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TESTO

1. Provvidenza

don Luigi Verdi, Fraternità di Romena, Omelia 21 luglio 2019

Noi abbiamo voluto fare i moderni, abbiamo distrutto tante cose con questa modernità; abbiamo ucciso anche tante parole che ci sembravano deboli, come la tenerezza, come la gentilezza e come la provvidenza.

Una delle parole che mi sta più a cuore dei nostri nonni, è la provvidenza, a cui non crediamo più. Perché pretendiamo senza accogliere.

La provvidenza non viene così, la provvidenza arriva se ti muovi, non se stai fermo ad aspettare che arrivino i miracoli.

La provvidenza degli angeli, e poi viene fuori questo miracolo del figlio inaspettato (in riferimento alla promessa fatta ad Abramo nella lettura). È perché Abramo apre la porta, Abramo accoglie, altrimenti non sarebbe successo nulla.

E allora vorrei fare l'ultima preghiera, proprio sulla provvidenza. Perché ognuno di noi la possa risentire viva dentro di sé:

Provvidenza parola detta con tanta naturalezza. Ma per i nostri nonni la provvidenza era come una luce che splende dall'altra riva, come la luna e le stelle che illuminano il cammino di una notte, era il loro appuntamento con un eco che parlava di futuro, era il lievito del pane quotidiano. Attendevano i nostri nonni la provvidenza, con schiene dritte e volentieri. Accoglievano Dio nella loro casa, perché lo sentivano camminare dentro i giorni, vedevano crescere il grano e contemporaneamente vedevano un angelo volargli accanto.

Quando mi sorreggo alla provvidenza, sento in me una pace calda e finiscono i miei lamenti, sento ogni giorno, con tanta semplicità, che il mio cuore batte più regolare.

Provvidenza, dono del cielo diretto ai mansueti, ai miti e a tutti i custodi della vita.

provvidenza

inviato da Marcello Rosa, inserito il 23/06/2020

TESTO

2. Vado in montagna lentamente (La visita)

Erri de Luca, Rivista Vita e Pensiero

Vado in montagna lentamente. Per buone ore i passi risalgono i pendii. I boschi intorno sono irrigiditi, sul ripido gli abeti stanno attaccati al suolo dalla neve.

Più in alto la vegetazione smette, resta la pietra, il ghiaccio e sopra l'aria senza confini. L'inverno è agli ultimi giorni, il vento ha meno forza di comprimere il fiato.

In salita assecondo il moto della terra che continua spingere in alto le montagne. La cresta del pianeta si solleva e sposta la sua frontiera con il cielo.
Sulla cima mi accorgo del pareggio tra la forza del corpo e quella di gravità. Ho portato il mio peso fino all'ultimo gradino e lo depongo lì.
Il respiro rallenta, dentro di me sento il silenzio di una sala di attesa.
Guardo il girotondo delle montagne intorno, i risaputi profili, i loro nomi. Sto nel centro inventato di una circonferenza, poi sollevo la testa a vista dello spazio e non sto più in un centro. Gli occhi rivolti in su sprofondano nel vuoto delle altezze, le sole che hanno diritto al titolo di altezze reali.

La luce, l'aria hanno splendore di vernice fresca.
Sto sul confine tra il pianeta e lo spazio che l'avvolge. Sono grato al corpo che mi permette di visitare il bordo del luogo e del tempo ricevuto in prestito.
Non sto vicino al cielo, sto su una terrazza della terra. Ci si può vedere il cimitero di chi è salito ai piani celesti, ma non ho questa Diottria, i miei sono sepolti interamente in basso e li raggiungerò in fondo a una discesa.

Aspetto che la pausa sulla cima arrivi fino al principio del freddo. Poi mi avvio in discesa, dove i muscoli opposti fanno avvertire il peso che dimentico in salita.
I passi reggono e ammortizzano il carico del corpo che discende. Completo così l'opera inutile e gratuita di un giorno in montagna.
Ho visitato un orlo del pianeta, mio atto di devozione terrestre.
Ho calcato i gradini della scala invisibile formata dall'appoggio dei passi. S'interrompono dove oltre possono proseguire solamente le ali.
Per una volta in più riconosco che una cima non è traguardo, ma vicolo cieco, in fondo al quale c'è da invertire la direzione e tornare indietro.

montagnasalitaascesacamminostradaroute

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

3. Natale non è Babbo Natale?   1

Giuseppe Impastato S.I.

