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TESTO

1. Sull'inutilità dei preti (versione integrale)   1

Luigi Maria Epicoco

La gente pensa che fare il prete sia un mestiere.
Uno che magari si sveglia la mattina
ed è convinto di poter mettere su
una bancarella per vendere parole,
benedizioni,
e santini.

La gente pensa che fare il prete sia una roba fuori dal mondo.
Uno che magari fa fatica a stare dentro le cose
e per questo si rifugia in una qualche sagrestia.

Lo sanno tutti che certe volte con la scusa di amare Dio
alla fine si rischia di non amare nessuno.
Ma è vero anche che certe volte tu ti accorgi che Dio lo hai incontrato
perché non puoi fare a meno di amare tutti.

E amare non è un mestiere,
è sentirsi responsabili.

Fare il prete non è un mestiere.
È la stessa cosa che capita a chi perde la testa per amore:
non c'è più il calcolo
ma solo l'ostinato desiderio di non perderti il bandolo della matassa che pensi di aver incontrato in qualcuno o in qualcosa.

Uno pensa che basta mettersi una tonaca e la magia è fatta.
Ma la tonaca non funziona se sotto non c'è un uomo,
uno che sa che è il più miserabile di tutti,
eppure è stato scelto,
eppure è stato amato.

E quanto è difficile accettare il peso di quella tonaca che oggi appare più inzozzata dal tradimento di chi avrebbe dovuto amare
e invece se n'è solo servito.

Ma poco importa se bisogna caricarsi anche sulle spalle l'infamia degli altri.
Non si diventa preti per essere benvisti.
Si diventa preti per diventare servi inutili proprio come diceva Gesù.
Servi inutili a tempo pieno!
Servi senza un utile.
Servi gratuiti.

L'amore salva solo se è gratuito.
È questo lo scopo di ogni vero amore: amare senza contraccambio.
Amare a fondo perduto.
Amare e basta.
Come fa una madre, un padre, un vero amico, o chiunque fa le cose con amore.
Come in questi tempi così difficili tenuti in piedi dall'amore di medici, infermieri,
uomini e donne nascosti da tonache improvvisate, fatte di polipropilene e mascherine.

L'amore quando è gratuito fa miracoli.
Per questo ha senso un prete.
Perché è messo lì in mezzo alla gente a ricordare che c'è qualcosa per cui vale la pena vivere, combattere e in alcuni casi anche perdere.

È messo lì perché ognuno possa avere il diritto di avere anche paura della vita, della morte, delle cose belle e brutte che capitano e che molto spesso sono più grandi delle nostre forze e proprio per questo ci danno le vertigini.
Ma avere il diritto di poter avere paura non significa lasciare che essa decida al posto nostro.

Chi ti ama non ti dice che non soffrirai mai,
che non sbaglierai mai,
che non avrai mai paura delle cose che ti succederanno,
ma ti dice che tu puoi vivere tutto,
accettare tutto,
affrontare tutto.
E te lo dice perché è con te.

La sua presenza è la cosa più convincente,
non le sue parole,
i suoi ragionamenti,
le sue raccomandazioni.

Si diventa preti per essere una presenza.
Si diventa preti per rendere l'invisibile visibile.
Come accade sull'altare.
Come accade quando si ascolta, senza pretese, senza giudicare.
Come quando si stringe una mano per infondere forza.
Come quando si tiene in braccio un bambino che piange,
o come si accarezza la fronte di uno che muore.

Fare il prete non è un mestiere,
è un modo inutile di amare.
Inutile come ogni amore.
Inutile come l'aria.

Vedi versione breve letta da Roul Bova su RTL 120.5.

pretisacerdotivocazioneamore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

2. Sull'inutilità dei preti (versione breve)

Luigi Maria Epicoco, monologo letto da Raoul Bova su RTL 102.5

La gente pensa che fare il prete sia un mestiere.
Uno che magari si sveglia la mattina
ed è convinto di poter mettere su
una bancarella per vendere parole,
benedizioni,
e santini.

Uno pensa che basta mettersi una tonaca e la magia è fatta.
Ma la tonaca non funziona se sotto non c'è un uomo,
un uomo che sa che è il più miserabile di tutti,
eppure è stato scelto.

È difficile accettare il peso di quella tonaca che oggi appare più inzozzata dal tradimento di chi avrebbe dovuto amare
e invece se n'è solo servito.

Ma poco importa, bisogna caricarsi anche sulle spalle l'infamia degli altri.
Non si diventa preti per essere benvisti.
Si diventa preti per essere servi inutili,
Servi gratuiti.

L'amore salva solo se è gratuito.
È questo lo scopo di ogni vero amore: amare senza contraccambio.
Amare a fondo perduto.
Amare e basta.

