, perché
tu, Signore, sei il cammino che percorro.
Tu, Signore, sei la mano che mi guida.
Tu, Signore, sei lo sguardo che mi fa percepire gli altri.
Tu, Signore, sei la bocca quando ti do testimonianza.
Tu, Signore, sei l'orecchio, che ascolta le parole non dette.
Tu, Signore, sei la strada di questa Quaresima
che mi porta incontro a te,
che mi porta incontro agli altri.
Amen.

quaresimatentazionifiducia in Dio

4.3/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 08/03/2011

ESPERIENZA

46. Dolore amore   1

Claudio Filanti

Vivo nel dolore, ma ho imparato da Gesù abbandonato e Risorto come vincerlo e trasformarlo in amore. Non sempre ci riesco, non sempre vivo il Risorto, ma non per questo il dolore vince, l'amore sempre vince! Come ci riesco? Non ci riesco, è sempre lui, Gesù che mi aiuta, senza di lui nulla posso fare! Nulla può riuscire.

È un'alchimia d'amore. Gesù ha offerto la sua vita per noi e ha trasformato il dolore in amore. Ha vinto il male, ma solo con l'amore abbracciando il dolore e il male del mondo, così da vincerlo. Il male ancora non è scomparso dal mondo, come mai allora?

Sarebbe stato troppo facile, se qualcuno lo avesse fatto per noi e basta, tutti dobbiamo imparare, se no dove sta il bello. Un maestro non fa il compito all'alievo, glielo insegna, così impara a risolverlo.

Così anche noi dobbiamo imparare a offrire e offrirci, come dice quel cantico della via Crucis: "Andiamo a morire con lui" oppure "insegnaci a offrire la nostra vita", ma ce ne sono tante altre di espressioni simili. Come è possibile fare questo, non siamo capaci di essere dei martiri, o forse solo per alcuni c'è questa strada. Ho parlato di un'alchimia d'amore. Pensate a una locomotiva; per andare ha bisogno di acqua, carbone o legna e le rotaie e una speciale reazione chimica che trasforma l'energia del calore in energia cinetica.

L'acqua, grazie al fuoco prodotto dal carbone o dalla legna diventa vapore. Il vapore spinge i stantuffi e quindi le ruote. Poi ci vogliono le rotaie che guidano la locomotiva. Il macchinista deve solo farla funzionare, ma non la guida, sono le rotaie che la guidano. Credo che ora tutto sia chiaro anche per voi!

L'acqua della vita è lo Spirito che agisce nel nostro corpo, che è mosso solo dallo spirito e dal fuoco Divino che è ancora lo Spirito Santo. Le rotaie sono la legge e il vangelo che ci dirige, e se ci lasciamo dirigere senza deragliare arriviamo a destinazione, alla stazione. Il paragone può continuare all'infinito, ogni cosa ci può aiutare per capire il nostro viaggio.

Trasformiamo in amore il dolore allora! Ho male alla schiena, oppure ho un male che mi attanaglia lo spirito? Devo amare! Ho dolore, ma voglio amare, anche se mi sembra di soffrire di più, a volte. Uno mi offende, prego per lui, uno vorrebbe farmi del bene, ma mi fa del male, lo aiuto a trovare una via del bene. Non posso, faccio finta di ignorarlo, ma lo ricordo al Signore. Non riesco a compiere la mia parte di lavoro, chiedo aiuto, do la possibilità a qualcuno di compiere del bene, perché aiuta il prossimo, proprio come vorrei fare io. Mi lascio aiutare e cerco di aiutare quando posso.

Come ho detto, non sempre è possibile, non sempre ne siamo capaci, ma Dio ci aiuta. È Gesù che è abbandonato e ha bisogno di aiuto. Siamo noi che abbiamo bisogno di aiuto, è uguale, perché Gesù è in noi. Siamo tempio del suo Spirito, dello Spirito Santo.

È incredibile, no, basta credere in Lui e impareremo. Saremo imperfetti, ma Lui ci ha insegnato come amare, come rispondere, come agire, come vivere. Forse noi non siamo capaci di rispondere così perfettamente, ma Dio ci ama comunque, Gesù ci ama così come siamo. Se desideriamo migliorare allora conserviamo in noi quel grande amore che ci fa crescere all'infinito, perché l'uomo è aperto a questo infinito.

Dio ama e ci insegna ad amare. Questa è l'immagine di Dio, di quel Dio che ci ha creato, una immagine che dovremmo riacquistare. E come diceva Michelangelo, si toglierà solo quello che è in più per scoprire quella figura che è già in quel blocco del marmo. Grazie Signore.

Questo è cio che ho imparato grazie alla spiritualità dalla scuola e dal movimento dei focolari.

doloreamoresofferenzaaccettazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Claudio Filanti, inserito il 15/01/2011

TESTO

47. E' possibile pregare o meditare scandendo i tempi della giornata?   2

Jean-Marie Lustiger, Avvenire del 30/11/2008

Ecco i consigli dell'arcivescovo di Parigi: «Obbligatevi a spezzare il ritmo frenetico delle nostre metropoli. Fatelo sui mezzi pubblici e nelle pause del lavoro». Uno scritto inedito del cardinale Francese morto un anno fa.

Come pregare durante il giorno? La tradizione della Chiesa raccomanda di pregare sette volte al giorno. Perché? Una prima ragione è che il popolo d'Israele offriva il proprio tempo a Dio in sette preghiere quotidiane, in momenti fissi, nel Tempio o almeno voltati verso di esso: «Sette volte al giorno io ti lodo» ci rammenta il salmista (Salmo 118,164). Una seconda ragione è che il Cristo stesso ha pregato così, fedele alla fede del popolo di Dio. La terza ragione è che i discepoli di Gesù hanno pregato così: gli apostoli (vedi Atti 3,1: Pietro e Giovanni) e i primi cristiani di Gerusalemme «assidui nelle preghiere» (vedi Atti 2,42; 10,3-4: Cornelio nella sua visione); poi le comunità cristiane e, più tardi, le comunità monastiche. E così anche i religiosi e le religiose, i preti, sono stati chiamati a recitare o a cantare in sette riprese le «ore» dell'«ufficio» (che significa «dovere», «incarico», «missione» di preghiera), facendo una pausa per cantare i salmi, meditare la Scrittura, intercedere per i bisogni degli uomini e rendere gloria a Dio. La Chiesa invita ogni cristiano a scandire la propria giornata con una preghiera ripetuta, deliberata, voluta per amore, fede, speranza.

Prima di sapere se è bene pregare due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte al giorno, un consiglio pratico: associate i momenti di preghiera a gesti fissi, a punti di passaggio obbligati che scandiscono le vostre giornate.

Per esempio: per coloro che lavorano e in genere hanno orari stabili, esiste pure un momento in cui lasciate il vostro domicilio e vi recate al lavoro... a piedi o in auto, in metropolitana o in autobus. A un orario preciso. E ciò vi prende un determinato tempo, sia all'andata sia al ritorno. Perché quindi non associare dei tempi di preghiera a quelli di spostamento?

Secondo esempio: siete madre di famiglia e rimanete a casa, ma avete dei figli da portare e riprendere a scuola in momenti precisi della giornata. Un altro obbligo che segna una pausa: i pasti, anche se a causa di forza maggiore o cattiva abitudine mangiate solo un panino o pranzate in piedi. Perché non trasformare queste interruzioni nella giornata in punti di riferimento per una breve preghiera?

Sì, andate a cercare nella vostra giornata questi momenti più o meno regolari di interruzione delle occupazioni, di cambiamento nel ritmo di vostra vita: inizio e fine del lavoro, pasti, tempi di viaggio ecc.

Associate a questi momenti la decisione di pregare, anche solo per un breve istante, il tempo di fare l'occhiolino a Dio. Datevi l'obbligo rigoroso, qualunque cosa accada, di consacrare quindi anche solo trenta secondi o un minuto a dare un nuovo orientamento alle vostre diverse occupazioni sotto lo sguardo di Dio.
La preghiera così, pervaderà quanto vi sarà dato vivere.

Quando andate al lavoro forse intanto rimuginate sui colleghi che ritroverete, sulle difficoltà da affrontare in un ufficio in cui lavorate in due o in tre; le personalità cozzano maggiormente quando la vicinanza è troppo stretta e quotidiana. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, fa' che io viva questo rapporto quotidiano nella vera carità. Permettimi di scoprire le esigenze dell'amore fraterno nella luce della Passione di Cristo che mi renderà sopportabile lo sforzo richiesto».

Se lavorate in un grande centro commerciale, forse rimuginerete sulle centinaia di volti che vi scorreranno davanti senza che abbiate il tempo di guardarli. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, ti prego per tutte quelle persone che passeranno davanti a me e alle quali cercherò di sorridere.

Anche se non ne ho la forza quando mi insultano e mi trattano come fossi una macchina calcolatrice».

Insomma, approfittate al meglio, durante la vostra giornata, di questi punti di passaggio obbligati, dei momenti in cui disponete di un po' di margine e vi lasciano, se siete vigili, un piccolo spazio di libertà interiore per riprendere fiato in Dio.

Si può pregare nella metropolitana o sui mezzi pubblici? Io l'ho fatto. Ho utilizzato diversi metodi secondo i momenti della mia vita o le circostanze. Ci fu un tempo in cui mi ero abituato a mettere i tappi nelle orecchie per isolarmi e poter avere un minimo di silenzio, tanto ero esasperato dal rumore. Pregavo così, senza per questo tagliar fuori le persone che mi erano attorno visto che potevo ancora essere presente a essi con lo sguardo, senza però scrutarli, senza fissarli, senza essere indiscreto nel modo di guardarli. Il silenzio fisico dell'orecchio mi permetteva di essere ancora più libero nell'accoglienza. In altri periodi, invece, ho vissuto un'esperienza esattamente contraria. Ognuno di noi fa come può, ma in nessun caso dobbiamo ritenere che sia impossibile pregare.

Ecco un altro suggerimento. Scommetto che lungo il vostro tragitto, dalla stazione della metropolitana o dalla fermata dell'autobus fino a casa o al posto di lavoro, potete incontrare, nel raggio di trecento o cinquecento metri, una chiesa o una cappella (una piccola deviazione vi consentirebbe di camminare un po'). A Parigi si può fare. In quella tal chiesa potete pregare in tranquillità o, al contrario, essere continuamente disturbati; può essere adatta o meno alla vostra sensibilità: questo è un altro discorso. Ma c'è una chiesa con il Santissimo Sacramento. Perciò, camminate per qualche centinaio di metri in più; vi ci vorranno dieci minuti, e un po' d'esercizio non farà male alla vostra linea... Entrate in chiesa e andate fino al Santissimo Sacramento. Inginocchiatevi e pregate. Se non potete di più, fatelo per dieci secondi. Ringraziate Dio Padre per il mistero dell'Eucaristia nel quale siete inclusi, per la presenza del Cristo nella sua Chiesa. Lasciatevi andare all'adorazione con il Cristo, nel Cristo, tramite la forza dello Spirito. Rendete grazie a Dio. Rialzatevi.
Fatevi un bel segno della croce e ripartite.

preghierapregaretempoquotidianitàperseveranzafedeltà nella preghiera

4.7/5 (3 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 05/09/2010

TESTO

48. La strada maestra   1

Martin Buber, Storie e leggende chassidiche, Mondadori

Rabbi Mendel soleva lamentarsi: "Fino a che non c'erano ancora le strade maestre, la notte bisognava interrompere il viaggio. E allora nella locanda si dicevano in pace salmi, si apriva un libro e si ragionava tra ebrei. Ora si viaggia sulla strada maestra notte e giorno, e non vi è più pace".

progressofrettainterioritàtemposilenzioesteriorità

4.5/5 (2 voti)

inviato da Elena Calvini, inserito il 05/09/2010

RACCONTO

49. Il barilotto (versione 2)   7

Bruno Ferrero, Parabole

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.

Sull'orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.

E questo possente signore aveva un bell'aspetto, nobile e imponente.

Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.

Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.

Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.
La sua crudeltà era divenuta proverbiale.
Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.

Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lautii banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.

Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.

Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.

Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell'inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa. 
"Pentirmi io? Mai! Non confesserò neppure un peccato!".

Tuttavia il pensiero dell'inferno gli provocò un po' di spavento salutare.

A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.

Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati: uno dietro l'altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:

"Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito. Dovresti almeno fare un po' di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita".

"Farò qualunque penitenza. Non ho paura di niente, io! Purché sia finita questa storia".
"Digiunerai ogni Venerdì per sette anni...!".
"Ah, no! Questo puoi scordartelo!".
"Vai in pellegrinaggio fino a Roma...".
"Neanche per sogno!".
"Vestiti di sacco per un mese...".
"Mai!".

Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose: "Bene, figliolo. Fa' soltanto una cosa: vammi a riempire d'acqua questo barilotto e poi riportamelo".

"Scherzi? E' una penitenza da bambini o da donnette!". Sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.

Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.

Immerse il barilotto nell'acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.

"E' un sortilegio magico", ruggì il penitente, "ma ora vedremo".

Si diresse verso una sorgente: il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!

Provò ad esplorare l'interno del barilotto con un bastone: era assolutamente vuoto.

"Cercherò tutte le acque del mondo", sbraitò il cavaliere. "Ma riporterò questo barilotto pieno!".

Si mise in viaggio, così com'era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.

Ad ogni sorgente, pozza d'acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d'acqua.

Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.

Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all'orlo dell'acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Una sola piccola lacrima di pentimento...

L'esperienza nascosta nel racconto:
Il cavaliere del racconto scopre, con fatica e sofferenza personale, la radice del vero pentimento essenziale per ottenere il perdono di Dio e la pace vera dell'anima.

Clicca qui per un'altra versione della stessa storia.

conversionepenitenzapentimentoconfessionericonciliazioneperdono di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 26/08/2010

PREGHIERA

50. Preghiera alla croce

San Giovanni Leonardi

O Croce,
il mio cuore languisce d'amore,
di ardente passione e di desiderio,
di fremiti.
Di essere a te unito,
a te fissato,
da te onorato,
illuminato e perfezionato.
Per te restituito a colui
che è sospeso a te
che dalle sacre gocce del suo sangue
fosti arrossata, fregiata e consacrata.

O se mi sarà concesso
di stendere le mani
sopra le tue braccia,
come fece il mio Maestro.
Avrò conseguito tutto il mio scopo,
raggiungerò ciò che da lungo tempo desidero,
sarò vero discepolo del mio Maestro.

O Croce,
tu sola sei che mi puoi consolare,
tu sola mi puoi appagare,
tu sola quella che mi puoi ricondurre
al mio dolce Maestro.
Altra via che te, non trovo
per andare a lui,
per presentarmi al suo cospetto,
di far che un domani
possa contemplarlo faccia a faccia.
Altra scala non trovo
per potere ascendere al cielo.

O Croce buona accoglimi,
o Croce portatrice di salvezza,
o Croce desiderabile,
o Croce, bella fine della mia lunga peregrinazione,
ricompensa delle mie afflizioni.
Gemma preziosa,
fregio tessuto di perle e oro,
ghirlanda dei tuoi innamorati,
premio di una vita onorata.

O Croce
a te vengo,
sicuro di recarti gioia.
Vienimi incontro lietamente
poiché tanto tempo ti ho cercata,
ti ho desiderata,
tanto tempo bramata
e finalmente,
ti ho trovata.
In te
finirò il mio viaggio,
in te sarà confermata la mia fede.
Amen.

croce

5.0/5 (1 voto)

inviato da P. Luigi Murra, inserito il 11/08/2010

RACCONTO

51. La bicicletta di Dio   7

In una calda sera di fine estate, un giovane si recò da un vecchio saggio: "Maestro, come posso essere sicuro che sto spendendo bene la mia vita? Come posso essere sicuro che tutto ciò che faccio è quello che Dio mi chiede di fare?". Il vecchio saggio sorrise compiaciuto e disse: "Una notte mi addormentai con il cuore turbato, anch'io cercavo, inutilmente, una risposta a queste domande. Poi feci un sogno. Sognai una bicicletta a due posti. Vidi che la mia vita era come una corsa con una bicicletta a due posti: un tandem. E notai che Dio stava dietro e mi aiutava a pedalare. Ma poi avvenne che Dio mi suggerì di scambiarci i posti. Acconsentii e da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Dio rendeva la mia vita più felice ed emozionante. Che cosa era successo da quando ci scambiammo i posti? Capii che quando guidavo io, conoscevo la strada. Era piuttosto noiosa e prevedibile. Era sempre la distanza più breve tra due punti. Ma quando cominciò a guidare lui, conosceva bellissime scorciatoie, su per le montagne, attraverso luoghi rocciosi a gran velocità a rotta di collo. Tutto quello che riuscivo a fare era tenermi in sella! Anche se sembrava una pazzia, lui continuava a dire: «Pedala, pedala!». Ogni tanto mi preoccupavo, diventavo ansioso e chiedevo: «Signore, ma dove mi stai portando?». Egli si limitava a sorridere e non rispondeva. Tuttavia, non so come, cominciai a fidarmi. Presto dimenticai la mia vita noiosa ed entrai nell'avventura, e quando dicevo: «Signore, ho paura...», lui si sporgeva indietro, mi toccava la mano e subito una immensa serenità si sostituiva alla paura. Mi portò da gente con doni di cui avevo bisogno; doni di guarigione, accettazione e gioia. Mi diedero i loro doni da portare con me lungo il viaggio. Il nostro viaggio, vale a dire, di Dio e mio. E ripartimmo. Mi disse: «Dai via i regali, sono bagagli in più, troppo peso». Così li regalai a persone che incontrammo, e trovai che nel regalare ero io a ricevere, e il nostro fardello era comunque leggero. Dapprima non mi fidavo di lui, al comando della mia vita. Pensavo che l'avrebbe condotta al disastro. Ma lui conosceva i segreti della bicicletta, sapeva come farla inclinare per affrontare gli angoli stretti, saltare per superare luoghi pieni di rocce, volare per abbreviare passaggi paurosi. E io sto imparando a star zitto e pedalare nei luoghi più strani, e comincio a godermi il panorama e la brezza fresca sul volto con il delizioso compagno di viaggio, la mia potenza superiore. E quando sono certo di non farcela più ad andare avanti, lui si limita a sorridere e dice: «Non ti preoccupare, guido io, tu pedala!»".

affidamentoaffidarsi a Diofiducia in Diofedeabbandonofiducia

4.5/5 (6 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

52. L'asinello che portò Gesù   3

Mariolina Puddu

In un campo pascolavano un'asina con il suo puledro. Era stato svezzato da poco e talvolta, quando si metteva nei guai, cercava ancora il conforto della sua mamma.