Non è un telegramma di auguri (Buon Natale e Buone Feste).
Non è una dichiarazione che siamo perdonati (vabbè, scurdàmuci o passato e arrivederci a tutti in paradiso).
Natale non è una promessa elettorale che ci sarà un condono tombale per tutti (tranquilli, non preoccupatevi più) e che tutti i guai che abbiamo combinati sono con un solo tocco magicamente scomparsi (pim pum pam, tutto a posto).
Natale non è una vaporosa o fantasmagorica apparizione in un sogno dove tutto il mondo (abracadabra) è divenuto meraviglioso.
Natale non è una visita di cortesia o di obbligo (toccata e fuga e chi s'è visto s'è visto).

Natale è una presenza,
una presenza povera per distruggere il fascino della ricchezza,
una presenza inerme per distruggere il mito della potenza,
una presenza mite per svilire la tentazione della prepotenza.
una presenza costante, definitiva, di un Dio che amerà senza pretese, senza ripensamenti e senza rimpianti.

Natale è una incarnazione, cioè: il Figlio di Dio è venuto tra noi,
e ormai è uno di noi, uno come tutti gli altri,
che abita come noi in questo sporco fastidioso mondo,
che viene per noi,
per essere cammino di luce e indicarci una via,
per essere energia e forza per cambiare il mondo,
per essere vittoria su ciò che è morte e donare amore.

Nessuno può dirgli: ma tu chi sei? che ci fai qui?
Che ci vieni a raccontare? che ne sai dei nostri guai?
che cosa rappresenti per noi? chi ti ha chiesto di venire?

Avevamo un progetto e un sogno: essere come Dio.
Ma non siamo riusciti a realizzarli.
Ora con Lui progetto e sogno sono realizzabili.

Ma Dio ora realizza il suo progetto e il suo sogno: diventare Uomo!
Ma se ha scelto la nostra vita, vuol dire che è bella!
Coraggio! La vera rivoluzione è iniziata; scegliamo Gesù!

NataleDio con noipresenzaincarnazione

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 29/12/2018

TESTO

4. Andiamo fino a Betlemme (versione completa)

Don Tonino Bello

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone, e scendere, lungo i sentieri profumati di menta, giù per le gole di Giudea. Per noi ci vuole molto di più che una mezzora di strada. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare l'antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù.

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori i quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d'Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste... per andare a trovare che? «Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia».

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, lo so. Molto più difficile di quanto sia stato per i pastori ai quali, perché si mettessero in cammino, bastarono il canto delle schiere celesti e la luce da cui furono avvolti. Per noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorientati da sussurri e grida che annunziano salvatori da tutte le parti, e costretti ad avanzare a tentoni dentro infiniti egoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nel buio.

Andiamo fino a Betlemme. E' un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so. Ma questo, che dobbiamo compiere «all'indietro», è l'unico viaggio che può farci andare «avanti» sulla strada della felicità. Quella felicità che stiamo inseguendo da una vita, e che cerchiamo di tradurre col linguaggio dei presepi, in cui la limpidezza dei ruscelli, o il verde intenso del muschio, o i fiocchi di neve sugli abeti sono divenuti frammenti simbolici che imprigionano non si sa bene se le nostre nostalgie di trasparenze perdute, o i sogni di un futuro riscattato dall'ipoteca della morte.

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.

Mettiamoci in cammino, dunque, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.

Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte e illuminato di stelle.

E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.

Clicca qui per la versione breve.

nataleincarnazionericerca di Diosperanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

TESTO

5. Il vero significato dell'Avvento   1

Goffredo Boselli

Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".

Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.

L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.

Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.

Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:

"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?

Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.

Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.

Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.

Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.

Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.

Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.

avventoanno liturgicoattesasperanzaparusia

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

TESTO

6. Misericordia, legge che abita nel cuore di chi guarda con occhi sinceri

Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla d'indizione del Giubileo della Misericordia

Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Non cadiamo nell'indifferenza che umilia, nell'abitudinarietà che anestetizza l'animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell'amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l'ipocrisia e l'egoismo.

