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PREGHIERA

1. E ancora vieni in mezzo a noi

Francesco De Luca

E ancora vieni in mezzo a noi.
Ancora nasci in mezzo all'umanità.
Il tuo Natale è un farci capire
che non sei stanco
di questa gente,
di questi uomini,
di questo popolo.
Ancora nasci
in mezzo all'umanità.
Non sei stanco di noi, mentre noi
già siamo stanchi
di tutto.
Non ci abbandoni,
quando noi preferiamo lasciar tutto e fuggire.
Ti fermi a parlare
e fai parlare di Te,
quando noi preferiamo l'omertà del silenzio.
Sei presente, per supplire
le nostre assenze,
sei disponibile per annullare
le nostre scuse,
sei attivo per smascherare
le nostre giustificazioni.
E ancora nasci in questa umanità.
Non possiamo essere Te, piccolo bambino del presepe,
abbiamo paura della tua nudità, sentiamo freddo,
abbiamo paura del tuo coraggio di nascere sempre,
siamo vigliacchi.
Ma pur non potendo essere Te
vorremmo essere i pastori
che pieni di stupore e senza indugio vengono a trovarti,
o i magi che mai stanchi e indomiti ti cercano, nel buio e nella luce,
ma siamo noi...
stanchi di rinascere, paurosi di essere nudi,
pigri nel correre verso di Te, incapaci di cercare, superficiali ad ogni stupore,
e Tu nasci in questa umanità.
Donaci il coraggio di accoglierti: bambino, straniero, diverso;
infondici la forza di vedere oltre, dacci la possibilità di fare del bene.
Liberaci dalle catene dell'egoismo e dell'indifferenza, donaci il coraggio dell'essenziale, facci accogliere ogni uomo, come se accogliessimo Te.
Facci credere nell'incredibile, vedere l'invisibile, fare l'impossibile.

nataleincarnazionegiustiziaaccoglienzasperanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 19/02/2018

TESTO

2. Il vero significato dell'Avvento   1

Goffredo Boselli

Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".

Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.

L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.

Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.

Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:

"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?

Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.

Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.

Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.

Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.

Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.

Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.

avventoanno liturgicoattesasperanzaparusia

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

TESTO

3. Gesù non mi inganna   1

Giuseppe Impastato S.I.

Mi rifiuto di credere
che Lui, Gesù, ci abbia preso in giro e ingannato.
Gesù, uomo grande-intelligente-generoso-sincero-limpido-coraggioso!
Mi rifiuto di pensare che ci abbia ingannato
un uomo che si è inginocchiato dinanzi a noi,
ha lavato i nostri piedi,
ha detto parole dense di eternità.
Un uomo che non ha chiesto a noi
beni, vantaggi, privilegi, voti.
E ha detto che la cosa più importante è amare.
Amare di un amore che non esige risposte,
non ha pretese, non cerca vantaggi o secondi fini,
un amore a perdere...
E ci ha parlato di un Dio che non chiede nulla per sé,
ma solo per il bene dell'uomo,
un Dio che è papà, non carabiniere o ragioniere o manager....
Mi fido di Gesù che si è lasciato condannare, crocifiggere e uccidere.
E perdona i suoi nemici.
Che vuole rimanere con noi, per sempre,
e realizzare una comunione che sa di infinito.

Gesùamorefedefiduciarapporto con Diomisericordia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

4. Esame di coscienza sui vizi capitali   1

Penitenziale per i giovani in preparazione alla XXII Giornata Mondiale della Gioventù in San Pietro alla presenza di Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana, 2007

Perdona Signore i nostri peccati di superbia: le azioni che cercano solo la lode e l'approvazione della gente, l'ambizione, la ricerca di potere e di notorietà.
Perdonaci per quando parliamo, diamo consigli, studiamo, lavoriamo, facciamo il bene solo in funzione di ciò che ne penseranno gli altri e per catturare la stima altrui.
Perdonaci per quando esibiamo con vanità la bellezza fisica e le qualità dateci da Dio.
Perdonaci per l'arroganza che nasce dalla superbia, per il desiderio di non dipendere da nessuno, e nemmeno da Dio, per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione.
Rendici umili. L'umiltà è la virtù che elimina tutte le passioni perché in essa noi ci rendiamo disponibili ad essere aiutati da Dio.

Perdona Signore i nostri peccati di invidia: l'ostilità, l'odio, l'idea che il male altrui possa essere bene per noi.
Perdona l'egocentrismo che ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare, il malcontento e i contrasti generati dall'invidia. Liberaci dal rancore, dal tormento interiore, dall'insoddisfazione.
Perdonaci quando vediamo tutto in funzione di noi stessi, quando non sappiamo mettere un freno ai desideri, quando chiamiamo l'invidia "sana competitività".
Perdona i cedimenti a una società che alimenta continuamente l'ambizione, l'avidità e la vuota curiosità.
Perdonaci quando desideriamo la roba d'altri e ci condanniamo all'infelicità.
Aiutaci a contrastare l'invidia con il dono quotidiano di noi stessi per i fratelli.

Perdona Signore i nostri peccati d'ira: i turbamenti del cuore, i sentimenti di avversione verso i fratelli quando sentiamo colpito il nostro io, l'animosità eccitata, l'aggressività del corpo, la sete di vendetta.
Perdonaci quando l'ira soffoca la libertà, ci rende schiavi di noi stessi, toglie la pace interiore ed esteriore.
Perdonaci la tentazione di "farla pagare" a chi ci ha umiliato, il piacere perverso del "far del male a qualcuno", i giudizi taglienti e la gratuita durezza verso gli altri, le mille giustificazioni dell'ira.
Aiutaci a seguire la via suggerita dai padri: “il silenzio delle labbra pur nel turbamento del cuore", dato che "La medicina perfetta... sarà quella di essere prima di tutto ben persuasi che non ci è consentito adirarci mai e in nessun modo".

Perdona Signore i nostri peccati di accidia: il torpore, la pigrizia, l'abbattimento, la tristezza, la dipendenza e le crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori che ci lasciano sempre tristi e vuoti.
Perdonaci per la noia che a volte proviamo nel pregare e che ci spinge a cercare distrazioni, o ci lascia soli a parlare con noi stessi.
Perdonaci quando l'accidia genera disgusto e noia per ogni attività sana e spirituale, per quando la stessa vita quotidiana si tinge di tristezza, svogliatezza, vittimismo e lagnanza.
Perdonaci per la vita senza scopo, il tempo perso e la fuga dall'impegno quotidiano.
Donaci il desiderio di reagire. Facci trovare una guida spirituale e fa' che accettiamo la disciplina dell'obbedienza, unica via per non essere sballottati come un corpo inerte in balia delle passioni.

Perdonaci Signore per i peccati di avarizia: l'avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro. Perdonaci se per avarizia lavoriamo di domenica, siamo disonesti, non diamo in elemosina, ci circondiamo di cose superflue.
Perdona le conseguenze terribili della fame di soldi: liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni, spergiuri, violenza e indurimento del cuore.
Perdonaci l'abitudine a essere insoddisfatti per ciò che abbiamo e bramosi di ciò che non ci è dato. Liberaci da lussi inutili, comodità e abitudini dispendiose.
Perdona le ingiustizie della società, le drammatiche disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, le guerre, i disumani sfruttamenti e l'inganno delle coscienze prodotto da un sistema di accumulo e consumo che fa di tutto per eccitare la brama di possesso.
Aiutaci a sottrarci all'influenza dei media e a fidarci di te, che rivesti i gigli del campo e non abbandoni gli uccelli del cielo.

Perdonaci Signore per i peccati di gola: il rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo, dell'alcool, delle droghe, la dipendenza che ci fa schiavi.
Perdonaci se scambiamo per la libera scelta ciò che è solo condizionamento dell'abitudine, delle mode, della pubblicità.
Perdonaci per la mente ottenebrata che si allontana anche dalla preghiera e dalle sane letture, per gli eccessi che ci rendono meno padroni di noi stessi e affievoliscono la capacità di autocontrollo.
Insegnaci la capacità dell'astinenza, che disintossica il corpo e la mente. Aiutaci a scoprire i piaceri sani della vita, per essere capaci di amare i fratelli con la libertà e la gioia con cui tu hai amato noi.

Perdonaci Signore per i peccati di lussuria, che ci fanno schiavi del sesso, e per il disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società.
Perdona il cedimento a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete. Perdonaci la debolezza di fronte a piaceri tanto intensi quanto effimeri.
Perdona la mentalità diffusa che si spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione. Facci comprendere che non è libero chi non ha il controllo di se stesso, chi si riduce al doppio gioco e alla menzogna, chi perde l'integrità morale e la pace, chi si chiude in se stesso.
Perdona i danni gravi nella società: per il sesso si litiga, si minaccia, si uccide; la libidine alimenta uno stile di vita fatuo, degenera spesso nella prostituzione, nel ricatto, nella pedofilia...
Aiutaci a custodire la castità nel cuore e nella mente, e a non avere rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio, a evitare deviazioni e stravaganze. Insegnaci modestia e dignità nel vestire, custodisci sguardi e fantasie.
Aiutaci a riscoprire la meraviglia della sessualità secondo Dio, nella cornice dell'amore coniugale, nell'atmosfera di famiglia e di tenerezza dove il sesso non è profanato e svenduto ma è sacra partecipazione al dono della vita.

esame di coscienzavizi capitalisuperbiainvidiairaaccidiaavariziagolalussuria

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

PREGHIERA

5. Invocazione dello Spirito   2

Remigio Menegatti

Vieni Spirito della fede
E insegnaci a credere fermamente nell'amore di Dio e nella possibilità di vivere come suoi figli.

Vieni Spirito della speranza
E insegnaci a guardare oltre gli ostacoli, e a vivere ogni sfida della vita guidati dalla certezza che sei in noi e ci doni la tua forza.

Vieni Spirito di carità
E insegnaci ad amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze e diventare prossimo di ogni persona che incontriamo, sullo stile di Gesù, servo per amore.

Vieni Spirito della gioia
E insegnaci a riconoscere i segni della presenza di Dio nella nostra vita, e a esultare come Maria che si sente coinvolta pienamente in questa storia di amore.

Vieni Spirito dell'umiltà
E insegnaci che ogni piccolo passo è necessario per arrivare alle grandi mete che ci realizzano come persone e come credenti.

Vieni Spirito della forza
E insegnaci a non prendere paura se i risultati che speriamo non arrivano subito e chiedono anche un po' di sacrificio e sofferenza.

Vieni Spirito della fedeltà
E insegnaci a non abbandonare il cammino che abbiamo iniziato, e a cercare in te, e nella comunità il sostegno nei momenti difficili.

Vieni Spirito della testimonianza
E insegnaci a dare testimonianza del tuo amore, della bellezza di Dio, della gioia che nasce dal Vangelo vissuto giorno per giorno.

Vieni Spirito dell'ascolto
E insegnaci a cercare nelle parole della Bibbia e nelle parole della cronaca il dialogo con Dio e con i fratelli per condividere con tutti la gioia del Vangelo.

Vieni Spirito della festa

E insegnaci a celebrare con gioia e costanza l'incontro con te nella comunità domenicale.

cresimaSpirito Santopentecoste

inviato da Don Remigio Menegatti, inserito il 30/06/2017

ESPERIENZA

6. Fino all'ultimo respiro

Padre Modesto Paris, Panorama, num. 23/2017

Mancano poche ore al mio intervento di tracheostomia. Alcuni giorni fa ho dovuto prendere una decisione che non prevede ripensamenti. Non si può più tornare indietro. Mai avrei pensato di affrontare questa scelta a 59 anni. Ma i dottori mi hanno detto chiaro e tondo che sono arrivato alla fine del mio sentiero. Manca poco. E se non mi faccio aiutare con un foro nella trachea per far passare un tubo da collegare a una macchina esterna, il mio corpo non ce la farà più a respirare in maniera autonoma. L'alternativa era una sola: finire la mia permanenza terrena in modo dolce, addormentato. Da due anni mi hanno diagnosticato la Sla, sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa progressiva che, un pezzo alla volta, ha bloccato tutte le mie funzioni motorie e vitali. I medici sono stati chiari: mi hanno detto che solo il 15 per cento delle persone nelle mie condizioni decide di continuare a lottare. Il mio sì alla vita, nonostante le statistiche, è stato però immediato, senza esitazioni. E non solo perché sono un uomo di fede, un frate agostiniano scalzo, ordinato sacerdote 33 anni fa da Papa Giovanni Paolo II. L'ho fatto perché amo la vita in ogni sua sfaccettatura.

Ho puntato tutto il mio sacerdozio sull'esempio. Non potevo tirarmi indietro proprio ora. Per tutti i miei anni con il saio l'ho predicato in migliaia di Messe, in chiesa o in cima alle montagne. Agli adulti o ai giovani delle associazioni che ho fondato, ho sempre proposto un modello di vita basato su una fede viva aperta e gioiosa. Anche nelle difficoltà. Specialmente nelle difficoltà. Mentre sono sul letto su cui aspetto la chiamata per la sala operatoria, arriva una telefonata. È Guido. Il mio amico di sempre, compagno di tutte le mie avventure e "pazzie" nel volontariato. Lo conosco da quando ha cominciato a fare il chierichetto con me 40 anni fa. Io avevo 18 anni, lui 8. Ora è giornalista di Panorama. E nonostante abiti a 150 chilometri di distanza e abbia appena avuto un figlio, non ha mai smesso di credere ai miei sogni. Mi chiama e chiede se voglio raccontare a tutti i lettori perché ho detto sì. Perché non mi voglio arrendere. Se potessi ancora parlare ripeterei a gran voce queste parole di Papa Francesco: "Il dolore è dolore, ma vissuto con gioia e speranza ti apre la porta alla gioia di un frutto nuovo". Non potendo urlare lo scrivo sul tablet che mio fratello Andrea sorregge. Uso tre dita della mano destra. L'unica parte di me che ancora riesco a muovere. Oltre agli occhi.

Vado a ruota libera. Metto in fila i pensieri che come un lampo hanno attraversato la mia mente, gli istanti prima del mio sì. In camera mia i ragazzi hanno appeso al soffitto un aquilone con una scritta. Così una frase che ho ripetuto tantissime volte a chi era in difficoltà, ora diventa uno sprone anche per me quando apro le palpebre. "L'aquilone prende il volo solo con il vento contrario". In questi mesi l'ho guardata dalla mattina alla sera per ore e ore. Il vento, in questo periodo, è stato costantemente, ostinatamente, contrario. E proprio per questo ho continuato a volare. La mia decisione per il sì alla respirazione artificiale non è arrivata subito. È frutto di un cammino in salita che dura da mesi. A ogni ostacolo è seguita sempre una soluzione. E la vita è andata avanti. E io sono stato felice. Per prima cosa la malattia mi ha bloccato le corde vocali. Da quasi un anno non parlo più. Ma in mio aiuto è arrivato il comunicatore: un computer che parla al posto mio traducendo in messaggi audio i pensieri che digito sulla tastiera. Grazie a questo strumento tecnologico, per me la Messa non è mai finita. Ho potuto celebrare quasi tutte le domeniche. Anche in ospedale. Persino in diretta su Facebook. L'attenzione è addirittura aumentata. E ho visto tornare in chiesa tanti giovani che si erano smarriti. Poi ha smesso di funzionare la mia deglutizione e lo stomaco. Mi hanno messo un "rubinetto" nella pancia che permette di alimentarmi artificialmente. I canederli di mia madre e la pasta al pesto sono solo un ricordo.

Ma riesco a farne a meno. Sono pure dimagrito e tornato un figurino. Di Sant'Agostino cito spesso una frase: "È meglio aver meno desideri che avere più cose". E mentre scrivo queste righe capisco quanto sia vera. Non so spiegarlo, ma mi sento fortunato. Vado avanti e dico sì anche al rubinetto. Prima l'una poi l'altra, si sono fermate le gambe. E poi il braccio sinistro. Da bravo trentino, come un montanaro su un sentiero, ho continuato a salire in vetta. Questa volta sono spinto da una carrozzina elettrica ultratecnologica che io chiamo Bcs come il mio primo trattore. Penso e ripenso all'ok che ho scritto sulla lavagnetta ai medici e il sì diventa sempre più mio: ho sempre osato nella vita. Mi sono sempre spinto oltre. Per questo per me il sì è venuto spontaneo. Lo dico e lo ripeto più volte a me stesso, chi mi conosce condivide. Chi mi vuole bene sorride orgoglioso di questo sì. Un infermiere mi ha sorpreso: ha detto che il dolore va sempre prevenuto con medicine ad hoc. Ma senza dolore e sacrificio, la vita è noia. Non mi sento un grande, ma un piccolo Modesto che ha sempre sognato oltre le stelle. Questa nuova macchina mi aiuterà a respirare e a mantenere il mio sorriso anche quando non potrò nemmeno fare ok con il pollice: con il cuore e con gli occhi sarà facile farmi capire da chi mi vuol bene. Sant'Agostino scrive: "Ama, e fa' quello che vuoi". Si ama con il cuore e con gli occhi. Quindi non cambierà nulla nemmeno questa volta. Tante sono le cime che ho scalato insieme ai ragazzi e agli adulti dei gruppi che in questi anni ho fondato.

Ci sono vette che vedi sempre mentre stai salendo, scorgi i sentieri, sai benissimo dove si trova la meta perché l'hai raggiunta tante volte. Altre vette non le vedi, le immagini, le sogni. Alcune hanno bisogno di gambe buone, altre di un cuore grande, altre di grinta, altre di tanta fede. Gli infermieri mi chiudono il computer. Ho scritto tutta la notte. Sono esausto. È ora di andare sotto i ferri. E tutto quello che ho digitato forse non potrò leggerlo sfogliando Panorama. Porto con me in sala operatoria il fazzoletto promessa simbolo di appartenenza ai gruppi e una piccola croce di legno. È venerdì, sono le 9 di mattino. Proprio il giorno e l'ora in cui Gesù è stato crocifisso. Ho paura, ma cerco di non farlo vedere. L'anestesia sta svanendo. Mi sono svegliato, respiro bene. Quelli che vedo sono i miei amici di sempre. Sono angeli, ma non hanno le ali. Sono ancora vivo. Chiedo il computer. Voglio finire di scrivere le ragioni del mio sì alla vita. Mi viene in mente un racconto che mi ha fatto un giorno la caposala, trentina di nascita, genovese d'adozione, come me. Mi parla di una ragazza che ha assistito 30 anni fa. Si chiama Paola: a 19 anni, presenta disturbi motori e neurologici. Non si cita la Sla perché non la si conosceva ancora. Soltanto nove anni dopo le comunicano di avere proprio quella malattia. Paola conosce Alessandro, mentre riesce ancora a camminare e gli rivela sin da subito di essere malata. Paola e Alessandro si sposano e poco tempo dopo decidono di avere un figlio. Nel frattempo la malattia di Paola va avanti e non le permette più di camminare. I medici non sono favorevoli alla gravidanza perché pensano che possa essere troppo rischiosa. E invece nasce Luca un bimbo bellissimo e sano. Paola, poco per volta, perde tutte le sue funzionalità motorie e respiratorie, si deve sottoporre a vari interventi come quelli che ho affrontato io. Alimentazione assistita e tracheotomia.

Oggi la sua è una bellissima famiglia. Luca ha 18 anni, Paola muove solo gli occhi e Alessandro sa usare con molta abilità tutte le macchine che tengono in vita la moglie. Tantissimi sono gli amici che a turno vanno ad aiutare la sua famiglia e a chi le chiede come possa vivere così lei risponde: "Io sono felice così". Anche io sono felice così. Perché finché vivo mi posso nutrire della vita degli altri. Della grande famiglia che in questi anni è cresciuta con me. Vivo per sapere come vanno le attività dei miei ragazzi, dei gruppi di adulti, dei miei fratelli (e confratelli agostiniani), di mia mamma. Sapere che un giovane che conosco si è sposato o ha avuto un figlio mi riempie di gioia. Vedere un video e le foto di un campo o un bivacco, oppure sapere che una festa del volontariato è riuscita nell'intento di aiutare un orfanotrofio, mi fa sorridere. Mi fa sentire bene. Mi fa sentire vivo. Quanto è vera la frase "la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare". L'ho ripetuta centinaia di volte per motivare i ragazzi ad arrivare in cima a una montagna. Ora è il mio bastone. La mia fede è rimasta la stessa. Quella fede del montanaro con gli scarponi. Quella del bambino cresciuto in segheria. Primo di sei fratelli ho iniziato a lavorare quando non avevo ancora compiuto 4 anni. Il mio compito era stare accanto alla " bindella a zapar stece", vicino alla sega a nastro per raccogliere le assicelle tagliate che servivano a costruire cassette per le mele. Il mio mondo era quello, lo stesso di mio padre. A 12 anni la chiamata.

Ho lasciato quel mondo per entrare in convento. E non l'ho abbandonato nemmeno quando morì, giovanissimo, mio padre. Lo avevo promesso a mia mamma che, in quell'occasione mi disse: "No nir fora parché se vene fora le come moris en auter". Voleva dire: "Non uscirai mica dal seminario, perché se lo fai è come se morisse un altro". Una frase che mi ha dato la carica per diventare sacerdote e che continua a spronarmi ancora oggi che sono bloccato a letto. È per mia mamma che ho detto sì. Ma non solo. Chiudo con un segreto, che non ho mai rivelato a nessuno. Nel 1985 sono stato ordinato sacerdote da Papa Giovanni Paolo II. Avevo 26 anni. C'è stato un momento, prima che mi ponesse le mani sulla testa, in cui abbiamo scambiato alcune parole. Davanti alla Pietà del Michelangelo, in San Pietro, a Roma, gli ho confidato il mio sogno: fare da guida ai ragazzi e agli adulti nella cordata della vita. Nella frase che ho detto c'era la parola "per sempre". E così è stato. E così sia.

Mercoledì 31 maggio 2017, poco giorni dopo aver scritto questa lettera, il sottile spago che teneva legato alla terra il fragile aquilone si è spezzato, cosi Modesto ha potuto proseguire il volo, verso il cielo.

slamalattiamalatiaccettazionecoraggiodoloresofferenzacrocevitavalore della vitasenso della vita

inviato da Qumran2, inserito il 08/06/2017

PREGHIERA

7. Pasqua: burrasche e pace

Giuseppe Impastato S.I.

Lo abbiamo lasciato solo, ad un tiro di sasso,
incapaci, pronti a difendere con pagane spade.
E lui a rifuggire il calice amaro, risultato
di interessi, rifiuti, incomprensioni, cecità,
e poi invidie, gelosie, tradimenti, adultèri...

Visti i ceppi, siamo fuggiti al cenacolo, agitati,
cercando sicurezze e conforto nel riassaporare
la sua presenza: confidenze, attenzioni, canti,
testamenti, preghiere, richiami, e piedi lavati...
Ci siamo scoperti fragili, senza di lui.
Alla gola un nodo, perché smarriti, inadatti,
chiusi in noi, senza ideali e senza futuro.

La tomba vuota ci ha lasciati frastornati
e dubbiosi, senza più riferimenti.
Ci hanno scossi le donne. Ignorata la mirra,
messi da parte i profumi. Non erano tristi:
credere o considerarle illuse e visionarie?

Poi sei venuto tu, Gesù, vivo, gioioso, luminoso,
fiducioso in noi e nella bellezza del vangelo.

Non del tutto convinti, siamo tornati a pescare.
Ma ora che occhi e mani hanno visto e palpato,
ora che nei cuori si è riversata consolazione,
ora che ci ha invasi la gioia, scacciando tristezze,
porteremo a chi attende il lietissimo annunzio.

Il futuro del mondo e il nostro è risurrezione.

risortorisurrezioneapparizionipasquapacefiduciasperanzaevangelizzazionetestimonianza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/05/2017

PREGHIERA

8. Rendici sale, Signore!   3

suor Mariangela Tasselli, Cantalavita.com

Rendici sale, Signore,
per rendere gustoso il mondo.
Rendici luce, Signore,
per illuminare ogni angolo buio.
Basta poco sale per dare un buon sapore;
poca luce può bastare
per sciogliere le tenebre più oscure.

Insegnaci a credere, Signore,
che non serve essere i migliori o i più grandi.
Per far risplendere nel mondo il tuo amore
basta essere, in semplicità e povertà,
sale buono e luce intensa. Amen.

testimonianzaluce

3.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 20/02/2017

TESTO

9. Testamento di Raoul Follereau

Raoul Follereau

Giovani di tutto il mondo, o la guerra o la pace sono per voi. Scrivevo, venticinque anni fa: "O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l'uomo vivrà per l'uomo, o gli uomini moriranno". Tutti e tutti insieme.
Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre. Ieri, l'allarme. Domani, l'inferno.
I Grandi - questi giganti che hanno cessato di essere uomini - possiedono, nelle loro turpi collezioni di morte, 20.000 bombe all'idrogeno, di cui una sola è sufficiente a trasformare un'intera Metropoli in un immenso cimitero. Ed essi continuano la loro mostruosa industria producendo tre bombe ogni 24 ore. L'Apocalisse è all'angolo della strada.
Ragazzi, Ragazze di tutto il mondo, sarete voi a dire "no" al suicidio dell'umanità.
"Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere". Questa fu la mia preghiera di adolescente.
Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele...
Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta.
Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l'ultima ambizione della mia vita, e l'oggetto di questo "testamento".

Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa!
Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C'è un solo cielo per tutto il mondo.
Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l'umanità.
E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.
Amarsi o scomparire.
Ma non è sufficiente inneggiare a: "la pace, la pace", perché la Pace cessi di disertare la terra.
Occorre agire. A forza di amore. A colpi di amore.
I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce.
Allontanatevi dai mascalzoni dell'intelligenza, come dai venditori di fumo: vi condurranno su strade senza fiori e che terminano nel nulla.
Diffidate di queste "tecniche divinizzate" che già San Paolo denunciava.
Sappiate distinguere ciò che serve da ciò che sottomette.
Rinunciate alle parole che sono tanto più vuote quanto sonore.
Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi.
Ciò che occorre è liberarlo da certi "progressi" e dalle loro malattie, dal denaro e dalla sua maledizione.
Allontanatevi da coloro per i quali tutto si risolve, si spiega e si apprezza in rapporto ai biglietti di banca.
Anche se sono intelligenti essi sono i più stupidi di tutti gli uomini.
Non si fa un trampolino con una cassaforte.
Bisognerà che dominiate il potere del denaro, altrimenti quasi nulla di umano è possibile, ma con il quale tutto marcisce.
Esso, Corruttore, diventi Servitore.
Siate ricchi della felicità degli altri.
Rimanete voi stessi. E non un altro. Non importa chi. Fuggite le facili vigliaccherie dell'anonimato.
Ogni essere umano ha un suo destino. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali.
Niente diminuisce mai la dimensione dell'uomo. Se vi manca qualcosa nella vita è perché non avete guardato abbastanza in alto.
Tutti simili? No.
Ma tutti uguali e tutti insieme!
Allora sarete degli uomini. Degli uomini liberi.
Ma attenzione! La libertà non è una cameriera tuttofare che si può sfruttare impunemente. Né un paravento sbalorditivo dietro il quale si gonfiano fetide ambizioni.
La libertà è il patrimonio comune di tutta l'Umanità. Chi è incapace di trasmetterla agli altri è indegno di possederla.
Non trasformate il vostro cuore in un ripostiglio; diventerebbe presto una pattumiera.
Lavorate. Una delle disgrazie del nostro tempo è che si considera il lavoro come una maledizione. Mentre è redenzione.
Meritate la felicità di amare il vostro dovere.
E poi, credete nella bontà, nell'umile e sublime bontà.
Nel cuore di ogni uomo ci sono tesori d'amore.
Spetta a voi, scoprirli.
La sola verità è amarsi.
Amarsi gli uni con gli altri, amarsi tutti. Non a orari fissi, ma per tutta la vita.
Amare la povera gente, amare le persone infelici (che molto spesso sono dei poveri esseri), amare lo sconosciuto, amare il prossimo che è ai margini della società, amare lo straniero che vive vicino a voi.
Amare.
Voi pacificherete gli uomini solamente arricchendo il loro cuore.

Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un "progresso" folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido "ho fame!" che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli.
Allora... domani?
Domani, siete voi.

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inviato da Fra Roberto Brunelli, inserito il 28/12/2016

PREGHIERA

10. Cristo immagine radiosa del Padre

Bruno Forte, dalla Catechesi "Essere missionari: Andate!", a Rio de Janeiro, GMG 2013

Cristo, immagine radiosa del Padre,
principe della pace, che riconcili Dio con l'uomo
e l'uomo con Dio,
Parola eterna divenuta carne,
e carne divinizzata nell'incontro sponsale,
in te soltanto abbracceremo Dio.

Tu che ti sei fatto piccolo per lasciarti afferrare
dalla sete della nostra conoscenza e del nostro amore,
donaci di cercarti con desiderio,
di credere in te nell'oscurità della fede,
di aspettarti ancora nell'ardente speranza,
di amarti nella libertà e nella gioia del cuore.

Fa' che non ci lasciamo vincere dalla potenza delle tenebre,
sedurre dallo scintillio di ciò che passa.
Donaci perciò il tuo Spirito,
che diventi egli stesso in noi desiderio e fede,
speranza e umile amore.

Allora ti cercheremo, Signore, nella notte,
vigileremo per te in ogni tempo,
e i giorni della nostra vita mortale diventeranno
come splendida aurora, in cui tu verrai,
stella chiara del mattino, per essere finalmente per noi il sole,
che non conosce tramonto. Amen. Alleluia

Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

fedefiducia in DioattesaoscuritàGesù Cristoincarnazioneumiltàrapporto con Dio

inviato da Qumran2, inserito il 05/09/2016

TESTO

11. La felicità non ha prezzo

Papa Francesco, Omelia 24 aprile 2016, Giubileo dei Ragazzi e delle Ragazze

Non fidatevi di chi vi distrae dalla vera ricchezza, che siete voi, dicendovi che la vita è bella solo se si hanno molte cose; diffidate di chi vuol farvi credere che valete quando vi mascherate da forti, come gli eroi dei film, o quando portate abiti all'ultima moda. La vostra felicità non ha prezzo e non si commercia; non è una "app" che si scarica sul telefonino: nemmeno la versione più aggiornata potrà aiutarvi a diventare liberi e grandi nell'amore.

felicitàricchezzainterioritàesteriorità

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

12. E beata colei che ha creduto

Valentino Salvoldi

Vergine beata, che cosa provasti alla sconcertante richiesta di diventare la madre del Salvatore?

Forse udisti solo una voce interiore, una chiamata ad abbandonarti totalmente alla volontà del Padre. E a Lui, pure turbata, desti il tuo assenso, Tu, la Donna del "sì".

Maria, vedesti solo porte chiudersi al tuo passaggio, quando cercavi un luogo in cui dare alla luce la Luce del mondo e, fiduciosa, continuasti a credere, Tu, la Donna fedele all'eterna Parola.

Profuga, nella straziante fuga verso l'Egitto, quanti dubbi dovesti scacciare, contemplando il bambino Gesù tra le tue braccia: "Ma Tu, figlio mio, sei Dio o pericolosa pietra d'inciampo?". Tu, Donna beata perché hai creduto.

E quando al tempio, dopo tre giorni di penosa ricerca, trovasti Gesù - un po' trasgressivo e misterioso come tutti gli adolescenti -, di fronte al dolore di Giuseppe e tuo, pur non comprendendo, continuasti a credere che era Dio Colui che quasi ti sfidava: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".

...Ed eccolo al Giordano, in fila con i peccatori a farsi battezzare in remissione dei peccati: "Ma Gesù è Dio o uno dei tanti peccatori?", ti sarai chiesta. Tormento scacciato con un atto di fede nella misteriosa volontà divina.

La tua fede operò il miracolo dell'acqua cambiata in vino, a Cana di Galilea, dopo aver perdonato parole dure come pietre: "Ti emoi kai soi gunai?" ("Che cosa tra me e te, donna?"). Povera Vergine Maria, chiamata "donna" e non "Mamma"!

Tu accettasti che Gesù indirizzasse ad altri - agli ascoltatori della Parola - la lode rivolta a te per averlo generato. Così pure non ti lamentasti quando rifiutò di darti udienza: "Chi è mia madre?", o forse ti sentisti doppiamente madre per aver concepito la Parola nel tuo cuore, prima di concepirla nella carne?

Vergine addolorata ai piedi della croce, accettasti di "privarti" di una maternità divina, di "perdere" un così grande Figlio, per diventare madre di chi stava ammazzando il tuo Signore, il tuo Dio, l'unico tuo sostegno e conforto, l'unico tuo grande Amore.

E in Lui credesti quando te lo depositarono, morto, tra le braccia. Un Dio morto?...

Nel supremo dei dolori, solo il mistero di Dio poteva illuminare il mistero della sofferenza che, come trivella, perforava il tuo cuore alla ricerca dell'acqua viva, la grazia, fulgida luce che dissipa le tenebre della morte con il fulgore della resurrezione.

E nell'alba radiosa del primo giorno della settimana, il Risorto, forse, venne a ringraziare te, Donna del sabato santo, per aver tenuta viva la fede dei discepoli, per averli aiutati a credere e a sperare. Forse ti ringraziò con le sublimi parole di Elisabetta: "Beata te che hai creduto".

A te, Donna che ascolta, crede e si abbandona totalmente al Mistero; a te, Donna il cui latte è diventato il sangue di Dio, nel suo e tuo Figlio, Gesù; a te, Donna che danzi cantando il "Magnificat" e hai il privilegio di sentirti chiamare "Mamma" dal Salvatore del mondo; a te, che pure io invoco come "Madre mia e mia fiducia", chiedo il dono di credere come Tu hai creduto. La fede dilati gli orizzonti della speranza e si consumi nell'amore, affinché, quando busserò alla porta del paradiso, Tu mi corra incontro gioiosa, rivolgendo pure a me l'entusiastico encomio: "Beato te che hai creduto".

fedefiduciaMariamadonna

inviato da Don Valentino Salvoldi, inserito il 23/08/2016

TESTO

13. Ogni stagione della vita ha un suo paradiso   1

Enzo Bianchi, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2015

Ogni cristiano che recita il "Credo", la professione di fede, dice: "Credo la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen", e questo credere non è periferico, ma fondamentale nella fede cristiana. Il cristiano, dunque, crede che ci sia un dopo la morte, una vita piena per sempre, nella quale non vi saranno più pianto, né dolore, né malattia, né morte, ma la gioia eterna della comunione, attraverso Gesù Cristo, con Dio e con gli uomini e le donne da lui salvati. Anch'io, in quanto cristiano e monaco, aderisco a questa speranza, ma confesso che il mio immaginario è molto personale ed è mutato nelle diverse stagioni della mia vita. La domanda che mi viene posta: "Come immagini il paradiso?", mi spinge dunque a dare diverse risposte.

Innanzitutto, il paradiso è un'immagine che ci viene trasmessa quando siamo piccoli, e così è stato anche per me. Quando morì mia mamma avevo solo otto anni. Chiedevo dov'era andata, perché non riuscivo ancora a comprendere la morte, e mi veniva risposto: è in paradiso, in un bel giardino, e là passeggia tra gli asfodeli, fiori molto profumati. Così immaginavo dunque il paradiso e speravo di andarci presto, per ritrovare mia mamma e vedere questi fiori profumati che nessuno sapeva descrivermi, perché nel Monferrato nessuno li aveva mai visti.

Con la giovinezza e gli studi biblici, elaborai altre immagini, sovente in contrapposizione al possibile esito opposto: gli inferi, luogo di perdizione, lontano da Dio e da tutti gli altri. Il paradiso assumeva le immagini della Bibbia che leggevo e studiavo: un luogo pieno di luce, in cui non era mai notte; un luogo di pace, senza litigi, dispute, violenze, guerre; un banchetto con abbondanza di cibi squisiti e di vini raffinati; tanta musica e la possibilità di stare insieme, in una festa continua... Belle immagini, ma che svanivano velocemente, perché la ragionevole fede mi spingeva a comprendere che il paradiso non era un luogo, bensì una condizione di comunione con il Signore. Mi piaceva però l'immagine del pranzo con piatti sempre nuovi e dal gusto straordinario, dell'ascolto di musiche che rendevano l'eternità sopportabile...

Poi le immagini del paradiso sono cambiate ancora, tra dubbi, rinnovamenti della speranza, a volte anche stanchezza delle immagini stesse e desiderio di rinnovarle. Ora che sono vecchio, il paradiso o l'esito contrario dell'inferno sono sempre più prossimi: non nascondo una certa paura che mi abita al pensiero della morte, perché credo nel giudizio di Dio sulle mie responsabilità, sul mio operare che è stato buono o cattivo.

Spero soprattutto che nessuno vada all'inferno; ma se qualcuno ci va, allora - mi dico - rischio di andarci anch'io, che non mi sento tanto diverso dagli altri nell'acconsentire all'egoismo che mi abita.

E le immagini del paradiso, da vecchio? Sono svanite. Oggi non so dire, non so immaginare, non oso neppure pensare di dire qualcosa che lo descriva. Nella mia fede è solo una cosa: una grande comunione in Gesù Cristo, in cui regnerà l'amore. Sono convinto che chi ho amato qui sulla terra, lo ritroverò anche di là, e così continueranno il nostro amore e la nostra amicizia. Se pensassi di andare di là e di non trovare più i miei amici, preferirei allora non andarci!

Spero di ritrovare questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi... Sì, vorrei che continuassero le "storie d'amore" vissute qui; anzi, che riprendessero quelle che si sono interrotte e, senza gelosie né concorrenze, potessimo tutti insieme bere alle coppe del vino dell'amore.

Per farvi sorridere, cari lettori, vi confesso che ho un'altra paura: di finire sì in paradiso, ma vicino a persone che non mi piacevano, sebbene fratelli o sorelle nella fede e magari anche di rinomata santità. No, questo proprio no! Ma forse, se Dio mi salverà, sarò cambiato tanto da sopportare anche questo. Purché il Signore non mi faccia perdere gli amici, quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male: li vorrei con me.

mortevita eternaparadisorapporto con Dioeternitàpienezza

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inviato da Simone Pestelli, inserito il 07/02/2016

PREGHIERA

14. Vai e fai anche tu come ho fatto io

sr Mariangela frp Tassielli, Paoline

Strade, angoli, piazze e quartieri... sono tanti i luoghi in cui uomini e donne, senza nome, muoiono per indifferenza o solitudine.
Non esistono, Signore, samaritani che appaiono dal nulla. Non ci sono, Gesù, samaritani che arrivano da altri mondi.
Esistiamo noi, con le nostre scelte, E ci sei tu con la tua audace proposta:
«Vai e anche tu fai ciò che ho fatto io. Vai e tendi la mano a chi è povero. Vai e sorridi a chi è solo. Vai e apri il tuo cuore a chi è triste. Vai e abbraccia chi è caduto e sanguina».
Signore Gesù, rendi vera la nostra fede, insegna al nostro cuore ad amare veramente, aiuta le nostre gambe e le nostre mani ad andare verso gli altri, perché il mondo possa scoprire, e sentire il tuo amore, nel nostro credere, amando. Amen.

amiciziaSamaritano

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inserito il 03/02/2016

TESTO

15. A chi credere?   1

Giuseppe Impastato S. I.

Ma come si fa a crederti,
se il canto degli angeli
è disturbato dai ragli dell'asino,
se la puzza e il fetore della stalla
impedisce il profumo del cielo?
Il canto meraviglioso degli angeli
è coperto dalle parole sgangherate dei pastori!
Non so a cosa credere!

Crederò al sorriso di un Bimbo,
che invita ed accoglie i rifiutati
per essere l'Emmanuele,
il Dio con noi, il Pastore...

natalepastoriincarnazionegesù bambinoumiltà

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inviato da Giuseppe Impastato S. I., inserito il 24/12/2015

TESTO

16. Cammina   5

Charles Singer

Cammina facendo attenzione ai segni.
Non ci sono bussole che indichino da che parte sta Dio,
ma ci sono dei secoli sul cammino.
Il che tuttavia non ti evita di camminare nella notte
e di ferirti incontrando uno spuntone di roccia.
Ma anche nella notte più tenebrosa ci sono delle stelle.
Chi cerca Dio è una persona attenta!

La ricerca di Dio comporta che si rimetta costantemente
in questione la propria esistenza
e che si abbandonino le proprie sicurezze.
Dio lo si incontra al termine di un lungo cammino.
Chi cerca Dio è un nomade!

Gli esploratori senza entusiasmo
non scoprono nulla e soprattutto
non fanno nascere il desiderio di seguirli.
A volte si va avanti vacillando,
ma sempre con la gioia nel cuore,
perché ci si affretta verso colui che attira e seduce.
Chi cerca Dio è un appassionato!

Il mondo deve essere cambiato oggi.
E' oggi, con i compagni di questo momento,
in mezzo alle gioie e alle difficoltà di questo tempo,
con le possibilità che ci sono offerte ora,
che noi dobbiamo intraprendere la grande avventura
per cercare di riportare il mondo a Dio.
Chi cerca Dio appartiene al suo tempo!

Nel cammino fidati di colui che stai cercando!
Anche se tutte le stelle sembrano spegnersi
e tutte le promesse andare a vuoto,
tu sai che Dio non può chiamarti,
ne destare la tua, voglia di esplorare e di trovare,
per abbandonarti, alla fine, nell'oscurità della notte.
Quando sale la nebbia e ti afferrano la paura e il dubbio:
allora, ti resta solo la fiducia in colui che ti ama e ti cerca.
E credere è proprio dare fiducia,
al di là di ogni apparenza contraria.
Chi cerca Dio è fedele!

camminofiduciafedericerca di Dio

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inviato da Qumran, inserito il 05/05/2015

PREGHIERA

17. Ti aspettavamo più grande   11

Signore,
ti aspettavamo più grande
e vieni nella debolezza di un bambino.
Ti aspettavamo a un'altra ora
e vieni nel silenzio della notte.
Ti aspettavamo potente come un re
e vieni uomo, fragile come noi.
Ti aspettavamo in un altro modo
e vieni così, semplice.
Quasi non possiamo riconoscerti,
così uomo.
Avevamo le nostre idee su di te,
e vieni rompendo tutto ciò che avevamo previsto.
Donaci la fede
per credere in te e riconoscerti così, come vieni.
Rendi forte la nostra speranza
per avere fede in te con la semplicità con cui vieni a noi.
Insegnaci a amare come ami tu,
che essendo forte ti sei fatto debole
per essere la nostra forza
in tutti i momenti e nei secoli dei secoli.
Amen.

nataleincarnazioneGesù bambino

4.7/5 (14 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 20/09/2013

TESTO

18. Voglio credere   7

Jorge Mario Bergoglio

Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo Spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna.
Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all'incontro per invitarmi a seguirlo.
Credo nel mio dolore, infecondo per l'egoismo, nel quale mi rifugio.
Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare... senza dare.
Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me.
Credo nella vita religiosa.
Credo di voler amare molto.
Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla.
Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d'estate.
Credo che papà sia in cielo insieme al Signore.
Credo che anche padre Duarte (*) stia lì intercedendo per il mio sacerdozio.
Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l'amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all'incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen.

Testo di papa Bergoglio scritto del 1969, poco prima di essere ordinato sacerdote, tratto da Avvenire del 31 marzo 2013.

(*) il sacerdote che lo confessò quel 21 settembre​​​​ citato prima.

credoconfessione di fedepapa Francesco

4.3/5 (7 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 04/04/2013

TESTO

19. Anno della Fede   10

P. Gianni Fanzolato

Ad ogni uomo che nasce Dio affida un lume che accende nell'animo: la fede.
Nessuno può vivere, camminare, correre ed amare senza questa luce viva.
Nascendo il bimbo ha fede nella mamma, il papà nel pilota d'aereo.
Ogni mattina ci fidiamo del lattaio, del barista, dell'avvocato e del taxista.
Di Dio allora non dobbiamo fidarci? Lui che ci conosce, ama e dà la vita?
Errando vagabondi nei labirinti della storia questo lume acceso ci indica la via.
Lungo le coste dove il mare è in tempesta e la mia nave sembra naufragare,
Lontano ma sicuro ecco un faro di salvezza, un'ancora di speranza: è la fede
A volte questa luce sembra spegnersi, resta un lumino fumigante che si dilegua.
Forze avverse sembrano soffiare contro per finirlo del tutto e tu remi senza meta.
E' arrivato il tempo per fare il pieno, caricar le pile, ravvivare questa fiamma.
Dio è l'unico da ritrovare: più ritorni a Dio, più l'uomo si svela nel suo grande mistero.
Ecco il tempo di grazia, tempo favorevole per credere ancora: è l'anno della fede!

anno della fedefedefiducia in Dio

3.1/5 (9 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/10/2012

TESTO

20. La bisaccia del cercatore   2

Tonino bello, La bisaccia del cercatore, ediz. La meridiana

Se io fossi un contemporaneo di Gesù, se fossi uno degli Undici ai quali Gesù, nel giorno dell'Ascensione, ha detto: "Lo Spirito santo verrà su di voi e riceverete da lui la forza per essermi miei testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, la Samaria e fino all'estremità della terra" (At 1,8), nell'atto di congedarmi dai fratelli, sapete cosa avrai preso con me? Innanzitutto il bastone del pellegrino e poi la bisaccia del cercatore e nella bisaccia metterei queste cinque cose: un ciottolo del lago; un ciuffo d'erba del monte; un frustolo di pane, magari di quello avanzato nelle dodici sporte nel giorno del miracolo; una scheggia della croce; un calcinaccio del sepolcro vuoto. E me ne andrei così per le strade del mondo, col carico di questi simboli intensi, non tanto come souvenir della mia esperienza con Cristo, quanto come segnalatori di un rapporto nuovo da instaurare con tutti gli abitanti, non solo della Giudea e della Samaria, non solo dell'Europa, ma di tutto il mondo: fino agli estremi confini della terra. Ecco, io prenderei queste cose. Ma anche il credente che voglia obbedire al comando missionario di Gesù dovrebbe prendere con sé queste stesse cose.

segnifedecredereobbedienzamissioneevangelizzazionelibertàinterioritàesterioritàtestimonianzaascensione

5.0/5 (4 voti)

inviato da Don Fabio Sgaria, inserito il 23/09/2012

RACCONTO

21. Le tre case   2

Bingo davvero, ed. Paoline

C'era una volta un uomo piccolo come la punta di un ago. Anzi, più piccolo ancora. Era piccolo, ma aveva una voglia matta di crescere! Pensa: dopo appena 15 giorni da quando aveva incominciato a vivere, era già 125 mila volte più grande. Incredibile!! Eppure proprio vero.

L'uomo abitava in una strana casa che girava per la città, correva, si piegava fino a terra; di notte, poi, si coricava e al mattino si alzava. La casa era interessante e tiepida, ma aveva un grande difetto: era tutta buia come un sacco chiuso. Là dentro non si poteva vedere niente: né formiche, né cavalli, né automobili.

"Basta, disse finalmente un giorno l'uomo, dopo nove mesi; basta: voglio uscire, voglio uscire...". Si mise a spingere...ed eccolo fuori! "Oh, finalmente posso correre, giocare, fare il bagno, nuotare...Altro che la casa di prima! Questa sì che è stupenda: qui c'è il sole, ci sono le piante, i fiori, la neve...".

Per ottant'anni l'uomo, tutte le mattine, alzava le braccia e diceva: "Che bella questa terra!". Era felice e contento. Però un giorno incominciò a diventare triste.

Vedeva che il sole tramontava e veniva la notte; le piante perdevano le foglie e diventavano brutte; i fiori diventavano fieno e la neve, fango. Allora si mise a sognare un'altra casa dove vi fossero tanti alberi verdi, i fiori rossi, la neve bianca e il sole splendente. Mentre pensava, morì. Tutti si misero a piangere..

Lui, invece, rideva! Vien da non credere, eppure lui rideva, rideva...

Sfido io! Appena morto, gli si spalancarono le porte di una casa dove c'erano cose che non ti puoi immaginare. Un Papà buono - un vero Amore! - lo abbracciò; una Mamma bella - una vera meraviglia! - lo baciò. Lo baciò e lo prese per mano: "Vieni a giocare con noi! Vedi, qui tutto è nuovo: la terra è nuova, le stelle sono nuove. Vieni!".

L'uomo non capiva più niente. "Ma non sono morto, io?". "No, no, gli gridarono milioni e milioni di voci: sei vivo, vivo per sempre!". Pazzo di gioia, l'uomo si mise a correre, a far capriole nei prati che non finivano mai, in mezzo ai fiori che non appassivano mai. "Qui son proprio a casa mia - gridava - a casa mia!".

Così finisce la storia delle tre case. Storia vera: storia mia e storia tua. Storia di tutti gli uomini che camminano su questa terra e, di tanto in tanto, guardano al cielo dove invece di piangere, tutti sono nella gioia accanto a Gesù, Maria e tutti i santi.

vitamortesantieternitàvita eternaparadisorinascerenascita

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inviato da Milena Pavan, inserito il 21/09/2012

TESTO

22. Parlami d'Amore (versione 2)   3

Michel Quoist, Parlami d'amore, Sei, Torino 1987, pp. 104-107

L'amore non è la folgorazione della bellezza
davanti a un volto che d'improvviso s'illumina per te,
perché la vera bellezza è il riflesso dell'anima,
ma l'anima è oltre, e la cerchi tremando.

L'amore non è seduzione di un'intelligenza viva e sciolta
che scorre in parole e idee per piacerti,
perché l'intelligenza può splendere di mille barbagli
senza essere autentico diamante nascosto nelle profondità dell'amato.

L'amore non è l'emozione di fronte a un cuore
che batte per te
più di quanto non batta per gli altri,
né quella meraviglia d'essere scelto, eletto,
senza motivo ai tuoi occhi
che valga questa follia,
perché un cuore può un giorno turbarsi per un altro,
e lasciarti sanguinare, in lacrime,
senza che il tuo amore muoia.

