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TESTO

81. E Giuseppe raccontò

Franco Signoracci, La notte più bella

Ricordo bene quella notte, quando l'angelo entrò nel mio sogno.

Era l'ora più buia, quando il giorno trascorso è già dimenticato e l'alba nuova è ancora lontana. Io dormivo profondamente e nei miei sogni c'erano tante storie: immagini strane si mischiavano e si inseguivano tra di loro, come spesso accade. Poi, ad un tratto, anche nei miei sogni ci fu silenzio e buio, e apparve un puntino luminoso che diventava sempre più grande, come la lampada di una barca quando si avvicina di notte alla riva.

Capii subito che quello non era un sogno come gli altri: quella luce era un angelo! E l'angelo parlò.

E mi raccontò di Maria, del bambino, delle difficoltà che avremmo incontrato: "Non temere", mi disse, "starò sempre con voi!".

Mi svegliai di colpo: non ero spaventato, ma quella apparizione mi aveva turbato. Sentivo caldo nel chiuso della mia stanza; dovevo uscire a prendere aria, a pensare un poco a quelle parole. Infilai i sandali e andai a sedermi su di un sasso, poco lontano dalla casa, in una posizione elevata.

Sotto di me c'era tutto il paese addormentato. Sopra di me il cielo stellato e la luna, che tramontava all'orizzonte.

Pensavo di essere solo, poi mi accorsi che non lontano da me c'era un gregge di pecore, custodito da due pastori: i due uomini vegliavano accanto alle braci di un fuoco quasi spento. Poi, tra le case del paese, si aprirono alcune porte e vidi uomini uscire in silenzio: erano i pescatori, che partivano a notte fonda per andare al lago di Tiberiade. Vidi anche un altro uomo uscire dal villaggio, conduceva due asini che avevano anfore legate ai fianchi: andava a prendere l'acqua. Infine, mentre il cielo a oriente si faceva più chiaro, vidi uscire i primi contadini. "Ecco", pensai tra me, "per tutta questa gente, per tutti noi verrà il bambino!" E sentii una grande pace nel cuore.

NatalesognoGiuseppeincarnazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 29/01/2003

TESTO

82. Lettera al "fratello marocchino"   1

Tonino Bello

Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!

La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.

Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?

Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.

Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.

Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.

extracomunitaristranieriaccoglienzacaritàsolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

TESTO

83. Nabot possedeva una vigna

S. Ambrogio di Milano, De Nabuthae, 1.1

"Nabot possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab di Samaria..." (1 Re 21).
La storia di Nabot è antica per età, ma nel costume è quotidiana.
Quale ricco, infatti, non desidera ogni giorno avidamente i beni altrui?
Quale potente non pretende di cacciare via il povero dal suo piccolo podere e di togliere chi non ha mezzi dalla terra dei padri?
Chi è mai contento di quello che ha?
Quale ricco non sente accendersi l'animo dal desiderio di possedere i beni del vicino?
Sicché di Acab non ne è nato uno solo; e ciò che è peggio, Acab nasce ogni giorno e non muore mai a questo mondo.
Appena ne scompare uno, ne vengono fuori altri, in gran numero, e sono più quelli che rubano di quelli che accettano di rimetterci.
Ma neppure Nabot è l'unico povero che sia stato ucciso; ogni giorno un Nabot è prostrato, ogni giorno un povero viene ucciso.
Angosciata da questo timore la gente si ritira dalle sue terre e il povero, carico del suo pegno d'amore, emigra con i figli, mentre la moglie lo segue in lacrime, come se accompagnasse il marito al sepolcro.
Fin dove volete arrivare, o ricchi, con le vostre assurde cupidigie?
Pensate di rimanere soli ad abitare la terra?
Perché scacciate chi è compartecipe ai beni della natura e rivendicate per voi soli il possesso dei beni naturali?
La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché voi ricchi vi arrogate il diritto di proprietà del suolo?

ingiustiziaricchezzapovertà

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002

TESTO

84. Se vuoi essere più vicino a Dio   1

Kahlil Gibran

Se vuoi essere più vicino a Dio, stai più vicino alla gente.

amoresolidarietà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 03/12/2002

TESTO

85. San Paolo, non un pazzo qualsiasi

Scout d'Europa, Foggia 2

Vi sono solo due notizie di dominio pubblico su san Paolo.
Uno: è caduto da cavallo.

Due: le sue lettere (tre volte su quattro la seconda lettura domenicale) sono incomprensibili. Beh, almeno difficili.

Fino a poco tempo fa anch'io la pensavo così: Paolo di Tarso? Pessimo cavallerizzo e criptico scrittore. Ora ho qualche notizia in più su costui. Per esempio so che era pazzo.