Il suo nome era Lollo e aveva grandi orecchie appuntite e occhioni scuri, intelligenti e furbi. Come tutti i cuccioli era birbaccione, chiassoso, prepotente. Appena poteva si allontanava verso i confini del campo cercando di sconfinare e, quando il padrone andava a riprenderlo, puntava le zampe sul terreno e non c'era modo di smuoverlo. Bisognava trascinarlo e quanto erano acuti i suoi ragli di protesta! Il padrone ancora non si decideva a metterlo al lavoro: era talmente giovane e testone!

Una bella mattina di primavera giungono nel campo degli uomini, parlottano un po' col padrone e poi cominciano a guardare verso Lollo. Erano venuti infatti a fare una richiesta curiosa che riguardava proprio lui. Questi uomini erano servi di un tale, un certo Nazareno e, mandati da questo, volevano in prestito proprio Lollo. Serviva al loro Maestro per entrare in Gerusalemme.

Il padrone era perplesso: "Macché Lollo! Per il vostro Maestro ci vuole un cavallo. Io non ce l'ho, ma il mio vicino è un soldato e certamente sarà contento di prestarvi il suo bel cavallo bianco".

Ma quelli insistevano, si erano proprio fissati! Volevano un asino che fosse giovane che non avesse mai lavorato. "E' il Maestro che lo chiede - dicevano - ma non temere te lo restituiremo".

Il padrone alzava gli occhi al cielo: "Ma allora proprio non capite, quest'asino non è adatto! E' prepotente, testone e farà fare a me e al vostro Maestro una brutta figura. E' capace di fermarsi in mezzo alla strada e di non voler più camminare, se gli gira, incomincia a ragliare così forte e non la finisce più, e poi, morde!".

E i servi a lui: "Così come è, lo vuole il Maestro, e Lui non sbaglia! Se ha chiesto quest'asino avrà i suoi buoni motivi!". Il padrone allora, avvilito, prende un pezzo di corda, lo butta intorno al collo di Lollo e lo consegna ai servi. Lollo è troppo interessato alla faccenda per pensare a fare i capricci, e docile si lascia legare e condurre fuori del campo.

Fatta poca strada arrivano a un bivio, poco fuori Gerusalemme. Ci sono uomini, donne e anche bambini che attorniano un giovane uomo. I servi dirigono proprio verso di Lui: "Ecco, Maestro, questo è l'asino che avevi chiesto". Il Maestro si volta, si avvicina a Lollo, allunga una mano, lo accarezza sulla testa e lo guarda. Anche Lollo alza gli occhi verso questo bizzarro Maestro che ha voluto a tutti i costi averlo come cavalcatura, e i suoi occhi si immergono nello sguardo del Maestro: "Mai nessuno mi aveva guardato così" - dirà poi Lollo - "neanche la mia mamma". E' come se con un solo sguardo il Maestro mi dicesse: "Non temere, va bene così. Sì sei un po' un brigante, ma ce la puoi fare. Io mi fido di te e ti voglio bene! Coraggio! Cominciamo questo viaggio, sarai tu a portarmi a Gerusalemme".

Lollo sente come un fuoco dentro il suo cuore, è contento e un po' ha voglia di piangere, senza motivo... Mansueto si lascia mettere un mantello rosso sulla groppa, si lascia montare dal Maestro e, lentamente, incominciano il loro viaggio verso Gerusalemme. Via via che si avvicinano alla città la gente diventa più numerosa. Stendono per terra dei mantelli rossi, hanno in mano dei rami di palma e di ulivo, li agitano e gridano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell'alto dei cieli!".

Lollo si sente davvero un asinello importante... Tutti fanno festa alla persona che lui sta portando in groppa, bardato con quel bel manto rosso! Anche i bambini fanno festa e alcune bambine portano dei fiori.

Ad un tratto una voce si leva dalla folla e chiede: "Chi è quest'uomo?".
Qualcuno risponde: "E' Gesù, da Nazareth di Galilea!".
"Che cosa ha fatto?".
"Io sono vedova, Gesù ha risuscitato il mio unico figlio. Eccolo!".
"Io ero muto per colpa di un demonio e Gesù mi ha liberato".
"Io avevo questa mano come morta e lui mi ha detto: Stendila! E la mia mano è tornata come nuova! Ha fatto bene ogni cosa!".

Lollo ascolta tutto quello che la gente dice sull'uomo che sta accompagnando a Gerusalemme. "Ora capisco perché alcuni chiamano Gesù il Signore!". La folla è al colmo della gioia e della festa. Gesù è pronto per entrare nel tempio. Prima di allontanarsi, con la mano sfiora lentamente il muso dell'asinello. Gesù e Lollo si guardano per un lungo istante.

Gesù capisce ciò che l'asinello gli vuol dire:
"Grazie Signore di avermi cercato.
Tu hai avuto bisogno di me e hai avuto fiducia in me!
D'ora in poi, anche se non credo che riuscirò ad essere sempre bravo, voglio provare ad essere come tu mi vedi.
Forse scalcerò ancora e certamente raglierò ogni tanto ma non potrò mai dimenticare che hai avuto fiducia in me.
Grazie Gesù, anche io ti voglio bene".

domenica delle palmefiduciasguardo di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Mariolina Puddu, inserito il 25/03/2010

TESTO

53. La preghiera dell'asino di Betlemme   1

Ivan Bodrozic

Signore,
credo d'averti già molestato troppo
chiedendoti di liberarmi da questa stupida vita d'asino
di un piccolo paese ai margini della Palestina.
Quante volte mi è venuto il desiderio di diventare feroce o velenoso
come tante altre bestie,
giusto per obbligare gli uomini ad essere più accorti nei miei confronti,
ma non te ne sei curato.
Con testarda tenacia ho nutrito il desiderio di libertà,
ma non mi è stato possibile fuggire da questo carico,
sempre meno sopportabile;
non mi stato possibile fuggire dal peso
che gli altri hanno caricato sulle mie spalle,
senza chiedermi nulla, né consenso né permesso,
incuranti delle mie ginocchia traballanti.
Ti ho supplicato di allontanare almeno la verga del mio aguzzino,
che batteva la mia schiena ad ogni tentativo di alzare la testa.
Non sapevo neanche com'è il sole di cui sentivo il calore sulle spalle!
Sconosciuta era per me la bellezza della luna e delle stelle
che di notte rischiarano le vie.
Comunque grazie! Per quella notte di grazia.
Doveva essere gravosa e buia come tutte le altre,
invece ha cambiato il contenuto dei miei pensieri,
il corso della mia vita.
L'uomo e la donna che hai mandato nella mia stalla,
non sono venuti né con la forza né con il bastone,
non fremevano né minacciavano.
Sono entrati piano, umilmente e modestamente.
E allora nell'attimo più buio della notte,
ho visto il Sole in persona.
Quella luce e quel calore verso i quali ho anelato tutta la vita.
A notte fonda, attorno al Bambino adagiato sulla greppia
è risuonato un canto:
"Astro del ciel, Pargol divin, mite Agnello Redentor!".
In un istante ho sentito di non valere meno degli angeli.
Davanti a me e davanti a loro si trovava lo stesso mistero.
Non da meno era la mia meraviglia di fronte al miracolo avvenuto!
Proprio quando mi sono inginocchiato davanti a questo Mistero,
hai reso salde le mie ginocchia vacillanti,
con la forza che lui emanava hai dato fermezza alle mie membra.
Grazie Signore,
perché mi hai liberato a modo tuo e non come io ti ho chiesto.
Non mi hai dato una vita lunga, però me l'hai riempita di senso.
Non hai maledetto le tenebre che mi avvolgevano,
però mi hai mostrato la luce.
Quando non ho potuto né saputo alzare la testa,
tu ti sei chinato davanti a me per mostrarti.
Non hai tolto la croce dalle mie spalle,
mi hai insegnato come portarla.
Sono diventato orgoglioso di me imparando
che è virtuoso portare i pesi degli altri.
Mi hai aperto la porta della conoscenza
quando mi hai persuaso che il tuo giogo è dolce,
il carico leggero.
Ora lo sai perché ho accettato con gioia l'ulteriore peso,
perché mi sono offerto per il viaggio in Egitto,
nonostante gli sforzi e i pericoli.
Grazie,
perché hai scelto me e la mia misera specie per servire la Sacra Famiglia.
Una sola cosa mi ha messo in imbarazzo: quando mi hanno cambiato il nome,
ma ora so che il mio nome era proprio quello,
e sono fiero di essere chiamato Cristoforo,
portatore di Cristo.

serviziosenso della vitaumiltà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Antonella Fontana, inserito il 08/12/2009

RACCONTO

54. Una nuvoletta in viaggio   2

In un giorno d'Autunno, il Vento soffiava dispettoso facendo volare le foglie. Una piccola Nuvoletta che stava passeggiando lì vicino, gli disse: "Ciao Vento, posso giocare con te?". Il Vento allora chiese: "Cosa potresti fare? Sai soffiare?". La nuvoletta ci provò: "...fff... fff... no non sono capace", disse sconsolata. Allora il Vento le rispose: "Tu non sei capace di soffiare come me, vattene via!". E la Nuvoletta se ne andò triste.

Più avanti incontrò l'Estate e il Sole splendeva luminoso nel cielo. Allora si avvicinò e disse: "Ciao Sole, posso giocare con te?". Ma il Sole seccato le rispose: "Non vedi che ti sei messa troppo vicina a me? Mi stai oscurando! Vattene via, tu non sei capace di splendere come me e nemmeno di creare calore!". E la Nuvoletta se ne andò sempre più triste.

Poco più in là c'era l'Inverno e la neve cadeva leggera, così la Nuvoletta si fermò e chiese: "Ciao Neve, posso giocare con te?". La Neve la squadrò dalla testa ai piedi e sussurrò: "Ma tu sei capace di far nevicare?". La nuvoletta ci provò e si sforzò talmente tanto che da grigia divenne nera, ma di Neve niente. "No, non credo di esserne capace", brontolò la nuvoletta emettendo un tuono. "Shhh!", la zittì la Neve, "allora non puoi aiutarmi. Io cado silenziosa, tu sei troppo rumorosa! Tu non sei capace di cadere leggera e coprire il paesaggio come me, vattene via!". E la Nuvoletta se ne andò ancora più triste.

Ormai era sconsolata, quando trovò la Primavera e sentì qualcuno piangere. Si chinò e vide un piccolo Fiorellino che singhiozzava disperato, allora si avvicinò e gli chiese il perché di tanta tristezza. E il Fiorellino rispose: "Ho sete, sto per morire, puoi aiutarmi?". "Non lo so, io non so fare quasi niente.., non so soffiare come il vento, non so splendere come il sole, non so cadere leggera come la neve, e nessuno mi vuole...". Così dicendo la Nuvoletta si mise a piangere e le sue lacrime diventarono tante gocce di pioggia, che dissetarono il Fiorellino. Da quel giorno la Nuvoletta e il Fiorellino diventarono molto amici e capirono di aver bisogno l'uno dell'altra per essere felici.

amiciziadiversitàreciprocità

3.7/5 (3 voti)

inviato da Caterina, inserito il 08/12/2009

TESTO

55. Prossimo

Don Ricciotti Saurino, Canne d'organo

Eppure ero convinto di essere proprio così, mentre leggevo sul display del salumiere il numero precedente al mio, e mi dicevo: "Sono il prossimo!" Anche l'infermiera della sala di attesa del dottore, con aria soddisfatta mi ha detto qualche volta: "Lei è il prossimo!" Perfino negli uffici pubblici all'invito "avanti il prossimo" mi hanno riconosciuto come tale.

Ora in chiesa, dove siamo tutti fratelli, mi sento decisamente rispedito in coda alla fila.

A nulla vale esibire il biglietto con il numero alto di frequenze, essere arrivato in anticipo ad ogni suono di campana, dimostrare di aver occupato per trenta anni il solito posto, portare la testimonianza delle persone alle quali ho stretto la mano migliaia di volte al segno della pace. Mi sento dire: "Non sei prossimo!"

Grido all'ingiustizia e preferisco la fila dal salumiere e quella nella sala di attesa dove è riconosciuto il mio diritto.

Oso chiedere qualche chiarimento e qualcuno mi dice che i numeri progressivi sono stati aboliti da tempo e le unità di misura tradizionali, in metri e centimetri, non erano affidabili e precisi per tale valutazione.

Come al solito - penso - la simpatia e l'arbitrio di qualcuno dichiara volta per volta chi è il prossimo.

Avrei dovuto scegliermi un valido compagno di viaggio e stargli vicino. Forse una persona in vista o forse proprio il sacerdote, ma mi dicono che anche questo sistema non garantisce nulla, neppure la vicinanza fisica ti assicura la "prossimità" evangelica.

Eppure i nuovi banchi della chiesa splendono grazie al mio olio, l'organo suona una musica esaltata dal mio vino e persino la vetrata raffigurante il buon samaritano si è realizzata per il pronto intervento della mia borsa. Dove arrivo io si capovolgono le cose, difatti ho sentito dire con ironia che semmai posso ritenermi prossimo alla canna d'organo, al banco o alla vetrata.

Che disdetta, in una chiesa affollata sono prossimo alla canna dell'organo, equidistante dalle altre, sempre presente e indipendente... Ma io voglio essere prossimo di qualcuno, perché a costui sarà affidata l'ultima arringa in mio favore davanti al trono di Dio!

Ho sbirciato sul foglietto della domenica che bisogna prendersi cura, portare a cuore una persona, se vuoi essere prossimo.

Mi sono girato intorno per vedere se ci fosse qualcuno che ho preso a cuore. Ho scrutato tutti i volti presenti, ma, tranne qualche simpatia, non ne ho trovato uno del quale mi sarei preso cura.

Con la mente ho vagato all'esterno della Chiesa, sono entrato nelle case di persone amiche e non ho trovato uno per il quale fossi disposto a pagare di persona. Ho fatto restaurare le canne dell'organo, ma non ho trovato una persona alla quale avrei restaurato la vita.

In verità occasioni non sono mancate, ma sinceramente... una volta ho ritenuto non fosse mia competenza, un'altra non ne valeva la pena, un'altra ancora non era il momento, e poi... non se lo meritava, pensavo che mentisse, se fosse stato un altro... e così ho dribblato coraggiosamente fino ad oggi.

Ora bisogna che mi dia da fare, - mi sono detto - e ho scelto un gruppo di volontari che non restaurano chiese, ma persone. Anche tra questi è stata forte la tentazione di farlo per vantarmene con gli amici, con i colleghi e qualche volta mi è sorto il dubbio se lo facessi per me stesso o perché veramente portavo a cuore il bisogno dell'altro.

Ho cominciato ad amarlo disinteressatamente, profondendo non solo le mie energie, ma anche le mie risorse e solo allora ho capito di essere prossimo quando non sono più riuscito a misurare la distanza, perché più che vicino alle mie braccia, era vicino al mio cuore. E' proprio vero che l'unità di misura della vicinanza del prossimo non è il metro: non posso misurare ciò che fa parte della mia vita, ciò che è dentro il mio cuore.

Ho scoperto anche che si può essere prossimo del lontano e senza mai averlo conosciuto: ho seguito un missionario, un seminarista. Se ogni cristiano avesse il suo prossimo staremmo meglio tutti, uniti da una catena di solidarietà.

Voglio farmi prossimo a qualcuno e ciò mi basta, se poi qualcuno vuole avermi a cuore, la cosa non può che farmi piacere.

