I tuoi ritagli preferiti

Tutti i ritagli

Indice alfabetico dei temi

Invia il tuo ritaglio

Hai cercato felice tra i ritagli di tipo testo

Hai trovato 73 ritagli

Ricerca avanzata
tipo
parole
tema
fonte/autore

Pagina 1 di 4  

TESTO

1. La bellezza   3

Franz Kafka

La giovinezza è felice, perché ha la capacità di vedere la bellezza.

Chi mantiene la capacità di vedere la bellezza, non invecchia mai.

bellezzavecchiaiagiovinezza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cafarelli Giovanni, inserito il 27/06/2019

TESTO

2. Cosa ti manca per essere felice?   4

Simona Atzori, Cosa ti manca per essere felice? Mondadori

Perché ci identifichiamo sempre con quello che non abbiamo, invece di guardare quello che c'è?
Spesso i limiti non sono reali, i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda.
Dobbiamo fermarci in tempo, prima di diventare quello che gli altri si aspettano che siamo. È nostra responsabilità darci la forma che vogliamo, liberarci di un po' di scuse e diventare chi vogliamo essere, manipolare la nostra esistenza perché ci assomigli.
Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde, se ci vedi o sei cieco o hai gli occhiali spessi così, se sei fragile o una roccia, se sei biondo o hai i capelli viola o il naso storto, se sei immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità più inesplorate del cielo. La diversità è ovunque, è l'unica cosa che ci accomuna tutti.
Tutti siamo diversi, e meno male, altrimenti vivremmo in un mondo di formiche.
Non c'è nulla che non possa essere fatto, basta trovare il modo giusto per farlo.
Io tengo il microfono con i piedi, altri con le mani, altri ancora lo tengono sull'asta. Sta a noi trovare il modo giusto per noi.
Io credo nella legge dell'attrazione: quello che dai ricevi. Se trasmetti amore, attenzione, serenità; se guardi alla vita con uno sguardo costruttivo; se scegli di essere attento agli altri e al loro benessere; se conservi le cose che ami e lasci scivolare via quelle negative, la vita ti sorriderà.
Se avessi avuto paura sarei andata all'indietro, invece che avanti. Se mi fossi preoccupata mi sarei bloccata, non mi sarei buttata, avrei immaginato foschi scenari e mi sarei ritirata. Invece ho immaginato. Adesso sono felice, smodatamente, spudoratamente felice. Ed è una gioia raccontarla, questa mia felicità.

felicitàlimitiaccettazionegratitudineprogettorealizzazioneimpegnodiversitàpositività

5.0/5 (1 voto)

inserito il 22/03/2018

TESTO

3. Auguri di Natale non in serie

don Tonino Bello

Carissimi,
formulare gli auguri di Natale dovrebbe essere la cosa più semplice di questo mondo. Invece, quest'anno sto provando tanta difficoltà. Ho scritto e riscritto cento volte l'attacco di questa lettera, ma mi è parso di dire sempre delle cose estremamente banali. Come sono banali certi presepi bell'e confezionati che si acquistano ai grandi magazzini. Saranno anche attraenti con i loro svolazzi di angeli e con i loro muschi di plastica. Ma sono freddi. Perché fatti in serie.
Ecco: è proprio la «serialità» che mi mette in crisi. Ho l'impressione, cioè, di esporre anch'io la mia merce preconfezionata, e poi lasciare che ognuno si serva da solo, come nei self-service di certi ristoranti.
È qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.

Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immobilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto diverso che dire Buon Natale a te, Franco, che hai fatto spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura sciistica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, dove hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella Notte Santa, anzi, ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti accanto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella cometa non la vedi perché non hai tempo per pensare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani dove consumi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce sufficiente a dar senso alla tua vita.

Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha firmato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nuziale suprema di Dio che prende in sposa l'umanità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'incarnazione. A te, Rosaria, invece, che per la prima volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, occorrerà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria. E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bambino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.

Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia ma anche tanto lontano con l'ateismo che professi, è molto diverso che dire buon Natale a te, don Donato, che le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'asino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve essere pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi davanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio forzare la tua coscienza: ma sei proprio sicuro che, quel bambino non abbia nulla da dirti, e che questo mistero (che tu vorresti confinare tra le favole) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlemme la sua sorgente e il suo estuario.

Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di percorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il momento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli auguri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti dicono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai neppure. Buon Natale, Antonietta. Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da sola davanti alla culla, e in quel pianto tu possa sperimentare le stesse emozioni di quando la semplice carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.

Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Piero, che in carcere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai combinate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi restituisca la salute del corpo e quella dello spirito.

Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta vedova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profughi albanesi che vivono insieme nella casa di accoglienza. A te, Sahid, che guardi alla televisioni gli spettacoli dell'Unicef sui bambini irakeni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi figli che hai lasciato in Tunisia.

Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divine, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessuno tirerà indietro la sua.

Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno avverte, chi sa per quale mistero, che di quel bambino «avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia», una volta che l'ha conosciuto, non può più fare a meno.

nataleincarnazionesofferenzadisperazionesperanzasolidarietàsolitudinericercaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inserito il 19/02/2018

TESTO

4. Lettera a coloro che si sentono falliti   2

Tonino Bello, Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 363-368

Questa lettera la scrivo un po' anche a me. Sono convinto, infatti, che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all'alba abbiamo visto svanire...