Non una comune follia, ma una follia lucida, rigorosamente logica e metodica. Era un ebreo. Colto. Ricco. Rispettato. Discendeva dall'elite d'Israele, aveva cultura e autorità: tutte le carte in regola per fare carriera. In effetti, la stava facendo. Stava sterminando una setta giudaica per conto della gerarchia di Gerusalemme, e questo era un ottimo trampolino di lancio. Poi Paolo di Tarso impazzisce. Molla tutto e si mette con quelli che stava catturando. Matto. Completamente andato.

Eppure Paolo ci credeva a quello che faceva. Ci credeva più di tutti gli altri ebrei. Forse ci credeva troppo. Insomma, non è molto simpatico quando inizi a incatenare tutti quelli che la pensano un po' diversamente da te. Il fatto che Paolo sia passato proprio alla fazione opposta ci dice una cosa importante: e cioè che Paolo non era un fossile. Certo, aveva delle idee, e ci teneva parecchio. Ma si lasciava interrogare dai fatti. E, a costo di venire apostrofato "traditore" e "voltabandiera" sapeva cambiare. Anche se questo andava contro il sistema. Era un tipo dinamico, e quando qualcuno gli ha aperto gli occhi sulla realtà non ha avuto paura di dire: "Ok, ragazzi, si cambia registro. Ho fatto qualche errore, ma non rinnego il mio passato. Io sono io, ma adesso che so ho il dovere di agire di conseguenza". Detto fatto.

Paolo ha o non ha avuto una visione sulla strada di Damasco? E' caduto da cavallo? Ha davvero sentito la voce di Gesù che gli parlava? O è solo un genere letterario, una metafora per dire che Paolo ha fatto il salto di qualità?
A dire il vero, non è molto importante.
L'importante sono i fatti.

Quali sono i fatti? Il primo fatto è la pazzia di Paolo: abbia visto o meno il Signore, è fuori discussione che con lui aveva un rapporto intimissimo. I loro pensieri coincidevano, e poiché Dio la pensa un po' diversamente dall'uomo, Paolo parve un pazzo agli occhi di moltissimi.

Paolo si faceva dei grandi viaggi. Materialmente, intendo dire. Per portare quell'annuncio sconvolgente che gli aveva scardinato la vita girò tutto il mondo conosciuto allora. Dall'Oriente all'Occidente, mai stanco, sempre avanti, sempre, attraverso tutte le difficoltà. Viaggiare non era una cosa di piacere, allora. Significava muoversi per lo più a piedi, a cavallo, con carovane, navi. Itinerari lunghi, difficili, sotto un cielo straniero, ma sempre con un motore spirituale a farlo andare avanti. "Non sono ancora giunto abbastanza lontano. C'è ancora gente afflitta ed oppressa che attende una parola di liberazione". San Paolo non va in vacanza, non si prende periodi di riposi, perché se lo facesse... ah! Guai a lui! Sa qual è il compito della sua vita.

Predica in tutti i modi possibili. Non si accontenta di andare di persona nelle città, come gli altri apostoli, ma scrive. Scrive lettere per le comunità che ha cresciuto, aiutato. Sono lettere bellissime, piene di fuoco, di passione, di fervore. Paolo si tiene sempre informato di come stanno i suoi, li sorregge, li conforta. Chiarisce i loro dubbi, li guida con dolcezza. Ma se c'è qualcosa che non funziona, va giù dritto. Ha le idee chiare. Dice sempre quello che pensa, senza guardare in faccia nessuno. Non si lascia zittire dalle minacce. Oh, perché di minacce ne ha avute: dava fastidio a troppa gente in alto. Ma la sua testardaggine non si piegava alle bastonate, ed il suo ardore non si spegneva nemmeno nelle carceri. Non scendeva a compromessi neppure a costo della propria vita.
Paolo è pazzo.
E' pazzo perché è un innovatore.

E' pazzo perché sfida tutte le mentalità del tempo. Paolo ha una mentalità aperta, ha viaggiato, conosce gli uomini. In un mondo di discriminazioni razziali e tra i sessi annuncia che non c'è differenza tra uomo e donna, tra schiavo e padrone, tra ebrei e pagani, che tutti sono uguali, tutti figli di Dio, tutti amati. Paolo fa saltare tutte le caste ed i sistemi di catalogazione degli uomini. Porta un messaggio di tolleranza, anzi di più: un messaggio di amore per tutti gli uomini. "Se non ho l'Amore non sono nulla". Avanti, sempre. Farsi tutto a tutti. Tendere la mano. Proporre e non imporre.

San Paolo è pazzo. Vive di ideali grandi, che sembrano quasi utopie. Sono utopie? Chissà. Ma sempre meglio che razzolare nella mediocrità. Le persone con la vista corta non arrivano lontano. Sopravvivono, ma non Vivono veramente.
Paolo è pazzo.

Ma sono questi pazzi che costruiscono il mondo nuovo.