L'amore non è voglia di catturare, di afferrare
l'oggetto del tuo desiderio,
sia esso cuore, corpo, mente o tutti e tre insieme,
perché l'altro non è "oggetto";
e se lo prendi per te, lo mangi e lo distruggi,
è te che ami credendo di amare l'altro.

Folgorazione e seduzione, fame e fremiti,
emozione e sgorgare di desideri,
tutto ciò è bello e necessario, nell'uomo, nella donna,
ma soltanto per aiutare ad amare chi accetta di amare.

E' la porta socchiusa e le finestre spalancate,
è il vento che entra a folate,
è il richiamo del largo, è il mormorio di Dio
che invitano a uscire dalla casa sbarrata
per andare verso un altro
che hai scelto per colmare la tua vita
perché lo ami e lo vuoi amare.

Amare è volere l'altro libero e non sedurlo,
è liberarlo dai suoi lacci se ne rimane prigioniero,
perché anche lui possa dire: ti amo,
senza esservi spinto dai suoi desideri non domati.

Amare è con tutte le forze volere il bene dell'altro,
anche prima del tuo,
è fare di tutto perché l'amato cresca, e poi sbocci e fiorisca
diventando ogni giorno l'uomo che deve essere
e non quello che tu vuoi modellare
sull'immagine dei tuoi sogni.

Amare è dare il tuo corpo, e non prendere il suo,
ma accogliere il suo quando si offre per essere condiviso,
è raccoglierti, arricchirti,
per offrire all'amato più che mille carezze e folli abbracci,
la tua vita intera raccolta nelle braccia del tuo "io".

Amare è offrirti all'altro,
anche se questi ad un certo momento si rifiuta,
è dare senza tenere il conto di quello che l'altro ti dà,
pagando il prezzo alto senza mai reclamare il resto,
ed è supremo amore perdonare
quando l'amato purtroppo si sottrae,
tentando di consegnare ad altri ciò che ti aveva promesso.

Amare è credere nell'altro e dargli fiducia,
credere nelle sue forze nascoste, nella vita che ha in sé;
e quali che siano le pietre da tagliare
per appianare la strada,
è decidere da uomo ragionevole
di avviarsi coraggiosamente per il viaggio del tempo.

Non per cento giorni, per mille, e neppure per diecimila,
ma per un pellegrinaggio che non finirà,
perché è un pellegrinaggio che durerà
"sempre"...

Se amare è questo, come potrò riuscirci?
Ero scoraggiato...
Non avevo ancora capito...
che l'amore era un fine da raggiungere
e non un punto di partenza
e che, per cercare di riuscirci,
bisognava lottare per tutto il tempo della vita.
Io volevo tutto e subito.

Questo era il mio errore.
Dovevo accettare di adottare
il passo lento e regolare,
il passo dell'autentico montanaro.

Clicca qui per un altro testo di Michel Quoist sullo stesso tema.

amoreinnamoramentoamaredonarsigratuitàlibertàcrescerematurità

3.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 20/09/2012

PREGHIERA

23. Preghiera a Maria alla conclusione del mese di maggio   1

don Sandro Vigani, Gente Veneta, Settimanale della Diocesi di Venezia

Quando ti penso, Maria, vedo una giovane donna
che si prepara al matrimonio,
una figlia d'Israele cresciuta nella fede e nella storia
di un popolo col quale Dio ha intrecciato
una meravigliosa alleanza.
Vedo una donna che sta progettando il proprio futuro,
pensa alla casa, ai figli, allo sposo,
è innamorata della vita e delle tradizioni della propria gente.
E' piena di attese, di curiosità
e forse anche di un po' di timore.

Il Signore è entrato, potente, Maria,
nella casa della tua esistenza, e la storia del mondo
è cambiata per sempre, duemila anni fa,
perché Tu quel giorno hai detto di «sì».
Il vento di Dio ha soffiato forte e mescolato
le carte dei tuoi progetti, come il vento della primavera
a volte alza la sabbia sulla riva del mare.
Penso alla tua paura, Maria, quel giorno.
Alle parole con le quali, stupita,
chiedi conto al messaggero di Dio
di quello che sta accadendo in Te:
«Come è possibile, io non conosco uomo».
E penso alle paure che tante volte
hanno popolato la casa della mia vita,
ai momenti di buio, di dolore, di incertezza.
Alle direzioni così strane
che spesso ha preso la mia strada,
a come il vento di Dio l'ha battuta
e ha scombinato le tracce
che credevo indispensabili per orientami.

Maria, dopo la prima paura ti sei fidata.
O forse ti sei abbandonata, arresa alla voce del Signore
alla quale sentivi di non poter resistere.
Forse non sempre hai capito subito,
ma hai conservato nel tuo cuore
il senso di quello che ti accadeva.
E al tuo cuore hai attinto
negli anni che sono venuti,
mentre accompagnavi tuo figlio Gesù
giorno dopo giorno verso la croce,
finché quel significato si è dispiegato davanti ai tuoi occhi.
Io ho resistito mille volte più di Te a quella voce,
finché sulla mia strada,
sotto la sabbia e la terra delle mie debolezze,
a poco a poco sono comparse
altre tracce più vive e più vere,
che mi parlavano di quanto il tuo Figlio mi amava.

Anche oggi, molte volte, so di resistere a quella voce,
e mi affido alla pazienza di Dio
perché a poco a poco mi aiuti a leggere
nelle pagine della mia vita le parole che scrive per me.

Maria, hai accolto nel tuo grembo il figlio di Dio.
Sei stata ad un tempo madre e figlia.
Mi chiedo come hai vissuto questo duplice ruolo.
Quel figlio che cresceva in te e poi accanto a te,
era tuo ma non ti apparteneva.
Lo amavi come ogni madre,
accarezzavi per lui i tuoi progetti,
mentre lo cullavi tra le tue braccia,
e dovevi ogni giorno distaccarti da lui,
lasciare che andasse per la sua strada dove lo voleva suo Padre.
La vita è fatta anche di molti distacchi.

Maria, io credo che per poter
affrontare i momenti più difficili accanto a Gesù,
Tu abbia avuto nel tuo cuore un'invincibile speranza,
che si era accesa quando il messaggero di Dio
ti aveva assicurato che il Signore
non ti avrebbe mai abbandonata.
Maria, abbiamo il tesoro più grande
che un uomo possa sperare di avere,
la perla per la quale vale la pena vendere tutto,
abbiamo con noi il Signore.
Aiutaci ad accendere la nostra speranza,
perché il fuoco di Dio che non distrugge,
ma dona la vita,
bruci dentro di noi e attorno a noi.
Fa' che comprendiamo che vale la pena di credere,
essere cristiani conviene: così impareremo a guardare
la vita ed il mondo con occhi pieni di luce.

MariaMadonnafiduciaGesù

4.5/5 (2 voti)

inviato da Don Mario Sgorlon, inserito il 11/08/2012

TESTO

24. Convertitevi e credete al Vangelo   1

K. Ware, Agenda Missionaria

Pentimento non è auto compassione o rimorso, ma conversione, incentrare la nostra vita sulla Trinità.
Non è guardare indietro con disgusto, ma avanti con speranza.
Non significa guardare in basso ai nostri errori, ma in alto all'amore di Dio.
Non significa guardare ciò che non siamo riusciti a essere, ma ciò che - per grazia divina - possiamo diventare.

conversionecredereottimismoveritàcambiamentosperanzamisericordia di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 07/04/2012

TESTO

25. Il Risorto nella nostra storia

Monaci Benedettini Silvestrini, Auguri pasquali 2011

Quando senti i terremoti violenti scuotere la terra, quando in preda allo spavento vedi lo tsunami dare morte alle persone inermi e travolgere tutto nella distruzione, quando vedi il fuoco bruciare la tua casa, quando vedi infuriare i venti e scatenarsi la tempesta che schianta la foresta dì a te stesso: "Credo che la terra tornerà nella sua immobilità, le acque si calmeranno, la foresta si rifarà e io ricostruirò la mia casa e soprattutto la vita continuerà a vivere perché Cristo è risorto ed è lui l'autore dell'immortalità, lui l'autore della vita".

Quando vedi con terrore che una fonte di energia inventata dagli uomini, diventa contagio, terrore e morte per gli uomini dì a te stesso: "Da quella fonte Cristo era stato escluso e l'umana intelligenza inventa, ma non salva e talvolta diventa il suo sepolcro".

Quando il peccato ti stringe alla gola e ti senti soffocato e finito, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e io risorgerò dal mio peccato, per questo si è immolato sulla croce, per questo io spero il suo perdono".

Quando la vecchiaia o la malattia tenterà di amareggiare la tua esistenza, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e ha fatto cieli nuovi e terra nuova. È lui la mia eterna giovinezza, lui può fare nuova la mia anima".

Quando vedrai tuo figlio fuggire da casa in cerca di avventura e ti sentirai sconfitto nel tuo sogno di padre o di madre, dì a te stesso: "Mio figlio non sfuggirà a Dio e tornerà perché Dio lo ama, perché lo attende da sempre nella tua casa per abbracciarlo e fare festa con te e con lui per il suo ritorno".

Quando vedrai spegnersi la carità attorno a te e vedrai gli uomini come impazziti nel loro peccato e ubriacati dai loro tradimenti, dì a te stesso: "Toccheranno il fondo, ma torneranno indietro perché lontano da Dio non si può vivere e la nostalgia del Padre celeste è irrefrenabile per tutti i figli di Dio".

Quando il mondo ti apparirà come sconfitta di Dio e sentirai la nausea del disordine, della violenza, della litigiosità continua, del terrore, della guerra dominare sulle piazze e la terra ti sembrerà il caos, dì a te stesso: "Gesù è morto e risorto proprio per salvare e, se la imploriamo, la sua salvezza è già presente tra di noi".

Quando tuo padre o tua madre, tuo figlio o tua figlia, la tua sposa, il tuo amico più caro, ti saranno dinanzi sul letto di morte e tu li fisserai nell'angoscia mortale del distacco, dì a te stesso e a loro: "Ci rivedremo nel Regno eterno, ora io intraprendo la via del Risorto, coraggio!".

Questo significa credere nella Resurrezione. Questo significa superare la tentazione, assai frequente ai nostri giorni, di fissare lo sguardo sulla superficie torbida degli eventi e magari incolpare il buon Dio dei terremoti, degli tsunami, dei lutti, delle violenze e di tutto il male che ci circonda, ci umilia e ci affligge, ignari e impenitenti dei nostri peccati.

Significa invece accorgersi con motivata preoccupazione che noi uomini abbiamo abbassato con la colpevole dimenticanza dell'Eterno, con le nostre frivole umane stupidità le dighe e le barriere e ci siamo privati delle corazze personali che formano gli argini e le difese dal male, da quel terribile male che si oppone a Dio e a noi e vorrebbe tutto e tutti chiudere per sempre in un sepolcro di morte e di definitiva distruzione, quelli argini e quelle divine difese, che invece ci difendono, ci aprono alla luce del bene, ci rischiarano la notte dei tempi e ci orientano verso la Luce di quel radioso mattino che illumina tutti i nostri giorni e sempre ci indirizza verso la vita vera, verso la definitiva risurrezione.

Ecco il grande, immenso dono del Cristo risorto, ecco la pasqua di quest'anno e la pasqua di ogni giorno, quella che potremmo chiamare l'albore e la speranza della Vita, la nostra fede. i doni del Risorto, quelli che noi monaci imploriamo e auguriamo con gioia a tutti e a ciascuno di voi.

I Monaci Benedettini Silvestrini del Monastero san Vincenzo Bassano Romano

pasquaresurrezionerisurrezionesperanzafiducia

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inviato da Monaci Benedettini Silvestrini Di Bassano Romano, inserito il 07/04/2012

PREGHIERA

26. Popolo di perdonati   2

Don Angelo Saporiti

Signore Gesù,
spesso mi sono chiesto che razza di Chiesa è la tua?
Davanti a tanta gente che viene in chiesa solo per farsi vedere,
o per abitudine, o per sentirsi a posto con la coscienza,
malignando e spettegolando sugli altri
qualche volta ho pensato anche io come tanti:
basta, me ne vado, non vengo più,
meglio credere solo in Dio, ma non nella Chiesa.
E non mi accorgevo che ragionando in questo modo,
stavo anche io giudicando, stavo lanciando pietre contro altri tuoi figli,
stavo uccidendo i miei fratelli e le mie sorelle.
Ma tu, Signore, nella tua bontà
hai fermato la mia mano.
Ogni volta che giudicavo, ogni volta che pensavo di andarmene,
tu, Signore, mi hai sempre messo davanti i miei sbagli,
le mie falsità, le mie imperfezioni, i miei tradimenti,
la mia fede fragile, il mio peccato quotidiano...
Ti prego, Signore,
fa' che ogni volta che vorrei lanciare una pietra contro la Chiesa
o contro qualcuno della mia comunità,
fammi capire che la tua Chiesa
è un popolo di perdonati, non di giusti o di perfetti.
Fammi capire che la Chiesa
non è un tribunale,
ma una casa abitata da gente perdonata.
Fammi capire, Signore,
che tu non vuoi una Chiesa di ghiaccio,
ma una Chiesa con un cuore caldo
capace di accogliere senza ferire,
di amare senza pretendere,
di perdonare senza rinfacciare,
di dire la verità senza far piangere.
Questa è la Chiesa che tu vuoi
e che anche io
ogni giorno mi impegnerò a costruire
con il tuo aiuto e la tua grazia.
Amen.

chiesaperdonogiudiziocomunitàpopolo di Dio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 07/04/2012

PREGHIERA

27. Grazie Gesù perché non ti ho mai visto   1

Don Angelo Saporiti

Grazie Signore Gesù,
perché non ti ho mai visto.
Grazie, perché se ti avessi visto,
sarebbe stato facile, troppo facile credere in te.
Se ti avessi incontrato come i tuoi discepoli,
sarei stato come "obbligato" a seguirti, a venirti dietro.
Il tuo fascino, la tua forza mi avrebbero colpito al cuore.
Io invece non ti ho mai visto.
Eppure sono qui. Adesso.
Davanti a te.
E mi vergogno a pensare
che ti conosco ancora troppo poco.
La mia pigrizia mi impedisce di fare di più.
Se qualcuno mi chiede di te
non so neanche cosa rispondere...
Il tuo vangelo a casa, non lo leggo quasi mai.
Non ho tempo.
La mia fede si limita allo stretto indispensabile.
Eppure adesso sono qui.
Davanti a te.
E ti dico grazie perché ci sei.
Grazie, perché anche se non ti ho mai visto,
tu mi hai cambiato la vita,
per sempre.
Fa', Signore Gesù,
che non mi stanchi mai di conoscerti sempre di più,
per poterti amare sempre di più
nella vita e negli altri.
Amen.

crederefedesequela

4.7/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 07/04/2012

TESTO

28. Senza vedere   3

Carlo Carretto

Cos'hai provato Maria quando la Maddalena ti ha detto di aver visto Gesù nel giardino? E quando Pietro e Giovanni vennero a te, correndo, per raccontarti come avevano visto la tomba vuota? Cos'è capitato in quel giorno? Cosa significa credere che Cristo è risorto dai morti? E tu l'hai rivisto in quei giorni? Perché il Vangelo non parla di te? Ed eri la più interessata. Perché non è apparso a te? Quanto mi ha fatto pensare questo silenzio del Vangelo! O che Gesù voleva accennare a te quando disse a Tommaso: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno"? Forse tu eri l'unica che non aveva bisogno di vedere per credere? Ed eri beata. Io penso di sì. Ed è per questo che sei la nostra maestra nella fede e la lode di Elisabetta fin da principio fu la più grande lode che ti si poteva fare. "Beata te che hai creduto". Tu non avevi bisogno di vedere per credere. Tu credevi al tuo Figlio Risorto e ti bastava. Credere alla Resurrezione di Gesù significa credere senza vedere. E anche io voglio credere senza vedere: come te. L'unica cosa seria è la fede. Ed è per fede che io credo alla Resurrezione di Cristo. E quando credo sono invincibile: "Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede".

MariaMadonnafedefiduciarisurrezioneresurrezione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Angela Magnoni, inserito il 23/01/2012

PREGHIERA

29. Solo un uomo   1

Carmelo Gaudiano, Cerca la tua Verità, pag. 11

Non posso credere che l'alba spunti per fatalità
che il sole splenda per diletto
e che gli spicchi della luna nella notte
siano dettagli di uno spazio senza logica.
Come posso pensare che l'uomo nasca per caso
cresca nel chiarore della giovinezza
e tramonti beffato dal destino?
Perché poi la luce sovrana
domata dal tempo
diviene schiava dell'oscurità?
E il tempo che tutto principia
avrà mai fine?
Non riesco a comprendere
sono solo un uomo.
Ma so che tutto riconduce a te
mio Dio.

ricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Carmelo Gaudiano, inserito il 22/01/2012

PREGHIERA

30. Mi fido di te   2

Don Angelo Saporiti, Commento sulla fede in Dio

Mi chiedi solo di credere,
di fidarmi di te,
di non avere paura delle tempeste della vita.
Mi dici che tu ci sei.
E io lo so. Lo sento che ci sei...
Fidarmi di te però non è facile,
non è per niente scontato.
Ma tu insisti e mi dici che se non mi fido di te
non ti amerò mai.
Lo sai bene, Signore,
quanto mi costa il salto della fede,
abbandonarmi a te,
totalmente,
ad occhi chiusi.
Lo sai bene, Signore,
e per questo mi sussurri:
"Figlio mio, fidati di me!
Io ci sono e ti salverò.
Non avere paura.
Anche se la tua barchetta non dovesse reggere alla tempesta,
se tu dovessi andare a fondo,
colare a picco sommerso dalle onde della vita,
io sarò con te,
sempre.
Non ti lascerò mai.
Io sono lì:
sul fondo più profondo del tuo mare,
nell'abisso più oscuro delle tue paure,
alla fine di ogni tua disperazione più devastante,
io sono proprio lì.
Sono la tua spiaggia bianca al tramonto,
sono il tuo orizzonte illimitato,
sono la tua domenica,
sono il tuo pane.
Fidati di me.
E mi potrai amare per sempre".

fedefiduciaabbandono

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 21/01/2012

TESTO

31. Resta vivo

Don Angelo Saporiti, Commento all'Avvento

Tu verrai, Signore. E io lo so.
Sento che la mia attesa non sarà inutile.
In questo tempo tu Signore, mi dici:
"Figlio mio, resta vivo!
Guarda il cuore delle cose e delle persone e non fermarti all'apparenza.
Resta vivo, figlio mio!
Nelle mille cose che fai, trova il tempo di ascoltare cosa provi e cosa senti.
Resta vivo!
Pensa con la tua testa e segui la tua strada, non quella degli altri.
Resta vivo!
Non cedere mai all'odio, alla vendetta e prova ancora a meravigliarti per ciò che ti circonda.
Resta vivo!
Rialzati sempre dopo ogni delusione e dona ali ai tuoi desideri di infinito.
Resta vivo!
Coltiva in te la gioia e non permettere mai alla sofferenza di cancellare la fede.
Resta vivo!
Continua a credere che ogni persona ha in sé un seme di bontà e che vale la pena lottare per un mondo migliore.
Resta vivo, figlio mio!
Resta attaccato alla sorgente della Vita.
Resta unito a me, che sono il tuo Dio, tuo Padre.
Io non ti lascerò mai solo".

avventovitavivereforzaperseveranzacoraggiosperanza

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 11/12/2011

TESTO

32. Credere, sperare, amare   2

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.

fedesperanzavitamortepaurascoraggiamentodisperazioneamore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

33. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

34. Beata te che hai creduto   5

Carlo Carretto

...Non è facile credere!
Non è cosi, Maria?
Non è cosi anche per te?
Non c'è fatica più grande sulla terra della fatica di credere, sperare, amare: tu lo sai.
Aveva ragione tua cugina Elisabetta a dirti: «Beata te che hai creduto!»
Si, Maria, beata te che hai creduto.
Beata te che mi aiuti a credere, beata te che hai avuto la forza di accettare tutto il mistero della Natività e di avere avuto il coraggio di prestare il tuo corpo ad un simile avvenimento che non ha limiti nella sua grandiosità e nella sua inverosimile piccolezza.
Nell'incarnazione gli estremi si sono toccati e l'infinitamente lontano si è fatto l'infinitamente vicino, e l'infinitamente potente si è fatto l'infinitamente povero.
Maria, capisci cosa hai fatto?
Sei riuscita a star ferma sotto il peso di un mistero senza confini.
Sei riuscita a non tremare davanti alla luce dell'Eterno che cercava il tuo ventre come casa per riscaldarsi.
Sei riuscita a non morire di paura davanti al ghigno di Satana che ti diceva che era cosa impossibile che la trascendenza di Dio potesse incarnarsi nella sporcizia dell'umanità.
Che coraggio, Maria!
Solo la tua umiltà poteva aiutarti a sopportare simile urto di luce e di tenebra.

crederefedenataleincarnazioneMaria

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inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

35. Dio è qui   1

Don Angelo Saporiti, Commento al Natale

Dio è qui.
Tra noi.
Piange, vagisce, sorride con una voce flebile.
Come un cucciolo appena nato.
Gli occhi socchiusi, le mani piccolissime, serrate in un pugno.
Il faccino grinzoso che si appoggia al seno di Maria.
Dio è qui.
Tra noi.
Ecco com'è veramente.
È un bambino inerme, fragile, debole.
Ti viene voglia di prenderlo in braccio, di accarezzarlo, di baciarlo...
Lui è qui.
Per i perdenti, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza,
per i senza scampo, i senza tregua, i senza luce.
Dio è qui per i bestemmiatori, i falliti,
per tutti quelli che non contano niente, per tutti gli "zeri" del mondo...
Dio è qui per i sazi di denaro, per quelli che si credono pieni di cultura,
per quelli che pensano di avere tutto, per i curiosi che si interrogano e cercano.
Dio è qui.
Per i sacerdoti ministri del culto, per quelli che praticano per abitudine,
per quelli che credono di credere, per quelli che pianificano tutto, anche la loro fede in Dio.
Dio è qui.
È qui per Erode e per i pastori, per gli angeli e per i re magi.
Dio è qui.
Per te.
Adesso.
E non vuole essere un ricordo.
Lui è l'imprevedibile.
Ti chiede solo di nascere.
È un Dio che ti somiglia.
Che puoi prendere tra le braccia.
Che sorride e che respira.
È un Dio che non si è mai stancato di cercarti.
Dio è qui.
Lasciati trovare da lui.
E anche per te sarà Natale!

nataleincarnazione

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inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 09/12/2011

ESPERIENZA

36. Tre storie della vita di Steve Jobs   3

Steve Jobs, 12 giugno 2005

Nella vita le sconfitte sono le svolte migliori. Perché costringono a pensare in modo diverso e creativo.

Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è su una cosa che io chiamo "unire i puntini" di una vita.

Quand'ero ragazzo, ho abbandonato l'università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l'ho fatto? E' iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia - all'ultimo minuto - disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?". Loro risposero: "Certamente! ". Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l'uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l'adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l'inizio della mia vita.

Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.

Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.

Era molto difficile all'epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.

Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Consentitemi di fare subito un esempio.

Il Reed College all'epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le 'grazie', capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un'applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. è stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all'epoca in cui ero al college era impossibile per me 'unire i puntini' guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all'indietro.

Insomma, non è possibile 'unire i puntini' guardando avanti; si può unirli solo dopo, guardandoci all'indietro. Così, bisogna aver sempre fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Bisogna credere in qualcosa: il nostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Perché credere che alla fine i puntini si uniranno ci darà la fiducia necessaria per seguire il nostro cuore anche quando questo ci porterà lontano dalle strade più sicure e scontate, e farà la differenza nella nostra vita. Questo approccio non mi ha mai lasciato a piedi e, invece, ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia è a proposito dell'amore e della perdita.

Io sono stato fortunato: ho scoperto molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Steve Wozniak e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in dieci anni Apple è diventata - da quell'aziendina con due ragazzi in un garage che era all'inizio - una compagnia da 2 miliardi di dollari con oltre 4 mila dipendenti.

Nel 1985 - io avevo appena compiuto 30 anni e da pochi mesi avevamo realizzato la nostra migliore creazione, il Macintosh - sono stato licenziato.

Come si fa a venir licenziati dall'azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l'azienda insieme a me, e per il primo anno le cose erano andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era saltato e io ero completamente devastato.

Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me; come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l'ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.

Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L'evolvere degli eventi con Apple non aveva cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti, consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un'azienda chiamata NeXT e poi un'altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, 'Toy Story', e adesso è lo studio di animazione di maggior successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono tornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple. Mia moglie Laurene e io abbiamo una splendida famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. è stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente.

Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però. Sono convinto che l'unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l'amore per quello che ho fatto. Bisogna trovare quel che amiamo. E questo vale sia per il nostro lavoro che per i nostri affetti. Il nostro lavoro riempirà una buona parte della nostra vita, e l'unico modo per essere realmente soddisfatti è di fare quello che riteniamo essere un buon lavoro. E l'unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che facciamo. Chi ancora non l'ha trovato, deve continuare a cercare. Non accontentarsi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie d'amore, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, bisogna continuare a cercare sino a che non lo si è trovato. Senza accontentarsi.

La terza storia è a proposito della morte.

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, un giorno avrai sicuramente ragione". Mi colpì molto e da allora, negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: "Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?". E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c'è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siamo già nudi. Non c'è ragione, quindi, per non seguire il nostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la Tac alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Prima non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile, che sarei morto entro i prossimi tre, al massimo sei mesi. Quindi sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi di poter dire loro in dieci anni. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi addio.

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell'analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini, per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l'intervento chirurgico e adesso, per fortuna, sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche l'unica per qualche decennio. Essendoci passato attraverso, adesso posso parlarvi con un po' più di cognizione di causa di quando la morte per me era solo un concetto astratto.

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso, in realtà non vogliono morire per andarci. Ma la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. E' l'agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo.

Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo, c'era un giornale incredibile che si chiamava 'The Whole Earth Catalog', praticamente una delle bibbie della mia generazione. E' stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci aveva messo dentro tutto il suo tocco poetico. E' stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fatto con macchine per scrivere, forbici e foto Polaroid. E' stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di 'The Whole Earth Catalog' e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono l'ultimo numero. Era più o meno la metà degli anni Settanta. Nell'ultima pagina di quel numero finale c'era la fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l'autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c'erano le parole: 'Stay Hungry. Stay Foolish', siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish: io me lo sono sempre augurato per me stesso.

E adesso lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish.

vitasconfittacreativitàentusiasmoperditamorteprogetti

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inviato da Lisa, inserito il 06/11/2011

PREGHIERA

37. Ti ho trovato in tanti posti, Signore

Ti ho trovato in tanti posti, Signore.
Ho sentito il battito del tuo cuore
nella quiete perfetta dei campi,
nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota,
nell'unità di cuore e di mente
di un'assemblea di persone che ti amano.
Ti ho trovato nella gioia,
dove ti cerco e spesso ti trovo.
Ma sempre ti trovo
nella sofferenza degli altri.
Ti ho visto nella sublime accettazione
e nell'impiegabile gioia di coloro
la cui vita è tormentata dal dolore.
Ma non sono riuscita a trovarti
nei miei piccoli mali
e nei miei banali dispiaceri.
Nella mia fatica ho lasciato
passare inutilmente il dramma
nella tua passione redentrice,
e la vitalità gioiosa della tua Pasqua,
è soffocata dal grigiore
della mia autocommiserazione.
Signore io credo, ma aiuta la mia fede.

cercare Diotrovare Dioquotidianitàcrederefede

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 08/07/2011

TESTO

38. Il profumo del Lunedì Santo   1

Il tuo profumo
o Donna misteriosa
è un profumo che non ha prezzo
per noi che siamo abituati a calcolare.

Il tuo profumo è
profumo di ascolto,
per noi che abbiamo il cuore e le orecchie indurite.

Il tuo profumo è
profumo di pace
per noi che siamo abituati a litigare.

Il tuo profumo è
profumo di accoglienza per noi
che non sempre sappiamo aprire le porte.

Il tuo profumo è
profumo di riconoscenza per noi
che abbiamo solo debiti.

Il tuo profumo è
profumo di fede per noi
che pensiamo di credere molto ma crediamo poco.

Il tuo profumo è
profumo di speranza per noi
che non sappiamo guardare lontano.

Il tuo profumo o Donna misteriosa è
profumo di Amore autentico
per noi che siamo impastati di amore falso.

Insegnaci a sprecare ogni tanto un po' del tuo profumo
gratuitamente
e inondaci di esso
in ogni Lunedì Santo della nostra vita.

lunedì santounzioneamore gratuitodonazionegratuitàfede

inviato da Roberta, inserito il 06/07/2011

TESTO

39. Chi non crede   2

Gilbert Keith Chesterton

Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto.

fedeincredulitàsuperstizione

inviato da Qumran2, inserito il 22/04/2011

ESPERIENZA

40. Dolore amore   1

Claudio Filanti

Vivo nel dolore, ma ho imparato da Gesù abbandonato e Risorto come vincerlo e trasformarlo in amore. Non sempre ci riesco, non sempre vivo il Risorto, ma non per questo il dolore vince, l'amore sempre vince! Come ci riesco? Non ci riesco, è sempre lui, Gesù che mi aiuta, senza di lui nulla posso fare! Nulla può riuscire.

È un'alchimia d'amore. Gesù ha offerto la sua vita per noi e ha trasformato il dolore in amore. Ha vinto il male, ma solo con l'amore abbracciando il dolore e il male del mondo, così da vincerlo. Il male ancora non è scomparso dal mondo, come mai allora?

Sarebbe stato troppo facile, se qualcuno lo avesse fatto per noi e basta, tutti dobbiamo imparare, se no dove sta il bello. Un maestro non fa il compito all'alievo, glielo insegna, così impara a risolverlo.

Così anche noi dobbiamo imparare a offrire e offrirci, come dice quel cantico della via Crucis: "Andiamo a morire con lui" oppure "insegnaci a offrire la nostra vita", ma ce ne sono tante altre di espressioni simili. Come è possibile fare questo, non siamo capaci di essere dei martiri, o forse solo per alcuni c'è questa strada. Ho parlato di un'alchimia d'amore. Pensate a una locomotiva; per andare ha bisogno di acqua, carbone o legna e le rotaie e una speciale reazione chimica che trasforma l'energia del calore in energia cinetica.

L'acqua, grazie al fuoco prodotto dal carbone o dalla legna diventa vapore. Il vapore spinge i stantuffi e quindi le ruote. Poi ci vogliono le rotaie che guidano la locomotiva. Il macchinista deve solo farla funzionare, ma non la guida, sono le rotaie che la guidano. Credo che ora tutto sia chiaro anche per voi!

L'acqua della vita è lo Spirito che agisce nel nostro corpo, che è mosso solo dallo spirito e dal fuoco Divino che è ancora lo Spirito Santo. Le rotaie sono la legge e il vangelo che ci dirige, e se ci lasciamo dirigere senza deragliare arriviamo a destinazione, alla stazione. Il paragone può continuare all'infinito, ogni cosa ci può aiutare per capire il nostro viaggio.

Trasformiamo in amore il dolore allora! Ho male alla schiena, oppure ho un male che mi attanaglia lo spirito? Devo amare! Ho dolore, ma voglio amare, anche se mi sembra di soffrire di più, a volte. Uno mi offende, prego per lui, uno vorrebbe farmi del bene, ma mi fa del male, lo aiuto a trovare una via del bene. Non posso, faccio finta di ignorarlo, ma lo ricordo al Signore. Non riesco a compiere la mia parte di lavoro, chiedo aiuto, do la possibilità a qualcuno di compiere del bene, perché aiuta il prossimo, proprio come vorrei fare io. Mi lascio aiutare e cerco di aiutare quando posso.

Come ho detto, non sempre è possibile, non sempre ne siamo capaci, ma Dio ci aiuta. È Gesù che è abbandonato e ha bisogno di aiuto. Siamo noi che abbiamo bisogno di aiuto, è uguale, perché Gesù è in noi. Siamo tempio del suo Spirito, dello Spirito Santo.

È incredibile, no, basta credere in Lui e impareremo. Saremo imperfetti, ma Lui ci ha insegnato come amare, come rispondere, come agire, come vivere. Forse noi non siamo capaci di rispondere così perfettamente, ma Dio ci ama comunque, Gesù ci ama così come siamo. Se desideriamo migliorare allora conserviamo in noi quel grande amore che ci fa crescere all'infinito, perché l'uomo è aperto a questo infinito.

Dio ama e ci insegna ad amare. Questa è l'immagine di Dio, di quel Dio che ci ha creato, una immagine che dovremmo riacquistare. E come diceva Michelangelo, si toglierà solo quello che è in più per scoprire quella figura che è già in quel blocco del marmo. Grazie Signore.

Questo è cio che ho imparato grazie alla spiritualità dalla scuola e dal movimento dei focolari.

doloreamoresofferenzaaccettazione

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inviato da Claudio Filanti, inserito il 15/01/2011

TESTO

41. Credere all'amore   1

Se non credessi all'amore, la mia vita sarebbe un'assurda avventura.

amorevitafede

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inserito il 07/01/2011

TESTO

42. Credere di non credere

Jacques Maritain

Coloro che credono di non credere in Dio, in realtà poi credono inconsciamente in lui, perché il Dio di cui negano l'esistenza non è Dio, ma qualcos'altro.

fedeateismoragione

inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

PREGHIERA

43. Il credo dei chiamati   2

San Paolo

- Noi crediamo che Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto (cfr. Ef 1,4).

- Noi crediamo che quelli che Egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo (Rm 8,29).

- Noi crediamo che Dio ci ha scelti fin dal seno materno, ci ha chiamati con la sua grazia e si compiace di rivelare a noi suo Figlio, perché lo annunziamo (Gal 1,15-16).

- Noi crediamo che Dio ha scelto ciò che è debole per confondere i forti, affinché la nostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio (1Cor 1,27).

- Noi crediamo che a ciascuno Dio ha dato una manifestazione dello Spirito per l'utilità comune (1Cor 12).

- Noi crediamo di doverci comportare in maniera degna della vocazione che abbiamo ricevuto: con tutta umiltà, mansuetudine e pazienza, cercando di crescere in ogni cosa verso di Lui (Ef 4,1-2).

- Noi crediamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno (Rm 8,28).

- Noi crediamo a colui che in tutto ha potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la sua potenza che già opera in noi (Ef 3,20).

- Noi crediamo che colui che ha iniziato in noi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù, perché colui che ci ha chiamati è fedele (Fil 1,6; 1Ts 5,24).

credocrederevocazioneelezioneamore di Diocarismi

4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

TESTO

44. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

sacerdotepretepresbitericleroanno sacerdotale

inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

TESTO

45. Credo in Dio e nell'uomo

p. Giulio Bevilacqua

Credo in Dio e nell'uomo quale immagine di Dio.
Credo nello sforzo dell'uomo.
Credo negli uomini, nel loro pensiero,
nella loro sterminata fatica che ha fatto quello che sono.
Credo nella vita
come gioia e come durata:
non prestito effimero dominato dalla morte, ma dono definitivo.
Credo nella vita come possibilità illimitata di elevazione e di sublimazione.
Credo nella gioia,
la gioia di ogni stagione, di ogni tappa, di ogni aurora,
di ogni tramonto, di ogni volto, di ogni raggio di luce
che parta dal cervello, dai sensi, dal cuore.
Credo nella gioia dell'amicizia,
nella fedeltà e nella parola degli uomini,
Credo in me stesso,
nelle capacità che Dio mi ha conferito,
perché posso sperimentare la più grande tra le gioie,
che è quella del donare e del donarsi.
In questa fede voglio vivere,
per questa fede voglio lottare e con questa fede voglio addormentarmi
in attesa del grande gioioso risveglio.

crederefedecredoottimismopositivitàsperanzavitasenso della vita

5.0/5 (1 voto)

inviato da Beppe Gola, inserito il 03/09/2010

TESTO

46. Cari amici, vedo in voi le sentinelle del mattino   2

Giovanni Paolo II, Tor Vergata, 19 agosto 2000, XV Giornata Mondiale della Gioventù

Cari giovani,

questa sera vi consegnerò il Vangelo. E' il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l'ascolterete nel silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori, allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno la vita per lui!

In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è lui la bellezza che tanto vi attrae; è lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.

Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in lui. Nella lotta contro il peccato non siete soli: tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!

Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is 21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.

Cari giovani del secolo che inizia, dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale. Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell'umanità del nuovo secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.

fedefiduciaGesùgiovaniimpegnoresponsabilitàidealisviluppopace

5.0/5 (2 voti)

inviato da Sandra Aral, inserito il 08/12/2009

PREGHIERA

47. Il servo inutile   3

Adolfo Rebecchini

Dopo che avete fatto tutto quello che dovevate fare,
dite, "Siamo servi inutili", non prima...

Essere servo inutile, significa comprendere e accettare
che il Vangelo non è un'operazione di marketing aziendale
e i cui risultati non si misurano grazie ad una buona campagna promozionale.

Essere servo inutile, significa fidarmi di Dio,
credere che attraverso il mio piccolo contributo, lui,
potrà realizzare il suo regno nel mondo.

Essere servo inutile, significa dimenticare ciò che la gente pensa di me
e preoccuparmi di essere grande agli occhi di Dio.
Solo così potrò vivere nella pace e sperimentare la gioia
di camminare nella verità.

Essere servo inutile, significa diventare testimone di Gesù,
senza fanatismi e senza ansie,
vivendo sempre alla luce della resurrezione.

Essere servo inutile, significa non cercare le cose complicate,
ma essere fedele, sempre,
nelle piccole come nelle grandi cose.

Essere servo inutile, significa donare se stessi,
rinunciando per sempre di raccogliere
i frutti del proprio lavoro.

Essere servo inutile, significa "farsi" per amore,
saper sorridere, sempre,
essere pazienti, sempre,
perdonare, sempre.

Quello che mi stai chiedendo,
Signore,
è duro da capire e da accettare...

A me piace,
essere tenuto in considerazione,
essere cercato,
essere lodato dagli altri...

Io non amo sentirmi inutile,
anzi, a dire il vero,
mi sento molto utile,
a volte necessario,
quasi indispensabile.

Hai mai pensato,
Signore,
cosa farebbero gli altri
senza di me?

E la parrocchia?
Chi canterebbe e suonerebbe la chitarra?
Chi farebbe il catechismo?
Chi leggerebbe in chiesa?
Chi...?!?
Altro che servo inutile!

Aiutami, Signore,
a non avanzare mai pretese dinanzi a te
e a non occupare mai il tuo posto.

Non lasciare che mi vanti delle mie opere
e mi dimentichi di te.

Ricordami che se ho ricevuto dei doni e possiedo delle qualità
è grazie al tuo amore infinito.

donocamminogratuitàdisponibilitàservo inutileumiltànascondimento

5.0/5 (3 voti)

inviato da Adolfo Rebecchini, inserito il 08/12/2009

TESTO

48. Il corpo del Signore   1

San Francesco d'Assisi, Ammonizione I, FF 141-145

Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto." Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: "Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio" (Gv 14,6-9).

Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio (cf. 1Tm 6,16; Gv 4,24 e 1,18). Perciò non può essere visto che nello Spirito, poiché è lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla (Gv 6,64 Vg). Ma che il Figlio, in ciò in cui è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il Padre né da come si vede lo Spirito Santo.

Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo Spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tuti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché ne dà testimonianza lo stesso Altissimo, il quale dice: "Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza (che sarà sparso per molti") (Mc 14,22.24); e ancora: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,55 Vg).

E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore. Tutti gli altri, che hanno la presunzione di riceverlo senza partecipare dello stesso Spirito, mangiano e bevono "la loro condanna" (cf. 1Cor 11,29). Perciò: "Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?" (Sal 4,3) Perché non conoscete la verità e non credete "nel figlio di Dio?" (cf. Gv 9,35).

Ecco, ogni giorno egli si umilia (cf. Fil 2,8), come quando "dalla sede regale" (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: "Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

eucaristiamessa

5.0/5 (1 voto)

inviato da Antonio Antonucci, inserito il 07/12/2009

TESTO

49. Essere adulti   1

Parrocchiando.it

Essere adulti è avere diritto di veto nelle decisioni famigliari.
Essere adulti è avere la capacità di essere responsabili anche per altre persone.
Essere adulti è fare progetti a lunga distanza.
Essere adulti è avere sempre ragione, anche quando ti contraddici.
Essere adulti è tentare di programmare il videoregistratore avendo paura che scoppi il forno a microonde.
Essere adulti è dire "ci penso io", "te lo risolvo io questo problema", "ti do tutto quello che ti serve", senza capire che quello che mi serviva era proprio affrontare quel problema.
Essere adulti è insegnare le cose ai giovani, "come" le hanno insegnate a te.
Essere adulti è stupirsi che dentro la finestrella di messenger c'è l'amico di tuo figlio che si muove e parla.
Essere adulti è sedersi accanto a tuo figlio e dire "mi insegni anche a me?".
Essere adulti è pensare di aver finito di crescere.
Essere adulti è saper mangiare tutto.
Essere adulti è comprare un pacchetto di figurine a tuo figlio e sapere che quando arrivi a casa ti aspetta un grazie che ti fa passare in un attimo la stanchezza della giornata.
Essere adulti è apparecchiare la tavola mentre tuo figlio è davanti al computer.
Essere adulti è fare la spesa e far capire a tuo figlio il costo della vita.
Essere adulti è fare benzina nella macchina di tuo figlio perché altrimenti rischi di spingere la sua auto.
Essere adulti è far un regalo a tuo figlio, proprio quello che desiderava da tempo.
Essere adulti è rimpiangere il passato quando invece si bramava il futuro.
Essere adulti è guardarsi i capelli bianchi chiamandoli "sintomo di saggezza".
Essere adulti è non dire mai l'età che si ha ma considerarsi maturi e vissuti.
Essere adulti è spendersi al lavoro per costruire il futuro dei figli.
Essere adulti è fare ore di straordinari al lavoro per donare a tuo figlio la possibilità di fare quello che tu avresti voluto fare.
Essere adulti è dare consigli grazie all'esperienza che hai acquisito.
Essere adulti è accorgersi quanto è bello essere bambini e cercare di non smettere mai di esserlo.
Essere adulti è non ammettere mai i propri errori.
Essere adulti è credere di poter fare tutto da solo.
Essere adulti è ripetitivo.
Essere adulti è fare delle scelte e avere la forza di perseguirle fino in fondo.
Essere adulti è essere un elemento di riferimento e dare l'esempio.
Essere adulti è essere capaci di farsi una famiglia e portarla avanti.
Essere adulti è vivere ogni giorno.
Essere adulti è avere raggiunto degli obbiettivi importanti nella vita che ti consentono di vedere con speranza il futuro e con gratitudine il passato.
Essere adulti è essere capaci di guardare la propria giovinezza con un sorriso, senza nostalgia o rimpianti.
Essere adulti è guardare la vita con lo stesso stupore e gioia degli occhi dei tuoi figli e con la saggezza e l'esperienza degli occhi dei tuoi genitori.
Essere adulti è sapere dare senza ricevere subito.
Essere adulti è sapere di avere ancora una vita eterna davanti.

In quale di queste affermazioni ti riconosci?

giovanigioventùadulti

inviato da Marco Malatesta, inserito il 07/12/2009

PREGHIERA

50. Santa Maria, Vergine del meriggio

Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni

Santa Maria, Vergine del meriggio,
donaci l'ebbrezza della luce.
Stiamo fin troppo sperimentando
lo spegnersi delle nostre lanterne,
e il declinare delle ideologie di potenza,
e l'allungarsi delle ombre crepuscolari
sugli angusti sentieri della terra,
per non sentire la nostalgia del sole meridiano.
Strappaci dalla desolazione dello smarrimento
e ispiraci l'umiltà della ricerca.
Abbevera la nostra arsura di grazia nel cavo della tua mano.
Riportaci alla fede che un'altra Madre, povera e buona come te,
ci ha trasmesso quando eravamo bambini,
e che forse un giorno abbiamo in parte svenduto
per una miserabile porzione di lenticchie.
Tu, mendicante dello Spirito,
riempi le nostre anfore di olio
destinato a bruciare dinanzi a Dio:
ne abbiamo già fatto ardere troppo
davanti agli idoli del deserto.
Facci capaci di abbandoni sovrumani in Lui.
Tempera le nostre superbie carnali.
Fa' che la luce della fede,
anche quando assume accenti di denuncia profetica,
non ci renda arroganti o presuntuosi,
ma ci doni il gaudio della tolleranza e della comprensione.
Soprattutto, però, liberaci dalla tragedia
che il nostro credere in Dio
rimanga estraneo alle scelte concrete di ogni momento
sia pubbliche che private,
e corra il rischio
di non diventare mai carne e sangue
sull'altare della ferialità.

MariaMadonnafiduciaperseveranzaricerca

inviato da Francesco De Luca, inserito il 25/11/2009

TESTO

51. Il Dio in cui non credo   1

Arias Juan

Sì, io non crederò mai in:
Il Dio che «sorprenda» l'uomo in un peccato di debolezza.
Il Dio che condanni la materia.
Il Dio incapace di dare una risposta ai problemi gravi di un uomo sincero e onesto che dice piangendo: «non posso».
Il Dio che ami il dolore.
Il Dio che metta la luce rossa alle gioie umane. Il Dio che sterilizza la ragione dell'uomo.
Il Dio che benedica i nuovi Caini dell'umanità.
Il Dio mago e stregone.
Il Dio che si faccia temere.
Il Dio che non si lasci dare del tu.
Il Dio nonno di cui si possa abusare.
Il Dio che si faccia monopolio di una Chiesa, di una razza, di una cultura, di una casta.
Il Dio che non abbia bisogno dell'uomo.
Il Dio lotteria con cui si vinca solo a sorte.
Il Dio arbitro che giudichi sempre col regolamento alla mano.
Il Dio solitario.
Il Dio incapace di sorridere di fronte a molte monellerie degli uomini.
Il Dio che «giochi» a condannare.
Il Dio che «mandi» all'inferno.
Il Dio che non sappia aspettare.
Il Dio che esiga sempre dieci agli esami.
Il Dio capace di essere spiegato da una filosofia.
Il Dio che adorano quelli che sono capaci di condannare un uomo.
Il Dio incapace di amare quello che molti disprezzano.
Il Dio incapace di perdonare tante cose che gli uomini condannano.
Il Dio incapace di redimere la miseria.
Il Dio incapace di capire che i «bambini» debbono insudiciarsi e sono smemorati.
Il Dio che impedisca all'uomo di crescere, di conquistare, di trasformarsi, di superarsi fino a farsi «quasi un Dio».
Il Dio che esiga dall'uomo, perché creda, di rinunciare a essere uomo.
Il Dio che non accetti una sedia nelle nostre feste umane.
Il Dio che è capito soltanto dai maturi, i sapienti, i sistemati.
Il Dio che non è temuto dai ricchi alla cui porta sta la fame e la miseria.
Il Dio capace di essere accettato e compreso dagli egoisti.
Il Dio onorato da quelli che vanno a messa e continuano a rubare e a calunniare.
Il Dio asettico, elaborato in un gabinetto scientifico da tanti teologi e canonisti.
Il Dio che non sappia scoprire qualcosa della sua bontà, della sua essenza là dove vibra un amore per quanto sbagliato.
Il Dio a cui piaccia la beneficenza di chi non pratica la giustizia.
Il Dio per cui è il medesimo peccato compiacersi alla vista di due belle gambe, distrarsi nelle preghiere, calunniare il prossimo, frodare del salario gli operai o abusare del potere.
Il Dio che condanni la sessualità.
Il Dio del «me la pagherai».
Il Dio che si penta, qualche volta di aver regalato la libertà all'uomo.
Il Dio che preferisca l'ingiustizia al disordine.
Il Dio che si accontenti che l'uomo si metta in ginocchio anche se non lavora,
il Dio muto e insensibile nella storia di fronte ai problemi angosciosi della umanità che soffre.
Il Dio a cui interessino le anime e non gli uomini.
Il Dio morfina per il rinnovamento della terra e speranza soltanto per la vita futura.
Il Dio che crei discepoli che disertano i compiti del mondo e sono indifferenti alla storia dei loro fratelli.
Il Dio di quelli che credono di amare Dio, perché non amano nessuno.
Il Dio che è difeso da quanti non si macchiano mai le mani, non si affacciano mai alla finestra, non si gettano mai nell'acqua.
Il Dio a cui piacciano quelli che dicono sempre: «tutto va bene».
Il Dio di quelli che pretendono che il sacerdote cosparga di acqua benedetta i sepolcri imbiancati delle loro sporche manovre.
Il Dio che predicano i preti che credono che l'inferno è pieno e il cielo quasi vuoto.
Il Dio dei preti che pretendono che si possa criticare tutto e tutti all'infuori di loro.
Il Dio che giustifichi la guerra.
Il Dio che ponga la legge al di sopra della coscienza.
Il Dio che sostenga una chiesa statica, immobile, incapace di purificarsi, di perfezionarsi e di evolversi.
Il Dio dei preti che hanno risposte prefabbricate per tutto.
Il Dio che neghi all'uomo la libertà di peccare.
Il Dio che non continui a scomunicare i nuovi farisei della storia.
Il Dio che non sappia perdonare qualche peccato.
Il Dio che preferisca i ricchi.
Il Dio che «causi» il cancro, che «invii» la leucemia, che «renda sterile» la donna o che «si porti via» il padre di famiglia che lascia cinque creature nella miseria.
Il Dio che possa essere pregato solo in ginocchio, che si possa incontrare solo in chiesa.
Il Dio che accetti e dia per buono tutto ciò che i teologi dicono di lui.
Il Dio che non salvi quanti non lo hanno conosciuto ma lo hanno desiderato e cercato.
Il Dio che «mandi» all'inferno il bambino dopo il suo primo peccato.
Il Dio che non dia all'uomo la possibilità di potersi condannare.
Il Dio per cui l'uomo non sia la misura di tutto il creato.
Il Dio che non vada incontro a chi lo ha abbandonato.
Il Dio incapace di far nuove tutte le cose.
Il Dio che non abbia una parola diversa, personale, propria per ciascun individuo.
Il Dio che non abbia mai pianto per gli uomini.
Il Dio che non sia la luce.
Il Dio che preferisca la purezza all'amore.
Il Dio insensibile di fronte a una rosa.
Il Dio che non possa scoprirsi negli occhi di un bambino o di una bella donna o di una madre che piange.
Il Dio che non sia presente dove vibra l'amore umano.
Il Dio che si sposi con una politica.
Il Dio di quanti pregano perché gli altri lavorino.
Il Dio che non possa essere pregato sulle spiagge.
Il Dio che non si riveli qualche volta a colui che lo desidera onestamente.
Il Dio che distrugga la terra e le cose che l'uomo ama di più invece di trasformarle.
Il Dio che non abbia misteri, che non fosse più grande di noi.
Il Dio che per renderci felici ci offra una felicità separata dalla nostra natura umana.
Il Dio che annichilisca per sempre la nostra carne invece di risuscitarla.
Il Dio per cui gli uomini valgono non per ciò che sono ma per ciò che hanno o che rappresentano.
Il Dio che accetti come amico chi passa per la terra senza far felice nessuno.
Il Dio che non poserà la generosità del sole che bacia quanto tocca, i fiori e il concime.
Il Dio incapace di divinizzare l'uomo facendolo sedere alla sua tavola e dandogli la sua eredità.
Il Dio che non sappia offrire un paradiso in cui noi ci sentiamo fratelli e in cui la luce non venga solo dal sole e dalle stelle ma soprattutto dagli uomini che amano.
Il Dio che non sia l'amore e che non sappia trasformare in amore quanto tocca.
Il Dio che abbracciando l'uomo già qui sulla terra non sappia comunicargli il gusto, la gioia, il piacere, la dolce sensazione di tutti gli amori umani messi insieme.
Il Dio incapace di innamorare l'uomo.
Il Dio che non si sia fatto vero uomo con tutte le sue conseguenze.
Il Dio che non sia nato dal ventre di una donna.
Il Dio che non abbia regalato agli uomini la sua stessa madre.
Il Dio nel quale io non possa sperare contro ogni speranza.
Sì, il mio Dio è l'altro Dio.