I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me, sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l'hanno fatta a raggiungere neppure gli standard sui quali "normalmente" scorre una esistenza che voglia dirsi realizzata.

Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e, immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto di brillante carriera per un distacco irreversibile della retina.

Ugo, ragazzo prodigio fino alla maturità classica che si è insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a districarsene. Oggi ha quarant'anni, e sua moglie, ad ogni lite, gli rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo studio di un avvocato.

Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte all'Accademia Chigiana di Siena ha avuto decine di occasioni per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell'altro. Alla fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.

Lucia che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi non è partita perché i suoi l'hanno ostacolata. Ora margherite non ne sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da regalo.

Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della vita voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia della salvezza.

A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire a uno a uno gli ideali accarezzati in gioventù. A voi che avete meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete rimasti al palo. A voi che non avete trovato mai spazio, e siete usciti da ogni graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti. A voi che una malattia, o una tragedia morale, o un incidente improvviso, o uno svincolo delicato dell'esistenza, hanno fatto dirottare imprevedibilmente sui binari morti dell'amarezza. A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.

A tutti voi voglio dire: "Volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!".

La riuscita di una esistenza non si calcola con i fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l'applausometro delle platee, o con gli indici di gradimento delle folle.

Da quando l'Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell'impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell'atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n'è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell'antichità, il pregio della riuscita.

Non voglio sommergervi di consolazioni. Voglio solo immergervi nel mistero. Nella cui ottica una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre carreggiate mai divenute carriere, non sono inutili, ma costituiscono il fondo di quella Cassa deposito e prestiti che alimenta ancora oggi l'economia della salvezza.

A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!

fallimentocrocecrocifissosalvezzasuccessoprogettisogni

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

5. Prometti a te stesso

Christian L. Larson

Prometti a te stesso
di essere così forte che nulla potrà disturbare la serenità della tua mente.

Prometti a te stesso
di parlare di bontà, bellezza, amore ad ogni persona che incontri;
di far sentire a tutti i tuoi amici che c'è qualcosa di grande in loro;
di guardare il lato bello di ogni cosa e di lottare perché il tuo ottimismo diventi realtà.

Prometti a te stesso
di pensare solo al meglio, di lavorare solo per il meglio, di aspettarti solo il meglio,
di essere entusiasta del successo degli altri come lo sei del tuo.

Prometti a te stesso
di dimenticare gli errori del passato per guardare a quanto di grande puoi fare in futuro;
di essere sereno in ogni circostanza, di regalare un sorriso ad ogni creatura che incontri;
di dedicare così tanto tempo a migliorare il tuo carattere, da non avere tempo per criticare gli altri.

Prometti a te stesso
di essere troppo nobile per l'ira, troppo forte per la paura, troppo felice per lasciarti vincere dal dolore.

vitaserenitàforza interioreottimismosperanza

inviato da Edda Guastalla, inserito il 21/08/2017

TESTO

6. Due sole ore io vorrei   1

Claudio Paglieri, Il Secolo XIX, 6/3/2017

Quante volte diciamo «ci vorrebbe una giornata di 48 ore», perché non riusciamo a fare quello che amiamo veramente. In realtà, il mantra «non ho tempo» è la scusa di chi non ha il coraggio di tagliare le cose superflue. Io invece l'ho fatto, e con grande soddisfazione. Per esempio, mi sono reso conto che leggevo circa trenta libri all'anno, E calcolando una media di 300 pagine a un minuto l'una, sprecavo la bellezza di 9.000 minuti, ossia 150 ore. Una volta alla settimana uscivo a mangiare la pizza con moglie e figlio, ma ordinandola a casa risparmio un'ora e mezza buona tra spostamenti e attesa: altri 78 ore annue. Il venerdì sera giocavo a calcetto con gli amici, li ho salutati e ho recuperato 3 ore per 52 settimane: 156. Idem con il film in lingua originale del martedì. Poi c'era il cane da portare fuori, l'ho scambiato per due pesci rossi; mio figlio si arrangia da solo con i compiti e mia mamma la sento per telefono; non cucino più, ho preso il microonde e riempito il freezer. Alla fine, gratta oggi gratta domani, ho vinto un montepremi di 730 ore. Adesso sono felice: anche io, come tutti, ho le mie due ore giornaliere da passare su Facebook.

tempovalore del temposocial networkfacebook

5.0/5 (1 voto)

inserito il 09/03/2017

TESTO

7. Lettera di un animatore Grest ad un genitore

Roberta Carta, Blog Vita piena

Caro genitore di un bambino che frequenta il Grest,

sono quel ragazzo a cui hai lasciato timoroso le mani del tuo bambino.

Ho visto che mi guardavi preoccupato, forse della mia giovane età, forse del mio taglio di capelli... allora ho pensato di scriverti per ringraziarti, perché non mi conosci e mi stai affidando la cosa più preziosa che hai!

Immagino ti sarai chiesto perché un ragazzo della mia età passi le sue ore estive gratuitamente con tuo figlio. In questi giorni ascolto alla radio una canzone che dice "vale la pena mi amor", ti voglio allora dire perché ne vale la pena passare parte della mia estate con tuo figlio!