Ho deciso, non restauro più canne d'organo, è meglio restaurare il mantice che le fa vivere, vibrare e suonare.

prossimosolidarietàvicinanza

inserito il 06/12/2009

TESTO

56. Confessio Fidei - Narratio amoris   1

Bruno Forte, Confessare la fede narrando l'Amore

Una confessione di fede cristiana non è altro che la «sanctae Trinitatis relata narratio» (Concilio XI di Toledo: DS 528): il racconto dell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, cui abbiamo creduto sulla parola dei testimoni delle nostre origini, trasmessa nella vivente tradizione ecclesiale («relata narratio»). Chi confessa la fede, parla di Dio raccontando l'Amore, così come si è rivelato nell'evento trinitario di Pasqua:

Credo in te, Padre,
Dio di Gesù Cristo,
Dio dei nostri Padri e nostro Dio:
tu, che tanto hai amato il mondo
da non risparmiare
il tuo Figlio Unigenito
e da consegnarlo per i peccatori,
sei il Dio, che è Amore.
Tu sei il Principio senza principio dell'Amore,
tu che ami nella pura gratuità,
per la gioia irradiante di amare.
Tu sei l'Amore che eternamente inizia,
la sorgente eterna da cui scaturisce
ogni dono perfetto.
Ti ci hai fatti per te,
imprimendo in noi la nostalgia del tuo Amore,
e contagiandoci la tua carità
per dare pace al nostro cuore inquieto.

Credo in te, Signore Gesù Cristo,
Figlio eternamente amato,
mandato nel mondo per riconciliare
i peccatori col Padre.
Tu sei la pura accoglienza dell'Amore,
Tu che ami nella gratitudine infinita,
e ci insegni che anche il ricevere è divino,
e il lasciarsi amare non meno divino
che l'amare.
Tu sei la Parola eterna uscita dal Silenzio
nel dialogo senza fine dell'Amore,
l'Amato che tutto riceve e tutto dona.
I giorni della tua carne,
totalmente vissuti in obbedienza al Padre,
il silenzio di Nazareth, la primavera di Galilea,
il viaggio a Gerusalemme,
la storia della passione,
la vita nuova della Pasqua di Resurrezione,
ci contagiano il grazie dell'amore,
e fanno di noi, nella sequela di te,
coloro che hanno creduto all'Amore,
e vivono nell'attesa della Tua venuta.

Credo in te, Spirito Santo,
Signore e datore di vita,
che ti libravi sulle acque
della prima creazione,
e scendesti sulla Vergine accogliente
e sulle acque della nuova creazione.
Tu sei il vincolo della carità eterna,
l'unità e la pace
dell'Amato e dell'Amante,
nel dialogo eterno dell'Amore.
Tu sei l'estasi e il dono di Dio,
Colui in cui l'amore infinito
si apre nella libertà
per suscitare e contagiare
amore.
La tua presenza ci fa Chiesa,
popolo della carità,
unità che è segno e profezia
per l'unità del mondo.
Tu ci fai Chiesa della libertà,
aperti al nuovo
e attenti alla meravigliosa varietà
da te suscitata nell'amore.
Tu sei in noi ardente speranza,
tu che unisci il tempo e l'eterno,
la Chiesa pellegrina e la Chiesa celeste,
tu che apri il cuore di Dio
all'accoglienza dei senza Dio,
e il cuore di noi, poveri e peccatori,
al dono dell'Amore, che non conosce tramonto.
In te ci è data l'acqua della vita,
in te il pane del cielo,
in te il perdono dei peccati
in te ci è anticipata e promessa
la gioia del secolo a venire.

Credo in te, unico Dio d'Amore,
eterno Amante, eterno Amato,
eterna unità e libertà dell'Amore.
In te vivo e riposo,
donandoti il mio cuore,
e chiedendoti di nascondermi in te
e di abitare in me.
Amen!

credoDioamore di DiofedePadreFiglioSpirito Santo

4.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2009

PREGHIERA

57. Preghiera a Maria per i sacerdoti   1

Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, donna dell'Ascolto e del Servizio, a te ci rivolgiamo per preparare con la nostra preghiera l'anno dedicato alla santificazione dei sacerdoti.

Ti affidiamo ciascuno di loro, come Gesù sulla croce ti ha affidato il discepolo Giovanni. Ti chiediamo di accompagnarli con la tua bontà materna, perché ogni giorno ripetano il loro "sì" a Dio, come tu stessa hai fatto a Nazaret e in tutta la tua vita, fin sotto la croce e oltre.

Tu eri presente con gli apostoli nel cenacolo e con loro hai invocato e poi accolto il dono dello Spirito, che li ha resi coraggiosi testimoni del tuo Figlio, crocifisso e risorto, e li ha sostenuti nell'annunciare il Vangelo ad ogni creatura. Tu stessa li hai accompagnati con la tua preghiera, e la tenerezza di Madre.

Accompagna anche i nostri sacerdoti, soprattutto quando intraprendono strade nuove e non facili per annunciare anche nel nostro tempo la bellezza dell'amore del Padre. Aiutali ad essere autentici e fedeli, generosi e misericordiosi, puri di cuore e solleciti verso ogni persona.

Sostienili nelle giornate difficili, e aiutali a rialzarsi quando sperimentano la debolezza della loro risposta.

Fa' che siano attenti ascoltatori della Parola del tuo Figlio e annunciatori instancabili di questo tesoro che il Cristo ha affidato alla Chiesa perché sia seme gettato nei solchi dell'umanità.

Sostieni chi fatica ad essere fedele, e dona la consolazione che aiuta a superare i momenti difficili. Invoca con loro e per loro lo Spirito perché siano servitori della comunità sull'esempio e con la forza del Figlio tuo, che si è fatto servo per amore e ha indicato nel servizio uno dei modi per renderlo presente e vivo in mezzo ai suoi.

Aiutali a spezzare per tutti il Pane della Parola e dell'Eucaristia e ad essere compagni di viaggio per tutti coloro che cercano nel Vangelo la risposta alle tante domande della vita, il sollievo alle tante sofferenze che spesso ci rendono tristi.

Accompagnali tutti con il tuo amore di Madre; o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!

mariasacerdotisacerdoziopretipresbiteri

1.0/5 (1 voto)

inviato da Don Remigio Menegatti, inserito il 19/06/2009

TESTO

58. L'amore non è già fatto, si fa   4

Michel Quoist

Non è un vestito già confezionato,
ma stoffa da tagliare, preparare e cucire.
Non è un appartamento chiavi in mano,
ma una casa da concepire, costruire, conservare e, spesso, riparare.
Non è una vetta conquistata,
ma scalate appassionanti e cadute dolorose.
Non è un solido ancoraggio nel porto della felicità,
ma è un levar l'ancora, è un viaggio in pieno mare.
Non è un sì trionfale che si segna fra i sorrisi e gli applausi,
ma è una moltitudine di "sì" che punteggiano la vita,
tra una moltitudine di "no" che si cancellano strada facendo.
Non è l'apparizione improvvisa di una nuova vita,
perfetta fin dalla nascita,
ma sgorgare di sorgente e lungo tragitto di fiume
dai molteplici meandri, qualche volte in secca,
altre volte traboccante,
ma sempre in cammino verso il mare infinito.

amoresposimatrimoniocoppiafamiglia

4.8/5 (5 voti)

inviato da Stefano Foschi, inserito il 12/06/2009

TESTO

59. Qualcuno muore

Qualcuno muore,
è come se dei passi si arrestassero...
E se invece fosse una partenza per un altro viaggio?
Qualcuno muore,
è come un albero che viene abbattuto...
E se invece fosse un seme che germoglia in una terra nuova?
Qualcuno muore,
è come una porta che si chiude...
E se invece si trattasse di un varco che si apre su nuovi orizzonti?
Qualcuno muore,
ed è come un coperchio di silenzio...
E se invece ci permettesse di ascoltare la fragile musica di una vita che nasce?

morteeternitàvita eternaparadisosperanzafedefuneralerinascita

5.0/5 (1 voto)

inviato da Rina Monteverdi, inserito il 11/06/2009

PREGHIERA

60. Ed eccoti...

Paolino Iorio

Maria è il tuo nome,
tu una ragazza,
vergine di Nazareth,
ti immagino così:
una adolescente
dai capelli neri
e dagli occhi neri,
vivaci e penetranti,
e con un viso delicato.
Ma ancora più bella
la tua umiltà
e il tuo cuore semplice,
ecco perché un giorno
dicesti si
ad un Messaggero,
che forse mentre cucivi,
nel silenzio della tua casa,
ti sorprese
con quella notizia bella
ma sconvolgente:
essere la mamma di Gesù.
E ti sei fidata
dicendo: Eccomi,
e così hai cambiato tutto,
la mia vita,
la vita dell'umanità,
e ci hai donato la gioia,
quella che dura per sempre:
il Verbo si è fatto carne.
Ed eccoti in viaggio
per il censimento
e durante il viaggio
i dolori del parto,
nessuno ti accolse
forse perché
il Salvatore nostro
voleva nascere povero,
in una mangiatoia,
a Betlemme,
perché noi fossimo ricchi
ma solo di lui.
Ed eccoti lì,
con Gesù bambino
nelle tue braccia,
vicino a San Giuseppe,
tra un bue e un asinello,
che vi riscaldano
in quella notte gelida
del Natale,
mentre guardi stupita
i pastori che vengono
ad adorare il tuo Figlio.
Ed eccoti a Nazareth,
mentre allevi Gesù:
mentre giochi con lui
e poi ti occupi della casa:
pensi a cucinare,
a fare il bucato,
ad essere una buona
madre e moglie.
Ed eccoti a Gerusalemme
e mentre sei lì
non trovi Gesù,
che spavento ti sarai presa,
mentre lo cercavi,
e che sollievo
quando lo trovasti
nel tempio,
in mezzo ai dottori.
Ed eccoti a Cana,
con la tua sensibilità femminile,
capisci che manca il vino
e lo dici a Gesù,
e così che accade
il primo segno
del Regno di Dio tra noi:
l'acqua diventa vino.
Ed eccoti
ai piedi della croce,
piena di dolore,
insieme a Giovanni
e Gesù ti dice:
"Donna ecco tuo figlio,
figlio ecco tua Madre";
così sei diventata
la nostra Mamma
e noi ti abbiamo accolto
nella nostra vita.
Ed eccoti lì,
quando hai incontrato
il tuo Figlio Risorto
e gioiosa lo hai abbracciato,
mentre sapevi che noi figli
eravamo salvi ormai.
Ed eccoti in preghiera
con i discepoli
a Pentecoste,
mentre nasce la Chiesa
dal soffio dell'Amore.
Ed eccoti innalzata
accanto al tuo Figlio
che ti porta con se
nella Gloria,
e preghi per noi.
Ed eccoti qua,
mentre cammini con noi,
per le strade del mondo,
e ci prendi per mano
perché siamo figli deboli
che hanno bisogno
della loro Mamma.

mariamadonnapreghierapentecostefamiglia

inviato da Paola Pacchiano, inserito il 29/05/2009

RACCONTO

61. Storia di un pezzo di pane   1

don Angelo Saporiti

Quando l'anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l'eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all'angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo. Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò:

Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando. Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?

Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi. E quando l'amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata. "La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo", pensò il dottore.

La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata.

La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo. "Se questo pane c'è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l'ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi", disse il dottore. "Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. È un pane santo!".

Chi lo sa quante volte l'anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!.

I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa. Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita. Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo, lo aveva spezzato per amore.

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3.3/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 17/05/2009

TESTO

62. Dalla testa ai piedi   2

Tonino Bello

Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi.

Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.

Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all'acqua, più che alle parole. Non c'è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un "linguaggio a lunga conservazione".

È difficile, per esempio, sottrarsi all'urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un'autentica martellata quel richiamo all'unica cosa che conta: "Convertiti e credi al Vangelo". Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d'ulivo benedetti nell'ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all'impegno per la pace, all'accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione. Quello "shampoo alla cenere", comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell'acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l'abbiamo "udita con gli occhi", pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l'offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.

Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.

Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell'attesa di Cristo? "Una tantum" per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni!

Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.

La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l'ardore, mettiamoci alla ricerca dell'acqua da versare... sui piedi degli altri.

Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.

Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.
Un grande augurio.

mercoledì delle ceneriquaresimapentimentoserviziopenitenzaGiovedì Santolavanda dei piedi

4.7/5 (3 voti)

inviato da Sandra Aral, inserito il 05/02/2008

TESTO

63. Maria donna in cammino   1

Tonino Bello, Nigrizia, novembre 1990, p. 53

Se i personaggi del vangelo avessero avuto una specie di contachilometri incorporato, penso che la classifica dei più infaticabili camminatori l'avrebbe vinta Maria. Gesù a parte, naturalmente. Ma si sa, egli si era identificato a tal punto con la strada, che un giorno ai discepoli invitati a mettersi alla sua sequela confidò addirittura: «Io sono la via». La via. Non un viandante!

Siccome allora Gesù è fuori concorso, a capeggiare la graduatoria delle peregrinazioni evangeliche è lei: Maria. La troviamo sempre in cammino, da un punto all'altro della Palestina, con uno sconfinamento anche all'estero. Viaggio di andata e ritorno da Nazaret verso i monti di Giuda, per trovare la cugina. Viaggio fino a Betlem. Di qui a Gerusalemme, per la presentazione al tempio.

Espatrio clandestino in Egitto. Ritorno guardingo in Giudea e poi di nuovo a Nazaret. Finalmente, sui sentieri del Calvario, ai piedi della Croce, dove la meraviglia espressa da Giovanni con la parola stabat, più che la pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime l'immobilità statuaria di chi attende sul podio il premio della vittoria.

Icona del camminare, la troviamo seduta solo al banchetto del primo miracolo. Seduta, ma non ferma. Non sa rimanersene quieta. Non corre col corpo, ma precorre con l'anima. E se non va lei verso l'ora di Gesù, fa venire quell'ora verso di lei, spostandone indietro le lancette, finché la gioia pasquale non irrompe sulla mensa degli uomini.

Sempre in cammino. E per giunta in salita. Da quando si mise in viaggio verso la montagna, fino al giorno del Golgota, anzi fino al crepuscolo dell'Ascensione, quando salì anche lei con gli apostoli «al piano superiore» in attesa dello Spirito, i suoi passi sono sempre scanditi dall'affanno delle alture.

Avrà fatto anche discese, e Giovanni ne ricorda una quando dice che Gesù, dopo le nozze di Cana, discese a Cafarnao insieme con sua madre. Ma l'insistenza con cui il Vangelo accompagna con il verbo "salire" i suoi viaggi a Gerusalemme, più che alludere all'ansimare del petto o al gonfiore dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta la fatica di un esigente itinerario spirituale.

Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate, ma non abbiamo traguardi. Siamo pellegrini come te, ma senza santuari verso cui andare. Camminiamo sull'asfalto, e il bitume cancella le nostre orme. Forzati del camminare, ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che dia senso alle nostre itinerante.

E con tutti i raccordi anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita non si raccorda con nessun svincolo costruttivo, le ruote girano a vuoto sugli anelli dell'assurdo, e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami.

Santa Maria, donna della strada, fa' che i nostri sentieri siano, come lo furono i tuoi, strumenti di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine. Liberaci dall'ansia della metropoli e donaci l'impazienza di Dio. L'impazienza di Dio ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di strada. L'ansia della metropoli, invece, ci rende specialisti del sorpasso. Ci fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a noi.

Santa Maria, donna della strada, segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio, facci capire come, più che sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia le carovaniere dei nostri pellegrinaggi.

È su questi itinerari che crescerà la nostra fede. Prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il filo dei giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell'aria.

Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell'effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine di turisti senza meta.

Se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, Samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa valle di lacrime, in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi verso i monti da dove verrà l'aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà l'esultanza del magnificat.

Come avvenne in quella lontana primavera, sulle alture della Giudea, quando ci salisti tu.

stradacamminomariamadonnapellegrinaggio

5.0/5 (1 voto)

inserito il 11/01/2008

RACCONTO

64. Quando le croci sono troppe

Giovanni Francile

Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime. Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un crocifisso, se ne lamentò con il signore così:

"Ah, signore, io ho imparato nel catechismo che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti... Ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci! Me ne hai date tante e così pesanti che io non ho più forza per portarle...".

Il Signore però gli disse: "ieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco... Ecco, questa è la croce più grossa e la più pesante; guarda cosa c' è scritto sopra...".
Quell'uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.

"Lo vedi?", disse il Signore, "questa croce non te l'ho data io, ma te la sei fabbricata da solo. Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, di golosità, di divertimenti... E di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi".

"Purtroppo è vero, soggiunse l'uomo, questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.

Il Signore continuò: "Guarda quest' altra croce. C'è scritto sopra: ambizione. Anche questa l'hai fabbricata tu, non te l'ho data io. Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri... E di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni".

"E' vero, è vero! Anche questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella seconda croce e se la mise sulle spalle.

Il Signore additò altre croci, e disse: "Leggi. Su questa è scritto gelosia, su quell'altra: avarizia, su quest'altra...".

"Ho capito, ho capito Signore, è troppo giusto quello che tu dici...".

E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se le era poste sulle spalle.

Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l'uomo la sollevò per porsela sulle spalle, esclamò:

"Oh! Come è piccola questa! E pesa poco!". Guardò quello che c'era scritto sopra e lesse queste parole: "La croce di Gesù".

Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò: "Quanto sei buono!". Poi baciò quella croce con grande affetto.