Chi ti ama non ti dice che non soffrirai mai,
che non sbaglierai mai,
che non avrai mai paura,
ma ti dice che tu puoi vivere tutto,
accettare tutto,
affrontare tutto.
E te lo dice perché è con te.

Fare il prete non è un mestiere,
è un modo inutile di amare.
Inutile come ogni amore.
Inutile come l'aria.

Vedi versione completa.



pretisacerdotivocazioneamore

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

3. Hanno sloggiato Gesù

Chiara Lubich, Hanno sloggiato Gesù

S'avvicina Natale e le vie della città s'ammantano di luci.
Una fila interminabile di negozi, una ricchezza senza fine, ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e babbo-Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane burattine e nani rossi. Tutto si muove con garbo.
Ah! Ecco gli angioletti... Macché! Sono fatine, inventate di recente, quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino coi genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l'incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è "accalappiato" il Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù!
Ama del Natale la poesia, l'ambiente, l'amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.
Punta sul Natale per il guadagno migliore dell'anno.
Ma a Gesù non pensa.
"Venne fra i suoi e non lo ricevettero..."
"Non c'era posto per lui nell'albergo"... nemmeno a Natale.

Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l'Opera di Maria, ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll'arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo "mistero d'amore", stenderei canovacci per rappresentazioni e film.
Non so quel che farei...
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.
Quando sono stata, venticinque anni fa, in una terra in cui dominava l'ateismo, un sacerdote scolpiva statue d'angeli per ricordare il Cielo alla gente. Oggi lo capisco di più. Lo esige l'ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualche cosa che addolora.
Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendoGli festa come non mai.

nataleconsumismoGesù

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

4. Invito agli sposi

Carlo Maria Martini, La famiglia alla prova

Il Signore chiama solo per rendere felici. Le possibili scelte di vita, il matrimonio e la vita consacrata, la dedizione al ministero del prete e del diacono, l'assunzione della professione come una missione possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall'amore e non dall'egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo.

La prima è quella di essere marito e moglie, papà e mamma. L'inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l'altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita. L'amore che ha persuaso al matrimonio non si riduce all'emozione di una stagione un po' euforica, non è solo un'attrazione che il tempo consuma. L'amore sponsale è vocazione: nel volersi bene, marito e moglie possono riconoscere la chiamata del Signore.

Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Vorrei pertanto invitare a custodire la bellezza dell'amore sponsale e a perseverare in questa vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili.

Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l'umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui si vive, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza di questa vocazione. È necessario reagire all'inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.

Invito pertanto a pregare insieme: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per sé, i figli, gli amici, la comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra i coniugi.

Invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del matrimonio, quella del battesimo dei figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.

Invito a trovare il tempo per parlare l'uno all'altro con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedersi scusa, rallegrarsi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.

Invito infine gli sposi ad avere fiducia nell'incidenza della loro opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall'impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vocazione dei genitori a educare è benedetta da Dio: perciò occorre che essi trasformino le loro apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore fa: occorre accoglierla con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non bisogna perdersi d'animo, non c'è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. Ed esorto ad affidare spesso i figli alla protezione di Maria, a non tralasciare una decina del rosario per ciascuno di loro, con fiducia e senza perdere la stima né di se stessi né dei propri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione.

sposimatrimoniocoppiafigligenitorimatrimonio cristianoeducareeducazione

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

TESTO

5. I verbi della misericordia   2

Ermes Ronchi, Il Messaggero di Sant'Antonio, Gennaio 2016

Le porte sante della terra, le porte del Signore, quali sono? Non ha nessun senso passare per la Porta Santa della cattedrale e non passare per la porta santa di un povero, di un malato, non far varcare la porta di casa tua a uno che ha fame, la porta del cuore a uno che è solo. Non ha senso chiedere misericordia a Dio, e non offrirla al tuo vicino.
Se il Giubileo non tocca la vita, non è giubileo. Il Giubileo sarà santo se scriveremo la nostra pagina, la nostra riga, il nostro frammento di un racconto amoroso, con le nostre mani.
La misericordia è un'arte che s'impara, imparando tre verbi: "vedere", "fermarsi", "toccare", i primi gesti del Buon Samaritano.

Vedere. "Lo vide e ne ebbe compassione". Il samaritano vede e si lascia ferire dalle ferite di quell'uomo.
La misericordia inizia con lo sguardo non giudicante del vangelo: "Il primo sguardo di Gesù nei vangeli non si posa mai sul peccato delle persone, ma sempre sul loro bisogno" (Johann Baptist Metz).
Molte volte i vangeli riferiscono che Gesù "mentre camminava vide" (Mt 4,18); camminava e abitava la vita, ben presente a tutto ciò che accadeva nel suo spazio vitale; sapeva guardare negli occhi: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,13) e scoprire nel riflesso di una lacrima urgere una promessa, un desiderio.
Davanti alle ferite della vita qualcosa di noi vorrebbe chiudere gli occhi, girare la testa. Come fanno i falsi discepoli: quando mai, Signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo...? Non hanno avuto occhi per vedere le ferite della carne di Cristo.