Qualcuno mi sta insegnando che donare il mio tempo per gli altri, specialmente per i più piccoli, mi può rendere felice... ho scoperto che è vero! Quando riesco a far sorridere tuo figlio; quando al mattino lo vedo corrermi incontro insieme agli altri; quando riesco a far ballare i bambini più rigidi nei miei bans scatenati; quando li consolo per una caduta o un gioco in cui non hanno vinto; quando mi vedono come un punto di riferimento, proprio me che in casa sono considerato ancora "il piccolo"... non sai quanto ne valga la pena! Ad ognuna di queste piccole cose mi sembra che il mio cuore cresca un po' di più.

Quando il mio coordinatore mi affida la responsabilità della conduzione di un gioco, delle scenografie, oppure il compito di recitare o preparare il laboratorio; sento che vede il mio talento, che mi considera competente e capace di crescere sempre di più. Non sai quanto ne valga la pena per vedere i suoi occhi soddisfatti del mio lavoro!

Quando il Don ci ringrazia a nome di tutti i bambini e genitori e di Chi sa, vale tutta la pena anche solo per me, e poi ci dice che siamo tanto amati e che è orgoglioso di noi, ne vale la pena!

E... quando condivido questo servizio con i miei amici, sì a volte litighiamo, ma più spesso siamo una grande squadra, ci abbracciamo, scherziamo... e a volte finisce a gavettoni! non sai quanto ne valga la pena!
Ti voglio ringraziare ancora per esserti fidato di me.

Ti prego non ti arrabbiare quando tuo figlio torna con la maglietta tutta sporca, non sai quante risate si è fatto mentre dipingevamo con le tempere! Valgono più di una maglietta da ricomprare, lo sai meglio di me!

Non ti sentire in colpa perché lo lasci al Grest anche la mattina in cui sei libero, gli stai regalando un esperienza unica.

Non essere preoccupato delle sbucciature, dei graffi; sono i segni di un guerriero felice che si è lanciato, ha giocato, non si è risparmiato!

Fidati che vorrò bene a tuo figlio, ho già il suo nome nella mia maglietta, so le sue canzoni ed i suoi giochi preferiti, so cosa lo spaventa e ti prometto di tenerlo per mano fino a quando non lo riconsegnerò nelle tue.

Vale la pena anche per incrociare il tuo sguardo e il tuo sorriso a fine Grest.
Alla prossima!

grestanimatorieducatorieducaregenitoriragazzifiducia

inviato da Roberta Carta, inserito il 20/02/2017

TESTO

8. Un libro come fuoco - Papa Francesco ai giovani   4

Papa Francesco, Quaderno N°3972 del 2015/12/26 - Civiltà Cattolica IV 519-654

Miei cari giovani amici,

se voi vedeste la mia Bibbia, forse non ne sareste affatto colpiti. Direste: «Cosa? Questa è la Bibbia del Papa? Un libro così vecchio, così sciupato!». Potreste anche regalarmene una nuova, magari anche una da 1.000 euro: no, non la vorrei. Amo la mia vecchia Bibbia, quella che ha accompagnato metà della mia vita. Ha visto la mia gioia, è stata bagnata dalle mie lacrime: è il mio inestimabile tesoro. Vivo di lei e per niente al mondo la darei via.

La Bibbia per i giovani, che avete appena aperto, mi piace molto: è così vivace, così ricca di testimonianze di santi, di giovani, che fa venir voglia di leggerla d'un fiato, dall'inizio fino all'ultima pagina. E poi...? Poi la nascondete, sparisce sul ripiano di una libreria, magari dietro, in terza fila, finendo per riempirsi di polvere. Finché un giorno i vostri figli la venderanno al mercatino dell'usato. No: questo non può essere!

Voglio dirvi una cosa: oggi, ancor più che agli inizi della Chiesa, i cristiani sono perseguitati; qual è la ragione? Sono perseguitati perché portano una croce e danno testimonianza di Cristo; vengono condannati perché possiedono una Bibbia. Evidentemente la Bibbia è un libro estremamente pericoloso, così rischioso che in certi Paesi chi possiede una Bibbia viene trattato come se nascondesse nell'armadio bombe a mano!

Mahatma Gandhi, che non era cristiano, una volta disse: «A voi cristiani è affidato un testo che ha in sé una quantità di dinamite sufficiente per far esplodere in mille pezzi la civiltà tutta intera, per mettere sottosopra il mondo e portare la pace in un pianeta devastato dalla guerra. Lo trattate però come se fosse semplicemente un'opera letteraria, niente di più».

Che cosa tenete allora in mano? Un capolavoro letterario? Una raccolta di antiche e belle storie? In tal caso, bisognerebbe dire ai molti cristiani che si fanno incarcerare e torturare per la Bibbia: «Davvero stolti e poco avveduti siete stati: è solo un'opera letteraria!». No, con la Parola di Dio la luce è venuta nel mondo e mai più sarà spenta. Nella mia esortazione apostolica Evangelii gaudium ho scritto: «Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente "Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso". Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata» (n. 175).

Avete dunque tra le mani qualcosa di divino: un libro come fuoco, un libro nel quale Dio parla. Perciò ricordatevi: la Bibbia non è fatta per essere messa su uno scaffale, piuttosto è fatta per essere tenuta in mano, per essere letta spesso, ogni giorno, sia da soli sia in compagnia. Del resto in compagnia fate sport, andate a fare shopping; perché allora non leggere insieme, in due, in tre o in quattro, la Bibbia? Magari all'aperto, immersi nella natura, nel bosco, in riva al mare, la sera al lume di una candela... farete un'esperienza potente e sconvolgente. O forse avete paura di apparire ridicoli di fronte agli altri?

