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TESTO

1. La paura del silenzio

Pier Angelo Piai

Oggi qualsiasi evento è oggetto di discussione, dibattito, polemiche, confronto. Pare proprio che il silenzio non venga preso molto in considerazione. Ma cosa significa realmente fare silenzio?

La mentalità comune pensa che silenzio sia semplicemente la mancanza di parola. Ma ogni parola espressa è il nostro pensiero mediato dalla voce.

Essa è estremamente importante per la nostra società ma ha anche dei limiti: non arriverà mai ad esprimere perfettamente ciò che vorremmmo perché ogni fonema, per quanto sia molto utile, è sempre una cristallizzazione del nostro retaggio culturale.

Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio la ricchezza e la povertà di ogni parola.

Nel comunicare usiamo molti luoghi comuni che riecheggiano dall'ambiente esterno, dalle persone che frequentiamo e dai mass-media. Essi non sono in realtà il frutto del nostro pensiero più genuino, ma riflessi condizionati che si ripercuotono nei muscoli della lingua.

Siamo costantemente immersi nei luoghi comuni e per chi se ne accorge la frequentazione sociale è spesso pesante e monotona proprio per questo.

Bisogna considerare, allora, un altro tipo di silenzio che è molto più interiore di quello che si pensa.

Se nel silenzio siamo realmente attenti a come funziona la nostra mente ci accorgiamo di non saper osservare senza associare all'oggetto della nostra osservazione parole già pre-confezionate. Questo snatura la nostra coscienza originale perché ci serviamo di concetti già filtrati dalla mentalità comune e quindi la nostra riflessione non è realmente creativa e perde la sua originalità.

E' nel silenzio che noi riusciamo a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato. In esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci condizionare dalla mentalità corrente.

Ciò naturalmente richiede grande attenzione e spirito di osservazione.

Il vero silenzio interiore, quindi, consiste nel porre tra parentesi concetti, immagini, e persino fonemi acquisiti sin dall'infanzia. Ci vuole sagacia, avvedutezza e coraggio perché la nostra mente è avida di contenuti e teme il vuoto. Anticamente andare nel deserto significava rientrare in se stessi per fronteggiare meglio le situazioni sociali. I monasteri di clausura usano ancora l'espressione "fare deserto".

La mentalità comune naviga perfettamente al contrario e teme il silenzio. Si aderisce a ideologie, partiti, istituzioni ecc. anche perché si vuole delegare il pensiero ad altri. Scaltri oratori parlano molto per dire nulla in molti campi.

L'umanità oggi è ancora in pericolo perché non sa cosa significhi fare il vero silenzio interiore, il quale è il motore del vero progresso civile ed etico.

In esso si eviterebbero guerre e conflitti vari, ingiustizie sociali ed economiche, plagi e mistificazioni, errori madornali.

E qui calza a proposito un aforisma del grande poeta e scrittore francese Alfred de Vigny: "Solo il silenzio è grande; il resto è debolezza".

silenziointerioritàesterioritàlinguaggiocondizionamenticultura

inviato da Pier Angelo Piai, inserito il 03/05/2009

TESTO

2. Dorma o vegli...   1

Alessandro Pronzato

"...Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce".
Non è così facile imparare a dormire, stare un po' calmi, non agitarci troppo, così come si può cogliere nella piccola parabola evangelica. Però potremmo provarci.
Almeno qualche volta staccare i microfoni, deporre la penna, disattivare il telefono, lasciar il posto vuoto al dibattito, cestinare un documento, non presenziare a una cerimonia, non indire celebrazioni per centenari e simili, chiudere la bocca, sederci in contemplazione, non rincorrere a lingua in fuori l'ultima carrozza del treno.
Almeno qualche volta non esprimere la propria opinione, non fare alcuna dichiarazione, rinunciare alla "ferma presa di posizione", non illustrare il proprio punto di vista, non manifestare la propria indignazione, non stilare la propria diagnosi sui mali della società e non distribuire le relative ricette per la cura.
Almeno qualche volta non far sentire la propria voce, e semmai far sentire il proprio silenzio (che sarebbe un avvenimento sensazionale).
Almeno qualche volta far notare la nostra assenza (e, se non la notano, tanto di guadagnato).
Almeno qualche volta dire: "Non so".
Almeno qualche volta smetterla con la nostra aria da protagonisti, da salvatori dell'umanità.
E che i padroni del vapore fermino i loro stantuffi.
E che certi personaggi, certi primattori, si chiudano a chiave in qualche cella inaccessibile, per diversi mesi, se non per anni.
E che quelli che "gridano" dalle antenne sui tetti ricordino che Gesù ha fatto un prolungato soggiorno nel deserto, dove non c'erano né tetti né antenne.
Se proprio non riusciamo a dormire, mettiamoci pure alla finestra. E cerchiamo di indovinare, nella notte, il guizzare delle fiammelle accese da Qualcuno in molti cuori, anche senza di noi.
Appoggiamo l'orecchio sulla crosta della terra. Coglieremo il rumore quasi impercettibile del seme che "germoglia e cresce"... senza che noi ci possiamo fare nulla.
E se la gente ci domanda "Come?", rispondiamo pure: "Io ci ho faticato un poco. Ma il miracolo, il più, avviene senza che io sappia, senza che io c'entri per niente".

semeumiltàsilenzionascondimentorapporto con Dio

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inviato da Elena Mencarelli, inserito il 01/04/2003