E il Signore gli disse: "Vedi, figlio mio, questa piccola croce te l'ho data io, ma te l'ho data con amore di padre; te l'ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l'ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al cielo, perché io l'ho detto: 'Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua...', ma ho detto anche: 'il mio giogo è soave e il mio peso è leggerò".

L'uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.

Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l'altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù.

Questa se la tenne stretta al cuore fino all'ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del paradiso.

crocedifficoltàviziegoismoconversionecroci

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cosimo Di Lella, inserito il 15/11/2007

TESTO

65. L'alfabeto di Dio   3

Gianni Fanzolato

A - Anche se non sei corrisposto, ama lo stesso, mi assomiglierai.
B - Benedici sempre, perché tu sei una benedizione di Dio.
C - Chiamami Padre, solo così potrai chiamare tutti gli altri fratelli.
D - Dona con gioia. I musi lunghi sono figli delle tenebre.
E - Esci dal guscio del tuo egoismo: troverai un mondo che ti aspetta.
F - Fa della tua vita una sinfonia di gioia; darai frutti saporiti.
G - Gira l'ago della tua calamita sempre dove ti porta il cuore: sempre e solo a Dio.
H - Hai un dono straordinario, per cui mi assomigli: l'amore; sfruttalo con gioia.
I - Intorno a te c'è tanta morte, odio e tenebre; ma tu sii sole che illumina e riscalda.
L - La terra non è la tua patria. Sei di terra, ma hai la mia vita: guarda allora in alto.
M - Metti la tua vita nel cuore di mio Figlio e di Maria: sarai dono d'amore.
N - Non permettere che il maligno deturpi la tua libertà. Aggrappati a me e sarai libero.
O - Odia il peccato, ma ama il peccatore: impara a perdonare e ama chi sbaglia, lo conquisterai.
P - Porta la pace di Dio col tuo sorriso: c'è bisogno di un raggio di sole e luce negli occhi.
Q - Quadro stupendo ti ho dipinto col sangue dell'Agnello; sei il mio capolavoro.
R - Resta un po' con me, figlio, quando si fa sera: io ti guardo e tu mi guardi ed è pace.
S - Senza il tuo mattone, la costruzione è vuota. Sii strumento docile nelle mie mani.
T - Tutto ho messo nelle tue mani, sei il signore della natura: conservala senza macchia.
U - Unisci cuore e mente: con la mente progetti, ma è col cuore che salvi e realizzi.
V - Vuoi essere felice? Sgombra tutto ciò che ti impedisce di volare e sciogli le vele.
Z - Zaino di eucaristia, preghiera e servizio sarà il tuo compagno di viaggio: farai miracoli.

vitarapporto con Dioservizioimpegnoresponsabilitàvocazione

3.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Gianni Fanzolato, inserito il 24/10/2007

TESTO

66. Il Matrimonio cristiano   1

A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 36

Ricordati, figliuolo, la Chiesa ti dà questa compagna, non per procurarti una consolazione temporale e mondana, la quale, se anche potesse essere intera, e senza mistura d'alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di lasciarvi; ma lo fa per avviarvi tutt'e due sulla strada della consolazione che non avrà fine. Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero di dovervi un giorno lasciare, e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che vi ha condotto al matrimonio non per mezzo di allegrie turbolente e passeggere, ma cò travagli e tra le miserie umane, per disporvi a una gioia raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figlioli, pensate ad allevarli per Lui, di instillare loro l'amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto.

matrimonioamorefedeltàfiglieducazionecoppiafamigliavita eternaparadiso

5.0/5 (1 voto)

inviato da PLB, inserito il 20/08/2007

PREGHIERA

67. Il sì della mia risposta   1

Angelo Comastri, Arcivescovo di Loreto

Vergine Immacolata,
prendi il sì della mia risposta
alla chiamata dei Signore
e custodiscilo dentro il tuo sì,
meravigliosamente fedele.
Donami la gioia e la speranza
che trasmettesti ad Elisabetta
entrando nella sua povera casa.
Fa' che la passione di salvare
mi renda missionario infaticabile,
povero di mezzi e di cose,
puro e trasparente nei sentimenti,
totalmente libero
per donarmi veramente agli altri.
Rendimi umile e obbediente fino alla Croce
per essere una cosa sola con Gesù,
Dio disceso dal cielo per salvarmi.
O Maria, affido a te tutte le persone
che ho incontrato e che incontrerò
nel viaggio della fede:
illuminaci il cammino,
riscaldaci il cuore,
portaci alla casa e alla festa dell'Amore
che non avrà mai fine.
Amen.

MariaMadonnamissionarietàvocazioneimmacolata

inviato da Qumran2, inserito il 25/10/2006

TESTO

68. Un sacco di virtù, un sacco di difetti   3

Paulo Coelho

In Gilberto de Nucci c'è una eccellente immagine riguardo al nostro comportamento. Secondo lui, gli uomini camminano sulla superficie della terra in fila indiana, ciascuno trasportando un sacco davanti e un altro dietro.

Nel sacco davanti, noi mettiamo le nostre qualità. Nel sacco di dietro, serbiamo tutti i nostri difetti.

Perciò, durante il viaggio della vita, teniamo gli occhi fissi sulle virtù che possediamo, legate al nostro petto. Nello stesso tempo, notiamo impietosamente, sulle spalle del compagno che ci sta davanti, tutti i difetti che egli possiede.

E ci riteniamo migliori di lui - senza capire che chi ci segue sta pensando la stessa cosa di noi.

giudicarenon giudicaredifettipregiqualitàpettegolezzigiudizi

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 10/09/2006

TESTO

69. Cristiani terrestri

Madeleine Delbrel

Ci sono cristiani scalatori di paradiso e ci sono cristiani "terrestri". Questi aspettano che il paradiso discenda in loro e li scavi secondo misura.
La misura del paradiso in noi è il compimento preciso e generoso del nostro dovere quotidiano.
Questo dovere che è il contrario di ciò che si potrebbe chiamare spirito di avventura, spirito di ricerca.
Esso libera alla visita di Dio la piccola particella di umanità che noi siamo e ci stabilisce in una legge di amore.
Compiere il proprio dovere quotidiano è accettare di rimanere dove si è, perché il regno di Dio giunga fino a noi e si estenda su questa terra che noi siamo.
E' accettare con un'obbedienza magnanima la materia di cui siamo fatti, la famiglia di cui siamo membri, la professione in cui lavoriamo, il popolo che è il nostro, il continente che ci circonda, il mondo che ci serra, il tempo in cui viviamo.
Perché il dovere di stato non è quell'obbligo meschino di cui si parla talvolta. E' il debito del nostro stato di essere carnali, di figli o di padri, di funzionari, di padroni, di operai, di commercianti; di francesi, di europei, di "cittadini del mondo", di uomini d'oggi.
E il saldo di questo debito, versato integralmente, soldo a soldo, ogni minuto, farebbe di noi dei giusti.
Sarebbe un lungo viaggio fare il giro del dovere così considerato.
Noi ci contenteremo di percorrerne, con lo sguardo, alcune tappe.

essere cristianilaicilaicitàdovereimpegnoresponsabilità

inviato da Cristina, inserito il 18/07/2006

ESPERIENZA

70. Soccorso... stradale

I ragazzi dell'Oratorio (molto pochi) con il Don sono partiti con un pulmino per un viaggio-vacanza. Sono previsti circa 3000 Km. da percorrere passando per la Svizzera, la Normandia e la Bretagna.

Come è "normale" la mamma ed il papà aspettano con ansia le notizie del viaggio, soprattutto il primo giorno, soprattutto per il tempo pessimo.

Finalmente alle 21 circa arriva la telefonata... con la non bella novità: il pulmino si è rotto. Si trovano a 230 Km. da casa e non riescono a trovare una soluzione, che non sia troppo costosa, per proseguire, anzi, la prospettiva è di fare ritorno a casa in treno, perdendo così tutti i soldi già spesi per le prenotazioni dei pernottamenti.

Dopo un primo momento di sbigottimento, con mia moglie e soprattutto con l'altro figlio maggiore, abbiamo elaborato un piano di... soccorso: portare due auto (più una terza per il nostro ritorno) da loro subito il giorno dopo, di buon mattino così che possano proseguire.

Il tempo continua ad essere pessimo, però le previsioni danno miglioramento soprattutto verso la Francia. Vale le pena di provarci.

Trovate le tre auto, abbiamo telefonato per comunicare che ci saremmo visti la mattina dopo con i soccorsi.

Il viaggio è stato difficoltoso sia per il traffico (era un sabato di grande esodo) che per il maltempo. Siamo comunque arrivati all'appuntamento (accompagnati da tanti "Gloria al Padre...") accolti da una festosa gazzarra (cosa rara in un paesino svizzero, tanto che ci guardavano con un certo stupore), ma soprattutto ho potuto vedere l'atteggiamento di gratitudine e, in alcuni, di commozione: potevano proseguire il viaggio che, per loro, rappresentava la vacanza più attesa.

Confesso che anche per me è stato un momento di commozione e di gioia.

Dopo pochi giorni riceviamo una cartolina da Mont Saint Michel con scritto: "Senza di voi non avremmo potuto visitarlo (la mamma è sempre la mamma e il papà non è da meno). E' magnifico. Grazie".

Sarà anche poca cosa, ma la felicità di quei ragazzi mi sarà presente per tanto.

generositàsolidarietà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Ambrogio Villa, inserito il 05/02/2006

ESPERIENZA

71. Marocchino

Mi sto dirigendo verso l'ospedale di Borgomanero, provo a parcheggiare l'auto dove non parcheggio di solito. Appena sceso, mi si fa incontro un marocchino sulla cinquantina molto cordiale e per nulla insistente, che mi richiede del farmaco antinfiammatorio per un insistente mal di schiena che lo affligge da tempo. Con me non ne ho e rispondo, forse anche per acquietarmi la coscienza, che lo avrei cercato nei reparti verso cui mi stavo dirigendo all'interno dell'ospedale.

Terminata la mia visita al reparto oncologico, mi appresto a tornare verso l'auto. Naturalmente mi ero scordato di quella richiesta fattami in precedenza e quindi il farmaco non era in mio possesso.

Non so al suo apparire cosa dire. Mi viene spontaneo, era lunedì, garantirgli un mio nuovo passaggio da quelle parti il mercoledì o il giovedì seguenti, ma dovevo ripassarci appositamente e quindi non mi era per nulla "comodo". Decisi, a tal punto, di tornare solo quando si fosse presentata l'occasione buona, magari anche dopo quindici giorni.

Lungo il viaggio di ritorno a casa, mi sovvenne alla memoria una frase, letta e meditata, nella quale, si diceva che S. Chiara, "contava" gli atti di amore compiuti in un giorno. Inoltre mi ricordavo come sia estremamente importante rispettare la parola data, sempre.

E allora, chi era per me in quel dato momento quel marocchino se non Gesù in persona affetto da mal di schiena che chiedeva a "me" quella data medicina, per di più difficile da reperire in quanto distribuita da un'azienda poco presente sul territorio nazionale?

Non so come fare, decido di passare comunque il mercoledì seguente anche se devo allungare la strada. Ma la pomata di quella data marca...?

Il giorno seguente sono all'ospedale di Busto Arsizio. Dopo il mio solito giro mi dirigo all'ora di pranzo verso casa anche per costatare le condizioni di mia moglie. Dirigendomi verso l'auto, passo sotto i portici ove è sito il bar presso il quale i colleghi si fermano per una spuntino. Passo vicino ad un tavolino.Mi arresto di colpo, mi volto e... trovo proprio quel collega di quella data ditta che produce la pomata che mi serve.Faccio presente che quel collega in un anno lo vedrò si e no sette, otto volte. Mi faccio consegnare i campioni di antinfiammatorio, pronto per correre il giorno seguente a Borgomanero. Arrivato intravedo il marocchino, abbasso il finestrino, consegno quanto dovuto ricevendo un grande sorriso ed un "grazie amico". Con rinnovata gioia nel cuore riprendo il mio "solito" giro.

coerenzasolidarietàcarità

inviato da Don Ambrogio Villa, inserito il 05/02/2006

TESTO

72. Il Cammino dei Magi

Kociss Fava

"Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme...".

Oro, incenso. Mirra anche. Furono tra le prime cose che vide, venendo alla luce. Non che gli importasse granché delle ricchezze: in seguito l'ebbe a dimostrare. Doveva comunque essere uno spettacolo da perderci gli occhi. Il luccichio dei doni traboccanti dalle consunte bisacce da viaggio, contrapposto all'estrema frugalità del ricovero ove era nato. Gli effluvi stordenti delle resine aromatiche, spandendosi, andavano a mescolarsi con l'odore secco e pronunciato dello stallatico. Non di meno l'omaggio più gradito e inatteso fu certo la devozione che quegli uomini ricchi e distinti dimostrarono per il Neonato. Chissà lo sgomento provato da Maria e Giuseppe. Abituati com'erano all'unica compagnia dei pastori, si trovarono quei signori sontuosamente vestiti, chini in adorazione del Bambino.

Si dice fossero sapienti venuti da oriente: stranieri dunque. Scrutando il cielo, o forse dentro se stessi, videro una stella che tracciò loro la via. A noi, che sperimentiamo tempi di soluzioni facili e di frastuoni diffusi, piace pensare fosse una stella grande. Enorme, con la coda pure. Dimentichi che il rapporto autentico con Dio può instaurarsi e maturare solo nel silenzio di un cuore disposto a sentirne il potente sussurro. Nel deserto, luogo privo di inutili echi, radunò il Signore il popolo eletto per manifestare la Sua volontà. Sempre in luoghi solitari si sarebbe ritirato Gesù, per pregare il Padre.

Con o senza l'aiuto degli astri, ma sicuramente con la promessa di Dio nel cuore, i Magi intrapresero il lungo e faticoso cammino. Solo chi lo desidera con passione, giunge a vedere il volto di Cristo.

re magiepifaniaricercarapporto con Dio

inviato da Kociss Fava, inserito il 05/02/2006

PREGHIERA

73. Preghiera per le vocazioni sacerdotali

Lorenzo Loppa, Vescovo di Anagni-Alatri

Signore, Gesù Cristo, pastore dei pastori
e vera luce del mondo,
guida forte e sicura dell'uomo
in cammino verso la vita,
donaci sempre pastori come te,
non troppo distanti dal tuo cuore,
docili e umili nelle mani del Padre,
amici fedeli dello Spirito, uomini di preghiera, di lavoro e d'amore,
affettuosi compagni di viaggio dell'uomo verso la patria,
con la luce della Parola
e la forza dell'Eucaristia,
nella tua chiesa sposa e madre,
per la generazione continua e feconda
dei Corpo di cui tu sei l'unico Capo.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen.

vocazioni

inviato da Anna Barbi, inserito il 28/09/2005

PREGHIERA

74. Maria, donna obbediente

Tonino Bello

Si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché? Per spiegarvelo devo ricorrere all'etimologia, che, qualche volta, può dare una mano d'aiuto anche all'ascetica.

Obbedire deriva dal latino "ob-audire". Che significa: ascoltare stando di fronte. Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch'io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari.

Chi ubbidisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell'offerta. Non si avvilisce all'umiliante ruolo dell'automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell'ascolto e del dialogo.

C'è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: "obbedire in piedi". Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell'autentica natura dell'obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l'altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l'altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l'altro che con gioia ne interiorizzi l'indicazione.

In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora.

Teresa, per esempio, che è costretta a dire sì a tutte le voglie del marito e non può uscire mai di casa perché lui è geloso, e la sera, quando torna ubriaco e i figli piangono, lei si prende un sacco di botte senza reagire, è una donna repressa, non è una donna obbediente. Il Signore un giorno certamente la compenserà: ma non per la sua virtù, bensì per i patimenti sofferti.

L'obbedienza, insomma, non è inghiottire un sopruso, ma è fare un'esperienza di libertà. Non è silenzio di fronte alle vessazioni, ma è accoglimento gaudioso di un piano superiore. Non è il gesto dimissionario di chi rimane solo con i suoi rimpianti, ma una risposta d'amore che richiede per altro, in chi fa la domanda, signorilità più che signoria.

Chi obbedisce non smette di volere, ma si identifica a tal punto con la persona a cui vuol bene, che fa combaciare, con la sua, la propria volontà. Ecco l'analisi logica e grammaticale dell'obbedienza di Maria.

Questa splendida creatura non si è lasciata espropriare della sua libertà neppure dal Creatore. Ma dicendo "Sì", si è abbandonata a lui liberamente ed è entrata nell'orbita della storia della salvezza con tale coscienza responsabile che l'angelo Gabriele ha fatto ritorno in cielo, recando al Signore un annuncio non meno gioioso di quello che aveva portato sulla terra nel viaggio di andata.

Forse non sarebbe sbagliato intitolare il primo capitolo di Luca come l'annuncio dell'angelo al Signore, più che l'annuncio dell'angelo a Maria.

Santa Maria, donna obbediente, tu che hai avuto la grazia di "camminare al cospetto di Dio", fa' che anche noi, come te, possiamo essere capaci di "cercare il suo volto".