Fermarsi. Per vedere bene, che sia un volto, un paesaggio, un'opera d'arte o un povero, non puoi accelerare il passo, ti devi fermare. E non "passare oltre" come il sacerdote e il levita della parabola. Oltre non c'è niente, tantomeno Dio.
Quando ti fermi con qualcuno hai messo nel telaio in cui si tesse il tessuto buono della terra i tuoi doni impagabili, le risorse più preziose che hai: tempo e cuore. Hai fatto una dichiarazione d'amore senza parole.
Per vedere un prato bisogna inginocchiarsi e guardarlo da vicino (Ermanno Olmi).
C'è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un paese, una ferita: fermarsi, inginocchiarsi, e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetri di viso, di occhi, di voce. Guardare come bambini e ascoltare come innamorati, in silenzio.

Toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Tocca l'intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain.
Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare, non dico il contagioso o l'infettivo, ma anche il mendicante.
Fai la tua elemosina, e lasci cadere la tua monetina dall'alto, guardandoti bene dal toccare la mano che chiede, mantenendo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto, una parola. E il povero rimane un problema anziché diventare una fessura d'infinito.
Il tatto è un modo di amare, il modo più intimo; è il bacio e la carezza. E apre stagioni nuove.

Vedere, fermarsi, toccare: piccoli gesti. Ma la notte comincia con la prima stella, il mondo nuovo con il primo samaritano buono.

misericordiaporta santagiubileovederefermarsitoccarebuon samaritano

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

6. Voglio credere   7

Jorge Mario Bergoglio

Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo Spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna.
Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all'incontro per invitarmi a seguirlo.
Credo nel mio dolore, infecondo per l'egoismo, nel quale mi rifugio.
Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare... senza dare.
Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me.
Credo nella vita religiosa.
Credo di voler amare molto.
Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla.
Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d'estate.
Credo che papà sia in cielo insieme al Signore.
Credo che anche padre Duarte (*) stia lì intercedendo per il mio sacerdozio.
Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l'amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all'incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen.

Testo di papa Bergoglio scritto del 1969, poco prima di essere ordinato sacerdote, tratto da Avvenire del 31 marzo 2013.

(*) il sacerdote che lo confessò quel 21 settembre​​​​ citato prima.

credoconfessione di fedepapa Francesco

4.3/5 (7 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 04/04/2013

TESTO

7. Essere fedeli al proprio servizio   2

Un sacerdote pone alcune domande a una famosa benefattrice, poco prima della sua morte. "Non pensa che ciò che lei ha fatto è una goccia d'acqua in mezzo ad un'immensità di bisogni?". Risposta: "La sola cosa importante è la fedeltà personale".

Bella lezione! E' ben vero che non possiamo prendere su di noi tutti i problemi del mondo. Ma ciò che Dio richiede da ciascuno di noi è la fedeltà, è una marcia coerente con la nostra fede; è rispondere al bisogno che è posto davanti a noi.

Non dobbiamo forse riconoscere che troviamo spesso dei pretesti per non fare ciò che è posto davanti a noi? Ci stimiamo sovraccarichi di doveri che riteniamo imperativi, sollecitati da tante urgenze che potrebbero attendere, preoccupati da tanti pensieri talvolta ingiustificati.

Molto spesso, simili al sacerdote o al levita della parabola del buon Samaritano (Lc 10,25-37) vediamo il nostro prossimo nelle difficoltà, ma "passiamo oltre" poiché questa è la soluzione più facile.

Bisogna forse ricordare che il buon Samaritano - bella immagine del Signore Gesù Cristo - ha visto il ferito, si è fermato, si è avvicinato, si è chinato su di lui, l'ha curato e lo ha portato in un luogo sicuro?

Tra i nostri vicini, forse il vicino di casa, o nella nostra Chiesa, esistono certamente delle anime ferite dalla vita moderna, che giacciono (moralmente) sul ciglio della strada, incapaci di rialzarsi. Che cosa facciamo per loro?

buon samaritanofedeltàimportanza del singoloimportanza delle piccole coseindifferenzasolidarietà

4.0/5 (2 voti)

inviato da Maria Maistrini, inserito il 23/09/2012

TESTO

8. Il celibato del prete   1

Bruno Forte

La vita consacrata alla causa del Vangelo è testimonianza del primato assoluto dell'eterno, è messaggio - più eloquente di ogni parola - di come Dio solo basti e lui solo sia in grado di dare alla vita e alla storia significato e speranza. In un tempo di crollo di certezze e di palese fallimento delle presunzioni totalizzanti della ragione "moderna", un'esistenza totalmente abbandonata a Dio, perdutamente innamorata di lui, appare come un riferimento luminoso, annuncio di un'alternativa possibile. L'incarnazione non è solo il movimento dall'eternità al tempo, ma anche l'altrimenti impensabile possibilità del movimento opposto, quello capace di portare nel cuore di Dio il dolore e la morte degli uomini, le stagioni del tempo e le contraddizioni della storia.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/09/2012

TESTO

9. Fede per contagio   2

Raniero Catalamessa, Maria, madre e modello del sacerdote

Ciò che i fedeli colgono immediatamente in un sacerdote e in un pastore, è se "ci crede", se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cerca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al passo coi tempi, mentre, in realtà, è un "bronzo che tintinna e un cembalo squillante".

Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subito la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma trovarsi davanti a uno che crede veramente con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.

sacerdotepretefeconditàministerofedeapostolatomissioneapostolatotestimonianza

2.5/5 (2 voti)

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/09/2012

TESTO

10. La dignità del sacerdozio

San Francesco d'Assisi

O mirabile dignità del sacerdote: nelle sue mani, come nel seno della Vergine Madre, il Figlio di Dio ogni giorno si incarna.

pretesacerdotesacerdozio

inviato da Luca Peyron, inserito il 12/08/2012

TESTO

11. Sulle orme degli Apostoli   2

Agata Fernandez Motzo, Mio tutto - Oltre la morte

E' morto in croce
ma è vivo in tutto il mondo...
E' vivo nel sacerdote,
che nella sua vigna
si prodiga ogni giorno
in mezzo a tante ortiche...
E' vivo nei missionari
che sono le sue mani,
spesso sanguinanti...
E' vivo negli occhi
di chi negli ospedali
lo guarda in croce
sul camice bianco
di una suora
che si aggira fra i lebbrosi
o assiste pietosa
chi è vicino a morire
o sfinito soccombe
sotto il peso dei malanni...
E' vivo nella mano operosa
di chiunque
per l'umanità sofferente
è pronto anche a patire
la passione di Cristo,
per dare ai fratelli
un cuore nuovo...
E' morto in croce
ma è vivo in tutto il mondo...
Fino a lontani orizzonti,
dove i servitori fedeli
sulle orme degli Apostoli
arrivano
e con sudate opere
e sacrifici immani
ne portano ovunque la voce...
E' morto in croce
ma è vivo in tutto il mondo...

crocifissorisurrezioneresurrezionepasqua

5.0/5 (2 voti)

inviato da Agata Fernandez Motzo, inserito il 12/08/2012

TESTO

12. Il Sacerdote   3

don Novello Pederzini

Vive ed opera nel mondo,
ma non appartiene al mondo.
È figlio di uomini,
ma ha l'autorità di renderli figli di Dio.
È povero,
ma ha il potere di comunicare ai fratelli ricchezze infinite.
È debole,
ma rende forti i deboli col pane della vita.
È servitore,
ma davanti a lui si inginocchiano gli Angeli.
È mortale,
ma ha il compito di trasmettere l'immortalità.
Cammina sulla terra,
ma i suoi occhi sono rivolti al cielo.
Collabora al benessere degli uomini,
ma non li distoglie dalla meta finale che è il Paradiso.
Può fare cose che neppure Maria e gli Angeli possono compiere:
celebra la S. Messa e perdona i peccati.
Quando celebra ci sovrasta di qualche gradino,
ma la sua azione tocca il cielo.
Quando assolve rivela la potenza di Dio
che perdona i peccati e ridona la vita.
Quando insegna propone la Parola di Gesù:
«Io sono la Via, la Verità e la Vita».
Quando prega per noi il Signore lo ascolta,
perché lo ha costituito "Pontefice", cioè ponte di collegamento fra Dio e i fratelli.
Quando lo accogliamo
diventa l'amico più sincero e fedele.
È l'uomo più amato e più incompreso;
il più cercato e il più rifiutato.
È la persona più criticata,
perché deve confermare con il suo esempio l'autenticità del messaggio.
È il fratello universale,
il cui mandato è solo quello di servire, senza nulla pretendere.
Se è santo, lo ignoriamo;
se è mediocre, lo disprezziamo.
Se è generoso, lo sfruttiamo;
se è "interessato", lo critichiamo.
Se siamo nel bisogno, lo assilliamo;
se vengono meno le necessità, lo dimentichiamo.
E solo quando ci sarà sottratto comprenderemo
quanto ci fosse indispensabile e caro.

sacerdotesacerdoziopreteanno sacerdotalepresbitero

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 30/01/2012

TESTO

13. Don Camillo non ti crucciare

Giovannino Guareschi, Tutto don Camillo, volume primo, pag. 248

..."Pioverà, pioverà, don Camillo" lo rassicurò il Cristo. "E' sempre piovuto da che mondo è mondo. La macchina è combinata in modo tale che, a un bel momento, deve piovere. O sei del parere che l'Eterno abbia sbagliato nell'organizzare le cose dell'universo?".