È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

misericordiabontàopere di misericordiavicinanzasolidarietà

3.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran, inserito il 25/08/2016

TESTO

7. Seguire il Cristo   1

Frére Roger

Seguire il Cristo con cuore deciso,
non è accendere un fuoco d'artificio che lampeggia e poi si spegne.

È entrare, poi rimanere, in un cammino di fiducia
che può durare tutta la vita.

La gioia del Vangelo,
lo spirito della lode,
supporrà sempre una decisione interiore.

Osare cantare il Cristo fino alla gioia serena...

Non una gioia qualsiasi,
ma quella che proviene direttamente dalle sorgenti del Vangelo.

sequelavita cristianaperseveranzaseguire Gesùessere cristianifiducia

inviato da Paola Berrettini, inserito il 25/08/2016

TESTO

8. Passato e futuro

Papa Francesco, Udienza generale del 13 aprile 2016

Una volta ho sentito un detto bello: "Non c'è santo senza passato, e non c'è peccatore senza futuro!". La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore, bisognosi del suo perdono.

santitàpeccatoriperdono di Diocambiamento di vitaconversionemisericordiasperanzafuturopassato

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 13/04/2016

TESTO

9. Lettera dei genitori nel giorno di Battesimo

M. Houbaut, Pour prier avec les sept sacrements, Le Chalet, 1985

Figlio nostro, oggi abbiamo voluto battezzarti in Cristo Gesù,
immergerti nella morte e nella resurrezione del Dio in cui noi crediamo.
In questa lettera, che potrai leggere in seguito, vogliamo dirti perché l'abbiamo fatto.
Non è per importi una scelta che ti abbiamo fatto battezzare,
ma per aprire davanti a te un cammino di libertà
che domani potrai liberamente scegliere di fare tuo.
Abbiamo voluto darti ciò che avevamo di meglio.

Noi crediamo che questo piccolo seme di fede, seminato oggi nel giardino del tuo cuore,
nella luce del giorno e nelle tenebre della notte, germinerà nel segreto della tua vita.
Ti immergiamo oggi nell'oceano di amore di Gesù per darti una forza nuova più grande di te,
sarà il coraggio dei tuoi combattimenti, la chiarezza delle tue scelte, la luce dei tuoi passi.
Per vincere le forze del male essa sarà la tua speranza e la tua gioia.

Abbiamo voluto battezzarti in Cristo perché tu diventi un uomo libero e responsabile
in questo mondo a volte un po' folle.
E soprattutto perché tu diventi un fratello che costruisce,
con Dio, l'avvenire della nostra terra.
Sappi che un giorno potrai anche dimenticare questo dono immortale,
ma rimarrai segretamente segnato dal fuoco del suo appello.

Come la Vergine Maria che offre suo Figlio Gesù nel Tempio,
noi abbiamo voluto portarti sulla soglia della casa del Dio imprevedibile,
deporti tra le braccia della sua Chiesa
e farti entrare nel popolo dei credenti che diventano tuoi fratelli e sorelle.

E quando, domani, non potremo più accompagnarti nel cammino della vita, ti resterà almeno,
scolpita nella fronte e nel cuore, la croce di Cristo vincitore.

È lui infatti, lui solo, il tuo Salvatore e il tuo Signore che traccerà per te un cammino di pace e di libertà.
Al di là delle tue angosce e delle tue miserie, è lui che ti aprirà la casa del Padre e,
al momento della morte, ti darà la sua eternità di amore.

Mamma e Papà

battesimogenitorifigli

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Alessandro Nucci, inserito il 06/02/2016

TESTO

10. Occhi per il cieco e piedi per lo zoppo   1

Papa Francesco, Messaggio per la 23a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2015)

«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Libro di Giobbe 29,15).

Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest'uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell'orfano e della vedova (vv.12-13).

Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e "piedi per lo zoppo"! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un'assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

malatoassistenzasolidarietàcaritàamoregratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 16/06/2015

TESTO

11. Il Natale sei tu   7

P. Dennis Doren Lahr L.C., Sembrando Esperanza II, 2012

Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima.
L'albero di Natale sei tu quando resisti vigoroso ai venti e alle difficoltà della vita.
Gli addobbi di Natale sei tu quando le tue virtù sono i colori che adornano la tua vita.
La campana di Natale sei tu quando chiami, congreghi e cerchi di unire.
Sei anche luce di Natale quando illumini con la tua vita il cammino degli altri con la bontà la pazienza l'allegria e la generosità.
Gli angeli di Natale sei tu quando canti al mondo un messaggio di pace di giustizia e di amore.
La stella di Natale sei tu quando conduci qualcuno all'incontro con il Signore.
Sei anche i re magi quando dai il meglio che hai senza tenere conto a chi lo dai.
La musica di Natale sei tu quando conquisti l'armonia dentro di te.
Il regalo di natale sei tu quando sei un vero amico e fratello di tutti gli esseri umani.
Gli auguri di Natale sei tu quando perdoni e ristabilisci la pace anche quando soffri.
Il cenone di Natale sei tu quando sazi di pane e di speranza il povero che ti sta di fianco.
Tu sei la notte di Natale quando umile e cosciente ricevi nel silenzio della notte il Salvatore del mondo senza rumori ne grandi celebrazioni; tu sei sorriso di confidenza e tenerezza nella pace interiore di un Natale perenne che stabilisce il regno dentro di te.
Un buon Natale a tutti coloro che assomigliano al Natale.

Tale testo è presente sul web e su molti social network ed è attribuito a Papa Francesco, mentre in realtà è stato scritto da P. Dennis Doren L.C., vedi qui la versione video in spagnolo.

nataletestimonianza

5.0/5 (6 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 24/12/2014

TESTO

12. Perché sia sempre Natale   2

Ragazzi della Piccola Fraternità di S. Zenetto (Verona)

La poesia-preghiera è stata composta, in preparazione al Natale, dai ragazzi della 'Piccola Fraternità' di S. Zenetto (Verona) e rispecchia il cammino di questa Piccola Fraternità per quest'anno, che ha come parole chiave quelle suggerite dal Papa: permesso, grazie, scusa. Alla composizione ha contribuito ciascuno, con la propria sensibilità. La poesia è semplice, scaturita da persone semplici, ma che sanno farsi guidare dallo Spirito Santo. Ci mostra che anche disabili intellettivi, inseriti nella vita della Chiesa, sanno stimolarci ed aiutarci nel nostro cammino.

Guerre, crisi, famiglie distrutte:
quante notizie brutte!

Ma io, cosa posso fare?
Gesù me lo insegna:
bisogna amare!

Amare...non è solo una parola,
ma regola da vivere
in famiglia, sul lavoro, a scuola.

Nelle persone che mi mette accanto
Gesù è presente;
chiedo permesso e lo riconosco,
così non sarò più invadente.

A volte costa fatica chiedere scusa
e dare il perdono,
ma rende il cuore
più leggero e buono.

Spesso ciò che ricevo
lo do per scontato:
se imparo a dire "Grazie"
riconosco i doni che Dio mi ha dato.

Ecco le tre parole
che il Papa ci ha consigliato
per assomigliare alla famiglia
in cui Gesù è nato;

piccoli segni d'amore
per rivivere la nascita
di nostro Signore!

natalesanta famigliapregareamareringraziarescusarsi

5.0/5 (4 voti)

inviato da Maria Paola Nicolai, inserito il 06/12/2014

TESTO

13. Leggi la Parola di Dio: illuminerà il tuo cammino   4

Sei triste e angosciato?
Leggi il cap. 14 del Vangelo di Giovanni

La cattiveria del mondo ti fa paura?
Leggi il salmo 26

Hai peccato?
Leggi il salmo 50

Ti fa paura l'avvenire?
Leggi i versetti 19-34 del cap. 6 del Vangelo di Matteo

Ti senti in pericolo?
Leggi il salmo 90

Ti senti ipocrita?
Leggi il salmo 33

Il Signore ti sembra lontano?
Leggi il salmo 138

Ti assale il dubbio?
Leggi il cap. 20 del Vangelo di Giovanni

Provi la tentazione?
Leggi il cap. 4 del Vangelo di Matteo

Sei disgustato dalla vita?
Leggi il cap. 40 di Isaia

Ti senti fragile e debole?
Leggi il salmo 22

Ti stai chiedendo: perché la fede?
Leggi il cap. 11 della lettera agli Ebrei

Sei sull'orlo della disperazione?
Leggi i versetti 31-39 del cap. 8 della lettera ai Romani