Diocrederefede

4.0/5 (3 voti)

inviato da Busato Don Paolo, inserito il 19/07/2009

TESTO

52. Vegliare

John Henry Newman

E' necessario studiare da vicino la parola "vegliare"; bisogna studiarla perché il suo significato non è così evidente come si potrebbe credere a prima vista e perché la Scrittura la adopera con insistenza. Dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare; non soltanto amare, ma vegliare; non soltanto obbedire, ma vegliare.

Vegliare perché? Per questo grande evento: la venuta di Cristo.

Cos'è dunque vegliare? Credo lo si possa spiegare così. Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l'ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell'ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell'attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi?

Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene?

Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi?

Vegliare nell'attesa di Cristo è un sentimento di rassomiglianza a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell'altro mondo.

Veglia con Cristo chi non perde di vista il passato mentre sta guardando all'avvenire, e completando ciò che il suo Salvatore gli ha acquistato, non dimentica ciò che egli ha sofferto per lui.

Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l'agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo.

avventoattesavegliavegliamorterapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 22/06/2009

PREGHIERA

53. Un tempo da non perdere   1

La tua presenza nel mio giorno, EditArs

Signore,
donami anche oggi la forza
per credere, per sperare, per amare.

Non lasciarmi a metà strada
invischiato nelle mille cose
che non mi bastano più.

Lascia che mi fermi anch'io
ogni giorno ad ascoltarti
per riprendere poi il cammino
lungo le strade che mi dai da percorrere.

Liberami perciò da tutto ciò
che mi appare indispensabile e non lo è,
da ciò che credo necessario
e invece è solo superfluo,
da ciò che mi riempie e mi gonfia
ma non mi sazia,
mi bagna le labbra
ma non mi disseta il cuore.

Sì, lo so che tu vuoi farlo
ma aiutami a lasciartelo fare
sempre, subito!

essenzialitàsperanzaamore

inviato da Milena Pozzi, inserito il 05/06/2009

TESTO

54. Io credo   1

Michel Quoist, Parlami d'Amore

Io credo che Dio "è" amore
Io credo che Egli "è'" famiglia
Padre, Figlio, Spirito Santo
tre persone totalmente unite dall'amore
che fanno uno.
Credo che Dio è felicità infinita
perché è amore infinito.

Io credo che la creazione è frutto dell'amore
perché l'amore vuol far partecipare alla sua felicità.
Io credo che ogni uomo, prima ancora di esistere,
è amato personalmente e infinitamente da Dio
e che sarà sempre amato, quali che siano la sua faccia e i cammini della sua vita.
Io credo che l'uomo è pensiero d'amore di Dio, fatto carne,
e che questa immagine di Dio in lui
può essere sfigurata ma non può mai essere distrutta.
Io credo che l'uomo fatto per mezzo dell'amore è stato
creato per l'amore
e dunque libero
e invitato alla felicità infinita dell'amore.

Io credo che Dio ha donato tutta la creazione agli uomini
perché insieme ne prendano possesso, la completino
e la mettano al servizio di tutti.
Io credo che Dio ha creato l'uomo creatore con Lui
per mezzo della famiglia umana, immagine della sua famiglia
e libero di far sgorgare la vita o di rifiutarla.

Io credo che "Dio ha tanto amato il mondo che ha inviato il suo figlio
nel mondo"
e che così l'amore infinito ha preso, in Maria, volto d'uomo, corpo d'uomo
cuore di uomo
Gesù di Nazareth
trentatre anni di vita, che è piantato al centro della storia umana e
la ricopre intera.
Io credo che Gesù,
perché è uomo, è fratello di tutti gli uomini
perché è fratello di tutti gli uomini, è solidale con i loro peccati,
il non-amore,
e soffre delle loro sofferenze così come ha sofferto le proprie.

Io credo che Gesù, dando la sua vita per amore dei suoi fratelli,
ha ridato a ognuno di noi e all'umanità intera
tutto l'amore da noi sprecato
e che, restituendo l'amore, ci ha restituito la vita.
Io credo che Gesù ha traversato la morte, che è vivo
tra noi fino alla fine dei tempi
e che gli uomini, per mezzo di Lui e in Lui,
possono vivere la vita che non finirà.

Io credo che i credenti e amanti di Gesù formano insieme un grande popolo,
una grande comunità: la Chiesa.
Io credo che questa comunità-chiesa, di cui sono membro in Gesù
e con i miei fratelli,
è, per opera nostra, povera e peccatrice
e che non ha saputo conservare la sua unità.
Ma io credo che è chiamata ad essere Santa
una e segno dell'amore.
Io credo che Gesù ha voluto per lei dei responsabili,
e che questi responsabili sono degli uomini e dunque che sono
peccatori e possono sbagliare.
Ma li rispetto e li amo perché Gesù li ha voluti, scelti, chiamati,
e che il suo spirito li accompagna per i lunghi cammini della storia.

Io credo che lo Spirito di Gesù, lo Spirito Santo, è soffio d'amore.
Che viene incontro all'uomo - libero -
libertà che può aprirsi a Lui
per accoglierlo
lasciarsi invadere da Lui, permeare da Lui
ed essere inviato verso gli altri.
Soffio d'amore che unisce l'uomo all'uomo
gli uomini agli uomini e all'universo
e che costituisce il "Regno del Padre".
Regno d'amore radicato nell'oggi della storia umana
per fiorire domani nell'amore trinitario.

Io credo che l'amore non può morire,
perché viene da Dio
e ritorna a Dio,
passando attraverso l'uomo libero
che si apre, riceve e a sua volta ridona.

fedecrederecredoamore di Dio

4.0/5 (1 voto)

inviato da Patrizia, inserito il 07/09/2008

RACCONTO

55. Per ultima venne la morte

Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa

La morte non voleva credere alle proprie orecchie quando le fu comunicato che il suo dominio universale stava per finire. Pur riconoscendosi la più inamabile di tutte le creature, un po' di riguardo l'avrebbe gradito da parte dell'Arcangelo messaggero. Non era mica l'ultima delle ancelle di Dio, anzi. Il suo ruolo nei piani del Creatore era fondamentale.

«E continuerà ad esserlo», le aveva garantito il messo celeste, «per tutte le creature viventi, tranne che per l'uomo.»
«Perché?», gli aveva domandato la Morte, «diventerà immortale?»
«Non fare troppe domande... tu non capiresti.»

Era stato a questo punto che la Morte si era gravemente offesa. Che oltre a fare un lavoraccio infame, la si giudicasse imbecille, non lo poteva tollerare! Di essere perdente non le importava affatto, tanto il suo lavoro le era ingrato, ma come sarebbe avvenuta la metamorfosi?

Le bastò uno sguardo circolare sulla superficie terrestre per individuare il punto. Forse nessuno, davanti alla grotta di Betlemme, provò maggior sbalordimento della Morte. Eppure, ora che lo aveva davanti, il progetto le appariva chiaro e di un'incredibile semplicità: quel batuffolo di carne, per il solo fatto di essere vita, era già sua preda. La Morte desiderò a quel punto che il Creatore avesse scelto un'altra strada, per non essere chiamata in causa. Ma fu allora che, dal sonno profondo in cui era immerso, il Bimbo le sorrise. E la Morte si sentì vinta e capì come sarebbe stata vinta: da un amore talmente intenso che proprio attraverso di lei sarebbe passato, per dimostrare all'universo la propria potenza e la propria vastità.

natalemorteamorevitaincarnazionepasquarisurrezione

4.0/5 (1 voto)

inviato da Monique, inserito il 19/12/2007

TESTO

56. Verso dove?

Aldo Rabino, Vivere non è un assurdo

Com'è facile parlare dell'oppressione dei popoli, della violenza! Le chiacchiere sono un alibi per nascondere il pensiero; ma, molto più, per seppellire i fatti. Il grido "ho fame", "ho sete", "non ho casa", "sono nudo" ha sempre attraversato la terra e turbato il cuore dei ricchi, ma era un'emozione necessaria per dare uno sfondo alla festa.
Parlare, sentire, commuoversi è facile.

Difficile è scendere nel concreto, lasciare la superficie e calarsi a fondo nella realtà. Cos'è che c'impedisce, ci frena, ci paralizza? Se ci riflettiamo bene è la paura di non poter più - imboccata la strada di una scelta radicale per i poveri - tornare indietro. Eppure la fede senza le opere è morta, non si può dire d'essere cristiano senza una scelta radicale, con tutto ciò che di scomodo questa comporta.

Cristo è stato esplicito - "Andate, predicate, battezzate" - lui ha vissuto nella propria carne il sapore della testimonianza, del logorio, il patimento di dover essere accolti a sassate, di essere derisi e infine di essere messi a Morte. Credere nei poveri è lavorare, è un buttarsi dentro.

Non servono le mie o le tue idee. Serve il mio e il tuo impegno, messi insieme e vissuti in mezzo ai poveri. L'uomo del duemila non ha bisogno di parole ma di fatti, di cose concrete. Il mondo soffre per la guerra e la fame. Ma forse soffre più per la mancanza di gesti vivi, di realtà concrete, di piccole cose e attenzioni. Ma qual è la meta? Aiutare i poveri, quelli che hanno realmente bisogno, coloro che un po' tutti insieme abbiamo emarginato e messi da parte.

L'aiutare i poveri richiede atti di amore continuati, esige un buttarsi via, stando con loro. Non sono cose da dire ma da fare. Troppe volte sono state predicate, dimenticando che la vera sensibilizzazione è cio che Facciamo e cio che siamo. Alla base di questa conversione ci sta il lavoro; il lavoro duro che è fatica, che è sudore. "Lavoro non chiacchiere". Ciò che mette in crisi gli altri è il fare noi le cose, stando nel duro, anziché fare chiacchiere dure o discorsi da duri. Il gioco è questo: "perdere un po' alla volta noi stessi per aiutare poco alla volta gli altri".

È una strada dura, ci parrà di soffocare, ma alla fine saremo contenti di non aver chiuso la vita in passivo. Allora finalmente saremo uomini!

impegnoresponsabilitàamorepoveripovertà

inviato da Anna Lollo, inserito il 21/08/2007

PREGHIERA

57. Fammi credere

Mons. Luigi Novarese, fondatore del Centro Volontari della Sofferenza

Fammi credere o signore, nella forza costruttrice del dolore.
Che io non veda nel male che mi blocca
un ostacolo alla mia perfezione.
Fammi capire come ogni istante di sofferenza
può essere trasformato in moneta di conquista.
Ho bisogno di allargare i miei orizzonti,
di comprendere che la vita non è soltanto quella che vedo.
Voglio sentirmi un essere utile alla società,
su cui tutti si possono appoggiare.
Voglio identificarmi con te, o Signore,
per scoprire sempre di più
l'ampiezza dei miei orizzonti.

malattiadolorecrocesofferenza

inviato da Gloria Salvi, inserito il 20/08/2007

PREGHIERA

58. L'estasi delle tue volontà   1

Madeleine Delbrel, Che gioia credere

Quando quelli che amiamo ci chiedono qualcosa,
noi li ringraziamo di avercelo chiesto.

Se a te piacesse, Signore, chiederci una sola cosa
in tutta la nostra vita,
noi ne rimarremmo meravigliati
e l'aver compiuto questa sola volta la tua volontà
sarebbe «l'avvenimento» dei nostro destino.

Ma poiché ogni giorno ogni ora ogni minuto
tu metti nelle nostre mani tanto onore,
noi lo troviamo così naturale da esserne stanchi,
da esserne annoiati.

Tuttavia, se comprendessimo quanto inscrutabile è il tuo mistero,
noi rimarremmo stupefatti
di poter captare queste scintille del tuo volere
che sono i nostri microscopici doveri.

Noi saremmo abbagliati nel conoscere,
in questa tenebra immensa che ci avvolge,
le innumerevoli
precise
personali
luci delle tue volontà.

Il giorno che noi comprendessimo questo
andremmo nella vita come profeti,
come veggenti delle tue piccole provvidenze,
come mediatori dei tuoi interventi.

Nulla sarebbe mediocre, perché tutto sarebbe voluto da te.
Nulla sarebbe troppo pesante, perché tutto avrebbe radice in te.
Nulla sarebbe triste, perché tutto sarebbe voluto da te.
Nulla sarebbe tedioso, perché tutto sarebbe amore di te.
Noi siamo tutti dei predestinati all'estasi,
tutti chiamati a uscire dai nostri poveri programmi
per approdare, di ora in ora, ai tuoi piani.

Noi non siamo mai dei miserabili lasciati a far numero,
ma dei felici eletti,
chiamati a sapere ciò che vuoi fare,
chiamati a sapere ciò che attendi, istante per istante, da noi.

Persone che ti sono un poco necessarie,
persone i cui gesti ti mancherebbero,
se rifiutassero di farli.
Il gomitolo di cotone per rammendare, la lettera da scrivere,
il bambino da alzare, il marito da rasserenare,
la porta da aprire, il microfono da staccare,
l'emicrania da sopportare:
altrettanti trampolini per l'estasi,
altrettanti ponti per passare dalla nostra povertà,
dalla nostra cattiva volontà
alla riva serena dei tuo beneplacito.

abbandonovolontà di Diodisponibilitàumiltàprontezza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 29/10/2006

RACCONTO

59. Credere senza vedere   3

Un imperatore disse al rabbino Yeoshua Ben Hanania: «Vorrei tanto vedere il vostro Dio.»
«È impossibile», rispose il rabbino.
«Impossibile? Allora, come posso affidare la mia vita a qualcuno che non posso vedere?»
«Mostratemi la tasca dove avete riposto l'amore per vostra moglie. E lasciate che io lo pesi, per vedere se è grande.»
«Non siate sciocco. Nessuno può serbare l'amore in una tasca», rispose l'imperatore.
«Il sole è soltanto una delle opere che il Signore ha messo nell'universo, eppure non potete vederlo bene. Tanto meno potete vedere l'amore, ma sapete di essere capace di innamorarvi di una donna e di affidarle la vostra vita. Non vi sembra evidente che esistono alcune cose nelle quali confidiamo anche senza vederle?»

fedecredereinterioritàesterioritàDio

3.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 06/10/2006

TESTO

60. Credere ad un mito

Gerhard Von Rad

E' proprio l'uomo devoto quello che corre il maggiore pericolo di configurare Dio a sua immagine o secondo un'altra immagine. Anche noi cristiani corriamo incessantemente il pericolo di credere a miti e adorare immagini. Non esiste una sola verità di fede che non possiamo manipolare idolatricamente.

idolatriaveritàfede

inviato da Luca, inserito il 18/03/2006

TESTO

61. La montagna

Abbi massimo rispetto per questo luogo
e per tutto ciò che quassù trovi,
se tu non l'hai portato con fatica
qualcun altro l'ha fatto.

Se tu, essere vivente, non credi in un Essere Supremo
guardati attorno e pensa
se tu saresti in grado di fare
tutto ciò che il tuo occhio vede.

Amami e io non ti tradirò
sii coraggioso e mi vincerai.

Attento a dove posi il piede,
per colpa tua qualcun altro più in basso
può lasciarci la vita.

Ai 1500 metri dimentica chi sei,
con persone di differente età usa il voi,
con persone della stessa età usa il tu.

Ai 2000 metri dimentica il mondo, gli affanni, le tasse
e goditi la vera pace.

Ai 2500 metri dimentica il tuo io,
la boria, la cultura, la forza fisica,
perché se quassù sei giunto
sei in tutto e per tutto uguale agli altri
che quassù stanno.

Non credere, piccolo uomo, di essere chissà chi,
perché prima che esistessi
io già c'ero
e quando tu non esisterai più
io ancora ci sarò.

firmato La Montagna

naturastradaroutemontagnacreatocreazione

3.7/5 (3 voti)

inviato da Chiara, inserito il 06/02/2006

TESTO

62. Povero Dio!   1

Adolfo Rebecchini

Ci avete presentato
un Dio serio,
noioso,
annoiato,
monotono...

Ci avete detto
di credere
per non morire,...

Ce lo avete presentato
come una formula matematica:
statico,
lontano,
assente,...

Così come ce lo avete descritto,
e così noi lo abbiamo visto:
lontano,
noioso,
triste,
solo,...

E non abbiamo creduto.

Invece,
ho scoperto
che Dio
è giovane,
allegro,
simpatico,...

Che ama stare in compagnia,
spaccarsi in quattro per gli amici,
che si commuove,
va spesso a cena fuori,
non disdegna l'allegria...

Fa il tifo per me
mentre cerco
di conquistare
una ragazza che mi piace,
o mentre,
disoccupato,
cerco un lavoro onesto
per poter vivere dignitosamente...

Il mio Dio tifa sempre per me.

E' con me durante
le interminabili e noiose lezioni di matematica...
e quando la vita mi chiama
a sostenere
le prove più difficili...

Il mio Dio
è sempre per l'oppresso,
il debole,
lo sfruttato,
le vittime dell'ingiustizia
e del potere...

Aiutami,
Signore,
a presentarti agli altri
per quello che realmente sei
e non attraverso le mie falsità
e le mie ipocrisie.

Diovolto di Dio

inviato da Adolfo Rebecchini, inserito il 05/02/2006

ESPERIENZA

63. Jacques Fesch: la drammatica storia di un giovane moderno   1

Chi è Jacques Fesch? E' un giovane moderno, che a 24 anni commette un terribile delitto, epilogo di una vita vuota e senza ideali, piena di egoismo e di capricci. Ecco una veloce cronaca del delitto. Il 24 febbraio 1954 Jacques entra al mattino nel negozio di un cambiavalute e ordina un quantitativo d'oro. L'uomo si fida perché sa che alle spalle del giovane c'è un opadre facoltoso che può pagare. Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacquaes torna per prelevare l'oro e approfittando di un momento di disattenzione del cambiavalute lo colpisce alla testa con il calcio della pistola del padre. Il cambiavalute reagisce urlando. Jacques fugge e si nasconde in un palazzo vicino fino a che è riconosciuto da un polizziotto accorso sul posto. All'ingiunzione di fermarsi Jacques spara e uccide l'agente di polizia. Intervengono poi altri agenti che lo catturano.

Perché questo delitto assurdo? Jacques voleva aprire una propria attività e chiede un grosso prestito al padre che glielo rifiuta. Sa che il figlio ha le mani bucate! Allora Jacques decide di compiere una rapina: di procurarsi i soldi con l'inganno.

Che cosa accade in carcere? Viene raggiunto dal cappellano ma egli lo rifiuta dicendo: "Io non ho la fede e non ho bisogno di lei!". Passano i giorni, chiuso tra quattro pareti, solo con la sua disperazione. Ma una notte: "Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo. Ora quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita per le conseguenze del mio delitto; ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello di soccorso: "Mio Dio, Mio Dio aiutami!". E instantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia dove viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola! Ho creduto e non capivo più come avessi fatto prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace". Quella notte Jacques udì una voce che gli diceva: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Una frase per lui incomprensibile, il cui senso capirà più tardi.

Inizia una nuova vita in Cristo. Il cambiamento di questo giovane è qualche cosa di straordinario: è una testimonianza di quanto Dio può operare. "Ora veramente ho la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un uomo morto!". Jacques organizza la vita in prigione come la vita in un monastero: si dà un orario per la preghiera, legge libri religiosi e la Bibbia, scrive lettere per dare conforto ai suoi famigliari, che stanno vivendo una grossa crisi, vuole soprattutto poter vivere per riparare il male fatto.

Arriva il giorno del processo: il 3 aprile 1957 si apre il processo che si conclude con la sua condanna a morte. In quel momento capisce la frase: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Jacques dopo un iniziale smarrimento vive la sentenza e la condanna come una vocazione ad amare fino in fondo la croce di Gesù. Egli desidera prepararsi spiritulamente alla sua morte e desidera salutare da vero cristiano tutti coloro che lo hanno amato e coloro a cui ha fatto del male. Scrive alla moglie e alla sua piccola figlia di 6 anni, si mette in contatto, tramite il suo avvocato anche con la famiglia del gendarme che lui ha ucciso per chiedere il perdono. Nonostante il grande cambiamento di vita che stupisce lo stesso presidente della Repubblica a cui era stata inoltrata la domanda di grazia, la sentenza viene confermata per il 30 settembre.

Le ultime ore: l'attesa dell'incontro con Gesù. "Ancora soltanto qualche ora di lotta, prima di conoscere Colui che è l'Amore. Oggi sarò in cielo. Cara mamma, innanzi tutto ti devo dire un grosso grazie per tutto l'amore di cui mi hai circondato in questi ultimi mesi... Tu sai che Gesù ha detto nel suo vangelo: Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. Con queste righe io ti affido la mia bambina e mia moglie. Proteggile assiduamente. Amale in Dio e sii certa che di lassù io vi proteggerò e veglierò su di voi...". Alle 5,30 del mattino del 30 settembre le guardie carcerarie che sono veute a prenderlo per l'esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. Si confessa e riceve l'Eucarestia. Abbraccia il crocefisso e si avvia verso la ghigliottina... Le ultime sue parole: "Signore non abbandonarmi, io confido in te!".

confessioneconversionecambiare vitapeccatomisericordia di Dio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 13/12/2005

TESTO

64. Il Segno della Croce

Matteo Salvatti

Che dono, che grande dono, il Segno della Croce! Non dovremmo mai stancarci di ringraziare il Signore per questo gesto di amore verso di noi. Un dono eterno, che mai si esaurisce e che sempre possiamo sfruttare a nostro beneficio.

Con il segno della santa croce noi veniamo inglobati, subito, all'istante, nel grande vortice del paradiso. Siamo già in paradiso, siamo già con Lui! Non c'è istante della vita in cui non possa essere composta questa melodia del cielo. Non c'è problema che non sia immediatamente alleviato da quel gesto. Un gesto universale, perché non esiste preghiera tanto semplice e tanto bella. Una preghiera così universale che ingloba tutti, che si esprime con il solo linguaggio dell'amore, che travalica, supera ogni lingua, così che davanti a quel gesto tutte le nazioni, tutti i continenti si scoprono davvero fratelli.Ogni volta che tracciamo il segno della croce su di noi, ci tocchiamo prima il capo: simbolo della ragione, perché la ragione è essenziale per giungere a Dio, la cui conoscenza non è gioco cieco, avventura spericolata. Poi ci tocchiamo il cuore, perché la fede è l'amore, è l'amore di Dio, è il Suo dono gratuito, senza il quale non possiamo credere, è fondamentale la sua grazia. E infine ci tocchiamo le spalle, perché è il nostro corpo, la nostra responsabilità, la nostra singolarità di persone che alla fine deve accettare Dio. Ognuno lo deve accettare singolarmente, con una adesione personale.