Don Camillo si inchinò. "Sta bene" disse sospirando. "Capisco perfettamente quanto sia giusto quello che voi dite. Però che un povero prete di campagna non possa neanche permettersi di chiedere al suo Dio di far venire giù due catinelle d'acqua, perdonate, ma è sconfortante."

Il Cristo si fece serio. "Hai mille ragioni don Camillo. Non ti resta che far anche uno sciopero di protesta." Don Camillo ci rimase male e si allontanò a capo chino, ma il Cristo lo richiamò.

"Non ti crucciare, don Camillo" sussurrò il Cristo. "Lo so che il vedere uomini che lasciano deperire la grazia di Dio (era in atto uno sciopero degli lavoratori agricoli e la roba del raccolto e degli allevamenti cominciò ad intristire) è per te peccato mortale perché sai che sono sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Ma bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perché non hanno più fede nella giustizia divina, e ricercano affannosamente i beni della terra perché non hanno fede nella ricompensa divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede, e le macchine volanti sono per essi gli angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di fare diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza perché, se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose e l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. Ma il tuo Dio non è fatto di numeri, don Camillo, e nel cielo del tuo Paradiso volano gli angeli del bene. Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull'infinito e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. E odierà le macchine che hanno ridotto il mondo a una manciata di numeri e le distruggerà con le sue stesse mani. Ma ci vorrà del tempo ancora, don Camillo. Quindi rassicurati: la tua bicicletta e il tuo motorino non corrono per ora nessun pericolo".

Il Cristo sorrise e don Camillo lo ringraziò di averlo messo al mondo.

progressofedeumanitàscienzasenso della vita

inviato da Osvaldo Pozzi, inserito il 11/01/2011

TESTO

14. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

sacerdotepretepresbitericleroanno sacerdotale

inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

TESTO

15. Pastore

Nicola di Clamanges

Chi è pastore capisca che deve essere dottore, poiché guidare un gregge altro non è che insegnare con la propria vita, con la parola, con l'esempio, come si giunge alla salvezza. Non ci sono dunque pastori che non siano anche dottori, né può considerarsi dottore chi non è pastore.

sacerdotepretesantità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Vito Serritella, inserito il 30/07/2010

TESTO

16. Guardate il cielo   1

N. Valentini - L. Žàk [a cura], Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418

Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell'animo, guardate le stelle o l'azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, intrattenetevi col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete.

turbamentooffesepaceabbandono in Dio

3.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 19/05/2010

TESTO

17. Il corpo del Signore   1

San Francesco d'Assisi, Ammonizione I, FF 141-145

Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto." Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: "Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio" (Gv 14,6-9).

Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio (cf. 1Tm 6,16; Gv 4,24 e 1,18). Perciò non può essere visto che nello Spirito, poiché è lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla (Gv 6,64 Vg). Ma che il Figlio, in ciò in cui è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il Padre né da come si vede lo Spirito Santo.

Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo Spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tuti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché ne dà testimonianza lo stesso Altissimo, il quale dice: "Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza (che sarà sparso per molti") (Mc 14,22.24); e ancora: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,55 Vg).

E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore. Tutti gli altri, che hanno la presunzione di riceverlo senza partecipare dello stesso Spirito, mangiano e bevono "la loro condanna" (cf. 1Cor 11,29). Perciò: "Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?" (Sal 4,3) Perché non conoscete la verità e non credete "nel figlio di Dio?" (cf. Gv 9,35).

Ecco, ogni giorno egli si umilia (cf. Fil 2,8), come quando "dalla sede regale" (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: "Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

eucaristiamessa

5.0/5 (1 voto)

inviato da Antonio Antonucci, inserito il 07/12/2009

TESTO

18. Prossimo

Don Ricciotti Saurino, Canne d'organo

Eppure ero convinto di essere proprio così, mentre leggevo sul display del salumiere il numero precedente al mio, e mi dicevo: "Sono il prossimo!" Anche l'infermiera della sala di attesa del dottore, con aria soddisfatta mi ha detto qualche volta: "Lei è il prossimo!" Perfino negli uffici pubblici all'invito "avanti il prossimo" mi hanno riconosciuto come tale.

Ora in chiesa, dove siamo tutti fratelli, mi sento decisamente rispedito in coda alla fila.

A nulla vale esibire il biglietto con il numero alto di frequenze, essere arrivato in anticipo ad ogni suono di campana, dimostrare di aver occupato per trenta anni il solito posto, portare la testimonianza delle persone alle quali ho stretto la mano migliaia di volte al segno della pace. Mi sento dire: "Non sei prossimo!"

Grido all'ingiustizia e preferisco la fila dal salumiere e quella nella sala di attesa dove è riconosciuto il mio diritto.