Aiutaci a capire che solo nella sua volontà possiamo trovare la pace. E anche quando egli ci provoca a saltare nel buio per poterlo raggiungere, liberaci dalle vertigini del vuoto e donaci la certezza che chi obbedisce al Signore non si schianta al suolo, come in un pericoloso spettacolo senza rete, ma cade sempre nelle sue braccia.

Santa Maria, donna obbediente, tu sai bene che il volto di Dio, finché cammineremo quaggiù, possiamo solo trovarlo nelle numerose mediazioni dei volti umani, e che le sue parole ci giungono solo nei riverberi poveri dei nostri vocabolari terreni. Donaci, perciò, gli occhi della fede perché la nostra obbedienza si storicizzi nel quotidiano, dialogando con gli interlocutori effimeri che egli ha scelto come segno della sua sempiterna volontà.

Ma preservaci anche dagli appagamenti facili e dalle acquiescenze comode sui gradini intermedi che ci impediscono di risalire fino a te. Non è raro, infatti, che gli istinti idolatrici, non ancora spenti nel nostro cuore, ci facciano scambiare per obbedienza evangelica ciò che è solo cortigianeria, e per raffinata virtù ciò che è solo squallido tornaconto.

Santa Maria, donna obbediente, tu che per salvare la vita di tuo figlio hai eluso gli ordini dei tiranni e, fuggendo in Egitto, sei divenuta per noi l'icona della resistenza passiva e della disobbedienza civile, donaci la fierezza dell'obiezione, ogni volta che la coscienza ci suggerisce che "si deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini".

E perché in questo discernimento difficile non ci manchi la tua ispirazione, permettici che, almeno allora, possiamo invocarti così: "Santa Maria, donna disobbediente, prega per noi".

MariaMadonnaobbedienzaascolto

inviato da Giulio Bianchi, inserito il 23/09/2005

TESTO

75. Amici

Vinìcius De Moraes

Ho amici che non sanno quanto sono miei amici. Non percepiscono tutto l'amore che sento per loro né quanto siano necessari per me.

L'amicizia è un sentimento più nobile dell'amore. Questo fa sì che il suo oggetto si divida tra altri affetti, mentre l'amore è imprescindibile dalla gelosia, che non ammette rivalità.

Potrei sopportare, anche se non senza dolore, la morte di tutti i miei amori, ma impazzirei se morissero tutti i miei amici!

Anche quelli che non capiscono quanto siano miei amici e quanto la mia vita dipenda dalla loro esistenza...

Non cerco alcuni di loro, mi basta sapere che esistono. Questa semplice condizione mi incoraggia a proseguire la mia vita. Ma, proprio perché non li cerco con assiduità, non posso dir loro quanto io li ami. Loro non mi crederebbero.

Molti di loro, leggendo adesso questa "crônica" non sanno di essere inclusi nella sacra lista dei miei amici. Ma è delizioso che io sappia e senta che li amo, anche se non lo dichiaro e non li cerco.

E a volte, quando li cerco, noto che loro non hanno la benché minima nozione di quanto mi siano necessari, di quanto siano indispensabili al mio equilibrio vitale, perché loro fanno parte del mondo che io faticosamente ho costruito, e sono divenuti i pilastri del mio incanto per la vita.

Se uno di loro morisse io diventerei storto. Se tutti morissero io crollerei. E' per questo che, a loro insaputa, io prego per la loro vita.

E mi vergogno perché questa mia preghiera è in fondo rivolta al mio proprio benessere. Essa è forse il frutto del mio egoismo.

A volte mi ritrovo a pensare intensamente a qualcuno di loro. Quando viaggio e sono di fronte a posti meravigliosi, mi cade una lacrima perché non sono con me a condividere quel piacere...

Se qualcosa mi consuma e mi invecchia è perché la furibonda ruota della vita non mi permette di avere sempre con me, mentre parlo, mentre cammino, vivendo, tutti i miei amici, e soprattutto quelli che solo sospettano o forse non sapranno mai che sono miei amici.
Un amico non si fa', si riconosce.

amicizia

inviato da Anna Lollo, inserito il 19/06/2005

RACCONTO

76. Il segnale   4

Bruno Ferrero, La vita è tutto quello che abbiamo

Un giovane era seduto da solo nell'autobus; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino. Aveva poco più di vent'anni ed era di bell'aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.

Una donna si sedette accanto a lui. Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente: «Sono stato in prigione per due anni. Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa».

Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore. In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro. Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov'era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli. Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.

Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre. Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.

Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell'autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.

Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni. Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall'autobus. Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino. Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull'autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.

Mentre l'automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.

Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli: «Cambia posto con me. Guarderò io fuori del finestrino».

L'autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l'albero. Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò: «Guarda! Guarda! Hanno coperto tutto l'albero di nastri bianchi».

Siamo più simili a bestie quando uccidiamo.
Siamo più simili a uomini quando giudichiamo.
Siamo più simili a Dio quando perdoniamo.

perdonomisericordia

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inviato da Brigida, inserito il 27/03/2005

PREGHIERA

77. Signore, insegnami a scommettere la mia vita   1

Signore
io vorrei essere di quelli
che rischiano la loro vita
che donano la loro vita.
A che serve la vita, se non per donarla?
Signore
tu che sei nato fra i disagi di un viaggio
tu che sei morto come un malfattore
liberami dal mio egoismo
e dal mio quieto vivere.
Affinché segnato dal segno della Crose
io non abbia paura della vita di sacrificio.
Rendimi disponibile per la bella avventura
alla quale tu mi chiami.
Devo impegnare la mia vita, Gesù,
sulla tua parola.
Devo mettere in gioco la mia vita, Gesù
sul tuo Amore.
Gli altri possono essere ben saggi,
tu mi hai detto di essere folle.
Gli altri credono all'ordine,
tu mi hai detto di credere all'Amore.
Gli altri pensano a risparmiarsi,
tu mi hai detto di dare.
Gli altri si sistemano,
tu mi hai detto di camminare
e di essere pronto.
Alla gioia e alla sofferenza,
alle vittorie e alle sconfitte,
di non mettere la fiducia in me, ma in te,
di giocare il gioco cristiano
senza preoccuparmi delle conseguenze.
Ed infine di rischiare la mia vita,
contando sul tuo Amore.

vocazioneimpegnoresponsabilitàsequelatestimonianzaessere cristiani

inviato da Lavinia Olliveri, inserito il 03/12/2004

TESTO

78. Accetta   2

Siamo convinti che la nostra vita sarà migliore quando saremo sposati, quando avremo un primo figlio o un secondo. Poi ci sentiamo frustrati perché i nostri figli sono troppo piccoli per questo o per quello e pensiamo che le cose andranno meglio quando saranno cresciuti.
In seguito siamo esasperati per il loro comportamento da adolescenti.
Siamo convinti che saremo più felici quando avranno superato quest'età.
Pensiamo di sentirci meglio quando il nostro partner avrà risolto i suoi problemi, quando cambieremo l'auto, quando faremo delle vacanze meravigliose, quando non saremo più costretti a lavorare.

Ma se non cominciamo una vita piena e felice ora, quando lo faremo?
Dovremo sempre affrontare delle difficoltà di qualsiasi genere.
Tanto vale accettare questa realtà e decidere d'essere felici, qualunque cosa accada.

Alfied Souza diceva: "Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la mia vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c'erano sempre ostacoli da superare strada facendo, qualcosa d'irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati. In seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli: erano la vita."

Questo modo di percepire le cose ci aiuta a capire che non c'è un mezzo per essere felici ma la felicità è il mezzo.
Di conseguenza gustate ogni istante della vostra vita e gustatelo ancora di più quando potete dividerlo con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita.
Ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno.

Allora smettete di aspettare di finire la scuola, di tornare da scuola, di perdere 5 kg, di avere dei figli, di vederli andare via di casa.
Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi.
Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova.
Smettete di aspettare la primavera, l'estate, l'autunno o l'inverno.
Smettete di aspettare di lasciare questa vita, e decidete che non c'è momento migliore per essere felici che il momento presente. Quello donato da Dio.

La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio.

Un pensiero per oggi:
Lavorate, come se non aveste bisogno di soldi.
Amate, come se non doveste soffrire mai.
Ballate, come se nessuno vi guardasse.

Ora rifletti bene e cerca di rispondere a queste domande:
Nomina le 5 persone più ricche del mondo.
Nomina le 5 ultime vincitrici del concorso Miss Universo.
Nomina 10 vincitori del premio Nobel.
Nomina i 5 ultimi vincitori del premio Oscar come migliore attore od attrice.
Come va? Male? Non preoccuparti.
Nessuno di noi ricorda i migliori di ieri.
E gli applausi se ne vanno! E i trofei si impolverano!
I vincitori sì dimenticano!

Adesso rispondi a queste altre:
Nomina 3 professori che ti hanno aiutato nella tua formazione.
Nomina 3 amici che ti hanno aiutato in tempi difficili.
Pensa ad alcune persone che ti hanno fatto sentire speciale.
Nomina 5 persone con cui passi volentieri il tuo tempo.

Come va? Meglio? Le persone che segnano la differenza nella tua vita non sono quelle con le migliori credenziali, con molti soldi, o i migliori premi... sono quelle che si preoccupano per te, che si prendono cura di te, quelle che ad ogni modo stanno con te.

Rifletti un momento. La vita è molto corta!
Tu, in che lista sei? Non lo sai?... Permettimi di darti un aiuto...
Non sei tra i famosi,... però sei tra quelli perché il Signore ha voluto che tu fossi mio fratello o mia sorella.

vitaviveresenso della vitaaccettazioneaccettazione di sépositivitàottimismo

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inviato da Claudio Fiorini, inserito il 28/07/2004

RACCONTO

79. Ho fatto colazione con Dio   3

Traduzione dallo spagnolo di un racconto di Te-La Gitana

Un bambino voleva conoscere Dio. Sapeva che era un lungo viaggio arrivare dove abita Dio, ed è per questo che un giorno mise dentro al suo cestino dei dolci, marmellata e bibite e cominciò la sua ricerca.

Dopo aver camminato per trecento metri circa, vide una donna anziana seduta su una panchina nel parco. Era sola e stava osservando alcune colombe. Il bambino gli si sedette vicino ed aprì il suo cestino. Stava per bere la sua bibita quando gli sembrò che la vecchietta avesse fame, ed allora le offrì uno dei suoi dolci.

La vecchietta riconoscente accettò e sorrise al bambino. Il suo sorriso era molto bello, tanto bello che il bambino gli offrì un altro dolce per vedere di nuovo questo suo sorriso.

Il bambino era incantato! Si fermò molto tempo mangiando e sorridendo, senza che nessuno dei due dicesse una sola parola. Al tramonto il bambino, stanco, si alzò per andarsene, però prima si volse indietro, corse verso la vecchietta e la abbracciò. Ella, dopo averlo abbracciato, gli dette il più bel sorriso della sua vita.

Quando il bambino arrivò a casa sua ed aprì la porta, la sua mamma fu sorpresa nel vedere la sua faccia piena di felicità, e gli chiese: "Figlio, cosa hai fatto che sei tanto felice?". Il bambino rispose: "Oggi ho fatto colazione con Dio!".

E prima che sua mamma gli dicesse qualche cosa aggiunse: "E sai cosa, ha il sorriso più bello che ho mai visto!".

Anche la vecchietta arrivò a casa raggiante di felicità. Suo figlio restò sorpreso per l'espressione di pace stampata sul suo volto e le domandò: "Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha reso tanto felice?". La vecchietta rispose: "Oggi ho fatto colazione con Dio, nel parco!". E prima che suo figlio rispondesse, aggiunse: "E sai? E' più giovane di quel che pensavo!".

rapporto con Diovedere Dioricerca di Dio

inviato da Cecilia Leone, inserito il 16/12/2003

TESTO

80. Una giornata del silenzio contro rumori e parole gridate

Vittorino Andreoli, Avvenire, 2 aprile 2002

Il silenzio nel tempo presente è morto, e nessuno sembra disperarsene, avvertirne la perdita. Il silenzio anzi spaventa e lo si cancella al solo pensiero che possa avvolgerci.

Si sente invece il fascino del rumore, di quella presenza continua che forma lo scenario, vero habitat dell'uomo del terzo millennio. La scelta allora non è tra rumore e silenzio, ma tra i mille rumori possibili. Svariate persone ricercano combinazioni multiple: i rumori impuri o la ridda di questi al cui confronto un terremoto apocalittico appare quasi un suono d'arpa.

Nelle discoteche non si ascolta musica, ma il baccano ed inutile è mettere in guardia dai decibel o dal rischio di lesione all'orecchio: il rumore piace. È uno stimolante come una pozione magica. Le spiagge dell'Adriatico gremite d'estate come un formicaio, non rappresentano una condizione del destino, ma una scelta piacevole: uno vicino all'altro, ciascuno dentro i rumori dell'altro: uno scambio di rumori che uniscono gli ombrelloni e fa sentire un'unica famiglia di urlanti.

La montagna era luogo di silenzio con gli spazi infiniti, con la roccia che si continua con il cielo e con l'eterno, ora è un folle concentrarsi di macchine e di corpi lungo le strade, vicino alle auto parcheggiate con le radio accese, le bocche che urlano. A pochi passi di distanza dalla strada non c'è nessuno e quel silenzio sembra sprecato. Si cerca il rumore. L'identità di questa civiltà è il rumore. La civiltà del rumore. Il televisore in casa è sempre acceso. Ci sono persone che non lo spengono nemmeno la notte. Hanno bisogno di quel sottofondo rassicurante e il video ha sostituito persino il sogno, che ormai è fuori di noi e parla degli altri.

Non è più specchio dei nostri segreti interiori, del mistero che bolle in noi. È stato svelato, sostituito meglio, da un rumore.

Gli studenti leggono Aristotele con il rock, per la matematica è preferibile la musica metal. La sinfonica è troppo dolce, occorrerebbe riscriverla sostituendo ai violini i fiati, i tromboni in particolare, e i timpani.

Nelle case ci sono tanti rumori, poche parole e - comunque - silenzio mai. E l'accenno vale per il silenzio fisico, dato dalla mancanza di suoni o rumori che si può rilevare con l'orecchio umano, ma obiettivamente pure con un fonografo. Eppure c'è anche un silenzio interiore, che coincide con il senso di svuotamento del mondo esterno che penetra dentro di noi, e che ci consente di cogliere meglio cosa c'è in noi.

Il silenzio della meditazione: è morto anch'esso. Basta vedere la funzione di un telefono portatile. Uno strumento della sopravvivenza, un oggetto della follia. In treno uno è obbligato a stare fermo, potrebbe pensare, percepirsi, ma non ce la fa e allora chiama qualcuno, non importa chi e perché, importa rompere il silenzio e fare un po' di rumore di cui tutti sono alla fine felici.

Insomma c'è un silenzio fuori di noi, quello del deserto, quando il vento è immobile, o di un canyon sperduto. E c'è un silenzio dentro di noi, che si lega alla pace interiore. L'uno è certamente condizionato dall'altro, ma non in maniera proporzionale: c'è chi sa astrarsi dal mondo, fuggirlo.

Dell'Africa ricordo il silenzio e il buio che non esistono più nella civiltà tecnologica. Anche il buio è parte dell'archeologia: ora c'è sempre una lampadina che illumina. E le stelle hanno perso il proprio fascino. I suoni che rompono il silenzio in Africa sembrano voci del mistero. E anche un coyote parla degli dei che così abitano dentro la testa dell'uomo. Ricordo certe notti nei villaggi d'Africa quando un uomo nella notte si riduceva a due occhi appesi al nulla.

Si è riempiti di rumore fino a non sentire che quel rumore e perdere se stessi, il proprio silenzio. Il mondo dentro di me può esser sopraffatto da quello attorno a me, e il mio silenzio espropriato e ciascun uomo è anche silenzio, forse è soprattutto silenzio.

Io me li ricordo gli esercizi spirituali d'un tempo e li ricordo come silenzio esteriore per sentire qualche voce bambina e qualche balbettio dentro di me. Ma ricordo, più tardi, anche il bisogno di silenzio per pensare, per seguire un percorso di idee, per entrare nel profondo di una meditazione concentrata. Ricordo le passeggiate in montagna, ricordo i monasteri che regalavano silenzio.

Ma c'è - attenzione - una grande differenza tra silenzio e mutismo. Chi è muto non parla all'altro, chi è silenzioso parla a se stesso. Senza silenzio l'uomo è un folle che gira per la strada senza sapere dove va e perché mai si muove. Ha perduto ogni direzione e segue le tracce dei rumori senza sapere da dove provengono, un rumore non ha nulla dentro, è solo rumore, segnale di qualche cosa, ma non di che cosa.

L'uomo del tempo presente è perso dentro i rumori che cerca di tradurre in parole che non hanno più senso. La parola nelle civiltà antiche e nelle culture animiste è forza vitale: dà la forza. È mistero. La parola nella magia agisce: "male dicere" provoca disgrazia, "bene dicere" dà coraggio e felicità. La parola non va mai sprecata. E l'uomo saggio parla poco e vive di silenzio.

Nel cristianesimo la Parola irrompe nella storia e diventa liturgia, quindi crea un contesto sacro. Mentre il mondo lancia raffiche di parole, senza senso, che feriscono o uccidono come obici d'artiglieria pesante.