Ma il segno della croce non testimonia solo la fede: il segno della croce testimonia anche la carità. Noi ci tocchiamo il capo, perché dobbiamo conoscere Dio con le parole, tramite la Sua rivelazione, tramite la Sua parola rivelata, ma ci tocchiamo anche il cuore, perché poi dobbiamo saper meditare, come Maria, tutto nell'amore, e infine ci tocchiamo per due volte le spalle: perché tutto deve trasformarsi in carità operosa, altrimenti tutto diventa sterile.

Il segno della santa croce: tracciamo su di noi il segno della croce di Gesù, il vessillo glorioso, la nostra salvezza. Con quel gesto noi abbracciando noi stessi con le nostre stesse braccia abbracciamo Gesù e ci doniamo completamente e totalmente a Lui, accettiamo apertamente la Sua Croce.

Il segno della Santa Croce: l'orgoglio dei cristiani: quel gesto da compiere tutti i giorni, più volte al giorno, in tutte le circostanze. Anche quando la malattia impedisce la parola o neppure ci si può alzare dal letto, quel gesto fatto con fede quanta pace dona, quanta gioia, quanti miracoli ottiene!

crocesegno di croce

inviato da Matteo Salvatti, inserito il 09/12/2005

PREGHIERA

65. Non voglio essere una maschera vivente

Signore, voglio pregarti così,
senza tante "formule" o preghiere imparate a memoria.
Ti chiedo aiuto perché in questo mondo
è veramente difficile essere sé stessi,
avere un proprio stile...
pensare con la propria testa
ed essere "limpidi" davanti agli altri,
senza maschere!
Signore, aiutami a credere in te,
aiutami a capire che se Tu sei con me,
non ho bisogno di nessuna maschera per piacere agli altri,
per non soffrire,
per essere felice!
La Bibbia dice che "mi hai creato come un prodigio",
sono unico e speciale,
aiutami ad essere me stesso
con tutte le persone che incontro.
Aiutami ad essere ogni giorno... (ognuno dice il proprio nome)
Amen.

sinceritàmaschereidentitàaccettazione di sé

inviato da Errico Piselli, inserito il 08/12/2005

TESTO

66. Ragione e fede   2

S. Agostino

L'autorità della fede non è mai abbandonata dalla ragione, poiché è la ragione che considera a chi si debba credere.

ragionefede

inviato da Luca, inserito il 10/10/2005

TESTO

67. Terza Lettera a Timoteo   2

Francesco Lambiasi

La seguente lettera è uno "pseudoepigrafo paolino", sulla conversione missionaria del prete; è una simpatica e profonda lettera rivolta da un vescovo ai preti di oggi.

Carissimo fratello Timoteo,

da circa un mese sei parroco in Santa Maria del terzo Millennio. Come non ricordare la solenne e commovente "presa di possesso"? L'unica pecca che stava per guastare la festa fu proprio quella bruttissima espressione - "presa di possesso" - che il cancelliere vescovile voleva implacabilmente inserire nel verbale da conservare nell'archivio Diocesano e in quello parrocchiale. Ti ho letto nel lampo degli occhi che stavi per scattare - per dire con la vostra brutalità giovanile che non ti sentivi affatto un vassallo in atto di prendere possesso del suo ambìto feudo. Intervenni io, un po' a gamba tesa, e spiegai alla tanta gente in festa che tu, la parrocchia, non l'avresti mai e poi mai vista come un "tuo" possesso, ma solo come un dono immeritato e preziosissimo, e a quel punto mi permisi un'autocitazione, presa dalla mia seconda lettera ai cristiani di Corinto: noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia.

Mi telefonasti la sera dopo, e mi dicesti: "Che bella parrocchia! E c'è anche la luna!". Da allora non ti ho più visto né sentito, ma dato che siamo al primo... "trigesimo" di quel felice inizio, ho pensato bene di scriverti questa breve lettera, perché vorrei che la tua gioia di essere parroco crescesse di giorno in giorno.

Sì, lo so: questo miracolo della beatitudine è purtroppo un po' raro tra noi pastori, ma non è improbabile e niente affatto impossibile. Ed è proprio di questo che vorrei parlarti. Stai sereno, non ti rifilo un trattato di ascetica e mistica sulla carità pastorale. Ti vorrei parlare solo di una condizione assolutamente irrinunciabile - "sine qua non", si diceva ai miei tempi - perché il miracolo si avveri. Sarai un parroco felice nella misura in cui sarai un vero missionario. Non si scappa: o missionari o... dimissionari.

E' una conversione profonda, che bisogna rinnovare ogni giorno. Ogni mattina, prima di mettere i piedi fuori dal letto, beato te se dirai: "Grazie, Signore, per avermi creato, fatto cristiano, e grazie per avermi fatto questi piedi belli per il vangelo". Scrivi sullo specchio in sagrestia, o almeno in quello del bagno: "Non sono un professionista del sacro, né un insegnante della fede: sono un annunciatore del vangelo". Quando ero a Corinto io avevo scritto sulla porta della stanzetta nella casa di Aquila e Priscilla: Non sono stato mandato qui a battezzare, ma ad evangelizzare.
Ricordi la grammatica di base del missionario, che ti ho insegnato quando prima di essere tuo vescovo, ti ho fatto da rettore in seminario? E' una grammatica costruita su un quadrilatero di certezze che devono rimanere solide più delle fondamenta della tua splendida chiesetta romanica:

- La parola di Dio è come l'acqua e la neve, se cade...
- La Parola non è lontana, ma molto vicina al cuore, anzi è dentro. Basta trovare il modo per far scattare il contatto...
- "Come agnelli tra i lupi" non è per farci sbranare, ma per far accogliere il messaggio: quanto più siamo deboli umanamente...
- A noi tocca il compito di annunciare. E' il Signore che veglia sulla sua parola perché si realizzi...

Stai attento, Timoteo: devi essere severo nel vigilare che questo spirito missionario non venga aggredito da virus micidiali, quali l'IO-latria del prete che pensa: "Come me non c'è nessuno: prima di me e dopo di me, non ci sarà nessuno uguale a me!". Perciò niente cose alla "W il parroco!". Un altro virus che fa strage in casa nostra è quello dello stress da pastorale: correre, competere, confliggere e alla fine... l'eterno riposo! Ma non c'è da scherzare neanche con la depressio clericalis (si chiama così anche quando infetta i laici): la si vede come un messaggio scritto sulla maglietta in quei "nostri" che vanno in giro con l'aria fritta di chi sembra dire: "fateme 'na flebo". Ti ripeto: devi essere severo. E se lo sarai con te, potrai vigilare anche sullo spirito missionario dei "vicini". Per esempio i gruppi - dal coro a quello liturgico, a quello catechistico e caritativo, dall'AC ai carismatici - non devono essere luoghi di potere o gradini per emergere (è un pericolo sempre in agguato), ma sviluppare il servizio al vangelo. Allora la tua - la vostra - parrocchia non sarà una scuola in cui si spiega il cristianesimo o, peggio ancora, un ufficio di controllo della fede dei parrocchiani, ma riuscirete a far circolare la parola di Dio per le strade, in modo che la gente la incontri.

E con gli altri? Quelli che si servono della parrocchia per continuare abitudini e consuetudini sociali; quelli che la ignorano: cosa puoi esigere se non hanno le motivazioni? Allora ringrazia Dio tutte le volte che càpitano a messa. Tutte le volte che ti portano i figli al catechismo. Tutte le volte che ti chiedono i sacramenti, per sé o per i figli, o il funerale per il caro estinto. Anche se per le loro motivazioni non proprio di fede. Tutte le volte! Non è una disgrazia: è un dono di Dio che vengano, quando saresti tu che dovresti andare a cercarli.

Accogliendoli così come sono, non farai finta che abbiano le tue motivazioni. Quindi non li rimproveri e non li ricatti, non imponi loro dei compiti come se avessero le tue motivazioni, non parli loro e non fai prediche come se avessero la fede. Ti comporti da missionario: entri nella loro situazione, cerchi di capire le loro domande e i loro interessi, parli la loro lingua, proponi con libertà e chiarezza il messaggio, non imponi loro dei fardelli che nemmeno tu riesci a portare.
Per finire, permettimi di ricordarti alcune regole che ti potranno servire per misurare il tuo spirito missionario.

1. Non maledire i tempi correnti: è arrivato al capolinea il cristianesimo dell'abitudine e sta rinascendo il cristianesimo per scelta, per innamoramento.
2. Non anteporre nulla all'annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. Afferra ogni situazione, ogni problema, ogni interesse e riportalo lì, al centro di tutta la fede.
3. Annuncia il cristianesimo delle beatitudini e non vergognarti mai del vangelo della croce: Cristo non toglie nulla e dà tutto!
4. Il vangelo è da proporre, non da imporre. Non imporlo mai a nessuno, neanche ai bambini, soprattutto ai bambini: gli resterebbe un ricordo negativo per tutta la vita.
5. Non amareggiarti per l'indifferenza dei "lontani" e non invocare mai il fuoco dal cielo perché li consumi, ma fa' festa anche per uno solo di loro che si converte.
6. Ricorda: il kerygma non è come un chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Il messaggio cristiano non è da ripetere meccanicamente, è da reinterpretare nella mentalità e nella lingua della gente: vedi s. Paolo. Scusami: guarda me...
7. Sogna una parrocchia che sia segno e luogo di salvezza, non club di perfetti.
8. Non credere di comunicare il vangelo da solo! Almeno in 2, meglio in 12, molto meglio in 72! Creare un gruppo di parrocchiani veri per evangelizzare i presunti tali.
9. Ricordati che i laici non vanno usati come ausiliari utili, ma vanno aiutati a diventare collaboratori corresponsabili.
10. Non ridurti mai a vigile del traffico intraparrocchiale: tu non sei il coordinatore delle attività o il superanimatore di gruppi, ma sei una vera guida, sei il primo evangelizzatore.

Ti auguro di credere sempre nella presenza forte e dolce dello Spirito Santo e ti raccomando di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani.

Caro Timoteo, ti ripeto quanto ti scrissi nella mia prima Lettera: Custodisci con cura tutto quanto ti è stato affidato. Evita le chiacchiere contrarie alla fede. E ti raccomando pure quanto ti scrissi nella seconda Lettera: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù: annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna, rimprovera, raccomanda e incoraggia con tutta la tua pazienza.

La grazia sia con te e con tutti i fedeli della tua comunità, anche con quelli che ancora non sei riuscito ad incontrare!

Paolo, missionario di Gesù Cristo

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inserito il 01/10/2005

PREGHIERA

68. Una luce

Quella notte Gesù ti hanno posto sulla fredda roccia. Dopo aver coperto quel tuo corpo martoriato, hanno posto un macigno all'entrata della tomba.
In quel momento l'uomo aveva smesso di credere in Dio!

Tu avevi guarito molti lebbrosi, ridato la vista ad un povero cieco, avevi sfamato migliaia di persone, avevi ridato perfino la vita al tuo amico Lazzaro... e ti hanno inchiodato sul legno della croce.
C'erano molte persone che stavano a guardare la tua umana agonia, che ti hanno visto soffrire e portare quel peso sulla via del Calvario. Alla tua morte non solo il cielo si è oscurato, ma anche il cuore di ogni uomo si è riempito del vuoto più assoluto.
Tutti ti hanno abbandonato quel pomeriggio, pochi ti sono stati vicini senza temere.

Cosa è successo nella tomba in quella notte Gesù?
Nessuno lo sa, e nessuno vorrà mai saperlo. Voler spiegare con la nostra mente umana quell'evento è presunzione.
Ma come poteva l'uomo pensare di chiudere in una tomba la Vita? Come è possibile coprire la Luce con le tenebre? Come è possibile voler chiudere tra i confini della fredda roccia l'Infinito Amore?

Tu Gesù sei il seme che, piantato per terra, muore e porta frutto. La tua morte ha portato alla nostra salvezza, ha portato alla vittoria della vita sulla morte.
Sei rinato a vita nuova per poter vivere ogni giorno e in ogni momento nel nostro cuore, in ognuno di noi.
La tomba abitata dalle tenebre, con la tua risurrezione è illuminata dalla vita, una luce che da speranza ad ogni uomo.

speranzaPasquafiduciarisurrezione

inviato da Antonio Ruffato, inserito il 29/09/2005

PREGHIERA

69. Preghiera del cieco nato

Bollettino Parrocchia S. Bertilla, Spinea (VE)

Non c'è peggior cieco, Signore, di chi non vuol vedere. E ne è passato del tempo perché anch'io mi accorgessi di non vederci.

Non è facile, Signore, ammettere di essere ciechi quando tutt'attorno fanno a gara per dimostrare di avere la vista più acuta, di scorgere il futuro, di indovinare ciò che è nascosto, di cogliere quanto è in profondità.

Solo quando mi sono reso conto di essere immerso nella notte, solo quando ho percepito con smarrimento e angoscia di non poter venirne fuori con le mie sole forze, solo allora ho inteso la tua voce, ho avvertito la tua presenza e tu mi hai potuto aprirmi gli occhi.

Allora ho gettato uno sguardo nuovo su di me e sulla realtà che mi circonda. Ho raccontato la mia storia ma non ho trovato gente disposta a credermi.

Anzi, ho visto crescere attorno a me l'irritazione e l'imbarazzo, la repulsione e il rifiuto.

Non importa, Signore, quello che conta veramente è l'averti incontrato e credere in te perché questo ha cambiato la mia vita.

conversione

inviato da Ester Da Ponte, inserito il 23/09/2005

TESTO

70. Non credo

Dorothee Solle

Non credo
al diritto dei più forti,
al linguaggio delle armi,
alla potenza dei potenti.

Voglio credere
ai diritti dell'uomo,
alla mano aperta,
alla potenza dei non-violenti.

Non credo alla razza o alla ricchezza,
ai privilegi, all'ordine della forza e dell'ingiustizia:
è un disordine.
Non credo di potermi disinteressare
a ciò che accade lontano da qui.

Voglio credere che il mondo intero
è la mia casa e il campo nel quale semino,
e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato.

Non credo
di poter combattere altrove l'oppressione,
se tollero l'ingiustizia qui.

Voglio credere che il diritto è uno,
tanto qui che altrove,
che non sono libero finché un solo uomo è schiavo.

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili
e la pace irraggiungibile.

Voglio credere all'azione semplice,
all'amore a mani nude,
alla pace sulla terra.

Non credo che ogni sofferenza sia vana.
Non credo che il sogno degli uomini resterà un sogno
e che la morte sarà la fine.

Oso credere invece, sempre e nonostante tutto,
all'uomo nuovo.
Oso credere al tuo sogno, o Dio,
un cielo nuovo, una terra nuova dove abiterà la giustizia.

giustiziasperanzaimpegnoresponsabilità

inviato da Giovanni Vacca, inserito il 21/06/2005

PREGHIERA

71. Preghiera per i malati   1

Signore, accogli le preghiere e i lamenti
di coloro che soffrono e
di quanti si adoperano per alleviarne il dolore.

Tu che hai percorso la via del calvario
e hai trasformato la croce in segno di amore e di speranza
conforta coloro che sono afflitti, soli e sfiduciati.

Dona loro:
la pazienza sufficiente per sopportare le lunghe attese
il coraggio necessario per affrontare le avversità
la fiducia per credere in ciò che è possibile
la saggezza per accettare ciò che è rimasto irrisolto
la fede per confidare nella tua Provvidenza.

Benedici le mani, le menti e i cuori degli operatori sanitari
perché siano presenze umane e umanizzanti
e strumenti della tua guarigione.

Benedici quanti nelle nostre comunità
si adoperano per accompagnare i malati
perché accolgano la profezia della vulnerabilità umana
e si accostino con umiltà al mistero del dolore.

Aiutaci Signore a ricordarci
che non siamo nati felici o infelici,
ma che impariamo ad essere sereni
a seconda dell'atteggiamento che assumiamo
dinanzi alle prove della vita.

Guidaci, Signore,
a fidarci di Te e ad affidarci a Te.
Amen.

malattiamalatiammalatiaffidamentopazienzacoraggiodolorecrocesofferenza

inviato da Anna Barbi, inserito il 30/01/2005

ESPERIENZA

72. Senza figli non c'è futuro   1

Noi genitori e figli, supplemento di Avvenire del 25/1/2004

Ho quarant'anni, sono sposata e ho due figli grandi. Qualche anno fa ho passato l'inferno. Al quarto mese di gravidanza ho abortito. Subito ho provato un senso di liberazione, di sollievo. Se solo avessi immaginato il tormento che avrei patito non appena mi fossi resa veramente conto di quello che avevo fatto.

All'inizio si riesce a ragionare con un certo distacco, ci si aggrappa alle attenuanti: la professione che non si può lasciare, i soldi che non bastano, la casa piccola... Ho reagito dedicandomi con più accanimento agli altri due figli. Agli occhi degli altri ero sempre la stessa, ma dentro di me si stava scatenando l'inferno.

La prima fitta di dolore, così forte che non potei ignorarla, la provai per strada quando incrociai una donna che spingeva una carrozzina. Fui assalita dall'angoscia: vidi negli occhietti di quel bimbo lo sguardo di mio figlio non voluto. Uno sguardo che non mi abbandonò più.

Ancora oggi spesso calcolo con la mente l'età che avrebbe mio figlio; con la fantasia lo plasmo più o meno alto, con i capelli chiari o scuri... Gli parlo, ma soprattutto piangendo, spesso, gli chiedo perdono. Penso e ripenso, in modo ossessivo, con ansia e rimorso. Se solo potessi tornare indietro e stringere quel figlio tra le braccia! Invece, mi rimane solo un forte senso di colpa per averlo rinnegato.

Questa sofferenza ha segnato la mia vita. Tutto è cambiato da quel giorno: soprattutto il rapporto con mio marito non è più lo stesso. È come se volessi scaricare su di lui una parte della colpa. In quella circostanza si è comportato come Ponzio Pilato, se n'è lavato le mani. Persino il rapporto con gli altri due figli è cambiato. Subito dopo l'aborto ero loro morbosamente attaccata, ora molto meno, perché mi sembra di fare un torto al figlio non nato.

Continuo a pensarci, soprattutto quando sono sola in casa; le notti sono tormentate dagli incubi. Quando ci penso, riemergono la superficialità, l'egoismo e l'estrema violenza che ho riservato a mio figlio; sono stata la sua condanna a morte.

Se dovessi parlare a una donna con i miei stessi dubbi, la supplicherei di non abortire, di non fare il mio errore, di non credere di poter risolvere tutto senza dolore. La scongiurerei di non farlo, a costo di allevarlo io quel figlio. Le spiegherei in che oscuro tunnel precipiterebbe. Soprattutto non la lascerei sola, non le farei sentire l'indifferenza e la freddezza che ho provato io.

Le donne sappiano che il bisturi della legge 194 non incide solo le carni ma anche i cuori e le coscienze.

figliabortopeccatopentimento

inviato da Samiland80, inserito il 08/12/2004

PREGHIERA

73. Signore, insegnami a scommettere la mia vita   1

Signore
io vorrei essere di quelli
che rischiano la loro vita
che donano la loro vita.
A che serve la vita, se non per donarla?
Signore
tu che sei nato fra i disagi di un viaggio
tu che sei morto come un malfattore
liberami dal mio egoismo
e dal mio quieto vivere.
Affinché segnato dal segno della Crose
io non abbia paura della vita di sacrificio.
Rendimi disponibile per la bella avventura
alla quale tu mi chiami.
Devo impegnare la mia vita, Gesù,
sulla tua parola.
Devo mettere in gioco la mia vita, Gesù
sul tuo Amore.
Gli altri possono essere ben saggi,
tu mi hai detto di essere folle.
Gli altri credono all'ordine,
tu mi hai detto di credere all'Amore.
Gli altri pensano a risparmiarsi,
tu mi hai detto di dare.
Gli altri si sistemano,
tu mi hai detto di camminare
e di essere pronto.
Alla gioia e alla sofferenza,
alle vittorie e alle sconfitte,
di non mettere la fiducia in me, ma in te,
di giocare il gioco cristiano
senza preoccuparmi delle conseguenze.
Ed infine di rischiare la mia vita,
contando sul tuo Amore.

vocazioneimpegnoresponsabilitàsequelatestimonianzaessere cristiani

inviato da Lavinia Olliveri, inserito il 03/12/2004

TESTO

74. La passione delle pazienze   2

Madeleine Delbrel, La gioia di credere, Gribaudi

La passione, la nostra passione, sì, noi l'attendiamo. Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l'ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati. Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così noi dobbiamo essere separati. Come un giovane animale che viene sgozzato, così noi dobbiamo essere uccisi.
La passione, noi l'attendiamo. Noi l'attendiamo, ed essa non viene.

Vengono, invece, le pazienze.
Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
E' l'autobus che passa affollato;
il latte che trabocca,
gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gli invitati che nostro marito porta in casa e quell'amico che, proprio lui, non viene;
E' il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più;
E' la voglia di tacere e il dover parlare,
E' la voglia di parlare e la necessità  di tacere;
E' voler uscire quando si è chiusi
e rimanere in casa quando bisogna uscire;
E' il marito al quale vorremmo appoggiarci
e che diventa il più fragile dei bambini;
E' il disgusto della nostra parte quotidiana,
E' il desiderio febbrile di tutto quanto non ci appartiene.

Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.
E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando - per dare la nostra vita - un'occasione che ne valga la pena.
Perché abbiamo dimenticato che come ci son rami che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perché abbiamo dimenticato che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l'indossano.
Ogni riscattto è un martirio, ma non ogni martirio èsanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all'altro della vita.
E' la passione delle pazienze.

passionedolorecrocesofferenzapazienza

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inviato da Chiara Pongetti, inserito il 28/07/2004

PREGHIERA

75. Seguire... come Pietro

Roberto Laurita

Mi pare di essere uno specialista nel mio settore.
Ho compiuto un percorso di formazione,
ho raggiunto una certa competenza,
ho accumulato una buona dose di esperienza.
Eppure devo ammettere
che molte volte mi trovo a mani vuote.

Ho faticato invano, ho lavorato tutta la notte,
ho speso tutte le energie che avevo a disposizione.
Perché allora, Signore,
non sono arrivati i frutti che avevo cercato e previsto?
Perché le cose non sono andate
come desideravo e speravo?

Forse tu mi chiedi, proprio come a Pietro,
di darti fiducia, di gettare le reti quando lo dici tu.
A ragionare a modo nostro si stenta a credere
che il figlio del falegname
possa dare consigli utili a un pescatore di mestiere,
che si muove da una vita
tra il lago, le barche e le reti.

Eppure, Signore, io non voglio tornare a mani vuote.
Non mi resta che ascoltarti:
solo tu puoi fare di me un pescatore di uomini.

vocazioneumiltàrapporto con Dio

inviato da Antonio Pinizzotto, inserito il 28/07/2004

PREGHIERA

76. Non ti cercheremo nelle altezze

Bruno Forte, Preghiere

Non ti cercheremo nelle altezze, o Signore,
ma in questa crocefissa storia dell'uomo,
dove tu sei entrato
conficcandovi l'albero della croce,
per lievitarla verso la terra promessa
con la forza contagiosa
della tua resurrezione.
Donaci,
di vivere in solidarietà profonda
col nostro popolo
per crescere, e patire,
e lottare con esso,
e rendere presente,
dove tu ci hai posto,
la tua Parola
di giudizio e di salvezza.
Liberaci da ogni forma di amore
universale e astratto,
per credere all'umile
e crocifisso amore,
a questa terra,
a questa gente.

crocedoloresofferenzasolidarietàGesùCristoimpegnoresponsabilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Carla Carletti, inserito il 30/03/2004

TESTO

77. La gioia

Madeleine Delbrel

Noi crediamo alla gioia,
il che non si riduce
a dare prova di ottimismo.
Ci sembra che la gioia cristiana,
quella che il Signore chiama "la mia gioia",
quella che egli vuole che sia "piena",
consista nel credere concretamente
- per fede - che noi sempre e dovunque
abbiamo tutto ciò che è necessario
per essere felici.

gioiafelicitàserenitàpace interiorefedefiducia

inviato da Massimo Di Lullo, inserito il 22/12/2003

TESTO

78. Tra luce e tenebra

Gianfranco Ravasi, Mattutino di Avvenire del 23 ottobre 2003

"La fede è un intreccio di luce e di tenebra: possiede abbastanza splendore per ammettere, abbastanza oscurità per rifiutare, abbastanza ragioni per obiettare, abbastanza luce per sopportare il buio che c'è in essa, abbastanza speranze per contrastare la disperazione, abbastanza amore per tollerare la sua solitudine e le sue mortificazioni. Se non avete che luce, vi limitate all'evidenza; se non avete che oscurità, siete immersi nell'ignoto. Solo la fede fa avanzare".