Non hai più il coraggio per affrontare la vita?
Leggi il 12 cap. del libro di Giosuè

Ti sembra che il diavolo sia più forte di Dio?
Leggi il salmo 89

Non ne puoi proprio più?
Leggi i versetti 28-30 del cap. 11 del Vangelo di Matteo

Stai per metterti in viaggio?
Leggi il salmo 120

Non riesci più a sopportarti?
Leggi il cap. 13 della la lettera ai Corinti

La tua preghiera è molto egoista?
Leggi il salmo 66

Hai l'impressione di pregare nel vuoto?
Leggi i versetti I -13 del cap. 11 del Vangelo

Sei in crisi?
Leggi il cap. 8 del libro dei Proverbi

Sei impaziente?
Leggi il cap. 12 della lettera agli Ebrei

Ti senti solo?
Leggi il cap. 15 della 1a lettera ai Corinzi

Sei malato?
Leggi il cap. 26 di Isaia

Vuoi sapere ciò che Dio attende da te?
Leggi il cap. 12 della lettera ai Romani

Hai bisogno di pace?
Leggi il cap. 14 di Giovanni

Non sai come ringraziare il Signore?
Leggi il salmo 102

bibbiavangeloParola di DioSacra Scritturapreghiera

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 21/09/2012

TESTO

14. Voglia di Natale

Gianni Fanzolato

Non
avete notato?
C'è nell'aria e nel cuore
tanta voglia di natale. Vi siete
chiesti il perché? Si dice che a Natale
tutti ci si sente più buoni. Ma perché Dio si è messo
in cammino per incontrare i suoi figli che si erano perduti,
e la bontà, il perdono, la gioia vera si sono sposati in ogni uomo che nasce
nel Dio che si è fatto bambino, per regalarci il perdono e la pace. Il canto di gloria e di gioia
e di pace
degli angeli
nella stalla di Betlemme,
lungo la storia l'abbiamo sfumato,
trasformato, dimenticato e stonato. E' sì rimasto
il Natale ma ha camminato altrove, la gioia e la pace del
Bambino Santo si è cambiata in festa di regali, lucette sfolgoranti,
ferie esotiche, ma il mondo non ha ancora trovato la Pace. Forse ci stiamo
dimenticando che è Natale perché Dio si è incarnato per ridarci la vita, insegnarci il
perdono, abbattere i muri creare famiglia. Ecco perché quest'anno sentiamo tanta voglia
di natale. Che Dio nasca nell'Iraq martoriato, che Gesù
rinasca fra
le macerie
di terremoti
e tsunami,
che rinasca
nei cuori di
milioni di
bambini
sfruttati, violentati, sfigurati e uccisi;
che rinasca nella sua Betlemme
dilaniata e nella Gerusalemme divisa
e nel cuore di ogni uomo di buona
volontà. Sì, la voglia di natale, del
natale vero si respira nell'aria e
negli occhi di tutti gli uomini.
Vieni Signore Gesù.

natale

2.3/5 (3 voti)