San Paoloconversionecoerenzamissioneevangelizzazioneapostoli

inviato da Eleonora Polo, inserito il 27/11/2002

TESTO

86. La nonviolenza, forza dello spirito

Mahatma Gandhi

Non sono un visionario. Mi ritengo un idealista pratico.

La religione della nonviolenza non è intesa soltanto per i saggi indù e per i santi.
E' intesa anche per la gente comune.

La nonviolenza è la legge della nostra specie, come la violenza è la legge dei bruti.

Lo spirito giace in letargo, nel bruto, ed egli non conosce altra legge
che non quella della forza fisica.

La dignità umana chiede che si obbedisca a una legge più alta: alla forza dello spirito.

vendettanon violenzaodioforzaspirito

inviato da Emilio Centomo, inserito il 27/11/2002

TESTO

87. C'è sempre qualcosa da dire sui preti

Se il prete una volta parla dieci minuti più a lungo: è un parolaio.
Se durante una predica parla forte: allora urla.
Se non predica forte: non si capisce niente.
Se possiede un'auto personale: è capitalista, è mondano.
Se non ha un'auto personale: non è capace di adattarsi ai tempi.
Se visita i suoi fedeli fuori parrocchia: allora gironzola dappertutto.
Se frequenta le famiglie: non è mai in casa.
Se rimane in casa: non visita le famiglie.
Se parla di offerte e chiede qualcosa: non pensa ad altro che a far soldi.
Se non organizza feste, gite, incontri: nella parrocchia non c'è vita.
Se in confessionale si concede tempo: è interminabile.
Se fa in fretta: non è capace di ascoltare.
Se comincia la Messa puntualmente: il suo orologio è avanti.
Se ha un piccolo ritardo: fa perdere tempo a un sacco di gente.
Se abbellisce la Chiesa: getta via i soldi inutilmente.
Se non lo fa: lascia andare tutto alla malora.
Se parla da solo con una donna: c'è sotto qualcosa.
Se parla da solo con un uomo: eh!
Se prega in Chiesa: non è un uomo d'azione.
Se si vede poco in Chiesa: non è un uomo di Dio.
Se si interessa agli altri: è un impiccione.
Se non si interessa: è un egoista.
Se parla di giustizia sociale: fa della politica.
Se cerca di essere prudente: è di destra.
Se ha un po' di coraggio: è di sinistra.
Se è giovane: non ha esperienza.
Se è vecchio: non si adatta ai tempi.
Se muore: non c'è nessuno che lo sostituisce!

preteparrocosacerdotepresbitero

inviato da Anna Barbi, inserito il 22/11/2002

TESTO

88. Quattro buoni motivi per leggere il vangelo   1

Nazzareno Marconi, pagina web

Primo motivo: Il Vangelo è il libro più famoso del mondo.

Se una mattina trovaste annunciato da tutti i giornali e tutte le trasmissioni televisive che uno sceneggiato ha avuto il più alto indice di ascolto di tutti i tempi, non vi verrebbe una grande curiosità di dare almeno un'occhiata alla seconda puntata? Il vangelo è il libro più stampato del mondo ed anche il più letto, in tutte le lingue e culture conosciute. Ma qual è il segreto del suo successo? Un numero incredibile di persone hanno scoperto che questo testo ha un potere unico: aiuta a conoscersi meglio e a rinnovare la propria vita. Dà una mano per prendere decisioni importanti e scoprire che senso abbia ciò che facciamo, ciò che pensiamo, ciò che desideriamo. Nel corso della sua storia l'umanità vi ha scoperto una fonte misteriosa ed inesauribile di speranza, di incoraggiamento, un intenso senso di pace.

Secondo motivo: Il Vangelo è un libro molto prezioso.

Se ti capitasse tra le mani un libro che: è stato copiato e diffuso con fatica per duemila anni, che spesso è stato combattuto e proibito da grandi poteri politici e militari, eppure è stato sempre difeso e conservato a costo della vita. Non gli dedichereste almeno un po' della vostra attenzione? La storia dei cristiani è punteggiata di storie di persecuzioni e martiri. Fin dall'inizio i nemici di Gesù hanno tentato di cancellare il suo ricordo, impedendo che i suoi amici parlassero di Lui alla gente. Ma questi non hanno taciuto, hanno parlato e scritto a costo della vita, e molti altri nel corso delle storia hanno fatto lo stesso. Solo grazie a questa catena di testimoni questo piccolo libro è potuto giungere tra le tue mani. Non credi che tanto sacrificio meriti un po' della tua attenzione?

Terzo motivo: Il Vangelo ha un mittente molto importante.

