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RACCONTO

1. Il tesoro nascosto   3

Martin Buber, Il cammino dell'uomo, Qiqajon

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata "Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel". "Ricordati bene di questa storia - aggiungeva allora Rabbi Bunam - e cogli il messaggio che ti rivolge: c'è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare".

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

2. La Pasqua di Sara   2

Miriam Soter

(Sara, 12 anni, figlia di Giairo, capo della Sinagoga di Cafarnao, cfr. Mc. 5,21-43)

"...Gesù!"

Il tuo nome è l'ultima parola che ho afferrato prima di morire. "Vado a chiamare Gesù", così ripeteva mio papà, lasciandomi per venire a cercarti.

"È arrivato tardi", mormoravano a bocca stretta, i miei vicini di casa; ero già morta, infatti, quando sei arrivato. Avevo dodici anni. "La bambina dorme, ora la sveglio", ti sentirono dire, chiusi nel loro silenzio, ti disprezzarono.

Tenendomi la mano, tu hai detto: "Talità kum!". "Fanciulla, io te lo ordino, alzati!" Non so dove la tua voce mi ha raggiunto; non so come hai fatto a trovarmi. Come un gigante tu hai attraversato, vittorioso, il buio della mia morte. Ho dischiuso gli occhi e ho visto il tuo volto: forte e sorridente.

Ma una ruga ti si formò in mezzo alla fronte, all'improvviso, come una ferita! Tu hai detto: "Datele da mangiare"; contenti ti hanno obbedito; ma io non avrei mai distolto i miei occhi dai tuoi.

Così ho ricominciato a vivere: grazie a te. "E' grazie a Gesù - spiegavo a tutti - se sono di nuovo viva". Mio papà e io non ti abbiamo più lasciato: due anni incredibili vissuti vicino a te. Quanta strada abbiamo fatto insieme a te; quante parole, quanti silenzi, quanti malati guariti, quanti lebbrosi sanati, quanti peccatori perdonati, quanti afflitti consolati, quanti sorrisi restituiti: e ogni volta sul tuo bel volto, una ruga, una ferita in più.

Mi sono sentita perduta il giorno che ti hanno arrestato. Perché farti del male, a te che hai fatto sempre del bene? Perché far del male al mio Gesù? Perché ti hanno flagellato? Perché coprire di sputi il tuo volto così bello? Perché ti hanno preso a schiaffi? Ti hanno messo perfino una corona di spine: perché trattare così il mio Re?

Papà mi ha detto che ti hanno inchiodato a una croce; che ci hai perdonato; che tua mamma era presente; che, prima di morire, anche tu hai chiamato tuo Padre; che il tuo viso era tutto una ferita.

Li ho visti, quel venerdì sera, i tuoi discepoli; vergognosi, tornavano dal Calvario impauriti, sconvolti, disperati. "E' la fine", dicevano, "è la fine". Ma io non potevo rassegnarmi; non potevo dimenticare, io: la mia carne ricordava. Io sapevo, io, che il tuo amore è più forte della morte.

M'hanno detto che sei risuscitato, che ti hanno incontrato: prima alcune donne, poi Pietro, Giovanni e tanti altri. Sono felici! Sembrano rinati! Come li capisco!

Io non ti ho ancora visto; sei salito in cielo: forse non ti vedrò più; ma non importa: le mie notti e i miei giorni sono fatti di te. Eppure, quanta voglia di ascoltarti, di abbracciarti, di vederti.

E' curioso: a volte mi sorprendo a pensare a te, a parlare con te, tanto è grande il desiderio che ho di te; allora chiudo gli occhi per ritrovare il tuo volto; è così grande il desiderio che... vorrei morire... per essere sempre con te, mio Gesù.

pasquacalvariorisurrezioneresurrezionerisortomortevitavita eterna

3.0/5 (2 voti)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

RACCONTO

3. Il dono del rabbino   1

La storia racconta di un monastero che stava vivendo tempi difficili. In passato aveva ospitato un ordine importante, ma in seguito a un'ondata di persecuzioni antimonastiche verificatesi nel diciasettesimo e diciottesimo secolo e a una crescente tendenza verso il secolarismo nel diciannovesimo secolo, tutti i suoi conventi secondari erano andati distrutti e l'ordine era rappresentato soltanto dall'abate e altri quattro monaci, tutti ultra settantenni, che vivevano nella cadente abbazia. Era chiaramente destinato a scomparire.

Nel fitto bosco che circondava il monastero, si trovava una piccola capanna che un rabbino proveniente da una città vicina usava di tanto in tanto come eremo. Nei lunghi anni di preghiera e contemplazione i vecchi monaci avevano sviluppato una sensibilità quasi paranormale ed erano quindi sempre in grado di dire quando il rabbino si trovava nel suo eremo. "Il rabbino è nel bosco, il rabbino è di nuovo nel bosco", si sussuravano a vicenda, l'abate decise di recarsi all'eremo e di chiedere al rabbino se non avesse alcun consiglio da dargli per salvare il monastero.

Il rabbino accolse l'abate nella capanna, ma quando l'abate gli spiegò lo scopo della sua visita, il rabbino non potè far altro che condividere il suo dolore. "Conosco questo problema", esclamò. "La gente ha perso la spiritualità. Accade lo stesso nella mia città. Quasi nessuno viene più alla sinagoga". Così si lamentarono insieme il vecchio abate e il vecchio rabbino. Poi lessero alcuni brani dalla Torah e presero a conversare serenamente di profonde questioni spirituali. Venne per l'abate il momento di andarsene e i due si abbracciarono. "E' stato meraviglioso incontrarsi dopo tutti questi anni", disse l'abate, ma venendo qui non ho raggiunto il mio scopo. Non c'è nulla che puoi dirmi, nessun consiglio che puoi darmi, per aiutarmi a salvare il mio ordine dalla morte?". "No, mi dispiace", rispose il rabbino, non ho consigli da darti. L'unica cosa che posso dirti è che il Messia è tra voi".