inviato da Gianni Fanzolato, inserito il 20/09/2012

TESTO

15. Tutti i fiori sono belli   2

Santa Teresa di Lisieux

Per tanto tempo mi sono chiesta perché il Buon Dio aveva delle preferenze, perché non tutte le anime ricevono un livello uguale di favori, e mi meravigliavo che avesse prodigato favori straordinari ai Santi che lo avevano offeso, come San Paolo, Sant'Agostino e che Egli costringeva, per dire così, ad accogliere i suoi favori; oppure leggendo la vita dei Santi che Nostro Signore ha voluto accarezzare dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino alcun ostacolo che impedisse loro di innalzarsi fino a lui, e prevenendo le loro anime con tali favori che esse non hanno mai potuto offuscare lo splendore immacolato della loro veste di Battesimo, mi domandavo perché i poveri selvaggi, per esempio, morivano in così grande numero prima di aver persino sentito il nome di Dio... Gesù si è degnato di farmi Lui da istruttore, su questo mistero. Mi ha messo davanti agli occhi il libro della natura e io ho capito che tutti i fiori che Egli ha creato sono belli, che lo splendore della rosa e il candore del Giglio non tolgono il profumo della viola o la semplicità incantevole della margherita... Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere rose la natura perderebbe il suo abito di primavera, i campi non sarebbero più brillanti di fiorellini...

rapporto con Diovocazioneunicità

4.0/5 (2 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 08/05/2012

TESTO

16. Padre mio, mi sono affezionato alla terra

Mario Luzi, Via Crucis al Colosseo 1999

Padre mio, mi sono affezionato alla terra
quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra.
Io ci sono nato quasi di nascosto,
ci sono cresciuto e fatto adulto
in un suo angolo quieto
tra gente povera, amabile e esecrabile.
Mi sono affezionato alle sue strade,
mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti,
le vigne, perfino i deserti.
È solo una stazione per il figlio tuo la terra
ma ora mi addolora lasciarla
e perfino questi uomini e le loro occupazioni,
le loro case e i loro ricoveri
mi dà pena doverli abbandonare.
Il cuore umano è pieno di contraddizioni
ma neppure un istante mi sono allontanato da te.
Ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi
o avessi dimenticato di essere stato.
La vita sulla terra è dolorosa,
ma è anche gioiosa: mi sovvengono
i piccoli dell'uomo, gli alberi e gli animali.
Mancano oggi qui su questo poggio che chiamano Calvario.
Congedarmi mi dà angoscia più del giusto.
Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?
Il terrestre l'ho fatto troppo mio o l'ho rifuggito?
La nostalgia di te è stata continua e forte,
tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna.
Padre, non giudicarlo
questo mio parlarti umano quasi delirante,
accoglilo come un desiderio d'amore,
non guardare alla sua insensatezza.
Sono venuto sulla terra per fare la tua volontà
eppure talvolta l'ho discussa.
Sii indulgente con la mia debolezza, te ne prego.
Quando saremo in cielo ricongiunti
sarà stata una prova grande
ed essa non si perde nella memoria dell'eternità.
Ma da questo stato umano d'abiezione
vengo ora a te, comprendimi, nella mia debolezza.
Mi afferrano, mi alzano alla croce piantata sulla collina,
ahi, Padre, mi inchiodano le mani e i piedi.
Qui termina veramente il cammino.
Il debito dell'iniquità è pagato all'iniquità.
Ma tu sai questo mistero. Tu solo.

Gesù Cristoumanitàvenerdì santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Laura Carta, inserito il 25/01/2012

TESTO

17. La missione è testimonianza

Mons. Luigi Padovese, II Assemblea ecclesiale del Patriarcato di Venezia, 11 ottobre 2009

Essere uniti per essere testimoni (...) non riguarda soltanto le nostre Chiese di Oriente che vivono in una situazione minoritaria e di confronto con il mondo islamico, ma si può applicare anche alle Chiese di Europa messe a confronto con una società pluralistica e dove è anche dalla comunione dei cristiani tra loro che deve nascere la loro testimonianza. Come è stato osservato la Chiesa non ha una missione, non fa missione, ma è missione. E dunque va capita da essa. Se vuol rimanere Chiesa di Cristo deve uscire da sé. In quanto - come dice il Concilio. Vaticano II - è "sacramento universale di salvezza", essa è ordinata al Regno, è al suo servizio, esiste per proclamare il vangelo, e non soltanto oggi come misura d'emergenza in tempo di crisi, ma come costitutiva del suo essere. E il senso di tale impegno è di far sì che un'esperienza divenuta messaggio torni ad essere esperienza. Noi parliamo di ciò che "abbiamo visto ed udito", dichiara Giovanni (1 Gv 1,3).