Se una mattina trovaste tra la vostra posta una lettera che viene da una grandissima autorità politica o economica, non la leggereste per prima e con molta attenzione? Oltre un miliardo e mezzo di persone nel mondo sono convinte che questo piccolo libro sia come una lettera che viene da Dio. Attraverso di esso il Creatore ha voluto mandarci un messaggio molto importante, tanto importante che questa "lettera" ci è stata "recapitata" da Gesù: il Figlio di Dio. Un messaggio con una tele "mittente" ed un tale "portalettere" non merita forse una attenta lettura?

Quarto motivo: Il Vangelo ha un destinatario molto importante.

Se una mattina trovaste tra la vostra posta una lettera indirizzata a voi e con su scritto "strettamente personale", non l'aprireste per prima e con molta attenzione? La fede dei cristiani ritiene che il Vangelo non contenga un messaggio generale, che riguardi soltanto principi e valori molto vaghi. Crediamo invece che il Vangelo è un messaggio che Dio invia a Te. Tra le sue parole ogni giorno puoi trovare qualcosa che misteriosamente, ma efficacemente, parla al tuo cuore e guida la tua vita. I cristiani, quando aprono il vangelo, si chiedono: "cosa mi dice oggi il Signore?". Non vale la pena di provare?

VangeloParola di DioSacra ScritturaBibbia

inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002

TESTO

89. Solitudine e isolamento   1

Carlo Maria Martini, Vita di Mosè

E' noto che esiste una differenza tra isolamento e solitudine. L'isolamento come tale ha un carattere negativo: è l'uomo che vive disperatamente solo, magari in mezzo alla gente, ove comunque si sente non compreso e fallito; al contrario, la solitudine per ogni uomo, anche per l'uomo moderno, è un valore fondamentale. Ciò vuol dire che c'è un momento in cui l'uomo giunge a riconoscere che niente lo soddisfa davvero, che tutti i suoi metodi, tutte le sue esperienze, tutte le sue speranze lo hanno soddisfatto solo fino a un certo punto: rimane ancora un vuoto, un vuoto che soltanto Dio può colmare. È un'esperienza che non si fa quando ancora le cose si accavallano una sull'altra e si continua a sperare che ciascuna di esse riempia quel vuoto. Ma quando sopravviene lo scacco, allora ci si viene a trovare in quello stato di attesa e di vigilanza che fu lo stato di Mosè per 40 anni.

Ed ecco la solitudine di Mosè. Egli lascia che tutta la delusione, il dolore, la rabbia vengano a galla; non maschera né sopprime tutte queste cose, ma anzi le affronta, perché non ha più paura di guardare nella sua vita.

solitudineisolamentosilenziosenso della vitaricerca di sensofelicitàrapporto con Dio

inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002

TESTO

90. Gesù non ha buona memoria   3

Cardinale Van Thuan

Gesù non ha buona memoria.
Sulla Croce durante la sua agonia il ladrone gli chiede di ricordarsi di lui quando sarebbe entrato nel suo regno. Se fossi stato io gli avrei risposto, "non ti dimenticherò, ma i tuoi crimini devono essere espiati, con almeno 20 anni di purgatorio", invece Gesù gli rispose "Oggi sarai con me in Paradiso".
Aveva dimenticato i peccati di quell'uomo. Lo stesso avviene con Maddalena e con il figliol prodigo. Gesù non ha memoria, perdona ogni persona, il suo amore è misericordioso.

Gesù non conosce la matematica, lo dimostra la parabola del Buon Pastore. Aveva cento pecore, una di loro si smarrì e senza indugi andò a cercarla lasciando le altre 99 nell'ovile. Per Gesù uno equivale a 99 e forse anche di più.

Gesù poi non è buon filosofo.
Una donna ha dieci dracme ne perde una quindi accende la lucerna per cercarla, quando la trova chiama le sue vicine e dice loro "Rallegratevi con me perché ho ritrovato la dracma che avevo perduto". E' davvero illogico disturbare le amiche solo per una dracma, e poi far festa per il ritrovamento. Per di più invitando le sue amiche per far festa, spendendo ben di più di una dracma. In questo modo Gesù spiega che c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.

Gesù è un avventuriero.
Chiunque voglia raccogliere il consenso della gente si presenta con molte promesse, mentre Gesù promette a chi lo segue processi e persecuzioni, eppure da 2000 anni constatiamo che non si è esaurita la schiera di avventurieri che hanno seguito Gesù.