Quando l'abate tornò al monastero i monaci gli si radunarono intorno e gli chiesero: "Ebbene, cosa ti ha detto il rabbino?". Non è stato in grado di autarmi", rispose l'abate. "Abbiamo soltanto pianto insieme e letto la Torah. L'unica cosa che mi ha detto, proprio mentre me ne stavo andando, è stato qualcosa di oscuro. Ha detto che il Messia è tra noi. Ma non so cosa intendesse".

Nei giorni, nelle settimane, nei mesi che seguirono, i vecchi monaci rifletterono su questa frase chiedendosi se le parole del rabbino avessero un qualche particolare significato. Il Messia è tra noi? Voleva forse dire che il Messia è uno di noi? E se è così, chi? Intendeva forse l'abate? Si, se si riferiva a qualcuno, probabilmente si riferiva all'abate. Ci ha guidati per più di una generazione. D'altra parte avrebbe anche potuto riferirsi a fratello Thomas. Sicuramente fratello Thomas è un sant'uomo. Tutti sanno che Thomas è un uomo illuminato. Certamente non poteva rifersi a fratel Elred! A volte Elred è irascibile. E' una spina nel fianco per tutti, anche se praticamente ha sempre ragione. Chissà se il rabbino non intendesse proprio fratel Elred. Ma sicuramente non fratel Phillip. Phillip è così passivo, una vera nullità. Eppure ha il dono di essere sempre presente quando c'è bisogno di lui. Forse il Messia è proprio lui. Non è proprio possibile che intedesse me. Io sono una persona qualsiasi. Eppure se fosse proprio così? Se fossi io il Messia? Oh no, non io. Non potrei essere così importante per Te, non è vero?

Immersi in questi pensieri, i vecchi monaci cominciarono a trattarsi fra di loro con straordinario rispetto poiché esisteva la possibilità, per quanto remota, che il Messia fosse tra di loro. E per la possibilità, ancor più remota, che il Messia fosse ciascuno di loro, ognuno cominciò a trattare se stesso con altrettanto rispetto.

Accadeva che di tanto in tanto alcuni visitatori si trovassero da quelle parti, quando senza nemmeno rendersene conto cominciarono ad avvertire l'alone di straordinario rispetto che circondava i cinque vecchi monaci, c'era qualcosa di straordinariamente affascinante, persino irresistibile. I visitatori cominciarono a tornare per fermarsi a pregare, portarono gli amici e gli amici portarono altri amici.

Accadde così che qualcuno di loro iniziò a intrattenersi sempre più frequentemente con i monaci. E dopo qualche tempo uno chiese di potersi unire a loro. Poi un altro e un altro ancora. Così, nel giro di pochi anni, il monastero riprese a ospitare un ordine prosperoso e, grazie al dono del rabbino, tornò a essere un vivo centro di luce e di spiritualità.

testimonianzaamorecaritàrispettovita comunitaria

1.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 09/04/2002

RACCONTO

4. Acaz, Shara e Gesù   1

Ho letto in un libro che sotto la croce, mentre stavano tirando giù il corpo ormai privo di vita di Gesù, c'erano anche due bambini, Acaz e Shara; Acaz era il figlio della vedova di Nain; Shara era la figlia di Giairo, capo della sinagoga. Entrambi erano stati risuscitati da Gesù.

Mentre tiravano giù Gesù dalla croce, essi erano rimasti un po' in disparte. Alcuni dei suoi discepoli con Maria portarono il corpo di Gesù nel sepolcro, rotolarono la pietra e se ne andarono.

I due ragazzi li avevano seguiti, ma, partiti gli altri, loro non se n'erano andati. Erano rimasti lì, fuori del sepolcro. Si ricordavano che Gesù aveva detto che doveva risuscitare il terzo giorno e così rimasero lì ad aspettare. Si dicevano l'un l'altro: dobbiamo rimanere svegli, non ci possiamo addormentare, così quando Gesù risorge possiamo riabbracciarlo e dirgli che gli vogliamo bene.

Rimasero svegli venerdì, poi venerdì notte, poi tutto il sabato; poi, sopraffatti dalla fatica e dal sonno, si addormentarono e dormirono tutta la notte.

Al mattino del giorno dopo il sabato, si sentirono una mano sui capelli che li accarezzava. Si voltarono: era Gesù! Senza dire niente gli strinsero forte le gambe e cominciarono a baciargli i piedi, con dentro il cuore una gioia incontenibile.

Poco prima Gesù aveva detto alla Maddalena di non trattenerlo, perché doveva ancora salire al Padre. Ma ora rimaneva lì, e continuava ad accarezzare i capelli di Acaz e Shara, mentre loro non avrebbero mai voluto staccarsi da lui e continuavano a baciarlo... quei due bambini gli stavano quasi facendo venire la voglia di non partire più!

...e noi, che abbiamo appena fatto la Comunione e che abbiamo nel cuore Gesù risorto, riusciamo anche noi ad esprimergli la nostra gioia per averlo dentro di noi?

comunionerisurrezionefiduciasperanzafedePasqua

4.7/5 (3 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 08/04/2002