Si crede che le parole abbiano significato, mentre sono flatus vocis senza una combinazione, che non è quella della sintassi, ma del senso dell'uomo, della esistenza.

La parola come senso, non come rumore. Una parola oggi non ha più storia, non si lega ad un prima, e non è l'incipit per un poi. Si usa la parola che nel momento appare più rumorosa, e può essere antitetica a quella appena usata: si può sempre dire di essere stati fraintesi, così la parola non ha senso o ha tutti i sensi possibili. La parola è rumore. La parola gridata è più efficace. L'oratore è colui che dice tante parole fino a comporre un suono senza senso, ammaliare senza trasmettere nulla.

Il senso dell'uomo e del mondo è nel silenzio che non è vuoto, ma la condizione per un lungo viaggio dentro il proprio esistere e la propria angoscia di esistere, avendo un senso e una coerenza. Il silenzio genera anche la parola che è però pensiero, è intuizione non spot, è colloquio con sé o con il mistero, non un quiz né un quizzone.

Ci sono le malattie del parlare. Da un lato il maniacale che parla continuamente e non sa che cosa dice. Parla a una velocità che è propria dell'articolazione della gola, ma non della mente. Parla a prescindere dalla testa, senza pensare. Dall'altra parte, il depresso, non fa parola perché teme che ogni espressione sia un errore.

Ma c'è anche il silenzio della normalità, di colui che sa quanto sia difficile pronunciare frasi sensate, e quanto sia facile offendere con parole che si penserebbero invece neutre, e allora medita e prende tempo prima di pronunciarsi.

"Non ha la parola pronta": è considerato un difetto mentre può essere il segno della prudenza che è una grandissima virtù.

"È di poche parole": e si crede che abbia bisogno di uno psicologo o di uno psichiatra, mentre si muove dentro i sensi del proprio io, dentro la propria "anima".

L'importante è parlare. Il politico deve parlare e magari non dire niente: fa l'ostruzionismo della parola. Il presentatore deve parlare sempre, per dire semplicemente buona sera e nessuno finisce per coglierlo. Ormai ad abbaiare è l'uomo.

I condomini sono permeabili ai rumori, a quelli del water ma anche alle parole. Le strade sono un massacro di auto e di parole. Le orecchie sono piene di auricolari che portano i rumori del mondo intero, non bastano più quelli della propria dimora o paese: la globalizzazione del rumore e la follia delle parole. Un manicomio assordante.

Arrivo a proporre una giornata del silenzio. Ma forse la specie si estinguerebbe. In una occasione in cui una grande città è stata senza corrente elettrica per due giorni, e quindi hanno perso la parola i televisori e le radio, la gente è impazzita, è entrata in una crisi di astinenza da parole e rumore che aveva espressioni e sintomi peggiori di quella da eroina.

Questa settimana ho preso in mano un settimanale femminile: di 623 pagine. Parole e parole. I giornali ordinano parole senza pensare al senso. Ore di televisione, parole su mille canali. Una follia vociante, parlante. Moriremmo di parole.

Una infinità di parole, senza un pensiero, senza nemmeno l'ombra di un'idea. Il comando è rumore come quei potenti che credono di essere forti se lanciano bombe o missili che distruggono. O come quei gaudenti che si riempiono il ventre di piacere e scoprono di essere vivi solo dalle flatulenze: flatus vocis. Anche le preghiere sono troppo rumorose e troppo vocianti: penso a san Francesco che, alla Porziuncola, dice: Signore non so dire nulla se non ba ba ba. Il mio silenzio - a questo punto lo ammetto - è ancora più confuso perché non ho ancora trovato il mio interlocutore nel cielo. Forse è tempo di cercarlo nel silenzio e forse nel silenzio si sentono parole di "vita eterna". Il dolore parla solo nel silenzio il resto è telenovela. La fatica non ha parole. Ho bisogno di silenzio per sentire quel vuoto che si può riempire di quiete.

Così terminano, almeno per un po', anche le mie parole su "Avvenire". Ho iniziato dicendo che scrivevo per cercare, ora ho voglia di silenzio, devo cercare ancora ma senza fare rumore. Voglio dare ai miei lettori un po' di silenzio che auguro sia silenzio di pace.

silenziointerioritàrumoredeserto

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

RACCONTO

81. Scrivilo sulla pietra   4

Racconta una storia di due amici che camminavano nel deserto. In qualche momento del viaggio cominciarono a discutere, ed un amico diede uno schiaffo all'altro. Addolorato, ma senza dire nulla, scrisse nella sabbia:
Il mio migliore amico oggi mi ha dato uno schiaffo.

Continuarono a camminare, finché trovarono un'oasi, dove decisero di fare un bagno. L'amico che era stato schiaffeggiato rischiò di affogare, ma il suo amico lo salvò. Dopo che si è ripreso, scrisse in una pietra:
Il mio migliore amico oggi mi ha salvato la vita.

L'amico che aveva dato lo schiaffo e aveva salvato il suo migliore amico domandò: «Quando ti ho ferito hai scritto nella sabbia, e adesso lo fai in una pietra. Perché?».

L'altro amico rispose: «Quando qualcuno ci ferisce dobbiamo scriverlo nella sabbia, dove i venti del perdono possono cancellarlo. Ma quando qualcuno fa qualcosa di buono per noi, dobbiamo inciderlo nella pietra, dove nessun vento possa cancellarlo».

amiciziaascoltodisponibilitàperdono

4.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 27/06/2003

TESTO

82. Hanno rubato Gesù bambino   1

Laura De Luca, Bingo Davvero, ed. Paoline

Gli altri ci sono tutti.
I pastori, le pecore.
L'acquaiola, il pescatore,
l'angelo sopra la grotta.
Ma hanno rubato Gesù bambino.
C'è la stalla, tutta in ordine,
ci sono l'asino e il bue,
c'è Maria e naturalmente Giuseppe.
Ci sono le case, le palme,
la fontanella e il cielo stellato.
Ma hanno rubato Gesù bambino.

Guardate meglio,
guardate dentro la grotta,
la mangiatoia è vuota,
dove sarà scivolato?
Se l'hanno rubato
forse gli avranno fatto male.
Maria sorride. Ma a chi,
se sulla paglia non c'è nessuno?
E Giuseppe è chinato.
Ma su cosa? lo sa soltanto lui.
Hanno rubato Gesù bambino.
A chi rivolgono l'asino e il bue
i loro fiati di gesso?
Non c'è nessuno lì dentro,
da riscaldare.
Magi, avete fatto un viaggio inutile,
tornatevene a casa,
perché Gesù Bambino lo hanno rubato.
La stella non ha nessuna strada da indicare,
la grotta nessun segreto da proteggere,
e l'angelo
nessuna buona notizia da annunciare.

Hanno rubato Gesù Bambino.
Forse lo ha preso un profugo
prima di lasciare casa sua,
prima di salire su una di quelle navi
cariche di tanti profughi come lui.
Forse è finito nella tasca del giubbotto
di un condannato a morte,
e ora dorme beato accanto a quel cuore
che tra poco non batterà più.
Dormi, bimbo rubato,
dormi nella sacca del povero monaco perseguitato.
È lui che ti ha portato via?
Oppure sei finito nella capanna di paglia
del povero missionario?
Cosa ci fai, così bianco e rosa
in un paese dove i bambini sono tutti neri?
Hanno rubato Gesù Bambino.
Forse l'ha preso il bimbo soldato
per farsi passare la paura,
quando imbraccia il fucile,
e t'ha confuso per giocattolo.
Gioca, Gesù bambino,
tu e il fucile, due giocattoli come altri,
nelle mani del bimbo soldato.

Hanno rubato Gesù Bambino.
nessuno sa dove è finito.
Forse sul comodino
di quel vecchio signore solo,
accanto alle medicine,
e alle foto dei figli,
che lo hanno abbandonato.
Forse lo stringe nel pugno un torturato,
per aggrapparsi a una cosa qualunque,
una cosa che lo leghi alla vita.

Hanno rubato Gesù Bambino.
Cercatelo attentamente:
nei ripostigli, nei cuori,
tra le carte degli uomini d'affari
che andavano quella mattina
dentro le Twin Towers,
nelle tasche dei vigili del fuoco,
tra le pieghe dei caffettani, dei beduini,
nelle sacche degli extracomunitari,
e fra le pagine dei libri di scuola...

Cercate,
cercate attentamente,
perché hanno rubato Gesù bambino
perché Gesù bambino
appartiene al mondo
perché il mondo è davvero
il suo presepe più grande.

Gesù bambinoCristoGesùpresepeNataleincarnazionesolidarietà

inviato da Anna Barbi, inserito il 29/01/2003

PREGHIERA

83. Santa Maria, compagna di viaggio

Tonino Bello

Santa Maria,
Madre tenera e forte,
nostra compagna di viaggio sulle strade della vita,
ogni volta che contempliamo
le grandi cose che l'Onnipotente ha fatto in te,
proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze,
che sentiamo il bisogno di allungare il passo
per camminarti vicino.
Asseconda, pertanto, il nostro desiderio
di prenderti per mano, e accelera le nostre cadenze
di camminatori un po' stanchi.
Divenuti anche noi pellegrini nella fede,
non solo cercheremo il volto del Signore,
ma, contemplandoti quale icona della
sollecitudine umana verso coloro che
si trovano nel bisogno,
raggiungeremo in fretta "la città"
recandole gli stessi frutti di gioia
che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana.

MadonnaMariaviaggiovitacamminostrada

inviato da Anna Lianza, inserito il 29/01/2003

PREGHIERA

84. Il viaggio   1

Tonino Bello

Padre, tu non sei un Dio frenetico:
non ti lasci prendere dall'agitazione
di chi è in perenne lotta con il tempo.
Regala qualche sosta al tuo popolo
perché si fermi sotto la tua «nube»
per riassaporare, nella gratitudine,
la freschezza della tua ombra
e ritrovare l'agilità di un buon passo
sulla strada che ancora ci resta da fare.
Nella tua tenerezza, tu non sei avaro
di ristoro e di pace per quanti ami.
Quando ci fermiamo per pigrizia,
per incapacità o per colpa, la tua nube
sosti sul nostro capo e resti con noi
finché ci rialziamo di nuovo.
Mandaci la brezza leggera dello Spirito,
che offre suggerimenti interiori
produce mentalità senza ricorrere alla forza
e spinge al cambio senza creare traumi.

viaggiopreghierarapporto con Diocamminostrada

inviato da Anna Lianza, inserito il 11/12/2002

TESTO

85. Andiamo a Betlemme   2

Tonino Bello

Andiamo a Betlemme:
è un viaggio difficile,
ma è l'unico viaggio
che può farci progredire
sulla strada della felicità.

Nataleincarnazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 11/12/2002

TESTO

86. Prendi il largo

Dom Helder Camara, Mille ragioni per vivere

Quando il tuo battello ancorato da molto tempo nel porto ti lascerà l'impressione ingannatrice di essere una casa, quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell'immobilità del molo, prendi il largo.
E' necessario salvare a qualunque prezzo l'anima viaggiatrice del tuo battello e la tua anima di pellegrino.

viaggiopartireroutestrada

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuliana Maria Farina, inserito il 11/12/2002

TESTO

87. Non lasciatevi sfuggire nulla   2

La vita è un viaggio. Si arriva passo dopo passo. E se ogni passo è meraviglioso, se ogni passo è magico, lo sarà anche la vita. E non sarete mai di quelli che arrivano in punto di morte senza aver vissuto. Non lasciatevi sfuggire nulla. Non guardate al di sopra delle spalle degli altri. Guardateli negli occhi. Non parlate "ai" vostri figli. Prendete i loro visi tra le mani e parlate "con" loro. Non abbracciate un corpo, abbracciate una persona. E fatelo ora. Sensazioni, impulsi, desideri, emozioni, idee, incontri, non buttate via niente. Un giorno scoprirete quanto erano grandi e insostituibili.
Ogni giorno imparate qualcosa di nuovo su voi stessi e sugli altri.
Ogni giorno cercate di essere consapevoli delle cose bellissime che ci sono nel nostro mondo. E non lasciate che vi convincano del contrario.
Guardate i fiori. Guardate gli uccellini. Sentite la brezza. Mangiate bene e apprezzatelo. E condividete tutto con gli altri.
Uno dei complimenti più grandi è dire a qualcuno: "Guarda quel tramonto".

vitatempovalore del tempoattenzione alle piccole coseaffettoconsapevolezzanaturacreato

4.0/5 (2 voti)

inviato da Corradini Don Lorenzo, inserito il 11/12/2002

RACCONTO

88. Alla ricerca dell'amore perduto di mamma e papà

Mamma e papà di Paola non si amavano più. Paola buona e mite, capiva tutto. Papà e mamma erano pieni d'ira e si voltavano la schiena. Papà, una volta, aveva rotto un bicchiere dando un pugno sulla tavola e mamma aveva schiaffeggiato Paola, perché non osava ancora schiaffeggiare papà.

Paola andava dall'uno all'altra, e diceva delle parole piacevoli per farli ridere, raccontava tutte le cose buffe che le erano capitate e quello che era successo a scuola, tentava di riconciliarli.

Un giorno, che la cosa sembrava particolarmente grave, Paola aveva addirittura finto di essersi avvelenata con la benzina per smacchiare. Voleva che i genitori facessero la pace al suo capezzale.

Tre mesi dopo, tutto era ricominciato. Paola continuava il suo lavoro di formica. E non disperava. Di notte, nel suo lettino, stringeva forte forte al cuore il suo tigrotto di stoffa', che si chiama Titì, e che era spelacchiato e malconcio per i tanti abbracci, baci, Nutella e lacrime che in nove anni Paola gli aveva rovesciato addosso. Dalla camera di papà e mamma filtravano spesso strilli e imprecazioni soffocate, e il rumore degli attaccapanni sbattuti di malagrazia. Paola si premeva forte le mani sulle orecchie e pregava: «Signore, per piacere, falli smettere!».

Quando arrivava un estraneo e osservava gli occhi gonfi di mamma, e papà afono per aver troppo gridato, Paola preveniva le critiche e diceva: «Vedi, è colpa delle cipolle». Oppure: «Non conosce una medicina per papà? Ha il mal di gola e non può più parlare».

Una strana voce nella notte

Una notte, Paola fu svegliata dalla solita baruffa. Dormiva abbracciata a Titì e sentì chiaramente: «Basta! Non possiamo continuare così!», diceva mamma.
«Sei tu che vuoi sempre avere ragione!» ribatté papà.
«Che cosa suggerisci, sapientona?».

«Ci... dividiamo. Ognuno per conto suo e... non se ne parli più!».
La casa si riempì di silenzio.

Ma qualcuno con un buon udito avrebbe potuto sentire il piccolo cuore di Paola che batteva all'impazzata: «Tum... tum... tum...», mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. «Non voglio! Non voglio!». Mormorava piano piano.
«E allora parti!», disse una voce.
Paola trattenne il fiato per la sorpresa.
«Chi ha parlato? Chi c'è qui?», domandò un tantino inquieta.
«Sono io. Titì», riprese fiera la vocina.

Paola accese la luce del comodino ed esaminò il tigrotto di stoffa.
«Tu, parli?».
Gli occhi di vetro di Titì brillarono come fossero veri.

«Quando ci vuole, ci vuole», bofonchiò. «Chi ama tanto, può far parlare anche le pietre, se è solo per questo. Ora ascoltami bene: posso parlare solo una volta nella vita, anche se la vita di un animale di stoffa è piuttosto lunga e non mi posso lamentare. E certo che la vita con te è piuttosto... umida».
«Scusami», sussurrò Paola.

«Non c'è di che. Quando avevi tre mesi mi inondavi con ben altro... Ecco quello che devi fare: vai a riprendere l'amore perduto di mamma e papà».
«Dove?».
«C'è un posto dove si trovano tutti gli amori perduti.

Non perdere tempo; bisogna riportarli finché sono ancora vivi, caldi e luminosi; altrimenti non c'è niente da fare... Puoi andare soltanto tu. Prenditi lo zainetto: l'amore di un papà e una mamma è pesante».

«Ma non conosco la strada». Protestò Paola mentre si vestiva e indossava il fedele zainetto scolastico.
«La troverai. Parti diritto avanti a te».
«Ma c'è il muro!».
«Fidati di me. Tira diritto!».

Paola chiuse gli occhi e... passò attraverso il muro.

La polvere luccicante

Si trovò in un giardino intersecato da molti sentieri. Ne imboccò uno. Dopo un po', scorse su una panchina qualcosa che brillava. Si avvicinò e vide che era un pezzettino dell'amore di mamma e papà. Naturalmente lo riconobbe subito, perché i figli sono fatti con l'amore di mamma e papà. Poco più in là, vicino a una grande quercia, vide un altro pezzettino, appena uno spolverio, dell'amore di mamma e papà. Si avvicinò e vide che, in un angolino del tronco rugoso, erano incise alcune parole: «Riccardo e Ornella, per sempre».

«Sono mamma e papà», mormorò Paola. Raccolse la polvere luccicante e la infilò nello zainetto con il pezzetto che aveva già trovato. «Di questo passo, ci metterò un sacco di tempo» si disse.

Proprio in quel momento alzò gli occhi e vide il cartello indicatore: «Deposito amori perduti. Di qua».