Leggete con attenzione. Non rimanete in superficie, come si fa con un fumetto! La Parola di Dio non la si può semplicemente scorrere con lo sguardo! Domandatevi piuttosto: «Cosa dice questo al mio cuore? Attraverso queste parole, Dio mi sta parlando? Sta forse suscitando il mio anelito, la mia sete profonda? Cosa devo fare?». Solo così la Parola di Dio potrà dispiegare tutta la sua forza; solo così la nostra vita potrà trasformarsi, diventando piena e bella.

Voglio confidarvi come leggo la mia vecchia Bibbia: spesso la prendo, la leggo per un po', poi la metto in disparte e mi lascio guardare dal Signore. Non sono io a guardare Lui, ma Lui guarda me: Dio è davvero lì, presente. Così mi lascio osservare da Lui e sento - e non è certo sentimentalismo -, percepisco nel più profondo ciò che il Signore mi dice.

A volte non parla: e allora non sento niente, solo vuoto, vuoto, vuoto... Ma, paziente, rimango là e lo attendo così, leggendo e pregando. Prego seduto, perché mi fa male stare in ginocchio. Talvolta, pregando, persino mi addormento, ma non fa niente: sono come un figlio vicino a suo padre, e questo è ciò che conta.
Volete farmi felice? Leggete la Bibbia.

Vostro Papa Francesco

È la versione italiana della prefazione scritta dal Pontefice per una edizione della Bibbia destinata ai giovani, i quali hanno collaborato a discutere e scriverne i commenti (Bibel. Jugendbibel der Katholischen Kirche): vedi qui l'articolo su Civiltà Cattolica.

bibbiaparola di DioSacra Scritturapreghieratestimonianza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Centro Missionario Guanelliano, inserito il 25/08/2016

TESTO

9. Dieci leggi per essere felici

Augusto Cury, Diez leyes para ser feliz

Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticate che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino. In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano.
Mi piacerebbe che ricordessi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.
Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell'anonimato.
Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.
Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.
Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia.
È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un'oasi nei recessi della nostra anima.
È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.
Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.
È saper parlare di sé.
È aver coraggio per ascoltare un "No".
È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.
È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.
Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.
È aver la maturità per poter dire: "Mi sono sbagliato".
È avere il coraggio di dire: "Perdonami".
È avere la sensibilità per esprimere: "Ho bisogno di te".
È avere la capacità di dire: "Ti amo".

Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice...
Che nelle tue primavere sii amante della gioia.
Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.
E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.
Poiché così sarai più appassionato per la vita.
E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.

Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.
Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.
Utilizzare il dolore per lapidare il piacere.
Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza.

Non mollare mai...
Non rinunciare mai alle persone che ami.
Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!

Sul web viene attribuito a un discorso di Papa Francesco ad un Convegno Famiglie, ma in realtà il testo è tratto dal libro "Dez Leis Para Ser Feliz" di Augusto Cury, psichiatra brasiliano, come spiegato qui.

felicitàvitasperanzaserenitàforzaforza interiore

1.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

10. Auguri di una mamma normale a un figlio speciale   2

Oggi è il tuo compleanno e da quando sei nato fai parte di me. Potrei dirti che dal giorno in cui sei nato tutto è diventato dolcissimo e rosa, ma sarebbe un'affermazione quanto mai ipocrita. Crescere un figlio costa un prezzo altissimo, e io l'ho pagato senza sconti. Un prezzo di notti insonni, di problemi sul lavoro, di amici perduti e di dubbi brucianti. Un prezzo di responsabilità pesantissime e di libertà sacrificate.

Posso dirti, però, che se tu non fossi venuto al mondo avrei passato il resto della mia vita a chiedermi "come sarebbe stato se". Che senza di te non avrei conosciuto mai la forza che mi hai dato di combattere la nostra battaglia insieme, che quando mi sorridi sei bellissimo amore mio, e io resto disarmata ogni volta. Che non cambierei nulla del tuo viso magretto, dei tuoi capelli, dei tuoi occhi dolcissimi, del tuo nasino a ciliegia. Che non saprei immaginarti diverso da come sei, e che quello che leggo nel tuo sguardo non saprei ripeterlo neanche con tutte le parole che conosco. Che da quando sei al mondo ogni cosa ha un colore più intenso. La fatica è più dolorosa, la paura più straziante, la solitudine più disperata. E l'amore è più colossale, la pazienza è più tenace, il coraggio più ostinato.

Hai cancellato via la "normalità" dalle mie giornate. Di questo, figlio mio, ti sarò grata finché avrò fiato in corpo. Posso anche dirti che combatterò contro il mondo intero e contro me stessa per farti crescere al meglio e ti prometto che ti amerò sempre con tutta me stessa, che questo basti per renderti felice, non oso sperarlo, ma è il meglio che io possa fare per te, e mi illudo che sarai in grado di capirlo, prima o poi. Intanto posso augurarti buon compleanno. Grazie.