In un articolo che sto leggendo m'imbatto in questa riflessione del teologo e autore spirituale francese Louis Evely. Alcuni sono convinti che la fede sia solo luce, certezza, evidenza e ignorano che Abramo sale verso la vetta del Moria armato, sì di fede, ma anche di paura e col cuore segnato dall'oscurità. Così sarà per Giobbe, il credente che lotta con Dio. Se fosse solo evidenza, allora la fede sarebbe solo una variante della matematica o della geometria. Se fosse solo tenebra, allora sarebbe l'anticamera della disperazione.

Credere è, invece, "avanzare" come dice Evely, è rischiare. E' per questo suo "intreccio di luce e di tenebra" che la fede non ammette il fanatismo, che è una sua orribile scimmiottatura, ma non cade neppure nel dubbio sistematico, riducendosi a mera e sconsolata domanda. Quando, perciò, il cielo s'oscura, non temiamo di aver perso necessariamente la fede; quando la luce è sempre e solo evidente, interroghiamoci sul Dio che stiamo seguendo, per non cadere nell'illusione.

Vorrei concludere ancora con Evely che così definisce la sua fede: "Grazie a quello che di Te conosco, credo in Te per ciò che non conosco ancora, e, in virtù di quello che ho già capito, ho fiducia in Te per ciò che non capisco ancora".

crederefededubbiorapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 20/12/2003

PREGHIERA

79. Gratitudine   2

Chiara Lubich, La dottrina spirituale

Ti voglio bene
non perché ho imparato a dirti così,
non perché il cuore mi suggerisce questa parola,
non tanto perché la fede mi fa credere che sei amore,
nemmeno soltanto perché sei morto per me.

Ti voglio bene
perché sei entrato nella mia vita
più dell'aria nei miei polmoni
più del sangue nelle mie vene.
Sei entrato dove nessuno poteva entrare
quando nessuno poteva aiutarmi
ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi.

Ogni giorno ti ho parlato.
Ogni ora ti ho guardato
e nel tuo volto ho letto la risposta,
nelle tue parole la spiegazione,
nel tuo amore la soluzione.

Ti voglio bene
perché per tanti anni hai vissuto con me
ed io ho vissuto di Te.
Ho bevuto alla tua legge
e non me n'ero accorta.

Me ne sono nutrita, irrobustita,
mi sono ripresa,
ma ero ignara
come il bimbo che beve dalla mamma
e ancor non sa chiamarla
con quel dolce nome.

Dammi d'esserti grata
- almeno un po' -
nel tempo che mi rimane,
di questo amore che hai versato su di me,
e m'ha costretta a dirti:
Ti voglio bene.

rapporto con DioGesùamore

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inviato da Cecilia Leone, inserito il 27/10/2003

RACCONTO

80. Un celebre astronomo   1

Tilmann Pesch

Il celebre astronomo Kircher aveva uno dei suoi amici che dubitava della esistenza di Dio.

Un giorno in cui doveva recarsi a visitarlo, collocò sul suo tavolo un magnifico globo celeste. L'incredulo era appena entrato quando il novello oggetto colpì il suo sguardo; l'esaminò da vicino e domandò a Kircher se gli apparteneva.

"No", rispose l'astronomo, "il globo che voi vedete non appartiene ad alcuno; non ha proprietario. Deve esser venuto qui per effetto del caso, perché io non posso spiegare altrimenti la sua presenza".

L'amico credeva che Kircher scherzasse: ma l'astronomo continuò a sostenere con serietà quello che aveva affermato non ascoltando alcuna delle obiezioni dell'incredulo, fino al momento in cui questi dimostrò di aversene a male.

Allora Kircher sorrise e gli disse con malizia: "Voi trovate che sarebbe assurdo ammettere che il caso abbia portato qui questo piccolo globo: come dunque volete poi che il caso sia autore di questo grande ed ammirevole globo che noi abitiamo?".

Il visitatore tacque non trovando nulla da obiettare ad una argomentazione così decisiva.

scienzafedericerca di sensosenso della vitaateismocredereesistenza di Diodubbio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Claudia Nobile, inserito il 27/10/2003

PREGHIERA

81. Cristo salvezza   1

Primo Mazzolari

Le orecchie del mio cuore,
Signore, sono davanti a te.
Aprile e dì all'anima mia:
io sono la tua salvezza.

Rincorrerà questa voce
e così ti raggiungerà;
tu non nascondermi il tuo volto:
che io muoia,
per non morire e contemplarlo.
Dillo, che io lo senta.

Signore, sono io che ti faccio morire,
eppure oso guardarti.
Pietro ti guarda e si salva
il buon ladrone ti guarda e si salva
il centurione ti guarda e si salva.
I farisei non hanno guardato Gesù,
Giuda ha baciato Gesù senza guardarlo
Io ti faccio morire, ma ti guardo.

Voglio che tu mi apra la piaga del tuo cuore,
perché mi ci nasconda dentro,
che i tuoi angeli dischiodano le tue braccia,
perché esse mi sollevino sopra la mia polvere di peccato,
che essi distacchino i tuoi piedi benedetti,
perché mi conducano lontano
(da) in questo mondo che non vuol credere al tuo amore.

misericordiaamore di DiosalvezzaperdonoPietroGesùCristopentimentorapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

82. Giovane, fermati un istante

A te giovane, che forse sei già stanco di vivere e di lottare, di credere e di amare,
a te che in questo momento ti senti solo e insicuro,
a te che sei deluso per come vanno le cose,
a te che soffri per la falsità degli uomini,
a te che sei senza lavoro,
a te che chiedi amore e ti viene dato sesso,
a te che hai cercato solo nel piacere il senso della vita,
a te che hai creduto invano nella violenza e nella droga,
a te che il divertimento e il denaro non bastano più,
a te che forse pensi di farla finita,
a te che non credi più a niente ma non smetti di cercare,
a te cui manca una ragione per vivere,
a te che non hai ancora deciso cosa fare della vita,
a te che hai provato tutto eccetto Cristo:
fermati e rifletti un po' perché forse tu cerchi le cose belle e buone della vita,
forse tu cerchi ancora Dio.

giovinezzaricercaricerca di sensosenso della vita

inviato da Anna Lianza, inserito il 27/06/2003

RACCONTO

83. Il seme piccolissimo   1

Josè Real Navarro e Maria Carla Mantovani, C'era una volta... al catechismo, Elledici

Durante una forte nevicata, un viandante arrivò a un piccolo villaggio. Stavano tutti tappati in casa, per passare quel difficile inverno. Tutti i raccolti erano andati perduti e il bestiame era morto per una malattia. La fame stava per uccidere tutti. Nessuno sarebbe sopravvissuto a quell'inverno.

Il viandante bussò a una porta per chiedere ospitalità e passare la notte. Lo fecero entrare e gli offrirono un posto per dormire. Il mattino seguente, prima di riprendere il cammino, il viandante volle ringraziare. Cercò nel suo zainetto, ne estrasse una borsetta di tela e la consegnò a loro dicendo:

- Qui dentro c'è un seme. Cresce solo d'inverno e porta molti frutti. Se dividerete questi frutti con tutti gli abitanti del villaggio, non patirete mai più la fame. Se non farete così, i frutti diventeranno acidi e morirete di fame.

Il viandante partì. Aprirono la borsetta e vi trovarono un seme piccolissimo. Sorrisero al vederlo e, pensando che quell'uomo fosse pazzo, lo gettarono nella spazzatura. Ma la figlia più piccola della famiglia lo raccolse, uscì di casa, fece un buco nella neve e lo piantò.

Durante la notte, da quel seme spuntò una pianta che cominciò a crescere, a crescere. Diventò un albero grandissimo, più alto di tutte le case del villaggio. E i suoi rami erano carichi di frutti di diversi colori, grandezza e forma.

Il giorno dopo, quando videro quell'albero enorme davanti a casa, non potevano credere ai loro occhi. La bambina raccontò quello che aveva fatto, ma non le credettero. Colsero uno dei frutti e lo assaggiarono. In vita loro non avevano mai assaggiato niente di simile. Era un cibo degno di un re. Raccolsero rapidamente tutti i frutti perché nessuno li rubasse. Con essi non sarebbero morti di fame durante l'inverno.

Però la bambina ricordò quello che aveva detto il viandante. Dapprima non vi fecero caso, ma poi pensarono che, fosse vero o no quello che aveva detto, non era bello che i vicini morissero di fame mentre loro avevano da mangiare. E senza esitare, condivisero i frutti tra gli abitanti del villaggio.

Quando li mangiarono, videro che ogni frutto aveva un seme piccolissimo. Tutti lo piantarono davanti alla propria casa. E il giorno dopo il villaggio era pieno di enormi alberi fruttiferi. Passata la sorpresa, tutti furono molto riconoscenti verso quella famiglia che aveva condiviso con loro quei frutti. Grazie a loro, non morirono di fame quell'inverno, e da allora non cessarono di condividere i frutti che avevano. E proprio come aveva detto il viandante, non soffrirono mai più la fame.

solidarietàcondivisionericchezzapovertà

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 09/02/2003

PREGHIERA

84. Preghiera per l'amico

A te, Signore, amante della vita,
Amico dell'uomo,
innalzo la mia preghiera
per l'amico che mi hai fatto incontrare
sul cammino del mondo.
Uno come me, ma non uguale a me.
Fa' che la nostra
sia l'amicizia di due esseri
che si completano con i tuoi doni,
che si scambiano le tue ricchezze,
che si parlano con il linguaggio
che tu hai posto nel cuore.
Aiutaci a guardare con quello sguardo,
che comprende senza che l'altro chieda.
Aiutaci ad avere un cuore grande,
che sa partire prima che l'altro esprima.
Aiuta la nostra amicizia
Affinché non divenga chiusura;
dalle il respiro della vera libertà,
la forza di resistere nelle difficoltà,
il coraggio di andare oltre
il desiderio dell'egoismo.
La volontà di cedere per amore,
di amare anche oltre l'errore,
di giungere al sommo dell'amore: perdonare.
Perché soltanto quando si sa perdonare,
si può credere all'amore.
Fa' che le nostre mani
siano protese in un gesto di pace.
Fa' che le nostre parole
siano dolci ma anche forti.
Fa' che il nostro sorriso,
come le nostre lacrime,
non siano una maschera,
ma esprimano la profondità e la verità
dei sentimenti più sinceri e autentici.

amicizia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 17/12/2002

TESTO

85. Lettera da Taizé

Lettera da Taizé, 1974

Si ha l'impressione di essere piccole formiche,
di fronte alla grande quercia da abbattere.
Non mi dispero di fronte a tutto ciò.
So bene di non essere solo,
di non essere l'unico.
Ormai la maggioranza
sa come è sfruttata.
Ma manca una cosa.
La speranza.
E oggi non può più essere
un credere che qualcosa cambierà.
Oggi la speranza deve essere
la certezza che domani cambierà,
che il mondo sarà costruito e diretto dai poveri.

povertàgiustiziaingiustiziasperanza

inviato da Federico Bernardi, inserito il 14/12/2002

PREGHIERA

86. Tutto

Michel Quoist

Ho sentito un prete, che viveva il Vangelo, predicare il Vangelo.
I piccoli, i poveri, son rimasti entusiasti,
I grandi, i ricchi son rimasti scandalizzati.

Ed ho pensato che non bisognerebbe predicare a lungo il Vangelo
perché molti di quelli che frequentano le chiese se ne allontanassero
e quelli che non ci vanno le riempissero.
Ho pensato che è cattivo segno per un cristiano l'essere stimato dalla «gente per bene».
Bisognerebbe, credo, che ci segnassero col dito, dandoci del pazzo e del rivoluzionario.
Bisognerebbe, credo, che ci dessero fastidio, che firmassero petizioni contro di noi,
...che cercassero di farci perire.

Questa sera, o Signore, ho paura.
Ho paura, perché il tuo Vangelo è tremendo. E' facile sentirlo annunziare,
E'ancora relativamente facile non esserne scandalizzato,
ma è ben difficile viverlo.

Ho paura di sbagliarmi, o Signore.
Ho paura di essere soddisfatto della mia piccola vita discreta;
Ho paura delle mie buone abitudini, le prendo per virtù;
Ho paura dei miei piccoli sforzi, mi danno l'impressione di progredire;
Ho paura delle mie attività, mi fanno credere di darmi;
Ho paura delle mie sagge organizzazioni, le ritengo successi;
Ho paura del mio influsso, immagino che trasformi le esistenze;
Ho paura di quello che do, che mi nasconde quello che non dono;
Ho paura, o Signore, perché v'è gente più povera di me,
meno istruita di me, meno evoluta, peggio alloggiata, meno riscaldata,
meno pagata, meno nutrita, meno accarezzata, meno amata.
Ho paura, o Signore, perché non faccio abbastanza per loro, non faccio tutto per loro.

Bisognerebbe che io dessi tutto,
fino a cancellare ogni sofferenza, ogni miseria, ogni peccato nel mondo.
Allora, o Signore, bisognerebbe che io dessi tutto, tutto il tempo,
Bisognerebbe che io dessi la vita.

Eppure non è vero, Signore, non è vero per tutti,
io esagero, bisogna essere ragionevoli.

Figliuolo, non v'è che un comandamento, per tutti:
«Amerai con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze».

amorepauradonoimpegnosolidarietàegoismogratuitàaltruismo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

TESTO

87. Prima di amare, bisogna credere

Louis Evely

Bisognerebbe sostituire la parola amare con la parola credere: non bisogna amare tutti, ma bisogna credere che in ognuno ci sia una scintilla da rianimare, una liberazione da sollecitare, un luogo dove un incontro felice è possibile.

amoresperanzafiduciaconversione

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 14/12/2002

PREGHIERA

88. Oltre l'evidenza   1

David Maria Turoldo

Padre,
non sappiamo più ascoltare;
Padre,
nessuno più ascolta nessuno:
nessuno sa fare più silenzio!
Abbiamo perso
il senso della contemplazione,
perciò siamo così soli e vuoti,
così rumorosi e insensati;
e inevitabilmente idolatri!
Anche quando l'angoscia ci assale
donaci, o Padre, di non dubitare;
o anche di dubitare,
ma insieme di sempre più credere:
di credere alla tua fedeltà,
al tuo amore
al di là di tutte le apparenze;
e con il tuo Spirito
sempre presente
nella nostra storia.

dubbiofedefiducia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Lianza, inserito il 11/12/2002

TESTO

89. Sto cercando Dio

Solo lo sciocco percorre correndo il cammino della vita,
senza soffermarsi ad osservare le bellezze del creato.
Senza soffermarsi a gustare la grandezza del creato.
Sto cercando Dio,
e non lo riesco a trovare in chiese o moschee;
in libri scritti da uomini;
in religioni codificate e, pertanto, mediate da uomini.
Come posso accettare di credere
nella maniera in cui qualcuno mi sta dicendo,
se quel qualcuno è indeciso come me,
è un essere finito come me?
Come può un essere finito come me
pretendere d'aver capito l'infinità di Dio
cercando di spiegarmela in modo finito?
Dio si manifesta nell'infinità di ciò che ha creato.
infinità che ha poi farcito con cose ed esseri finiti.
Ed è così per l'uccello.
Per tutta la lunghezza della sua vita
potrà cercare di volare sempre più in alto,
ma non troverà mai il tetto .
Potrà spingersi sempre più in là,
ma non troverà mai il muro della fine.
Potrà trovare un ostacolo nell'alta montagna,
ma se riesce ad alzarsi di più,
potrà continuare a volare libero fino alla fine dei suoi giorni.
Ed è così per il pesce.
Per tutta la durata della sua vita
potrà continuare a nuotare senza trovare la secca .
Potrà finire nella secca, ma non è il limite del mondo.
E' solo il limite della sua vita.
Potrà trovare acque a lui meno congeniali.
Più calde, più fredde, più dolci, più salate,
ma, se riesce ad adattarsi,
potrà nuotare libero fino alla fine dei suoi giorni.
potrà nuotare libero fino alla fine dei suoi giorni.
Ed è così per qualsiasi altro animale della terra.
Se non viene costretto dall'uomo in recinti o steccati,
può scorrazzare in lungo ed in largo
per tutta la durata della sua vita. Senza limiti.
Ma il pesce, l'uccello e gli altri animali,
non si pongono il problema dell'infinità di Dio.
Non cercano di capirla.
Non cercano di spiegarla.
L'accettano naturalmente.
E questo è il loro modo di ringraziare Dio.
L'uomo no!
L'uomo, a cui è stata data intelligenza
per conservare e sviluppare in modo finito
le bellezze dell'infinità create,
non si adatta.
Pretende di capire e spiegare l'infinità
attraverso la sua intelligenza limitata, finita.
E allora ha cominciato a cercare dove il mondo finisce.
Ma, pur continuando a camminare,
vedeva sempre davanti a sé la stessa distanza
che il suo occhio gli consentiva di vedere.
E ha trovato l'acqua.
Ma, pur accorgendosi di poter galleggiare,
non riusciva ad andare troppo lontano.
E si convinse che la fine era dove finiva l'acqua.
E costruì zattere, piroghe, barche, navi.
Ma, per quanto costruisse imbarcazioni sempre più attrezzate,
sempre più adatte ad affrontare ogni insidia e difficoltà,
si accorse che alla fine del fiume c'era il mare.
E poi l'oceano immenso.
Ma, per quanto navigasse,
riusciva a vedere intorno a sé solo acqua.
E poi qualcuno trovò terre lontanissime.
Ma l'uomo scoprì amaramente che non erano la fine del mondo.
Il mondo continuava ancora.
E l'uomo vedeva sempre davanti a sé la stessa distanza
che i suoi occhi gli consentivano di vedere.
E allora l'uomo disse:
E' chiaro che la fine del mondo non può essere sulla terra dove vivo.
Certamente Dio l'ha messa dove io non posso arrivare. In alto! "
E allora si ingegnò.
Studiò gli uccelli
e cominciò a costruire qualcosa che si alzasse da terra.
E lo continuò a perfezionare.
Volò sempre più velocemente,
sempre più lontano, sempre più alto.
Raggiunse altri mondi e tanti altri ne raggiungerà.
Ma ogni volta s'accorgerà che, per quanto voli alto e lontano,
vedrà sempre davanti a sé la stessa distanza
che i suoi occhi gli consentiranno di vedere.
Ed ogni volta che costruirà qualcosa per guardare sempre più lontano,
s'accorgerà che, dietro, c'è un'immensità sempre più grande.
E per quanto cercherà di conoscere cose,
si renderà conto di quante altre non conosce.
Perché qualsiasi cosa l'uomo costruisca,
case, strade, macchine,
sono sempre cose finite, con confini ben precisi.
E qualsiasi tipo di computer riuscirà a costruire,
e di qualsiasi sofisticata memoria riuscirà a dotarlo
per scoprire ed immagazzinare notizie e conoscenze
che la mente umana, da sola, mai sarebbe in grado di fare,
s'accorgerà di quante ne esistano ancora.
Perché, per quanto sofisticato, quel computer avrà sempre dei limiti.
E così facendo,
utilizzando la sua intelligenza
nella sciocca ed inutile corsa verso la conoscenza dell'infinito ,
l'uomo avrà solo accelerato
la distruzione della sua vita terrena.
Se solo si soffermasse a pensare
che solo un essere infinito
poteva creare l'infinità dell'universo;
per andarci, magari, a passeggiare.
Se solo si soffermasse a godere
delle bellezze che lo circondano:
un prato, un fiore, il mare, l'oceano, una montagna,
il deserto, il cielo, le stelle,
gli occhi di un bambino...
Ma l'uomo corre, corre, corre sempre più forte
per tentare di raggiungere i confini del mondo.
Per tentare di spiegare l'infinità di Dio.
Sto cercando Dio.
Ma non lo riesco a trovare in chiese, moschee, libri,
ed in ciò che l'uomo mi dice.
Sto cercando Dio.
E lo ritrovo in ogni istante.
In ogni cosa che mi circonda.

Dionaturaricercafedecreatocreazioneinfinitouomomondoricerca di senso

inviato da Barbara, inserito il 11/12/2002

ESPERIENZA

90. La nostra preghiera

Romeo, C'ero anch'io Lourdes 2001

Così, in quei momenti di preghiera, cosa che difficilmente riusciamo a fare a casa frastornati da mille impegni, da mille luci e da mille suoni, riusciamo a dialogare con noi stessi e a sentire Dio vicino a noi come mai in altre occasioni. Riusciamo a capire quanto importante sia la vita e quanto sia bella quella che Dio ci ha donato indipendentemente dai problemi che possiamo avere e ci rendiamo conto, dopo aver visto handicappati sorridere. E qui capisci che, forse, i veri handicappati siamo noi che non sappiamo valutare le nostre piccole-grandi fortune: poter camminare e mangiare da soli. Se il riavvicinamento di un'anima a Dio può essere considerato un miracolo, allora posso affermare di essere stato testimone di tanti miracoli.

Poi arriva il momento di partire, pochi giorni volati. Si salutano tutti e ci si accorge di quanti giorni di tutta Europa hanno fatto la nostra stessa scelta e ci si accorge che non siamo gli unici giovani cristiani come alcuni vogliono farci credere.

Il treno parte, ma Lourdes non è finito, questa esperienza non finisce così, ce la porteremo sempre dentro, ormai vediamo con altri occhi, vivremo con gli altri in altro modo, abbiamo quasi la consapevolezza di conoscere cose che altri non conoscono.

Lourdesmalattiadoloresofferenzacrocevita

inviato da Federico Bernardi, inserito il 02/12/2002

TESTO

91. Non affliggerti per chi muore   2

San Giovanni Crisostomo

Non affliggerti per chi muore. Quale assurdo: credere in un paradiso eterno, e poi compatire chi ci va!

mortevita eterna

4.0/5 (1 voto)

inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 28/11/2002

TESTO

92. Qualcosa di splendido

Bruce Barton

Mai nulla di splendido è stato realizzato se non da chi ha osato credere che dentro di sè ci fosse qualcosa di più grande delle circostanze.

speranzasogniimpegno

inviato da Anna Lianza, inserito il 24/11/2002

TESTO

93. La fede è l'intelligenza nella sua riuscita

C. Tresmontant

È all'intelligenza che Gesù fa costantemente appello. E la sollecita. Il rimprovero costante sulla sua bocca è: non comprendete, non avete intelligenza? Non credete ancora? aggiunge anche. La fede che sollecita non ha nulla a che vedere con la credulità. Questa fede è precisamente l'accesso dell'intelligenza a una verità, il riconoscimento di questa verità, il sì dell'intelligenza convinta e non una rinuncia all'intelligenza, un sacrificio dell'intelletto. L'opposizione tra fede e ragione è una opposizione profondamente non cristiana, non evangelica. Bisogna dimenticare questa dialettica troppo celebre, troppo famosa per comprendere ciò che nel Nuovo Testamento si intende per fede, che è l'intelligenza stessa nel suo atto, nella sua riuscita, e la conoscenza stessa della verità insegnata, il riconoscimento del Maestro: il credere nei Vangeli è questa scoperta, questa intelligenza della verità che è proposta. Al ragazzo cui si insegna a nuotare, si spiega che in virtù di leggi naturali non deve aver paura, nuoterà se farà alcuni movimenti molto semplici. Il ragazzo ha paura, si irrigidisce, e non crede. Viene il momento in cui fa esperienza che ciò che gli è stato detto è possibile, crede, nuota. Non si dirà che la fede, in questo caso, si oppone alla ragione, se ne differenzia. Essa è per lui piuttosto identica; anche se la fede è un'altra cosa dell'intelligenza, il sì dell'intelligenza alla verità che essa vede, l'adesione alla verità vista e riconosciuta. Questo è il significato della parola pistis, pisteuein, nei Vangeli. Nel quarto Vangelo, la fede e la conoscenza sono costantemente associate come inseparabili: "Essi hanno conosciuto ed hanno creduto che tu sei il figlio del Dio vivente". È appunto alla nostra intelligenza che Gesù si indirizza e non alla nostra credulità. Contrariamente a quanto alcuni vorrebbero farci credere, la credulità e la debolezza di giudizio non sono affatto un omaggio gradito a Dio. La verità non richiede che l'uomo si abbassi ad animale, né che umilii la ragione, che gli è, al contrario, necessaria per attingere la conoscenza di Dio. Noi subiamo in Occidente da parecchi secoli una tradizione che pretende fondare la conoscenza di Dio sul deprezzamento della ragione, su una frustrazione dell'esigenza di razionalità e di intelligibilità. Questa cattiva coscienza nei riguardi della ragione non è giustificata nella tradizione biblica ed evangelica.

federagioneintelligenzafiduciaabbandono in Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002

TESTO

94. La risposta cristiana all'odio

Thomas Merton, Nuovi semi di contemplazione

L'inizio della lotta contro l'odio, la fondamentale risposta cristiana all'odio, non è il comandamento di amare, ma quello che necessariamente lo precede per renderlo sopportabile e comprensibile, cioè quello di credere. La radice dell'amore cristiano non è la volontà di amare, ma il credere che si è amati. Credere che Dio ci ama. Credere che Dio ci ama anche se siamo indegni - o meglio, che Egli ci ama indipendentemente dai nostri meriti!