«Grazie», sussurrò e cominciò a camminare. Il paesaggio cominciò a cambiare e prese a soffiare un vento gelido e, tagliente. Paola si strinse rabbrividendo dentro il «pile». Solo la polvere d'amore che aveva trovato mandava un lieve tepore. La pista ghiaiosa finiva stroncata in una palude triste e minacciosa. Un cartello festonato di ragnatele polverose indicava: «Palude del Mio-mio».

«Sempre diritto!», fece Paola ad alta voce. Strinse i pugni e si incamminò nel fango.

Ogni passo le costò fatica e lacrime. Il fango della palude era vischioso e cercava di trattenerla. Ma Paola arrivò dall'altra parte. La strada riprendeva con una ripida salita e dopo alcuni tornanti si interrompeva bruscamente.

Paola era stanca e quando scorse che cosa l'attendeva, si accasciò avvilita.

«Oh, no!». Quello che aveva davanti era il peggiore dei precipizi che avesse mai visto. E per di più lei pativa le vertigini. Incastrato sull'orlo del dirupo faceva capolino il solito cartello scheggiato: «Salto della fiducia».

La parola «salto» non diceva niente di buono a Paola, ma la prospettiva di tornare ad affrontare la palude era altrettanto tremenda. Si affacciò sul ciglio del precipizio, chiuse gli occhi, strinse i pugni e saltò.

Il sentiero di rose

Atterrò sul soffice. Si trovò su uno strato di rose enormi, profumate, colorate, morbide come seta. Si rialzò e ricominciò a camminare con decisione. Troppa decisione. Le sue gambe affondarono e le spine, spine enormi come le rose, la ferirono.
«Ahi!», gridò Paola.

Un'ape che ronzava come un elicottero con il suo canestrino per raccogliere nettare, la rimbrottò severamente.

«Devi essere delicata, se vuoi camminare sulle rose. Non lo sai?».

«Grazie, signora ape. È che sto cercando l'amore perduto di mamma e papà».

«Sei quasi arrivata. Vai sempre diritto. E mi raccomando... Delicatezza e rispetto!».

Paola riprese a camminare, facendo molta attenzione a dove poggiava i piedi. Il sentiero di rose si fece sempre più solido e sicuro. Finalmente, dopo una collinetta color tramonto, Paola arrivò a una strana costruzione. Il cartello non lasciava dubbi: «Deposito degli amori perduti. Fare lo scontrino alla cassa».

La gioia di Paola si velò di preoccupazione. Aveva esattamente cinquecento e cinquanta lire in una tasca dello zainetto. Quanto poteva costare lo scontrino per ritirare un amore perduto?

C'erano altre persone che facevano la coda davanti a un burbero cassiere, che teneva in mano una bilancia a due piatti: su uno poneva l'amore perduto richiesto, sull'altro il prezzo che il richiedente era disposto a pagare.

A quanto pareva nessuno riusciva a pagare la somma richiesta. E il cassiere, inflessibile, li rimandava indietro.

Davanti a Paola c'era un uomo triste e grigio. Mise sul piatto della bilancia un miliardo. Mille milioni uno sull'altro. Ma il piatto della bilancia non si mosse neanche un po'. L'amore perduto pesava molto, molto di più. L'uomo se ne andò, più triste e più grigio di prima.

Paola era davvero preoccupata. Stringendo in pugno le sue due monete, guardò il cassiere e disse con la sua voce da passerotto: «Vorrei l'amore perduto di mamma e papà».

Il cassiere aprì un armadio e ne tirò fuori un grosso amore che sistemò sul piatto della bilancia.
«È ancora caldo e luminoso, meno male», pensò Paola.
«Come paghi?», chiese severo il cassiere.

Paola allungò esitante la mano con le monete, poi con un'improvvisa ispirazione, si sedette sull'altro piatto della bilancia. I due piatti scattarono e si fermarono in perfetta parità.
«O.K. Il prezzo è giusto!», disse il cassiere.

Paola lo abbracciò felice. Prese l'amore di mamma e papà e... si trovò a casa.

«Anche noi dobbiamo fare un viaggio»

Quando mamma e papà furono seduti a tavola per fare colazione, Paola arrivò in pigiama e senza parlare posò in mezzo al tavolo l'amore che aveva ritrovato. Un'ondata di calore e di felicità, di baci e di voglia di cantare, invase la casa. Mamma e papà guardarono la loro bambina con occhi che brillavano di una luce tenera. Paola aspettava.

Mamma e papà sorrisero. Per le sue misteriose vie, l'amore era tornato al suo posto.
«Grazie, Paoletta», disse mamma. «Abbiamo capito».

«E ora dobbiamo fare un viaggio. Anche noi...», continuò papà.

Paola li abbracciò tutti e due con un lungo e riconoscente sospiro di sollievo.

amorematrimoniocoppiasacrificiocrocefedeltàfamiglia

inviato da Sergio B., inserito il 11/12/2002

PREGHIERA

89. Cosa siamo senza Dio?

Caterina Famularo

Cosa siamo senza Dio
se non mille granelli di sabbia
smarriti in un arido deserto
e rapiti da un vento di sfiducia
che ogni speranza allontana?

Solo Tu, Signore, accogli
le nostre infinite solitudini
nell'oasi eterna del Tuo amore
e consoli ogni cuore illuso
dai miraggi della vita.

Cosa siamo senza Dio
se non mille barche alla deriva
disperse in un mare di paura
che ci lascia annegare
tra i fondali delle incertezze?

Solo Tu, Signore, guidi
il viaggio del cuore vagabondo
verso porti sicuri.
Tu sei l'unica zattera che ci salva
dal naufragio dell'anima.

Cosa siamo senza Dio
se non mille fiori che appassiscono
al primo vento e alla prima pioggia?
chi illuminerà e scalderà
i momenti bui e freddi della vita?

Signore
tu sei l'unico vero sole
che splende
nel giardino inaridito del mondo.

rapporto con Dioabbandono in Dio

inviato da Marianna, inserito il 26/11/2002

RACCONTO

90. Il quarto Re Magio

Henry van Dyke, The Story of the Other Wise Man

I Magi, mentre scrutavano la volta celeste, scoprirono una nuova stella che brillò per una notte e poi sparì. Dopo qualche tempo, il cielo fu solcato da una scintilla blu che roteando emetteva splendore di porpora, finché divenne una sfera scarlatta con raggi lucenti e un vivissimo punto centrale bianco. Era il segnale della nascita del Re atteso da secoli. Lo videro i magi di Borsippa. Lo vide anche Artibano, che abitava a Ecbatana, distante dieci giorni di cammino.

Gaspare, Baldassare e Melchiorre decisero di partire per Gerusalemme. Anche Artibano, si preparò per il viaggio. Vendette tutti i suoi beni e acquistò uno zaffiro, un rubino e una perla da portare al Re e, montato in sella al velocissimo Vosda, galoppò verso Borsippa. Attraversò boschi, guadò fiumi, s'inerpicò per colline e montagne, quando a una svolta pericolosa trovò un moribondo abbandonato sulla strada.

Artibano saltò dal suo corsiero e, caricatosi l'infelice sulle spalle, lo adagiò sotto una palma, gli bagnò le labbra riarse, lo ristorò e il moribondo dopo qualche tempo aprì gli occhi. «Voglia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ricompensarti - disse - faccia prosperare il tuo viaggio fino a Betlemme, perché è lì che deve nascere il Messia, che tu vai cercando».

Artibano si rimise in cammino verso la mezzanotte... e alle prime luci dell'undicesimo giorno entrò in Borsippa, ma non trova i compagni. Essi avevano atteso 10 giorni, poi erano partiti lasciandogli un messaggio: «T'abbiamo aspettato sino alla mezzanotte..., seguici attraverso il deserto».

Arabano, allora, vende lo zaffiro, appalta una carovana e riprende il viaggio affrontando i pericoli e i disagi del deserto.

Giunse a Betlemme dopo tre giorni che i suoi compagni avevano deposto ai piedi del Re l'oro, l'incenso e la mirra... ed erano ripartiti per un'altra via.

Il villaggio pareva deserto: gli uomini erano nei campi e i ragazzi al pascolo delle greggi. Dalla parte di una casupola sulla strada udì una flebile nenia. Entrato vide una giovane madre. La donna ospitò il forestiero, ristorandolo e parlandogli di tre stranieri, vestiti come lui, giunti dall'Oriente poco prima, guidati da una stella al luogo dove abitava Giuseppe, la sua sposa e il Bambino. Essi l'avevano adorato lasciandogli in omaggio ricchi doni; ma poi erano spariti misteriosamente, come pure, in segreto, la notte successiva scomparve la Famiglia di Nazareth, dirigendosi forse in Egitto.

Artibano si diresse allora verso Ebron alla volta dell'Egitto. Egli sperava di raggiungere la Sacra Famiglia nelle oasi del deserto, sotto le palme o i sicomori, ma invano. Si spinse fino a Elaiopoli e a Menfi; percorse le rive fiorite dei Nilo, si aggirò tra le Piramidi dei Faraoni, all'ombra della sfinge; ma le sue ricerche non approdarono a nulla.

Scoraggiato e deluso tornò in Palestina nella speranza di poterli trovare. Dopo alcuni anni di peregrinazioni si rivolse ad un rabbino perché gli indicasse in quali paraggi avrebbe potuto incontrare il Messia. Il rabbino, preso un papiro, lesse: «Il Messia conviene cercarlo tra i poveri, tra gli umili, tra i sofferenti e gli oppressi».

A tali parole, Artibano vendette il rubino e si diede a nutrire gli affamati, a rivestire gli ignudi, a curare gli infermi, a visitare i carcerati. Passarono così trentatré anni da quando era partito in cerca della «Vera Luce». I suoi capelli, allora di un bel nero lucido, si erano fatti bianchi. Lacero ed esausto, ma tuttora in cerca del Re, era tornato per l'ultima volta a Gerusalemme nel periodo della Pasqua.

La città santa brulicava di gente, venuta dalle terre più lontane alla festa del Tempio. Era il venerdì della Parasceve... e nella folla si notava un'agitazione particolare. Egli, imbattutosi in un gruppo, domandò la causa del tumulto e dove andavano tutti. «Noi andiamo - risposero - al luogo dei Teschio fuori le mura, dove c'è la crocifissione di due malfattori e di un altro chiamato Gesù di Nazareth, il quale ha fatto molte opere prodigiose in mezzo al popolo ed ora è messo a morte perché si dice Figlio di Dio e Re dei Giudei».

Artibano pensò fra sé: «Non potrebbe essere quel Gesù, nato a Betlemme trentatré anni fa? Che abbia trovato finalmente il mio Re nelle mani dei suoi nemici? Arriverò in tempo almeno per offrire la mia perla per il suo riscatto, prima che Egli muoia?».

Così il buon vecchio seguì la moltitudine, quando, lungo la salita, una fanciulla di Ecbatana, riconosciutolo dal costume per suo connazionale, gli si avvicinò scongiurandolo in ginocchio: «Per amore del Dio della Purezza, abbi pietà di me; sono una misera schiava della tua stessa fede; salvami, ridandomi la libertà».

Il vecchio, non possedendo che un'unica perla, la consegnò alla sventurata concittadina per il suo riscatto.

Improvvisamente si udì un boato; la terra sussulta; il cielo si oscura; le mura delle case si spalancano e crollano; nuvole di polvere riempiono l'aria; soldati e popolo fuggono terrorizzati.

Artibano e la fanciulla si rifugiano sotto i loggiati del Pretorio. Una nuova scossa di terremoto, più violenta, fa cadere una pietra contro le tempie di Artibano, che traballa pallido, esanime.

La ragazza lo sostiene con le sue braccia, mentre il sangue scorre a rivoli dalla ferita. Non è morto, lo si sente pronunziare queste estreme parole: «Non così o mio Signore... quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? Assetato e ti porsi da bere? Quando mai ti vidi forestiero e ti ospitai? In carcere e ti visitai? Nudo e ti rivestii? Per ben trentatré anni ti ho cercato ansiosamente, ma non ho mai avuto la soddisfazione di poter contemplare il tuo volto, né di renderti il minimo servizio, o mio dolce Re!».

Artibano cessò di parlare. Ma un'altra voce si fece udire a suo conforto: «In verità in verità ti dico, che ogni volta che tu hai fatto ciò ai tuoi simili, ai miei fratelli, tu l'hai fatto a me». Un grande respiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Egli aveva finito il suo lungo viaggio. I suoi doni erano stati veramente graditi. Artibano, il quarto dei Magi aveva finalmente trovato il Re.

caritàamoreservizioparadisogiudizio universale

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Angelo, inserito il 24/11/2002

TESTO

91. Soli in mezzo agli altri

Henri J. M. Nouwen, Viaggio spirituale per l'uomo contemporaneo

Come mai tanti trattenimenti, tante riunioni amichevoli ci lasciano così vuoti e tristi? Può ben darsi che anche là la competizione, profondamente radicata e spesso inconscia fra le persone, impedisca a queste di svelarsi reciprocamente, instaurando dei rapporti che durino più del trattenimento. Nei luoghi dove siamo sempre benvenuti la nostra assenza non sarà poi tanto sentita e nei luoghi dove ognuno può accedere non si sentirà la mancanza di nessuno in modo particolare. Di solito c'è cibo a sufficienza e altrettante persone disposte a consumarlo, ma spesso si ha l'impressione che il cibo abbia perso la facoltà di creare una comunità, e non raramente ci allontaniamo dalla riunione più consci del nostro isolamento di quando vi siamo arrivati.

Il linguaggio che usiamo non suggerisce altro che il senso di isolamento: «Entri, prego... sono felice di vederla... Permettetemi di presentarvi questo amico speciale, che sarà lietissimo di conoscervi... Ho sentito tanto parlare di lei e non trovo parole per dirle quanto sia contento di conoscerla personalmente... Ciò che dice è interessantissimo, vorrei che fossero qui a sentirla più persone... È stato meraviglioso parlare con lei e avere occasione di fare questa conversazione... Spero proprio di incontrarla ancora. Lei sarà sempre benvenuto e non esiti a portare con sé un amico. Torni presto». È un linguaggio che rivela il desiderio di essere amichevoli e ricettivi ma che, nella nostra società, manca miseramente di lenire i dolori del nostro isolamento.

solitudinecomunità

inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002

PREGHIERA

92. Padre nostro

Giovanni Vannucci, Appunti di Viaggio, 27

Padre nostro che sei nei cieli
Santo è il tuo nome
il tuo regno viene
la tua volontà si compie
nella terra come nel cielo.
Tu doni a noi il pane di oggi
e di domani.
Tu perdoni i nostri debiti
nell'istante in cui
li perdoniamo ai nostri debitori.
Tu non c'induci in tentazione
ma nella tentazione
tu ci liberi dal male.

preghierarapporto con DioPadre nostro

inviato da Don Carmine Nappo, inserito il 29/08/2002

RACCONTO

93. Al suo posto   2

Bruno Ferrero, C'è qualcuno lassù

Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina. In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di «Cristo delle grazie». Arrivava gen­te da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.

Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiede­re anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all'immagine, pregò: «Signore, voglio soffrire con te. Lasciami prendere il tuo posto. Voglio stare io sulla croce».

Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.

Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse: «Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione: qualunque cosa succeda, qualun­que cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio».
«Te lo prometto, Signore».
Avvenne lo scambio.

Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c'era Se­bastiano inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell'eremita. I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva. Finché un giorno...

Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenti­cò sul gradino la sua borsa piena di monete d'oro. Sebastiano vide, ma conservò il silenzio. Non parlò neppure un'ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne an­dò. Né aprì bocca quando davanti a lui si inginoc­chiò un giovane che chiedeva la sua protezione pri­ma di intraprendere un lungo viaggio per mare. Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l'uomo ricco che, credendo che fosse stato il giova­ne a derubarlo della borsa di monete d'oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido: «Fermi!».

Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare. Sebastiano spiegò come erano andate le cose. Il ricco corse allora a cercare il povero. Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio. Quando nel santuario non ri­mase più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò.

«Scendi dalla croce. Non sei degno di occupare il mio posto. Non hai saputo stare zitto».

«Ma, Signore» protestò, confuso, Sebastiano. «Dovevo permettere quell'ingiustizia?».

«Tu non sai» rispose il Signore, «che al ricco conv­eniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un'ingiustizia. Il povero, al contra­rio, aveva un gran bisogno di quel denaro. Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l'imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare».

Lo scrittore Piero Chiara, poco religioso, era molto ­amico dello scultore Francesco Messina, che era invece profondamente credente.

Quando Chiara era prossimo alla morte, Messina si recò al suo capezzale e, prendendogli la mano, gli chiese: «Dimmi, Piero, come stai a fede?».

Chiara lo fissò con gli occhi dolenti e rispose: «lo mi fido di te».

Sono le parole più belle che possiamo dire ad un amico: «lo mi fido di te».