Gesù non conosce né finanza né economia.
Nella parabola degli operai della vigna, il padrone paga lo stesso stipendio a chi lavora al mattino e a chi inizia a lavorare il pomeriggio. Ha fatto male i conti? Ha commesso un errore? No, lo fa di proposito, perché Gesù non ci ama rispetto ai nostri meriti o per i nostri meriti, il suo amore è gratuito e supera infinitamente i nostri meriti. Gesù ha i "difetti" perché ama.
L'amore autentico non ragiona, non calcola, non misura, non innalza barriere, non pone condizioni, non costruisce frontiere e non ricorda offese.

perdonomisericordiaconfessionericonciliazioneGesù Cristoamore di Diorapporto con Dio

inviato da Anna Barbi, inserito il 30/09/2002

TESTO

91. Ho detto a Dio

Jean Debruynne, rivista Il Cenacolo 1/2001

Ho detto a Dio
che la sua Pentecoste non valeva gran cosa
e che il suo Spirito Santo non era tanto efficace
con tutte queste guerre, queste divisioni,
questa gente che muore di fame,
questa droga e tutti questi omicidi.
Ma Dio mi ha risposto:
è a te che ho donato
il mio Spirito.
Che cosa ne hai fatto?
Chi farà la giustizia
se tu non incominci ad essere giusto?
Chi farà la verità
se tu stesso non sei vero?
Chi farà la pace
se tu non sei in pace con te stesso e con i tuoi fratelli?
Sei tu che io ho inviato
per portare
la buona notizia.

impegnoresponsabilitàgiustiziapaceSpirito Santo

inviato da Anna, inserito il 27/09/2002

TESTO

92. Lettera alla Parrocchia

Centro di Orientamento Pastorale [COP], a conclusione della 52ma Settimana di aggiornamento pastorale a Bergamo; Settimana, luglio 2002

Cara parrocchia,

sappiamo che più o meno consapevolmente molti, anche tra i cristiani, non ti ritengono oggi un riferimento necessario per la loro vita e che in certe zone d'Italia non sei più il centro dell'esperienza di un popolo.

Sappiamo che, per molti, rischi di essere soltanto una stazione di servizio distributrice di sacramenti e di elemosine e che, per alcuni gruppi, sei poco più di una base logistica.

Sappiamo tuttavia che molte associazioni, gruppi e movimenti trovano in te non solo un luogo di accoglienza e di ospitalità, ma la casa e la scuola dove crescere nella fede, per essere missionari nella città degli uomini.

Sappiamo che la fatica del rinnovamento nella fedeltà al Vangelo può togliere anche a te un po' di respiro ed entusiasmo.

Sappiamo che vorresti essere una comunità di celebrazione, di carità e di annuncio, ma che, a volte, ti mancano persone, parole di incoraggiamento e gesti di sostegno.

Sappiamo, infine, che potresti essere una delle molte comunità che sono senza pastore, ma noi non ti molliamo, anzi scommettiamo sulla tua grande capacità di rigenerarti, come hai fatto tante volte nella storia.

Non siamo nostalgici, vogliamo - con te e per te - essere creativi.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nel tuo essere Chiesa tra le case, porzione di quella grande comunità che è la Chiesa universale, che noi apprendiamo a fare comunione; è tra le tue mura, chiese, cappelle, tessuti di relazione che incontriamo la comunità, sacramento cui è affidata la Parola che genera per tutti salvezza.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo compiere oggi il percorso necessario di Parola, rito e carità che ci unisce a Cristo.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nella celebrazione eucaristica che troviamo il sostegno decisivo per la nostra fede, la sorgente per la nostra sete di senso, la forza per una convivenza nella giustizia e nella pace.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo imparare, da laici, consacrati e da preti, come si fa a essere laici, consacrati e preti in mezzo alla gente.

Siamo convinti che ancora molte persone si accostano a te con domande semplici di umana comprensione, di pietà e di condivisione e tu hai ancora per ciascuno parole e gesti di speranza e di fiducia.

Siamo convinti che con te si viene ancora a misurare l'incredulità fragile di molti uomini e donne, la loro nostalgia di Dio, il loro stesso rancore per l'inganno e le trappole in cui sono caduti e tu hai sempre un percorso di fede da ricominciare.

Siamo convinti che il Vangelo che proponi (e come lo proponi) in fedeltà allo Spirito che guida la Chiesa è la risposta ultima alle grandi domande dell'uomo.

Ti vogliamo aiutare a farti cantiere di formazione nei tuoi gesti solenni e quotidiani, nella tua assemblea domenicale, nell'accompagnare con il sacramento la vita che nasce, muore, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella malattia.

Ti vogliamo aiutare a farti scuola di comunione anche nelle varie forme associative (pensiamo ad esempio, all'Azione Cattolica) generate da quella fantasia cristiana che tanta ricchezza di crescita spirituale, di fede e di apostolato ha portato alla vita delle nostre comunità. Ti vogliamo aiutare a farti punto di speranza nella capacità di incontrarti con le domande anche più petulanti e disperate, perché le sappia far diventare percorsi di vita e di fede.

Ti vogliamo aiutare a farti segno di quel "totalmente altro" che chiede di mescolarci nella società e di essere presenti nelle istituzioni abitandole da cristiani capaci di mostrare il Volto di Cristo, crocifisso e risorto, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che tu ci aiuti a contemplare.