La tua mamma.

normalitàgenitorifiglihandicapdisabilità

4.9/5 (7 voti)

inviato da don Giovanni Benvenuto, inserito il 21/02/2016

TESTO

11. La Porta Santa

P. Gianni Fanzolato

La prima grande porta della storia si è aperta in cielo: la porta del cuore di Dio.
Si è spalancata sull'umanità e mille portenti son piovuti dall'alto, inondando il mondo;
è scesa la luce, i colori dell'arcobaleno, bellezza e grazia e l'uomo capolavoro di Dio
ma tanto Dio ha aperto la porta, quanto l'uomo ha fatto di tutto per chiuderla.

Per riaprire la porta del cuore di Dio c'è solo una chiave possibile, che diventa porta:
"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo" e il salmo centodiciotto:
"E' questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti", e Sant'Ignazio di Antiochia:
"Egli è la porta del Padre, attraverso la quale entrano i profeti, gli apostoli e la Chiesa".

Ma Cristo si è fatto via e porta, perché Dio ha trovato in Maria un cancello aperto.
Il messaggio e la proposta di Dio sono caduti nell'umiltà della sua serva e dalla porta
del suo cuore è scaturito il Santo dei santi, il primogenito dei morti, Signore dei signori.
Io sono la via, la chiave, la porta, chi vuole essere felice deve passare attraverso di me.

La porta santa di Gesù ha scatenato una valanga di porte aperte a Dio e all'amore.
Sono i cuori che palpitano per Dio e aprono la loro casa all'accoglienza e al dono.
Mille portoni che lasciano passare lo Spirito del Cristo vivo e lo riversano nei fratelli
provocando quell'effetto domino di porte che si aprono verso la vera porta di Dio.

Mi sono accorto allora che la porta santa è lo stesso mio cuore spalancato da Gesù:
sarà porta santa se lascio entrare i bambini della strada, i barboni della stazione,
i fratelli emigranti nei quali Gesù si è identificato, i giovani che cercano estasi,
ma che hanno sete di valori e di speranza, gli anziani e le persone sole, se lascio entrare Gesù.

La mia porta santa è il sorriso e la gioia dipinti nei miei occhi, perché ho trovato la pace,
è ottimismo cristiano e abbandono all'amore di Dio che mi fa essere aperto all'altro,
focolare dove trovano riparo e calore chi ha sofferto il gelo e l'indifferenza,
il grazie perché Gesù buon pastore ha fasciato e guarito le mie piaghe, amandomi.

La porta santa di San Pietro e tutte le porte sante del mondo saranno Cristo.
Se passando ci sentiremo lavati, purificati e convertiti per essere pietre vive.
Se sentiremo l'abbraccio del Cristo, il suo calore, la sua pazzia d'amore per noi.
Saremo porta e via dove i fratelli troveranno la pace nell'unica porta del cuore di Dio.

porta santagiubileoaccoglienzaapertura

5.0/5 (1 voto)

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 02/01/2016

TESTO

12. A coloro che non trovano pace

Tonino Bello

Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».

Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.

E mi sono ricordato dite, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.

L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.

Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.

Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.

Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.

Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.

Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».

E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.

Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.

A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.

A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.

Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.

O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.

Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

pacepace interioreinterioritàfelicitàgioiatristezzainquietudine

5.0/5 (6 voti)

inviato da Francesco De Luca, inserito il 16/06/2015

TESTO

13. Annunciazione   1

Erri De Luca, Nel nome della Madre

Glielo dissi il giorno stesso. Non potevo stare una notte con il segreto. Non trascorrerà intero il giorno sulla rottura della tua alleanza. Eravamo fidanzati. Nella nostra legge è come essere sposati, anche se non ancora nella stessa casa. Ed ecco che ero incinta. La voce del messaggero era arrivata insieme a un colpo d'aria. Mi ero alzata per chiudere le imposte e appena in piedi sono stata coperta da un vento, da una polvere celeste, da chiudere gli occhi. Il vento di marzo in Galilea viene da nord, dai monti del Libano e dal Golan. Porta bel tempo, fa sbattere le porte e gonfia la stuoia degli ingressi, che sembra incinta. In braccio a quel vento la voce e la figura di un uomo stavano davanti a me.

Ero in piedi e l'ho visto contro luce davanti alla finestra. Ho abbassato gli occhi che avevo riaperto. Sono sposa promessa e non devo guardare in faccia gli uomini. Le sue prime parole sul mio spavento sono state: "Shalòm Miriàm". Prima che potessi gridare, chiamare aiuto contro lo sconosciuto, penetrato nella stanza, quelle parole mi hanno tenuto ferma: "Shalòm Miriàm", quelle con cui Iosef si era rivolto a me nel giorno del fidanzamento. "Shalòm lekhà", avevo risposto allora. Ma oggi no, oggi non ho potuto staccare una sillaba dal labbro. Sono rimasta muta. Era tutta l'accoglienza che gli serviva, mi ha annunciato il figlio. Destinato a grandi cose, a salvezze, ma ho badato poco alle promesse. In corpo, nel mio grembo si era fatto spazio. Una piccola anfora di argilla ancora fresca si è posata nell'incavo del ventre.

Il mio Iosef, bello e compatto da baciarsi le dita, si stringeva le braccia contro il corpo, cercava di tenersi fermo, ripiegato come col mal di pancia. La notizia per lui era una tromba d'aria che scoperchiava il tetto. Tentava un riparo con il corpo, smarrito in faccia, i muscoli che saltavano fuori dalle braccia. Si proteggeva il ventre teso e magro, non si permetteva di toccarmi, di scuotere la mia calma così opposta al suo sgomento, senza poter fingere un po' di agitazione.