È la preghiera più bella che possiamo rivolgere a Dio: «lo mi fido di Te».

provvidenzafiduciafedeabbandonovolontà di Dioprogetto di Dio

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 14/06/2002

ESPERIENZA

94. La messa si fa missione

padre Giovanni Dutto, Eucarestia, cuore della missione

Ad un giovane medico indiano, induista e profondamente religioso, venne offerta una borsa di studio per l'università di Roma: avrebbe potuto specializzarsi in chirurgia. Nella sua città non c'era nessun chirurgo. Egli ne fu felicissimo, evidentemente per la specializzazione, ma anche per un motivo religioso: avrebbe incontrato persone di altre religioni e avrebbe potuto pregare con loro. E' una nota culturale ed eclettica comune agli Indù. Per loro tutte le religioni sono ugualmente valide e tutte, per vie diverse, portano allo stesso fine. Nessuna religione può pretendere di essere l'unica vera e di conseguenza non ha senso convertirsi da una all'altra. La pensava così anche Gandhi, che ammirava Cristo e fece proprio il discorso della montagna, ma non pensò mai di divenire cristiano e condannò l'opera dei missionari cattolici. Si legge in un libro indù: "Il cristiano non deve diventare un indù, né un buddista. Un indù, o un buddista, non deve diventare un cristiano. Ognuno deve assimilare lo spirito altrui e conservare nel tempo stesso la propria individualità" (Vivekananda).

Durante il viaggio il nostro medico entrò nelle moschee e pregò con i musulmani. Incontrò gli ebrei e volle pregare con loro nelle sinagoghe. A Roma, si riprometteva di pregare anche con i cristiani. Non conosceva nulla del cristianesimo. Aveva intuito solo che i cristiani a volte si radunano in edifici particolarmente belli, per pregare insieme.

Fu così che una domenica si unì alla folla che entrava in S. Andrea della Valle. Era per la Messa, ma lui non la conosceva: era unicamente animato da una grande attenzione per poter pregare con i cristiani. Ad un certo momento vide tutti frugare nelle tasche e offrire del denaro, mentre una processione si mosse dal fondo della chiesa: venivano portati dei pani e dei vasi, che il sacerdote accolse ed elevò sull'altare con somma dignità. Pensò: "Si vede che i cristiani, quando pregano, donano qualche cosa".

Non aveva portato nulla con sé. Si sentì indotto a supplire con una preghiera: "Signore, lavorerò per i poveri".

Ora diventato chirurgo, è nella sua città natale, Madras, ed è il primario dell'ospedale. E' famoso per questo: non si concede tempo libero, e dopo il normale turno quotidiano si attarda ancora nel suo studio per ricevere i poveri, e li riceve gratuitamente!

Lo Spirito Santo aveva trovato la via aperta per comunicarsi a lui e ispirargli il dono di sé.

Questo medico insegna la partecipazione: a Messa non si va "come estranei o muti spettatori" (Sacrosanctum Concilium 47). Ma soprattutto insegna che la Messa si proietta sulla vita. Il medico induista non fu più quello di prima: quella Messa lo fece missionario dell'amore.

La Messa ci fa "sacrificio a Dio gradito", cioè persone nuove, toccate da Lui. La Messa ci ha chiamati, ci ha trasformati e ci invia. Messa e vita; Messa e missione, dunque!

L'esperienza dell'Eucarestia non si chiude alle spalle con le porte della chiesa dopo la celebrazione, ma "va'" in tutto il mondo. Ci è stato detto: "La Messa è finita". Il suo genuino significato è: "La Messa non è finita". "Si scioglie l'assemblea perché ognuno torni alle sue occupazioni lodando e benedicendo Dio".

La carica eucaristica è tale che riscopre il suo vero nome: missione.

E' la missione della pace, come suggerisce l'augurio liturgico: "andate in pace!".

EucaristiamissionetestimonianzasacrificioMessaoffertorio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 11/06/2002

TESTO

95. Il vero viaggio   2

Marcel Proust

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.

conoscenzaprofonditàessenzialitàinteriorità

inviato da Stefania Raspo, inserito il 02/06/2002

ESPERIENZA

96. Andate in missione per cercare luoghi e modi per dare la vita

Roberta Pignone

Questo titolo un po' strano è quello che meglio descrive il mio viaggio in Bangladesh fatto proprio lo scorso settembre. Fin dall'inizio del mio cammino di preparazione al PIME, iniziato lo scorso ottobre, ho sempre avuto come motivazione principale quella di scoprire cosa avrei potuto fare come medico in una Missione.

E così mi sono completamente affidata a questo cammino, io ho deciso di parteciparvi, tutto il resto mi è stato donato.

Nel mese di aprile ho saputo che la mia destinazione sarebbe stata il Bangladesh.

Non sapevo nulla di questo paese, solo che è il più povero del mondo...

Sono partita per questa esperienza caricata molto positivamente, la gioia e la curiosità erano davvero grandi, ma avevo anche un po' di paura. Le aspettative erano molte ma ho voluto un po' accantonarle dicendo: "Lascio al Signore di decidere quello che vorrà donarmi con questa esperienza".

Al momento della partenza sapevo solo che io, a differenza delle due ragazze che sono partite con me, sarei stata da sola in un'altra missione più a nord del paese, dove mi aspettava il lavoro in un dispensario.

Il primo impatto all'arrivo a Dahka è stato davvero traumatico, la prima sera i miei sentimenti e le emozioni erano incontrollabili continuavo a ripetermi: Perché sono qui? Non potevo seguire i consigli di chi mi ha sempre un po' scoraggiato in questo viaggio?!. Ma chi me lo ha fatto fare? Voglio tornare a casa!

Dahka è una città lasciata a metà, tutto è stato iniziato ma ben poco è stato portato a termine, grande caos, forti rumori, traffico peggio che a Milano, odori nauseabondi...

Ma in fondo la mia destinazione era un piccolo villaggio del nord, questo mi faceva avere la speranza che le cose sarebbero cambiate.

Dopo due giorni ho raggiunto Boldipukur, la mia piccola e accogliente missione. Le case diroccate hanno lasciato spazio al verde che è la nota caratteristica del B, qua la gente vive nelle capanne in mezzo alla natura, proprio intorno alla missione.
Uno spettacolo meraviglioso!

Così le angosce e le paure che mi avevano accompagnato fino a quel momento hanno lasciato spazio ad una sensazione di pace. Sono stata ospite di una piccola comunità di cinque suore, tre bengalesi e due italiane, suor Eleonora e suor Mariangela. Mi sono sentita subito ben accolta, mi sentivo come a casa mia.

A differenza di Dahka dove sono stata solo spettatrice di un mondo che sentivo estremamente estraneo a me e anche un po' ostile, in questo ambiente sono dovuta scendere allo scoperto, entrando nella quotidianità di questa gente, nelle loro case, nelle loro vite.

Sono entrata con timore, quasi in punta di piedi per non voler far notare troppo la differenza e mi sono scontrata subito con una povertà che disarma e fa cadere tutte le certezze.

Appena arrivata in missione mi hanno mostrato la mia camera e subito mi ha colto una sensazione di disagio: non funzionava il ventilatore, assolutamente necessario per affrontare alcuni momenti della giornata, e l'acqua che scendeva dal mio rubinetto era arancione. "Voglio tornare a casa" e il solito "Chi me lo ha fatto fare?!".

In risposta a queste mie domande mi hanno portato a fare un giro nel villaggio appena fuori le mura della missione e ho visto gente che vive nelle capanne, in una unica stanza c'è tutto e soprattutto nessuna comodità, niente ventilatore, niente acqua corrente, solo la luce per chi è fortunato.

La povertà che ho incontrato nel piccolo villaggio è diversa da quella di Dahka, è una povertà dignitosa, hanno davvero poco per il loro sostentamento, ma quel poco lo condividono.

Ho voluto conoscere la realtà della Sanità in B, suor Mariangela si è fatta carico di questa cosa e mi ha fatto vedere tutto quello che le era possibile, portandomi da una cittadina all'altra, consapevole che di fronte ad alcune realtà sarei rimasta senza parole.

Così ho visitato l'ospedale governativo di Rangpur, la città più grande vicino alla mia missione, una decina di chilometri, penso che le parole non riescano a rendere il significato di quello che ho visto: non credevo di essere in un ospedale. La struttura è fatiscente, mi verrebbe da paragonarla alla stazione centrale, ogni angolo di corridoio o di scala è utilizzato come bagno o spazzatura. Nel reparto di chirurgia generale, uno stanzone enorme nel quale sono ricoverati una cinquantina di persone, uomini e donne insieme, chi su di un letto dalle lenzuola putride, chi addirittura per terra adagiato su delle coperte di lana anch'esse molto sporche. Ogni paziente ha al suo fianco la famiglia per qualsiasi necessità, l'ospedale non dà cibo, ma nemmeno i farmaci necessari al ricovero. Tutto è a carico del paziente.

E' stato sufficiente vedere quel reparto per chiedere alla suora di portarmi via, non volevo veder più nulla e nel cuore la speranza che non succeda mai nulla per cui i missionari abbiano bisogno di un ricovero urgente.

La speranza si è accesa quando invece a Dinajpur ho visto l'ospedale gestito dai Missionari, una stretta al cuore, nella povertà e nella semplicità della struttura, riesco comunque a riconoscere un ospedale. Corridoi e stanze pulite, ognuno ha un proprio letto con lenzuola degne di essere chiamate tali.

L'esperienza comunque più significativa l'ho vissuta proprio al dispensario dove ho potuto agire direttamente.

Il dispensario raccoglie tutti i giorni dalle 100 alle 150 persone e più provenienti dai villaggi limitrofi, solo donne e bambini. Vi lavorano solo due suore infermiere, il numero di utenti sarebbe troppo alto con gli uomini.

Vengono fatte accomodare 5 o 6 persone tutte insieme e ognuno dice apertamente il proprio problema, non esiste certo la legge sulla privacy.

Così le suore gestiscono i loro pazienti, ascoltandoli, facendo diagnosi, consigliando terapie con farmaci che loro stessi devono pagare. E non si può certo eccedere con i farmaci, dipende da quanti soldi può offrire il paziente.

I primi giorni mi domandavo che senso avessero tali terapie che non duravano più di quattro giorni a dosi che da noi non utilizziamo nemmeno nei bambini. E ho fatto fatica a mettere da parte le mie conoscenze e le mie certezze per entrare in un'ottica che è completamente diversa dalla mia.

Ho subito pensato a come noi, facilmente, possiamo avere dei farmaci che ci aiutano e a quanti Km di strada devono fare loro per raggiungere il dispensario che copre un territorio vastissimo. Certo nei villaggi ci sono i loro dottori che nella maggior parte dei casi sono stregoni che impongono terapie che io non ho voluto nemmeno conoscere.

Certo che i ricordi sono davvero tanti e potrei stare raccontare per ore...

Prima di partire mi hanno consigliato di non andare a vivere un'esperienza di questo tipo con l'idea di andare a fare grandi cose, con l'idea di salvare il mondo, ma anzi, di lavorare poco e di guardare, ascoltare, imparare.

E così ho fatto, sono partita dicendo: "Non dirò di no a nulla e farò tutto quello che mi verrà proposto...".

Ora il sentimento che sento davvero forte nel mio cuore è quello della gratitudine, io non ho fatto assolutamente nulla in questa esperienza, ho solo ricevuto tanti doni.

E quello davvero più grosso è stato quello di una comunità accogliente che mi ha permesso di essere davvero libera di guardare, ascoltare, registrare tutto quello che veniva messo sul mio cammino.

Ho fatto migliaia di km per scoprire in terra straniera uomini e donne italiane, sì, i missionari!!

"Negli occhi una terra lontana, nel cuore una speranza, andare ai confini del mondo per far conoscere te" sono le parole di un canto che porto nel cuore da quando sono tornata e racchiudono davvero il senso del mio viaggio.

Porto nel cuore queste persone che mi hanno insegnato uno stile di vita davvero semplice e sobrio, il loro sguardo carico di amore, i loro sorrisi... riflesso di un amore più grande che li accompagna e li sostiene ogni giorno.

Non posso che chiedervi di pregare per queste persone perché possano davvero continuare questa grande opera che non è altro che la loro vita per Dio!

missionepovertàdonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

RACCONTO

97. L'amore alla prova del tempo

Soren Kierkegaard

Un signore organizzò un viaggio in Cina per conoscere parte dei suoi tanti misteri ed ammirare questo popolo così numeroso. Dopo pochi giorni che si trovava lì, s'innamorò follemente di una donna cinese. Poiché non conosceva la lingua, a malapena poteva comunicare con lei a gesti. Tutto il suo affetto passava attraverso le diverse espressioni, ma non attraverso la parola. Una volta tornato al suo paese, poiché non poteva capire le sue lettere, si mise a studiare la difficile lingua cinese. Così la sua relazione con la donna poteva continuare. Ci vollero mesi ed anni perché arrivasse a dominare la lingua. Fece un dottorato in lingua cinese, divenne un famoso sinologo, teneva conferenze sull'arte e la cultura cinese, viaggiava in tutto il mondo. Ma la lingua e la cultura cinese, i viaggi e la fama lo assorbirono così tanto che arrivò a dimenticare la donna della quale un tempo era stato innamorato. E soltanto in alcuni momenti del suo gran daffare ricordava con nostalgia quel primo amore per il quale aveva iniziato tutto e che aveva fatto cambiare direzione alla sua vita. Indubbiamente è molto importante riuscire ad andare in alto e ad innamorarsi, ma lo è anche riuscire a far sì che quell'amore scenda e sia presente nel quotidiano.

amoretempoinnamoramento

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 09/05/2002

TESTO

98. Mandati nel mondo

Henri J. M. Nouwen, Pane per il viaggio

Ciascuno di noi ha una missione nella vita. Gesù prega il Padre per i suoi seguaci, dicendo: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo» (Giovanni 17,18). Di rado ci rendiamo pienamente conto che siamo mandati per adempiere i compiti che Dio ci ha dato.

Agiamo come se fossimo noi a scegliere come, dove e con chi vivere. Agiamo come se fossimo gettati allo sbaraglio nella creazione e dovessimo decidere come passare il tempo finché moriremo. Ma siamo stati mandati nel mondo da Dio, proprio come Gesù.

Quando cominciamo a vivere con questa convinzione la nostra vita, scopriamo subito che cosa siamo stati mandati a fare.

vocazionemissionetestimonianzaprogetto di Dio

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 05/05/2002

PREGHIERA

99. Preghiera del Pellegrino della montagna   2

Canonico Gratìen Volluz

Signore Gesù
che dalla casa del Padre
sei venuto a piantare la tua tenda
in mezzo a noi;
tu che sei nato nell'incertezza
di un viaggio
ed hai percorso tutte le strade,
quella dell'esilio.
quella dei pellegrinaggi,
quella della predicazione:
strappami all'egoismo e
dalla comodità,
fa di me un pellegrino.
Signore Gesù,
che hai preso così spesso
il sentiero della montagna
per trovare il silenzio,
e ritrovare il Padre;
per insegnare ai tuoi apostoli
e proclamare le beatitudini;
per offrire il tuo sacrifìcio,
inviare i tuoi apostoli
e far ritorno al Padre:
attirami verso l'alto,
fa di me un pellegrino
della montagna.
Come San Bernardo,
devo ascoltare la tua parola,
devo lasciarmi scuotere
dal tuo amore.
A me, continuamente tentato
di vivere tranquillo.
domandi di rischiare la vita,
come Abramo, con un atto di fede;
a me, continuamente tentato
di sistemarmi definitivamente,
chiedi di camminare nella speranza,
verso di te,
cima più alta,
nella gloria del Padre.
Signore,
mi creasti per amore, per amare:
fa' ch'io cammini,
ch'io salga, dalle vette, verso di te,
con tutta la mia vita,
con tutti i miei fratelli,
con tutto il creato
nell'audacia e nell'adorazione.
Cosi sia.

scoutpartireroutestradacamminomontagna

inviato da Emilio Centomo, inserito il 05/05/2002

TESTO

100. Partire   2

Helder Camara, Camminiamo la speranza

Partire è anzitutto uscire da sé.

Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro "io".

Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita. Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l'importanza di questo nostro mondo l'umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire. Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche.

Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.

E' possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.

Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato. Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intelligenza e delicatezza,
soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.

Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l'arrivo, lo sbarco. Ma c'è cammino e cammino: partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia
per costruire un mondo più giusto e umano.

scoutpartireroutestradacamminosperanza

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inviato da Maria Vitali, inserito il 30/04/2002

TESTO

101. Ballate come se nessuno vi guardasse   2

Alfred Souza

Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c'erano sempre ostacoli da superare, strada facendo qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati, in seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la mia vita. Questo modo di percepire le cose mi ha aiutato a capire che non c'è un mezzo per essere felici, ma che la felicità è un mezzo. Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gustatelo ancora di più perché lo potete dividere con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno. E allora smettete di pensare di finire la scuola, di tornare a scuola, di perdere 5 chili, di prendere 5 chili, di avere dei figli, di vederli andare via di casa. Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, di divorziare. Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova. Smettete di aspettare la primavera, l'estate, l'autunno o l'inverno. Smettete di aspettare di lasciare questa vita, di rinascere nuovamente, e decidete che non c'è momento migliore per essere felici che il momento presente. La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio. Lavorate come se non aveste bisogno di soldi. Amate come se non doveste mai soffrire. Ballate come se nessuno vi guardasse.

vitaottimismosperanzafuturopresente

inviato da Gaetano, inserito il 29/04/2002