Oso chiedere qualche chiarimento e qualcuno mi dice che i numeri progressivi sono stati aboliti da tempo e le unità di misura tradizionali, in metri e centimetri, non erano affidabili e precisi per tale valutazione.

Come al solito - penso - la simpatia e l'arbitrio di qualcuno dichiara volta per volta chi è il prossimo.

Avrei dovuto scegliermi un valido compagno di viaggio e stargli vicino. Forse una persona in vista o forse proprio il sacerdote, ma mi dicono che anche questo sistema non garantisce nulla, neppure la vicinanza fisica ti assicura la "prossimità" evangelica.

Eppure i nuovi banchi della chiesa splendono grazie al mio olio, l'organo suona una musica esaltata dal mio vino e persino la vetrata raffigurante il buon samaritano si è realizzata per il pronto intervento della mia borsa. Dove arrivo io si capovolgono le cose, difatti ho sentito dire con ironia che semmai posso ritenermi prossimo alla canna d'organo, al banco o alla vetrata.

Che disdetta, in una chiesa affollata sono prossimo alla canna dell'organo, equidistante dalle altre, sempre presente e indipendente... Ma io voglio essere prossimo di qualcuno, perché a costui sarà affidata l'ultima arringa in mio favore davanti al trono di Dio!

Ho sbirciato sul foglietto della domenica che bisogna prendersi cura, portare a cuore una persona, se vuoi essere prossimo.

Mi sono girato intorno per vedere se ci fosse qualcuno che ho preso a cuore. Ho scrutato tutti i volti presenti, ma, tranne qualche simpatia, non ne ho trovato uno del quale mi sarei preso cura.

Con la mente ho vagato all'esterno della Chiesa, sono entrato nelle case di persone amiche e non ho trovato uno per il quale fossi disposto a pagare di persona. Ho fatto restaurare le canne dell'organo, ma non ho trovato una persona alla quale avrei restaurato la vita.

In verità occasioni non sono mancate, ma sinceramente... una volta ho ritenuto non fosse mia competenza, un'altra non ne valeva la pena, un'altra ancora non era il momento, e poi... non se lo meritava, pensavo che mentisse, se fosse stato un altro... e così ho dribblato coraggiosamente fino ad oggi.

Ora bisogna che mi dia da fare, - mi sono detto - e ho scelto un gruppo di volontari che non restaurano chiese, ma persone. Anche tra questi è stata forte la tentazione di farlo per vantarmene con gli amici, con i colleghi e qualche volta mi è sorto il dubbio se lo facessi per me stesso o perché veramente portavo a cuore il bisogno dell'altro.

Ho cominciato ad amarlo disinteressatamente, profondendo non solo le mie energie, ma anche le mie risorse e solo allora ho capito di essere prossimo quando non sono più riuscito a misurare la distanza, perché più che vicino alle mie braccia, era vicino al mio cuore. E' proprio vero che l'unità di misura della vicinanza del prossimo non è il metro: non posso misurare ciò che fa parte della mia vita, ciò che è dentro il mio cuore.

Ho scoperto anche che si può essere prossimo del lontano e senza mai averlo conosciuto: ho seguito un missionario, un seminarista. Se ogni cristiano avesse il suo prossimo staremmo meglio tutti, uniti da una catena di solidarietà.

Voglio farmi prossimo a qualcuno e ciò mi basta, se poi qualcuno vuole avermi a cuore, la cosa non può che farmi piacere.

Ho deciso, non restauro più canne d'organo, è meglio restaurare il mantice che le fa vivere, vibrare e suonare.