Ero in piedi, schiena dritta, un'agilità nuova mi dava slancio, mi accorgevo di essere più alta e più leggera precisamente al centro del corpo, sotto le costole nell'ansa del ventre. Là dove lui accusava il colpo e il peso coi muscoli contratti di un atleta sotto sforzo, io ricevevo una spinta dal basso verso l'alto da aver voglia di mettermi a saltare. I suoi capelli a ciuffi scossi sbattevano sulla fronte chiara, ballavano davanti agli occhi. Glieli misi in ordine con un paio di carezze svelte. Nel suo scompiglio era ancora più bello.

"Cos'altro ha detto, cos'altro", chiedeva Iosef affannato con la testa tra le mani, gli occhi a terra. "Sforzati di ricordare, Miriàm, è importante, cos'altro voleva far sapere?"

Gli uomini danno tanta importanza alle parole, per loro sono tutto quello che conta, che ha valore. Iosef le voleva per poterle serbare, riferire. Immaginò subito le conseguenze legali. L'annuncio aveva rotto la nostra promessa. Ero incinta di un angelo in avvento, prima del matrimonio. Perciò chiedeva altre parole da riportare all'assemblea, in cerca di una difesa di fronte al villaggio.

"Cos'altro ha detto, Miriàm? Ti prego, sforza la memoria, è accaduto solo poche ore fa." "Ero sopra pensiero, Iosef, stupita da un rimescolio del corpo, dalla polvere chiara che mi aveva investito senza lasciare traccia a terra, solo addosso. Ce l'ho ancora, la vedi?" "Lascia stare la polvere, pulirai dopo, adesso aiutami, cosa racconterò agli anziani?"

Mentre accadeva guardavo in basso, la veste fino ai piedi. Sotto, il mio corpo chiuso era calmo come un campo di neve. Mentre parlava io diventavo madre. Gli uomini hanno bisogno di parole per consistere, quelle dell'angelo per me erano vento da lasciar andare. Portava parole e semi, a me ne bastava uno.

Ero rimasta in piedi innanzi a lui e in piedi stavo davanti a Iosef. Lui sedeva, si alzava, si risedeva, chiedeva di mettermi seduta, ma restavo in piedi. Eravamo promessi ed era già un atto grave stare soli sotto lo stesso tetto. Avevo chiesto il colloquio, l'avevano concesso ma c'era stato un gran trambusto, ed era quasi sera. E poi non volevo sedermi. Con le mani intrecciate sul ventre piatto mi toccavo la pelle per sentire sulla punta delle dita la mia vita cambiata. Era per me il giorno uno della creazione.

Mi sforzavo di ricordare qualcosa per consolarlo. Mi stava a cuore il suo sgomento, m'importava di lui mortificato dalla rottura del nostro patto di unione.

Iosef fu sorpreso dalla mia quiete. Si attaccò anche a lui. Si alzò in piedi, sollevò la testa, asciugandosi la faccia con il dorso di quelle mani sante che avrei voluto baciare. "Conosci la legge, Miriam?" "Conosco la legge." "Per filo e per segno?" "Non bene come te, non tutte le parole. Spetta a voi uomini conoscerle a memoria. So le conseguenze." "Ascoltami, Miriàm. C'è una possibilità. Tu domani vai da sola in campagna con un pretesto, in cerca di qualche erba invernale per fare un decotto. E torni a sera dal campo dicendo di essere stata aggredita e violata lì, di aver gridato, ma senza risposta. E già successo, si sa di altri casi di ragazze che sono riuscite a evitare così l'accusa di adulterio."

Guardai Iosef per la prima volta. Conoscevo la sua faccia serena anche sotto le mosche e la fatica. Ora vedevo un uomo desolato che provava a governare la situazione progettando menzogne. Quanto dev'essere importante per gli uomini la legge, per ridurli a questo. Dissi: "Quell'uomo messaggero è venuto da me a mezzogiorno, porte e finestre aperte, spalancate. Io mi sono trovata in piedi davanti a lui nella mia stanza e non ho pronunciato una sillaba, non ho neanche risposto al suo saluto, altro che gridi."

Ero felice. Avrei voluto abbracciare il mio Iosef, per lui mi era salita in petto una tenerezza mai provata. Il rispetto, la soggezione che ci insegnano verso l'autorità maschile, abbassano i sentimenti affettuosi. Ma l'annuncio dell'angelo e la risposta del mio corpo quel giorno mi avevano affrancato. Non arrossivo, la fiducia di essere nel giusto mi dava la prontezza necessaria e un contegno nuovo. Anche il mio silenzio era cambiato. Con la tenerezza venne la gratitudine. Mi aveva creduto. Contro ogni evidenza si affidava a me. Sulla sua bella faccia non s'era mosso neanche un muscolo del sospetto, un aggrumo di ciglia, uno sguardo di sbieco. E aveva visto la sua Miriàm per la prima volta, perché era la prima volta che lo guardavo in faccia senza abbassare la fronte, come neanche le mogli osano fare. Mi aveva creduto, ero felice e calda di gratitudine per lui. "Fai quello che è giusto, Iosef. Io oggi sono tua più di prima, più della promessa."