Ti vogliamo aiutare a vivere pienamente, con responsabilità e con gioia la dimensione Diocesana, ad aprirti alla collaborazione con tutte le altre parrocchie, superando ogni autosufficienza.

Ti vogliamo aiutare a confrontarti con un territorio che cambia per l'arrivo di altre culture e altre religioni, a portare al tuo interno per offrirla sull'altare dell'Eucaristia la vita quotidiana dei tuoi fedeli vita di famiglia, vita di lavoro e di disoccupazione, vita di italiani e di stranieri, vita culturale, politica, apertura al mondo intero.

Ti vogliamo aiutare a osare nella verità il dialogo con ogni ricerca di Dio e per questo ti chiediamo di essere esigente con noi stessi perché l'accoglienza e l'ascolto siano il frutto di una fede pensata. Cara parrocchia chiedici di più, sapremo darti anche di più e soprattutto lascia sempre trasparire sul tuo volto l'immagine beatificante del Volto di Dio.

parrocchialaicicollaborazioneresponsabilitàcorresponsabilitànuova evangelizzazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/09/2002

TESTO

93. Mi ami tu?

Henri J. M. Nouwen, Nel nome di Gesù

Prima di costituirlo pastore del suo gregge Gesù domandò a Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più degli altri?". Poi gli domandò una seconda volta: "Mi ami tu?", e una terza volta ripeté la stessa domanda: "Mi ami tu?". Anche noi dobbiamo porre questa domanda al centro del nostro ministero cristiano, perché è proprio essa che ci permette di essere da un lato inutili, e dall'altro veramente fiduciosi in noi stessi.

Basta guardare Gesù. Il mondo non si curò minimamente di Lui, e Gesù fu crocifisso e sepolto. Il suo messaggio di amore fu rigettato da un mondo assetato di potere, efficienza e dominio. Ma ecco che Gesù risuscito, con le ferite nel suo corpo glorificato, appare ad alcuni amici che hanno occhi per vedere, orecchie per udire e cuore per comprendere. Questo Gesù rigettato, sconosciuto, ferito, chiede semplicemente: "Mi ami tu? Mi ami davvero?". Lui che si era preoccupato solo di annunciare l'amore incondizionato di Dio ha una sola domanda da fare: "Mi ami tu?".

Gesù non chiede: "C'è molta gente che ti prende sul serio? Hai intenzione di compiere grandi cose? Hai già qualche risultato da farmi vedere?". Chiede invece: "Sei innamorato di Gesù?". Forse potremmo formulare la domanda anche in altro modo: "Conosci il Dio incarnato?". E' un cuore che non conosce sospetti, vendette, risentimenti, né tanto meno odi. E' un cuore che vuole solo dare amore ed essere ricambiato con amore. E' un cuore che soffre immensamente perché vede la grandezza del dolore umano e l'ostinazione a non fidarsi del cuore di un Dio che vuole offrire consolazione e speranza.

Il leader cristiano del futuro è uno che conosce intimamente il cuore di Dio, diventato "cuore di carne" in Gesù. Conoscere il cuore di Dio significa annunciare e rivelare in modo coerente, radicale e quantomai concreto che Dio è amore, e solo amore, e che la paura, l'isolamento o la disperazione che possono tormentare l'anima umana sono prove che certamente non vengono da Dio. Tutto questo può sembrare molte evidente e forse banale, ma ben pochi sanno che Dio li ama senza condizioni e senza limiti. Questo amore incondizionato e illimitato è quello che l'evangelista Giovanni chiama il "primo" amore di Dio. "Amiamo Dio", egli dice, "perché Dio ci ha amati per primo"(1 Gv 4,19). L'amore che spesso ci lascia dubbiosi, delusi, arrabbiati e offesi è il "secondo" amore: e cioè accettazione, affetto, simpatia, incoraggiamento e sostegno dei genitori, insegnanti, coniugi, amici. E sappiamo tutti che è un amore quantomai, limitato, violato e fragile. Sotto le numerose espressioni di questo secondo amore si nasconde sempre la possibilità di rigetto, ritiro, castigo, ricatto, violenza e perfino odio. Molti film e drammi contemporanei ritraggono le ambiguità e ambivalenze delle relazioni umane, e non esistono amicizie, matrimoni, comunità in cui le tensioni e gli sforzi del secondo amore non si rivelino in tutta la loro gravità. Si direbbe anzi che gli aspetti piacevoli della vita di ogni giorno nascondano molte ferite aperte che si chiamano abbandono, tradimento, rigetto, rottura, perdita. Tutto questo è, per così dire, l'ombra inseparabile del secondo amore e rivela l'oscurità che non abbandona mai completamente il cuore umano.