prossimosolidarietàvicinanza

inserito il 06/12/2009

TESTO

19. Caro Gesù bambino, non ti chiedo...

Liana Paciaroni

Caro Gesù bambino,
il nostro sacerdote mi ha chiesto una preghiera speciale per questo giorno speciale...
Ma io non so dove cominciare perché sia davvero degna di te.
Caro Gesù bambino,
non ti chiedo che ogni bimbo possa avere un bacio dalla sua mamma,
ma che ogni mamma con un bacio possa trasmettere ad ogni bimbo il grande amore che nutre per lui.
Non ti chiedo che le coppie in rottura possano riappacificarsi,
ma che ognuno possa amare i difetti del compagno arrivando a fare della felicità dell'altro lo scopo di una vita insieme.
Non ti chiedo che i bambini non siano più vittime di pedofilia e le donne non più vittime di violenza,
ma che il sesso esista solo come massina espressione dell'amore fra due sposi.
Non ti chiedo che i giovani di oggi non siano più sballati dall'alcool e dalla polvere bianca,
ma che possano scoprire i valori essenziali della vita,
aiutandosi con amore fraterno nella scuola, nel lavoro e nel divertimento.
Non ti chiedo che i paesi più poveri possano avere cibo per sopravviere ,
ma che l'amore generoso dei popoli ricchi li aiutino a crescere in una vita accettabile e dignitosa.
Non ti chiedo che finiscano le guerre e le lotte fra gli stati,
ma che tutti i popoli imparino ad accettarsi nelle loro differenze politiche e sociali e ad amarsi proprio perché diversi, ma tutti speciali.
Non ti chiedo che gli anziani, guardandosi indietro, vedano una vita di capitali e di successo,
ma che scoprano di aver tanto amato il prossimo.
Non ti chiedo un mondo perfetto e bellissimo,
ma che ognuno di noi sappia renderlo tale
amando lo splendore della natura che ci hai donato, il bagliore del sole che hai creato, lo sguardo di chi ci hai messo nella tortuosa strada della nostra esistenza.
Non ti chiedo di non essere attaccati ai beni materiali,
tu stesso ti sei fatto materia per noi,
ma che ogni uomo possa comprendere e attendere
qualcosa di più importante e prezioso oltre il materiale
perché la nostra vita non sia nauseante e vuota
ma abbia mille motivi per essere pienamente vissuta.
Caro Gesù bambino,
non so se la mia preghiera ti piace
ma io riesco a chiederti solo amore.
Quell'amore perfetto e totale che proprio tu ci hai insegnato
ma che per noi è tanto difficile da capire.
Quel sentimento così importante da essere il perno di ogni esistenza,
da essere quel battito in più che muove ogni cuore.
L'amore per l'uomo, per la società, per la comunità della Chiesa, per la comunità degli uomini, l'amore per il Signore nostro Dio, il Creatore e il Redentore.
Caro Gesù bambino,
ti prego,
perché il mondo possa finalmente cambiare
insegnaci ad amare.
Ma di un amore che sia solo tanta gioia di donare,
incuranti di ricevere.