annunciazionefiduciaGiuseppemariaaffidamento

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran, inserito il 21/01/2015

TESTO

14. Dio e la sua creatura

Pierre Teilhard de Chardin

Dio chino sulla creatura che sale fino a lui si affatica con tutte le sue forze per renderla felice e illuminarla. Come una madre egli scruta la sua creatura. Anche se i miei occhi non sanno ancora percepirlo. Non è forse necessaria tutta la durata dei secoli perché il nostro sguardo si apra alla luce?

tenerezzarapporto con Diopaternitàmaternitàamore di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Marcellino Pane, inserito il 18/03/2013

TESTO

15. Gioia   3

Madre Teresa di Calcutta

Fate che chiunque venga a voi se ne vada sentendosi meglio e più felice.

gioiadonareserenità

4.0/5 (1 voto)

inviato da Paolè, inserito il 20/09/2012

TESTO

16. Amore e comunione   1

Mariano Magrassi, Afferrati da Cristo

Dedichiamo brevemente attenzione ai gesti quotidiani che esprimono l'agàpe (amore) e costruiscono la koinonia (comunione). Al primo posto metterei una capacità infinita di comprensione e perdono. Non sta insieme una comunità dove i componenti non sono pronti a perdonarsi.

Bisogna anzitutto capire gli altri e accettarli come sono. Prendere i fratelli come Dio ce li manda e poi entrare in ciascuno, a partire da un gesto, da una parola, con una forte carica di simpatia, in modo da uscirne con la sua immagine, vera e non deformata. Spesso i pregiudizi fanno da schermo, si interpongono tra noi e i fratelli. Un filosofo ha definito la carità «l'attenzione prestata all'esistenza altrui».

Un altro elemento, importante per la comunione, è la prontezza a donarsi sulla linea del servizio. Un servizio che anzitutto deve afferrare tutto il mio essere, cioè devo fare di me quello che viene bene per gli altri. Aggiusto me stesso per essere gradito agli altri. È una carità che si fa con l'essere, prima che con l'azione.

Amare senza misura, né di intensità né di estensione. Quindi fraterna apertura a tutti. I fratelli non si scelgono, si accolgono senza discriminazione; basta escluderne uno per uccidere la carità. E dopo che l'ho accettato, il fratello, superando l'egoismo che è chiusura in me stesso, devo aprirmi a lui con una immensa speranza. Quando l'io si chiude in se stesso, intristisce. Quando invece diventa capace di rapporto, di comunione, allora si apre e fiorisce, come certi fiori che si schiudono quando sorge il sole.

Altro gesto di comunione è la correzione fraterna. Che sia un gesto cristiano non c'è alcun dubbio, perché si trova nel discorso ecclesiale di Matteo (18, 15-17). Ma è un'arte molto, molto difficile! Occorre intervenire nel momento giusto e col tono giusto. Deve nascere da un bisogno di amicizia che porge fraternamente all'altro una mano per risollevarsi. A sua volta, la correzione spinge chi la compie a togliere la trave dal proprio occhio.

Ma occorre pure sopportare se stessi, cioè accattare con serenità i propri limiti. Questo non lo riferisco ai peccati che dobbiamo cercare di eliminare, tutti; ma ai limiti che ci sono in ogni persona umana. Bisogna diventare scomplessati al riguardo; occorre saperci accettare come siamo, con lo sforzo quotidiano per renderci migliori. Allora si diventa uomini felici di vivere. È una cosa molto importante questa, perché l'uomo felice di vivere è capace di buoni rapporti con gli altri.

Accettare le diversità e saperle comporre nella comunione è un'altra cosa indispensabile. La diversità è voluta da Dio. La diversità è una ricchezza, purché non diventi contrasto. L'immagine più bella mi pare che l'abbia trovata Ignazio di Antiochia quando ha detto che siamo come una cetra, cha ha parecchie corde, e ogni corda suona la sua nota, ma ogni corda è armonizzata con l'altra. Se avessimo nella Chiesa un po' più di capacità di comporre queste differenze nella comunione! Si tratta di diversità a livello personale, non delle diversità sulle verità di fede; è chiaro che lì ci deve essere la perfetta comunione.

Da ultimo occorre da parte di tutti una fraterna cooperazione al bene di tutto il corpo ecclesiale. La salute e la vitalità di un organismo risultano dall'apporto di tutti gli organi che lo compongono. La Chiesa è un corpo che ha bisogno di tutti: ognuno l'arricchisce col suo dono.

Il Signore ci renda capaci di moltiplicare ogni giorno i gesti di bontà intorno a noi. Questa comprensione verso gli altri non è per il cristiano pura filantropia, ma un modo di andare incontro al Cristo, perché il fratello è "sacramento di Gesù". Gesù mette sul suo conto quello che abbiamo fatto al più piccolo dei nostri - e suoi - fratelli.