La missione dunque è testimonianza resa all'amore di Gesù Cristo e al volto di Dio da lui rivelato. Si tratta di portare gli uomini a scoprire liberamente che il cammino di fede alla sequela di Gesù arricchisce la vita: va restituito al vangelo il carattere di vangelo, cioè di notizia che dà gioia, trasmettendo la visione che Gesù aveva del Regno, ma pronti a raccogliere anche delusioni. Ma non può essere altrimenti poiché la fede, in quanto espressione congiunta della grazia di Dio e della libera adesione umana, non si può imporre ma soltanto proporre.

Ed è qui che il ruolo della testimonianza diventa fondamentale anche perché, come diceva un Padre della Chiesa - "gli uomini si fidano più dei loro occhi che delle loro orecchie".

Annunciare Gesù Cristo per l'Apostolo Paolo è stata una necessità che nasceva dall'amore per lui. Ciò significa che chi incontra Cristo non può fare a meno di annunciarlo, sia con la vita che con le parole.

Monsignor Luigi Padovese, vescovo, ucciso il 3 giugno 2010.

testimonianzamartiriofedeevangelizzazionechiesamissione

inviato da Qumran2, inserito il 11/01/2012

TESTO

18. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

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inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

19. Trenta consigli per rendere la vita più bella   3

1. Cammina da 10 a 30 minuti tutti i giorni. Mentre cammini, sorridi.
2. Siediti e stai in silenzio per almeno 10 minuti.
3. Ascolta ogni giorno della buona musica, è un alimento autentico per lo spirito.
4. Quando ti alzi al mattino pronuncia quanto segue: "Il mio proposito odierno è...".
5. Gioca più dell'anno passato.
6. Leggi più libri dell'anno passato.
7. Osserva il cielo almeno una volta al giorno e renditi conto della maestosità del mondo che ti circonda.
8. Sogna di più quando stai sveglio.
9. Vivi con entusiasmo ed energia.
10. Non farti sfuggire l'opportunità d'abbracciare chi apprezzi.
11. Cerca di far ridere almeno tre persone al giorno.
12. Elimina il disordine dalla tua casa, dal tuo scrittoio e lascia che nuove energie entrino nella tua vita.
13. Fai una colazione da Re, pranza come un Principe e cena da Mendicante.
14. Sorridi e ridi di più.
15. La vita è troppo corta per perdere tempo ad odiare qualcuno.
16. Non prenderti troppo sul serio; non lo fa più nessuno.
17. Non devi necessariamente uscire vincitore da ogni discussione; accetta quando non sei d'accordo ed impara dagli altri.
18. Mettiti in pace con il tuo passato, così non ti rovinerai il presente.
19. Non paragonare la tua vita con quella di un altro; ha fatto un cammino diverso.
20. Nessuno è responsabile della tua felicità se non te stesso.
21. Ricorda che non hai il controllo di tutto ciò che succede, però "Sì" di ciò cha fai con esso.
22. Ogni giorno, impara qualcosa di nuovo.
23. Non importa quanto la situazione sia buona o cattiva; cambierà
24. Il tuo lavoro non si occupa di te quando sarai ammalato. I tuoi amici lo faranno; mantieniti in contatto con loro.
25. Lascia perdere tutto ciò che non sia utile, buono o divertente.
26. L'invidia è una perdita di tempo; hai già tutto quello che desideri.
27. Tieniti in contatto con i tuoi familiari; scrivi loro dicendo ."vi sto pensando"!!!
28. Il meglio deve ancora arrivare.
27. Quello che la maggioranza pensa di te, non è un'incombenza.
29. Sfrutta un viaggio. E' un'opportunità da cui devi trarre il maggior beneficio.
30. La vita è bella; godila finché puoi.

vitagioia di vivereapprezzare le piccole cose

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inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

TESTO

20. Io voglio servire Gesù

Shahbaz Bhatti, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianum Press, Venezia 2008, pp. 39-43

Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.

Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l'amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».

Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.

Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa', hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino all'ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.

Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro.

Per cui cerco sempre d'essere d'aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.

Shahbaz Bhatti, ucciso a Islamabad il 2/03/2011

testimonianzamartiriopersecuzione

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

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