L'essenza della buona novella sta proprio qui: nell'annuncio che il secondo amore è solo un pallido riflesso del primo amore, e che il primo amore ci viene offerto da un Dio in cui non ci sono ombre.

gratuitàamoreamore di Diorapporto con Dio

inviato da Polda, inserito il 08/09/2002

TESTO

94. Non dire Padre...   1

Non dire: PADRE
se ogni giorno non ti comporti da figlio.
Non dire: NOSTRO
se vivi soltanto del tuo egoismo.
Non dire: CHE SEI NEI CIELI
se pensi solo alle cose terrene.
Non dire: VENGA IL TUO REGNO
se lo confondi con il successo materiale
Non dire: SIA FATTA LA TUA VOLONTA'
se non l'accetti anche quando è dolorosa.
Non dire: DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
se non ti preoccupi della gente che ha fame.
Non dire: PERDONA I NOSTRI DEBITI
se non sei disposto a perdonare gli altri.
Non dire: NON CI INDURRE IN TENTAZIONE
se continui a vivere nell'ambiguità.
Non dire: LIBERACI DAL MALE
se non ti opponi alle opere malvagie.
Non dire: AMEN
se non prendi sul serio le parole del
PADRE NOSTRO.

preghieracoerenzaPadre Nostrorapporto con Dio

inviato da Sara Accorti, inserito il 28/08/2002

TESTO

95. Ho vissuto una intensa esperienza di Dio   2

Note di Pastorale Giovanile, n. 1/ gennaio 1999

Carissimo amico o amica,

Voglio farti qualche confidenza sulla mia relazione con Dio. Dio occupò il centro della mia vita. Per arrivare a quest'esperienza dovetti fare un notevole sforzo di personalizzazione e di interiorizzazione e mettere in gioco tutte le dimensioni della mia persona: intelligenza, sentimenti, atteggiamenti. E ti posso assicurare che sempre mi sentii pienamente me stesso.

Dio occupò il centro della mia vita come un Padre che mi amava intensamente, con un amore somigliante a quello che sente una madre quando il suo figlio sta per nascere, per questo osai chiamarlo "papà"; Questo amore di Dio - Padre fu la roccia ferma su cui appoggiai sempre la mia vita.

Mi costò molto far capire alla gente che Dio ama gratuitamente, cioè, senza che in noi ci siano motivi speciali perché lui ci ami: essere buoni, bravi, intelligenti, ecc. Per questo narrai le parabole, come quella del padre che accoglie il suo figlio che se n'era andato da casa o quella dei lavoratori della vigna che ricevono lo stesso stipendio anche se non hanno lavorato tutti le stesse ore.

Non è stato facile convincere quella donna samaritana a cui chiesi di darmi un po' d'acqua, che Dio è come una fonte d'acqua che toglie la sete per sempre. Basta relazionarsi con lui in Spirito e verità. Per questo, sentii una grande necessità di lodarlo, di rendergli grazie, soprattutto, quando vidi che le mie parole sul Regno di Dio arrivavano al cuore della gente semplice.

Riconosco che davanti ai grandi avvenimenti - la chiamata degli apostoli, il discorso sul monte, ecc. - mi piaceva passare la notte pregando da solo con Lui, ascoltavo il suo filo di voce dentro di me, vedevo una presenza amorosa nelle persone a cui dovevo parlare e guarire il giorno dopo. Il cielo pieno di stelle della Palestina faceva più maestosa e bella la sua presenza.

Arrivai addirittura a dire, non senza un po' di paura di non essere capito e di scandalizzare i farisei e gli scribi di Israele, che il mio cibo era fare la volontà del Padre mio, anzi che Dio e io eravamo la stessa cosa.

Non credere che questo fare la volontà di Dio fosse, qualcosa di facile. L'ansia di potere e di fama bussavano continuamente alla mia porta, soprattutto quando la gente mi perseguitava per farmi re. Molte volte, ho avuto la sensazione di usare Dio, di fare di Lui un idolo secondo la mia misura e convenienza.

Ci sono stati dei momenti in cui il cammino è diventato più duro. Ci sono stati momenti di solitudine e di sconfitta a causa dell'incomprensione e dell'abbandono dei miei amici. Vivere la relazione con Dio come Padre fu allora un'esperienza dolorosa, soprattutto nel momento della verità, quando la mia vita scorreva inesorabilmente verso la morte.

Nell'orto degli ulivi, il sudore e il sangue inzupparono la mia tunica. Dio rimaneva muto di fronte alla mia passione e alla mia morte. La gente ai piedi della croce mi ricordava con ironia che sempre avevo chiamato Dio Padre e sulla croce arrivai a dubitare di Lui. Però finalmente vinsi la tentazione. Mi misi nel buio tunnel della morte convinto di una cosa sola: Dio era mio Padre e Lui sapeva cosa farsene della mia vita.