In una visione meramente cristiana dell'amore di Dio, il concetto di degnità perde ogni significato. La rivelazione della misericordia di Dio riduce tutto il problema della degnità a qualcosa di quasi irrisorio: la scoperta che la degnità è di poca importanza (perché nessuno potrebbe mai, di per se stesso, essere degno di essere amato di un simile amore) è una vera liberazione di spirito. E, fintanto che non si giunge a questa scoperta, fintanto che questa liberazione non è stata operata dalla misericordia divina, l'uomo rimane prigioniero dell'odio.

amoreodiofederapporto con Dioaccettazione di sé

inviato da Stefania Raspo, inserito il 29/08/2002

TESTO

95. Ho vissuto una intensa esperienza di Dio   2

Note di Pastorale Giovanile, n. 1/ gennaio 1999

Carissimo amico o amica,

Voglio farti qualche confidenza sulla mia relazione con Dio. Dio occupò il centro della mia vita. Per arrivare a quest'esperienza dovetti fare un notevole sforzo di personalizzazione e di interiorizzazione e mettere in gioco tutte le dimensioni della mia persona: intelligenza, sentimenti, atteggiamenti. E ti posso assicurare che sempre mi sentii pienamente me stesso.

Dio occupò il centro della mia vita come un Padre che mi amava intensamente, con un amore somigliante a quello che sente una madre quando il suo figlio sta per nascere, per questo osai chiamarlo "papà"; Questo amore di Dio - Padre fu la roccia ferma su cui appoggiai sempre la mia vita.

Mi costò molto far capire alla gente che Dio ama gratuitamente, cioè, senza che in noi ci siano motivi speciali perché lui ci ami: essere buoni, bravi, intelligenti, ecc. Per questo narrai le parabole, come quella del padre che accoglie il suo figlio che se n'era andato da casa o quella dei lavoratori della vigna che ricevono lo stesso stipendio anche se non hanno lavorato tutti le stesse ore.

Non è stato facile convincere quella donna samaritana a cui chiesi di darmi un po' d'acqua, che Dio è come una fonte d'acqua che toglie la sete per sempre. Basta relazionarsi con lui in Spirito e verità. Per questo, sentii una grande necessità di lodarlo, di rendergli grazie, soprattutto, quando vidi che le mie parole sul Regno di Dio arrivavano al cuore della gente semplice.

Riconosco che davanti ai grandi avvenimenti - la chiamata degli apostoli, il discorso sul monte, ecc. - mi piaceva passare la notte pregando da solo con Lui, ascoltavo il suo filo di voce dentro di me, vedevo una presenza amorosa nelle persone a cui dovevo parlare e guarire il giorno dopo. Il cielo pieno di stelle della Palestina faceva più maestosa e bella la sua presenza.

Arrivai addirittura a dire, non senza un po' di paura di non essere capito e di scandalizzare i farisei e gli scribi di Israele, che il mio cibo era fare la volontà del Padre mio, anzi che Dio e io eravamo la stessa cosa.

Non credere che questo fare la volontà di Dio fosse, qualcosa di facile. L'ansia di potere e di fama bussavano continuamente alla mia porta, soprattutto quando la gente mi perseguitava per farmi re. Molte volte, ho avuto la sensazione di usare Dio, di fare di Lui un idolo secondo la mia misura e convenienza.

Ci sono stati dei momenti in cui il cammino è diventato più duro. Ci sono stati momenti di solitudine e di sconfitta a causa dell'incomprensione e dell'abbandono dei miei amici. Vivere la relazione con Dio come Padre fu allora un'esperienza dolorosa, soprattutto nel momento della verità, quando la mia vita scorreva inesorabilmente verso la morte.

Nell'orto degli ulivi, il sudore e il sangue inzupparono la mia tunica. Dio rimaneva muto di fronte alla mia passione e alla mia morte. La gente ai piedi della croce mi ricordava con ironia che sempre avevo chiamato Dio Padre e sulla croce arrivai a dubitare di Lui. Però finalmente vinsi la tentazione. Mi misi nel buio tunnel della morte convinto di una cosa sola: Dio era mio Padre e Lui sapeva cosa farsene della mia vita.

Il giorno di Pasqua fu, e continua ad essere, la prova che lui non era nel torto. Quel giorno Dio gridò all'umanità intera e continua a farlo fino ad oggi, che la Croce è la fonte da dove sgorga la vita; che il chicco di grano, se non muore, non produce frutto; che una candela deve consumarsi pian piano se vuole illuminare; che il sale per dare sapore deve sciogliersi; che il lievito deve mescolarsi con la massa fino a scomparire per fare un buon pane per tutti, soprattutto per i più poveri ed emarginati.

Gesù di Nazareth

Gesù CristoDiorapporto con Dio

inviato da Don Giovanni Cuccu, inserito il 22/08/2002

TESTO

96. Credere

Al Muhasibi

I migliori credenti sono quelli che la vita futura non distoglie dalla vita terrena né la vita terrena da quella futura.

Al Muhasibi, mistico islamico + 857

fedeparadisoimpegnoresponsabilitàvita eterna

inviato da Luca Peyron, inserito il 11/06/2002

PREGHIERA

97. La vita è bella, Signore

Michel Quoist

La vita è bella Signore,
e voglio coglierla
come si colgono i fiori in un mattino di primavera.
Ma so, mio Signore,
che il fiore nasce
solo alla fine di un lungo inverno,
in cui la morte ha infierito.

Perdonami Signore, se a volte,
non credo abbastanza nella primavera della vita,
perché, troppo spesso,
mi sembra un lungo inverno
che non finisce mai di rimpiangere
le sue foglie morte
o i suoi fiori scomparsi.

Eppure con tutte le mie forze
credo in Te, Signore,
ma urto contro il tuo sepolcro e lo scorgo vuoto.

E quando gli apostoli d'oggi mi dicono
che ti hanno visto vivente
sono come San Tommaso,
ho bisogno di vedere e di toccare.
Dammi abbastanza fede,
ti supplico, Signore,
per aspettare la Primavera,
e nel momento più duro dell'inverno,
per credere alla Pasqua trionfante
oltre il Venerdì di passione. (...)

Signore tu sei risorto!
Dal sepolcro, grazie a Te,
la Vita è uscita trionfante.

La sorgente d'ora in poi non si prosciugherà mai,
Vita nuova, offerta a tutti,
per ricrearci per sempre
figli di un Dio che ci attende,
per le Pasque di ogni giorno
e di una gioia eterna.

Era Pasqua ieri, Signore,
ma è Pasqua anche oggi
ogni volta che accettando di morire in noi stessi,
con Te apriamo una breccia
nella tomba dei nostri cuori,
perché zampilli la Fonte
e scorra la Tua Vita.

E se tanti uomini,
nel loro sforzo umano
purtroppo, non sanno che sei già lì,
lo scopriranno più tardi
alla tua luce.

Era Pasqua ieri,
ma è Pasqua anche oggi,
quando un bambino divide le sue caramelle,
dopo avere in segreto lottato
per non tenersele tutte lui.

Quando marito e moglie si abbracciano di nuovo
dopo una discussione o una penosa rottura.
Quando i ricercatori scoprono
il rimedio che guarisce
e il medico riaccende la vita
che senza di lui si spegneva.

Quando la porte della prigione si aprono,
perché la pena è terminata,
e quando già nella sua cella
il carcerato divide le sigarette con i compagni.
Quando l'uomo dopo un lungo sforzo
trova lavoro
e porta a casa un po' di denaro guadagnato. (...)

Sì, Signore, la vita è bella,
poiché è tuo Padre che l'ha donata.
La vita è bella,
poiché sei Tu che ce l'hai ridata
quando l'avevamo perduta.
La vita è bella,
perché è la tua stessa Vita offerta per noi...
ma dobbiamo farla fiorire.
E per offrirtela ogni sera
devo raccoglierla
sulle strade degli uomini
come quel bimbo che passeggiando,
raccoglie i fiori dei campi
per farne un mazzo
da offrire ai suoi genitori.
Oh sì Signore,
fammi scoprire ogni giorno, sempre di più,
che la vita è bella!

vitapasquarisurrezionesperanzaaltruismodonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 11/06/2002

PREGHIERA

98. E dunque anche Tu ateo?   1

David Maria Turoldo

E dunque anche Tu ateo?
Fu questa la tua vera Notte, Signore,
la tua discesa agl'Inferi
avanti che ti accogliesse nel suo ventre la terra.
Credere in Lui e dubitare di Lui,
dire a tutti che ti ama,
e consumarti di amore,
e sentire che sei abbandonato.
"Padre, Abbà, papà!..."
Ora invece appena:
"Dio"; sia pure "tuo Dio"!
Alla fine, dunque non più padre?
O, perfino, che non esista?
Ma come poi avresti potuto dire:
"Nelle tue mani rimetto lo spirito"?
Avresti vinto per un atto di fede senza speranza?
Pur perduto dentro l'abisso del Nulla
ancora credevi?
Resurrezione, non altro è la risposta.
Ma Tu non sapevi!
Come noi non sappiamo.
E compatta
ancora sale sul mondo
la Notte.

paurasolitudinesofferenzacrocedolorepasquamorterisurrezioneVenerdì Santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Mariangela Molari, inserito il 02/06/2002

TESTO

99. Dimmi spesso che mi ami   1

Charles Singer

Dimmi spesso che mi ami, con parole, gesti e azioni. Non credere che lo sappia già. Forse ti sembrerò imbarazzato e negherò di averne bisogno, ma non credermi, fallo lo stesso. Prenderemo del tempo per guardarci in faccia e parlarci come al principio. Prenderemo del tempo perché ritorni la tenerezza.

tenerezzaamorebisogno degli altri

inviato da Mariangela Molari, inserito il 01/06/2002

PREGHIERA

100. Signore insegnami a parlare   2

Madre Teresa di Calcutta

Signore, insegnami a non parlare
come un bronzo risonante
o un cembalo squillante,
ma con amore.
Rendimi capace di comprendere
e dammi la fede che muove le montagne,
ma con l'amore.
Insegnami quell'amore che è sempre paziente
e sempre gentile;
mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso;
l'amore che prova gioia nella verità,
sempre pronto a perdonare,
a credere, a sperare e a sopportare.
Infine, quando tutte le cose finite
si dissolveranno
e tutto sarà chiaro,
che io possa essere stato il debole ma costante
riflesso del tuo amore perfetto.

amoretestimonianzacarità

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

PREGHIERA

101. Non ne posso più   1

Primo Mazzolari

Signore, non ne posso più:
la mia resistenza è agli estremi,
la mia fede viene meno
sotto le prove che incalzano.
Non comprendo più niente.
Ma per sostenere in pace
e rimanere vicino a chi soffre
non è necessario comprendere.
Non mi abbandonare, Signore,
tu che mi conosci e sai tutto di me
e di questo mio povero cuore di carne.
Tienimi su il cuore,
e aiutami a superare l'angoscia
che spesso il male mi dà.
Rinsaldami la certezza
che niente va perduto
del nostro patire perché è tuo
e ti appartiene
meglio di qualsiasi cosa nostra.
Aiutami a credere
che la tua misericordia
sta universalmente preparando
una giornata più buona a tutti.

stanchezzasofferenzacroceabbandono

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 24/05/2002

PREGHIERA

102. Tu sei Dio   1

Michel Quoist

Gesù, senza troppa difficoltà credo che Tu sia Dio.
Tuo Padre me lo ha suggerito, ne sono sicuro,
poiché ci hai detto che da soli li non potevamo crederlo,
e lo ringrazio per questo dono meraviglioso
che trasforma la mia vita;
ma confesso, non è facile per me credere che Tu sia uomo.
Non un superuomo: un uomo. Uno vero.
E che non hai giocato a fare l'uomo, mascherato da uomo
per fingere di essere come noi, solidale per tutta la nostra vita.
Eppure, Signore, se ogni tanto faccio fatica a crederlo
quando medito questo mistero soltanto nella mia testa,
è per me la più meravigliosa delle notizie
quella che mi colma di riconoscenza e di gioia,
quando la contemplo nel mio cuore.
Poiché è ai miei occhi la prova più sicura, la più sconvolgente,
che ci ami sopra ogni altra cosa,
e che questo amore ci è vicino, così vicino da toccarci,
da mettere radici in noi.
In questa umanità da Te creata, ma così lontana,
da Te così lontana se non fossi venuto.
Perché avresti potuto amare dall'alto, Signore,
e mandarci un ambasciatore che Ti rappresentasse,
e invece ti sei spostato personalmente.
Saresti potuto venire accanto a noi, Tu, Dio, per trascinarci.
E noi, uomini, per seguirti.
Ma Tu sei venuto tra di noi, uomo come noi,
talmente come noi che siamo diventati fratelli.
Fratelli del bimbo che piangeva, beveva il latte di sua madre.
Fratelli del fanciullo che imparava a leggere, a pregare.
Fratelli dell'uomo che predicava così bene... troppo bene,
da morirne fra le torture, offrendo la sua vita per noi.
Fratello.
Nostro fratello Gesù,
grazie perché sei venuto tra noi come uomo vero.
Amen.

umanitàNataleincarnazioneamore di Dio

inviato da Mariangela Molari, inserito il 24/05/2002

PREGHIERA

103. La gioia di credere

Madeleine Delbrel

Poiché le parole non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri,
ma per prenderci e correre il mondo in noi,
lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità,
di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte,
alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c'investano, ci invadano.
Fa' che da essi penetrati come "faville nelle stoppie"
noi corriamo le strade di città accompagnando l'onda delle folle
contagiosi di beatitudine, contagiosi di gioia.
Perché ne abbiamo veramente abbastanza
di tutti i banditori di cattive notizie, di tristi notizie:
essi fan talmente rumore che la tua parola non risuona più.
Fa' esplodere nel loro frastuono il nostro silenzio che palpita del tuo messaggio.

testimonianzaannunciomissione

inviato da Mariangela Molari, inserito il 23/05/2002

TESTO

104. Carta dei Giovani

Sermig, Fraternità della Speranza

Voglio trovare il senso per la mia vita, che è unica ed irripetibile, per viverla senza guerra, violenza, paura e sperare nel futuro.
Mi impegno perché ogni uomo e donna possa valorizzare le proprie potenzialità e perché nessuno sia sfruttato.
Voglio capire cosa è il bene e cosa è il male, voglio vivere in un mondo dove esiste il perdono e dove la vendetta sia abolita.
Mi impegno a cambiare vita se ho sbagliato.
Voglio lottare contro quelle schiavitù che ci hanno proposto come libertà e che hanno ucciso troppi ragazzi e ragazze come me.
Mi impegno perché abbiano accesso agli strumenti per comunicare e l'informazione sia al servizio della persona.
Voglio amare e capire, nella libertà, che cos'è la verità.
Mi impegno perché il lavoro possa essere un bene per tutta l'umanità.
Voglio avere la libertà di credere o di non credere e di professare la mia fede in ogni parte del mondo.
Mi impegno perché tutte le ricchezze siano usate ed equamente distribuite per contribuire a costruire un mondo migliore e voglio che la terra sia rispettata.

impegnopacegiustiziaamoregiovani

inviato da Andrea Aversa, inserito il 23/05/2002

PREGHIERA

105. Preghiera per il giorno che sta per cominciare

Uno starec del monastero di Optina

Signore è l'alba.
Fa' che io vada incontro nella pace
a tutto ciò che mi porterà questo giorno.
Fa' che io mi consegni totalmente
alla tua santa volontà.
Donami in ogni momento la tua luce e la tua forza.
Qualunque notizia io riceva oggi,
insegnami ad accettarla nella quiete,
e nella fede salda che nulla può accadere
se tu non lo permetti.
In ogni mia azione e parola
dirigi i miei pensieri e i miei sentimenti.
In tutti gli eventi inattesi,
non farmi dimenticare che ogni cosa proviene da te!
Insegnami ad agire con apertura e intelligenza
verso tutti i miei fratelli e le mie sorelle
e verso tutti gli uomini,
senza mortificare o contristare nessuno.
Signore, donami la forza di portare
la fatica del giorno che si avvicina,
e di tutti gli eventi inclusi nel suo corso.
Guida la mia volontà,
insegnami a pregare, a credere,
a perseverare, a soffrire, a perdonare...
e ad amare!

buongiornonuovo giorno

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

PREGHIERA

106. Rendici persone risorte   1

Il Vangelo secondo Jonathan

Signore, Dio della vita,
rimuovi le pietre dei nostri egoismi,
la pietra che soffoca la speranza,
la pietra che schiaccia gli entusiasmi,
la pietra che chiude il cuore al perdono.
Risuscita in noi la gioia
la voglia di vivere,
il desiderio di sognare.
Facci persone di resurrezione
che non si lasciano fiaccare
dalla morte, ma riservano sempre
un germe di vita in cui credere.

pasquarisurrezionesperanzaottimismo

3.0/5 (2 voti)

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 21/05/2002

TESTO

107. Dalla paura la guerra

Thomas Merton

Alla radice di ogni guerra sta la paura: non tanto la paura che gli uomini hanno gli uni degli altri, quanto la paura che essi hanno di tutto. Non è soltanto che non si fidino gli uni degli altri: non si fidano neppure di se stessi. Se dubitano che qualcuno possa voltarsi ed ucciderli, ancor più dubitano di poter essi stessi voltarsi ed uccidere. In nulla possono riporre la loro fiducia perché hanno cessato di credere in Dio.

Porrete fine alle guerre chiedendo agli uomini di fidarsi di uomini che evidentemente non meritano fiducia? No. Insegnate loro ad amare Dio e ad aver fiducia in Lui; allora essi saranno in grado di amare gli uomini in cui non possono avere fiducia ed oseranno far pace con loro, fidandosi non di loro ma di Dio.

Perché soltanto l'amore - che significa umiltà - può scacciare il timore che sta alla radice di ogni guerra.

Se gli uomini volessero davvero la pace, la chiederebbero a Dio ed Egli la darebbe loro. Ma perché Egli dovrebbe dare al mondo una pace che in realtà il mondo non desidera? Perché quella pace che il mondo sembra desiderare non è affatto pace.

Per alcuni, pace significa semplicemente libertà di sfruttare altri senza pericolo di rappresaglie o di interferenze. Per altri, pace significa la possibilità di derubarsi continuamente a vicenda. Per altri ancora significa facoltà di divorare i beni della terra senza essere costretti a interrompere i propri piaceri per nutrire coloro che vengono affamati dalla loro avidità. E per la grande maggioranza, pace significa semplicemente l'assenza di ogni violenza fisica che possa gettare una ombra su vite dedite alla soddisfazione dei propri appetiti animali di comodità e di piacere.

Molti uomini come questi hanno domandato a Dio ciò che essi credevano fosse la «pace» e si sono chiesti perché le loro preghiere non fossero state esaudite. Essi non potevano comprendere che in realtà erano esaudite. Dio ha lasciato loro ciò che desideravano, perché la loro idea di pace era soltanto un'altra forma di guerra.

Così, invece di amare ciò che tu credi sia la pace, ama gli altri uomini e ama soprattutto Dio. E invece di odiare coloro che credi fomentatori di guerra, odia gli appetiti e il disordine della tua anima, che sono le cause della guerra.

guerrapacepaura

inviato da Don Angelo, inserito il 09/05/2002

RACCONTO

108. Dio ama te   2

Un uomo aveva sempre il cielo dell'anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all'amore di Dio. Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi scuri dubbi, incontrò un pastore. Il pastore era un brav'uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l'aria particolarmente disperata e gli chiese:
"Che cosa ti turba tanto, amico?".
"Mi sento immensamente solo".
"Anch'io sono solo, eppure non sono triste".
"Forse perché Dio ti fa compagnia..."
"Hai indovinato".

"Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me?".

"Vedi laggiù quel villaggio?", gli chiese il pastore, "Vedi le finestre di ogni casa?".
"Vedo tutto questo".

"Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell'arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra".

rapporto con Dioincontrare Diosperanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

109. L'uomo con le mani legate   1

C'era un uomo come tutti gli altri. Normale. Aveva qualità positive e negative. Non era diverso da noi.

Una volta bussarono all'improvviso alla sua porta. Quando uscì, si incontrò con certi suoi amici. Erano in molti ed erano arrivati insieme. I suoi amici gli legarono le mani.

Dopo gli spiegarono che così era meglio, che con le mani legate non poteva combinare nulla di male (si dimenticarono però di dirgli che in tal modo non poteva fare neanche qualcosa di buono). E se ne andarono, lasciando una guardia alla porta perché nessuno potesse slegargli le mani.

All'inizio si disperò e cercò di rompere i lacci. Quando si rese conto dell'inutilità dei suoi sforzi, cercò di adattarsi alla nuova situazione. A poco a poco fece in modo di arrangiarsi per sopravvivere con le mani legate. Dapprima gli costava molto anche togliersi le scarpe. Impiegò un giorno ad arrotolarsi una sigaretta. E cominciò a dimenticarsi che prima aveva le mani libere... Passarono molti anni. Quell'uomo arrivò ad adattarsi alle mani legate.

Durante questo tempo, la guardia alla porta gli raccontava, giorno dopo giorno, delle cose cattive che facevano di fuori gli uomini con le mani libere (ma si dimenticava di dirgli delle cose buone che facevano). Continuavano a trascorrere gli anni.

L'uomo con le mani legate si adattò sempre più. E quando il guardiano gli ripeteva che, grazie a quella notte in cui i suoi amici erano venuti per legargli le mani, egli non aveva più avuto la possibilità di fare del male (ma non gli diceva che non aveva più avuto anche la possibilità di fare del bene), quell'uomo cominciò a credere che era meglio, molto meglio, vivere con le mani legate. Erano così belle quelle legature, così tranquillizzanti!

Passarono molti, moltissimi anni. Un giorno i suoi amici sorpresero il guardiano nel sonno, entrarono in casa sua, gli sciolsero i nodi delle corde che gli legavano le mani. "Adesso sei libero", gli dissero.

Ma l'avevano slegato troppo tardi. Le sue mani erano completamente paralizzate.

peccatolibertàlibertà interiore

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

ESPERIENZA

110. La danza del bambino

Teresio Bosco, Madre Teresa di Calcutta, biografia

C'è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi-chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.

«Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa', piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.

I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell'ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt'intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella.

Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti.

E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare.

Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia.

Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!».

Madre Teresa affermò tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un «profeta». Pur nella miseria dove la nostra economia scaltra l'ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l'amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l'amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.

«Noi lo aiutiamo ad uscire dalla miseria. Ma lui ci regala qualcosa di più: ci insegna una maniera diversa di vivere: servirsi delle cose, ma non diventare prigionieri delle cose, credere che ci sono valori assai più importanti del denaro: l'amore, il calore della famiglia, il sorriso dei bambini, l'amicizia, la gioia...».

povertàricchezzaessenzialità

inviato da Marianna Sebastiani, inserito il 08/05/2002

TESTO

111. Decalogo della quotidianità   2

Papa Giovanni XXIII

1. Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta

2. Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto, vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non pretenderò di migliorare o disciplinare alcuno, tranne me stesso.

3. Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell'altro mondo, ma anche in questo.

4. Solo per oggi mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino tutte ai miei desideri.

5. Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a qualche buona lettura, ricordando che, come il cibo è necessario alla vita del corpo, così la buona lettura è necessaria alla vita dell'anima.

6. Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno

7. Solo per oggi mi farò un programma che forse non riuscirà a puntino, ma lo farò e mi guarderò dai due malanni: la fretta e l'indecisione.

8. Solo per oggi crederò fermamente nonostante le apparenze che la Provvidenza di Dio si occupa di me come se nessun altro esistesse al mondo.

9. Solo per oggi farò almeno una cosa che non desidero fare, e se mi sentirò offeso nei miei sentimenti farò in modo che nessuno se ne accorga.

10. Solo per oggi non avrò timori, in modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere alla bontà.

Posso ben fare per dodici ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare per tutta la vita.
Basta a ciascun giorno il suo affanno.

quotidianitàserenità

4.7/5 (3 voti)

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 23/04/2002

RACCONTO

112. L'ateo e la rupe   1

Un ateo precipitò da una rupe. Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello, e rimase sospeso fra il cielo e le rocce trecento metri più sotto, consapevole di non poter resistere a lungo. Allora ebbe un'idea. "Dio!", gridò con quanto fiato aveva in gola. Silenzio! Nessuna risposta.

"Dio!", gridò di nuovo. "Se esisti, salvami e io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere". Ancora silenzio! Subito dopo fu lì lì per mollare la presa dallo spavento, nell'udire una voce possente che rimbombava nel burrone: "Dicono tutti così quando sono nei pasticci".

"No, Dio, no!" egli urlò, rincuorato. "Io non sono come gli altri. Non vedi che ho già cominciato a credere, poiché sono riuscito a sentire la tua voce? Ora non devi far altro che salvarmi e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra".
"Va bene", disse la voce. "Ti salverò. Staccati dal ramo".

"Staccarmi dal ramo?", strillò l'uomo sconvolto. "Non sono mica matto!".

Fedeabbandono in Diofiducia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 09/04/2002