amorecomunionecomunitàfratelloserviziocorrezione fraterna

inviato da Marco Sciddurlo, inserito il 06/05/2012

TESTO

17. Ancora e ancora vita   5

Luisa Faillace, La mia vita e il Libro di Giobbe

Se il tempo quel giorno si fosse fermato io non avrei mai potuto vedere i miei migliori amici sposarsi: testimoniare di un amore che non ha confini umani.
Non avrei mai potuto scoprire che al mondo esistono uomini capaci di essere professionisti affermati e padri presenti per figli felici.
Non avrei mai potuto indossare quel tubino di raso turchese che a me piace tanto... con quelle scarpe così decisamente kitsch... e fare la smorfiosa felice per un giorno.
Non avrei mai potuto scoprire di essere capace di costruire per lavorare;
...capire che quando un figlio, un genitore, ma soprattutto un fratello ed un amico più ti allontana tanto più ha bisogno di te.
Se il tempo quel giorno si fosse fermato non avrei mai potuto far pace con me stessa e soprattutto con te...
...e pertanto non avrei mai scoperto com'è bello alzarsi e sentirsi leggeri e ascoltare ancora il battito del proprio cuore e sentirlo sorridere.
Se la morte quel giorno avesse preso il sopravvento sulla vita, sulla mia vita,
non avrei mai scoperto che possono esistere colleghi capaci di accoglierti senza remore e senza invidia,
aiutarti a formarti e "fare strada insieme" anche nella vita:
"Perché cosa rimarrebbe della Vita? E di noi?!".
...non avrei mai raccolto il frutto di speranze e preghiere taciute ma desiderate all'estremo.
Se quella macchina, la mia macchina, quel giorno fosse finita giù non avrei potuto abbracciare i nipotini dei miei migliori amici e constatare che davvero quando un bambino ti stringe tra le braccia diventi tu il suo mondo e loro il nostro.
...non avrei mai visto e sentito gridare forte con la rabbia, la disperazione il dolore, la devozione, la gioia, la felicità, la fede, l'Amore: W San Leone; affidarsi senza se e senza ma, ridere e sorridere con gente a me straniera ed amica per un giorno e... per la vita.
Non avrei goduto ancora delle meraviglie artistiche del mondo,
né di albe e tramonti che non torneranno più perché ognuno ha in sé quel ricordo.
Non avrei scoperto che la vita sa e può sorprenderti... per una nuova amicizia inaspettata, ritornata, costruita...
...per quelle debolezze di uomini e donne così apparentemente forti... e continuarli comunque senza remore ad amarli in silenzio perché soprattutto il silenzio è amore, è perdono, è speranza.
Era il 18 Febbraio di un anno fa', come due giorni fa...
...non sarei cresciuta, non sarei cambiata, non sarei rinata.
Se ti fermi a leggere queste parole allora ferma per un momento anche la tua vita:
perdona chi ti ha fatto del male,
chiedi perdono a chi tu hai fatto del male perché se non lo sai sei capace di perdonare e se lo sai che ne sei capace serve solo fare un passo più in là perché anche il perdono si costruisce;
sorridi ancora una volta, gioisci ancora una volta,
non passare indifferente tra la gente,
ascolta chi ti cerca e cerca chi ti evita,
domanda, chiedi, guarda negli occhi,
ama gratuitamente chi la vita ti fa incontrare per caso, per sbaglio,
ma sempre per un senso.
Ma soprattutto pensa costantemente che la vita può durare tanto
ma può durare anche solo un altro istante!
...e poi:
"Considera i cieli, e vedi!
Guarda le nuvole, come sono più in alto di te!".

vitasenso della vitainterioritàperdonoviverecogliere l'attimoimportanza delle piccole cose

3.0/5 (2 voti)

inviato da Luisa Faillace, inserito il 06/05/2012

TESTO

18. Passa tranquillamente (versione lunga)   1

Passa tranquillamente tra il rumore e la fretta, e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio.

Finché è possibile sii in buoni rapporti con tutte le persone.

Dì la verità con calma e chiarezza; ascolta gli altri, anche i noiosi e gli ignoranti; anche loro hanno una storia da raccontare.

Evita le persone volgari e aggressive; esse opprimono lo spirito.

Se ti paragoni agli altri, corri il rischio di far crescere in te orgoglio e acredine, perché sempre ci saranno persone più in basso o più in alto di te.

Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti. Conserva l'interesse per il tuo lavoro per quanto umile; è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo.

Sii prudente nei tuoi affari, perché il mondo è pieno di tranelli. Ma ciò non accechi le tue capacità di distinguere la virtù; molte persone lottano per grandi ideali e dovunque la vita è piena di eroismo.

Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti e neppure sii cinico nei confronti dell'amore; poiché a dispetto di tutte le aridità e disillusioni esso è perenne come l'erba.

Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall'età, lasciando con un sorriso sereno le cose della giovinezza.

Coltiva la forza dello spirito per difenderti contro l'improvvisa sfortuna. Ma non tormentarti con l'immaginazione. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine.

Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso.

Tu sei figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai diritto ad essere qui.

E che ti sia chiaro o no, non vi è dubbio che l'universo ti si stia schiudendo come dovrebbe.

Perciò sii in pace con Dio; comunque tu lo concepisca, e qualunque siano le tue lotte e le tue aspirazioni, conserva la pace con la tua anima pur nella rumorosa confusione della vita.

Con i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti, è ancora un mondo stupendo.

Fai attenzione. Cerca di essere felice.

Clicca qui per la versione breve.

pace interioreinterioritàserenitàcalmasaggezza

4.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 23/01/2012

TESTO

19. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

20. Io voglio servire Gesù

Shahbaz Bhatti, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianum Press, Venezia 2008, pp. 39-43

Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.

Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l'amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».

Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.

Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa', hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino all'ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.

Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro.

Per cui cerco sempre d'essere d'aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.

Shahbaz Bhatti, ucciso a Islamabad il 2/03/2011

testimonianzamartiriopersecuzione

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

Pagina 1 di 4