Il giorno di Pasqua fu, e continua ad essere, la prova che lui non era nel torto. Quel giorno Dio gridò all'umanità intera e continua a farlo fino ad oggi, che la Croce è la fonte da dove sgorga la vita; che il chicco di grano, se non muore, non produce frutto; che una candela deve consumarsi pian piano se vuole illuminare; che il sale per dare sapore deve sciogliersi; che il lievito deve mescolarsi con la massa fino a scomparire per fare un buon pane per tutti, soprattutto per i più poveri ed emarginati.

Gesù di Nazareth

Gesù CristoDiorapporto con Dio

inviato da Don Giovanni Cuccu, inserito il 22/08/2002

TESTO

96. Euforia serale

Felice d'avere tutta una vita alle spalle.
Felice di sorprendermi in vita ogni mattina.
Felice di poter respirare, essere saggio e sereno.
Felice finora di non esser troppo ammalato.
Felice di aver tempo di pregare Dio.
Felice di non esser attaccato a grandi cose.
Felice di vedere tanta gente che mi vuol bene e mi cura.
Felice di aver vissuto un'epoca straordinaria.
Felice di vedere una Chiesa trasformata.
Felice di sapere che ci sarà un seguito.
Felice di arrivare alla fine e dire:...si avvicina.
Felice di rientrare al porto dopo una lunga traversata.
Felice di non aver che una preoccupazione, morire bene.
Felice di non essere solo a condividere.

gratitudinefelicitàgioia

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 21/08/2002

TESTO

97. Buon Natale, tanti auguri... scomodi!

Tonino Bello

Non obbedirei al mio dovere di Vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.

Non posso, infatti, sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario. Mi lusinga, addirittura, l'ipotesi che qualcuno li possa respingere al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.

Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l'aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.

I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere "una gran luce", dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell'edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.

I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge" e scrutando l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio. E poi vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l'unico modo per morire ricchi.

Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

Nataleincarnazioneconversione

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 12/06/2002

TESTO

98. Le persone che sanno amare...   1

Le persone che sanno amare
sono quelle che rendono bello il mondo;
le persone più importanti della terra
sono le persone profondamente buone.
Perché solo loro che sanno dare alla gente
quello di cui ha più bisogno: la bontà.
Chi porta bontà comunica pace, sicurezza, forza,
perché comunica Dio.
Abbiamo bisogno di tante cose:
di salute, di pane, di lavoro, di tranquillità e di pace...
...ma più di tutto di bontà.
Abbiamo bisogno di gente che insegni ad amare.
Amare è calarsi nei problemi degli altri,
è sacrificare il proprio tempo,
è aiutare le persone fino in fondo,
come sa fare Dio con ciascuno di noi.
Amare è comprendere.
Amare è perdonare, è cambiare il male con il bene.
Amare è dare affetto, attenzione e forza a chi non ce l'ha.
Amare è dare, senza attendere il ricambio.
Quando sei paziente mentre tutti perderebbero la pazienza;
quando ti controlli davanti a un pensiero cattivo;
quando fermi una parola di condanna
che sembrerebbe a tutti legittima,
stai diventando esperto in amore.
Amare è fermarsi accanto ad ogni persona senza passare oltre;
è trovare il tempo per uno che soffre
mentre manca il tempo per te e le tue cose.
Amare è rendere presente Dio in mezzo alla gente.
Signore, moltiplica sulla terra le persone capaci di amare,
perché gli uomini hanno bisogno di Te!

amoreamiciziaresponsabilitàdonarebontà

inviato da Luca Peyron, inserito il 12/06/2002

TESTO

99. Voglia di camminare   1

Tonino Bello

Coraggio, gente!
La Pasqua ci dice
che la nostra storia ha un senso,
e non è un mazzo di inutili sussulti.
Che quelli che stiamo percorrendo
non sono sentieri ininterrotti.
Che la nostra esistenza personale
non è sospesa nel vuoto
né consiste in uno spettacolo senza rete.
Precipitiamo in Dio.
In lui viviamo,
ci muoviamo ed esistiamo.
Coraggio, gente!
La Pasqua vi prosciughi
i ristagni di disperazione
sedimentati nel cuore.
E, insieme al coraggio di esistere,
vi ridia la voglia di camminare.

Pasquarisurrezionesperanzafiduciafede

inviato da Stefania Raspo, inserito il 03/06/2002

TESTO

100. La Croce: collocazione provvisoria   2

Tonino Bello, Il parcheggio del calvario, in Omelie e scritti quaresimali, vol. 2, p. 307, Luce e Vita

Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria.

La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.

Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo.

Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell'abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra.

Coraggio. La tua Croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre "collocazione provvisoria". Il calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della Croce.

"Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra". Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane.

Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell'orario c'è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.

Coraggio, fratello che soffri. C'è anche per te una deposizione dalla croce. Coraggio, tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

crocesofferenzadoloresperanzarisurrezioneresurrezionevenerdì santopasqua

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inviato da Immacolata Chetta, inserito il 01/06/2002

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