preghieraamore

inviato da Liana Paciaroni, inserito il 21/11/2009

TESTO

20. Il Dio in cui non credo   1

Arias Juan

Sì, io non crederò mai in:
Il Dio che «sorprenda» l'uomo in un peccato di debolezza.
Il Dio che condanni la materia.
Il Dio incapace di dare una risposta ai problemi gravi di un uomo sincero e onesto che dice piangendo: «non posso».
Il Dio che ami il dolore.
Il Dio che metta la luce rossa alle gioie umane. Il Dio che sterilizza la ragione dell'uomo.
Il Dio che benedica i nuovi Caini dell'umanità.
Il Dio mago e stregone.
Il Dio che si faccia temere.
Il Dio che non si lasci dare del tu.
Il Dio nonno di cui si possa abusare.
Il Dio che si faccia monopolio di una Chiesa, di una razza, di una cultura, di una casta.
Il Dio che non abbia bisogno dell'uomo.
Il Dio lotteria con cui si vinca solo a sorte.
Il Dio arbitro che giudichi sempre col regolamento alla mano.
Il Dio solitario.
Il Dio incapace di sorridere di fronte a molte monellerie degli uomini.
Il Dio che «giochi» a condannare.
Il Dio che «mandi» all'inferno.
Il Dio che non sappia aspettare.
Il Dio che esiga sempre dieci agli esami.
Il Dio capace di essere spiegato da una filosofia.
Il Dio che adorano quelli che sono capaci di condannare un uomo.
Il Dio incapace di amare quello che molti disprezzano.
Il Dio incapace di perdonare tante cose che gli uomini condannano.
Il Dio incapace di redimere la miseria.
Il Dio incapace di capire che i «bambini» debbono insudiciarsi e sono smemorati.
Il Dio che impedisca all'uomo di crescere, di conquistare, di trasformarsi, di superarsi fino a farsi «quasi un Dio».
Il Dio che esiga dall'uomo, perché creda, di rinunciare a essere uomo.
Il Dio che non accetti una sedia nelle nostre feste umane.
Il Dio che è capito soltanto dai maturi, i sapienti, i sistemati.
Il Dio che non è temuto dai ricchi alla cui porta sta la fame e la miseria.
Il Dio capace di essere accettato e compreso dagli egoisti.
Il Dio onorato da quelli che vanno a messa e continuano a rubare e a calunniare.
Il Dio asettico, elaborato in un gabinetto scientifico da tanti teologi e canonisti.
Il Dio che non sappia scoprire qualcosa della sua bontà, della sua essenza là dove vibra un amore per quanto sbagliato.
Il Dio a cui piaccia la beneficenza di chi non pratica la giustizia.
Il Dio per cui è il medesimo peccato compiacersi alla vista di due belle gambe, distrarsi nelle preghiere, calunniare il prossimo, frodare del salario gli operai o abusare del potere.
Il Dio che condanni la sessualità.
Il Dio del «me la pagherai».
Il Dio che si penta, qualche volta di aver regalato la libertà all'uomo.
Il Dio che preferisca l'ingiustizia al disordine.
Il Dio che si accontenti che l'uomo si metta in ginocchio anche se non lavora,
il Dio muto e insensibile nella storia di fronte ai problemi angosciosi della umanità che soffre.
Il Dio a cui interessino le anime e non gli uomini.
Il Dio morfina per il rinnovamento della terra e speranza soltanto per la vita futura.
Il Dio che crei discepoli che disertano i compiti del mondo e sono indifferenti alla storia dei loro fratelli.
Il Dio di quelli che credono di amare Dio, perché non amano nessuno.
Il Dio che è difeso da quanti non si macchiano mai le mani, non si affacciano mai alla finestra, non si gettano mai nell'acqua.
Il Dio a cui piacciano quelli che dicono sempre: «tutto va bene».
Il Dio di quelli che pretendono che il sacerdote cosparga di acqua benedetta i sepolcri imbiancati delle loro sporche manovre.
Il Dio che predicano i preti che credono che l'inferno è pieno e il cielo quasi vuoto.
Il Dio dei preti che pretendono che si possa criticare tutto e tutti all'infuori di loro.
Il Dio che giustifichi la guerra.
Il Dio che ponga la legge al di sopra della coscienza.
Il Dio che sostenga una chiesa statica, immobile, incapace di purificarsi, di perfezionarsi e di evolversi.
Il Dio dei preti che hanno risposte prefabbricate per tutto.
Il Dio che neghi all'uomo la libertà di peccare.
Il Dio che non continui a scomunicare i nuovi farisei della storia.
Il Dio che non sappia perdonare qualche peccato.
Il Dio che preferisca i ricchi.
Il Dio che «causi» il cancro, che «invii» la leucemia, che «renda sterile» la donna o che «si porti via» il padre di famiglia che lascia cinque creature nella miseria.
Il Dio che possa essere pregato solo in ginocchio, che si possa incontrare solo in chiesa.
Il Dio che accetti e dia per buono tutto ciò che i teologi dicono di lui.
Il Dio che non salvi quanti non lo hanno conosciuto ma lo hanno desiderato e cercato.
Il Dio che «mandi» all'inferno il bambino dopo il suo primo peccato.
Il Dio che non dia all'uomo la possibilità di potersi condannare.
Il Dio per cui l'uomo non sia la misura di tutto il creato.
Il Dio che non vada incontro a chi lo ha abbandonato.
Il Dio incapace di far nuove tutte le cose.
Il Dio che non abbia una parola diversa, personale, propria per ciascun individuo.
Il Dio che non abbia mai pianto per gli uomini.
Il Dio che non sia la luce.
Il Dio che preferisca la purezza all'amore.
Il Dio insensibile di fronte a una rosa.
Il Dio che non possa scoprirsi negli occhi di un bambino o di una bella donna o di una madre che piange.
Il Dio che non sia presente dove vibra l'amore umano.
Il Dio che si sposi con una politica.
Il Dio di quanti pregano perché gli altri lavorino.
Il Dio che non possa essere pregato sulle spiagge.
Il Dio che non si riveli qualche volta a colui che lo desidera onestamente.
Il Dio che distrugga la terra e le cose che l'uomo ama di più invece di trasformarle.
Il Dio che non abbia misteri, che non fosse più grande di noi.
Il Dio che per renderci felici ci offra una felicità separata dalla nostra natura umana.
Il Dio che annichilisca per sempre la nostra carne invece di risuscitarla.
Il Dio per cui gli uomini valgono non per ciò che sono ma per ciò che hanno o che rappresentano.
Il Dio che accetti come amico chi passa per la terra senza far felice nessuno.
Il Dio che non poserà la generosità del sole che bacia quanto tocca, i fiori e il concime.
Il Dio incapace di divinizzare l'uomo facendolo sedere alla sua tavola e dandogli la sua eredità.
Il Dio che non sappia offrire un paradiso in cui noi ci sentiamo fratelli e in cui la luce non venga solo dal sole e dalle stelle ma soprattutto dagli uomini che amano.
Il Dio che non sia l'amore e che non sappia trasformare in amore quanto tocca.
Il Dio che abbracciando l'uomo già qui sulla terra non sappia comunicargli il gusto, la gioia, il piacere, la dolce sensazione di tutti gli amori umani messi insieme.
Il Dio incapace di innamorare l'uomo.
Il Dio che non si sia fatto vero uomo con tutte le sue conseguenze.
Il Dio che non sia nato dal ventre di una donna.
Il Dio che non abbia regalato agli uomini la sua stessa madre.
Il Dio nel quale io non possa sperare contro ogni speranza.
Sì, il mio Dio è l'altro Dio.

Diocrederefede

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inviato da Busato Don Paolo, inserito il 19/07/2009

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