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RACCONTO

81. Il segreto della felicità   3

Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole

Un giovane domandò al più saggio di tutti gli uomini il segreto della felicità. Il saggio suggerì al giovane di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.

"Solo ti chiedo un favore" concluse il saggio, consegnandogli un cucchiaino su cui versò due gocce d'olio. "Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l'olio".

Dopo due ore il giovane tornò e il saggio gli chiese: "Hai visto gli arazzi della mia sala da pranzo? Hai visto i magnifici giardini? Hai notato le belle pergamene?".

Il giovane, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio.

"Torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo" disse il saggio.

Il giovane prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare, ma questa volta osservò tutte le opere d'arte. Notò i giardini, le montagne, i fiori. Tornò dal saggio e riferi particolareggiatamente tutto quello che aveva visto.

"Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato?" domandò il saggio.

Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.

"Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti" concluse il saggio. "Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza mai dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino".

"Infine, fratelli, prendete in considerazione tutto quel che è vero, buono, giusto, puro, degno di essere amato e onorato; quel che viene dalla virtù ed è degno di lode" (San Paolo ai Filippesi 4,8). Senza mai dimenticare l'essenziale!

felicitàgioiapossessointerioritàesteriorità

2.0/5 (1 voto)

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 27/02/2003

RACCONTO

82. Un ricco povero

Josè Real Navarro e Maria Carla Mantovani, C'era una volta... al catechismo

C'era una volta un uomo ricchissimo. Possedeva tanti negozi, tante fabbriche e tante banche, cosicché ogni settimana riceveva nel suo palazzo molti autocarri carichi di denaro. Non sapeva più dove metterlo o in che cosa spenderlo. Si comperava tutto quello che gli piaceva: aerei, navi, treni, edifici, monumenti, ecc. Era sempre alla ricerca di cose da comperare.

Arrivò un giorno in cui aveva proprio tutto. Non c'era cosa che non possedesse. Tutto era suo. Tuttavia c'era una cosa che non riusciva ad avere. E per quanto ne comprasse, una non la trovava mai. Era la gioia. Non trovò mai il negozio in cui la vendessero.

Si impegnò a cercarla a qualunque costo, perché era l'ultima cosa che gli mancava. Percorse mezzo mondo alla sua ricerca, ma senza risultato. Un giorno capitò in un piccolo villaggio e venne a sapere che un vecchio saggio poteva aiutarlo. Viveva in cima a una montagna, in un' umile e povera capanna. Si diresse verso di lui e quando lo trovò gli disse:

- Mi hanno detto che lei potrebbe aiutarmi a trovare la gioia.
Il vecchio lo guardò sorridendo e rispose:
- Lei l'ha già incontrata, amico. Io ho molta gioia.
- Lei? - esclamò stupito il ricco. - Ma se possiede soltanto una povera capanna e poco più!
- Certo, e proprio per questo ho la gioia, poiché do a chi ne ha bisogno tutto quello che ho di più - affermò il vecchio.
- E così si ottiene la gioia? - chiese il ricco.
- Così l'ho trovata io - confermò il Vecchio.

Il ricco se ne andò pensieroso. Poco tempo dopo risolse di dare tutto quello che non gli era necessario a quelli che ne avevano bisogno. Con grande sorpresa scoprì che facendo così sentiva gioia. Si era reso conto che c'è più gioia nel dare e nel rendere felici gli altri che nel ricevere e possedere tante cose senza condividerle.

condivisionericchezzapovertàinterioritàesterioritàgioiafelicità

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 09/02/2003

RACCONTO

83. Il gigante egoista   1

Oscar Wilde

Tutti, i giorni, finita la scuola, i bambini andavano a giocare nel giardino del gigante. Era un giardino grande e bello coperto di tenera erbetta verde. Qua e là sulla erbetta, spiccavano fiori simile a stelle; in primavera i dodici peschi si ricoprivano di fiori rosa perlacei e, in autunno, davano i frutti. Gli uccelli si posavano sugli alberi e cantavano con tanta dolcezza che i bambini sospendevano i loro giochi per ascoltarli.
- Quanto siamo felici qui! - si dicevano.

Un giorno il gigante ritornò. Era stato a far visita al suo amico, il mago di Cornovaglia, e la sua visita era durata sette anni. Alla fine del settimo anno, aveva esaurito quanto doveva dire perché la sua conversazione era assai limitata, e decise di far ritorno al castello. Al suo arrivo vide i bambini che giocavano nel giardino.
- Che fate voi qui? - esclamò con voce berbera, e i bambini scapparono.
- Il mio giardino è solo mio! - disse il gigante - lo sappiano tutti: nessuno, all'infuori di me, può giocare qui dentro.
Costruì un alto muro tutto intorno e vi affisse un avviso: GLI INTRUSI SARANNO PUNITI.
Era un gigante molto egoista.

I poveri bambini non sapevano più dove giocare. Cercarono di giocare sulla strada, ma la strada era polverosa e piena di sassi, e non piaceva a nessuno. Finita la scuola giravano attorno all'alto muro e parlavano del bel giardino.
- Com'eravamo felici! - dicevano tra di loro.
Poi venne la primavera, e dovunque, nella campagna, v'erano fiori e uccellini. Soltanto nel giardino del gigante regnava ancora l'inverno. Gli uccellini non si curavano di cantare perché non c'erano bambini e gli alberi dimenticarono di fiorire. Una volta un fiore mise la testina fuori dall'erba, ma alla vista dell'avviso provò tanta pietà per i bambini che si ritrasse e si riaddormentò. Solo la neve e il ghiaccio erano soddisfatti.
- La primavera ha dimenticato questo giardino - esclamarono - perciò noi abiteremo qui tutto l'anno.
La neve copriva l'erba con il suo grande manto bianco e il ghiaccio dipingeva d'argento tutti gli alberi. Poi invitarono il vento del nord. Esso venne avvolto in una pesante pelliccia e tutto il giorno fischiava per il giardino e abbatteva i camini.
- E' un posto delizioso - disse - dobbiamo invitare anche la grandine.
E la grandine venne. Tre ore al giorno essa picchiava sul tetto del castello finché ruppe le tegole; poi, quanto più veloce poteva, scorrazzava per il giardino. Era vestita di grigio, e il suo fiato era freddo come il ghiaccio.
- Non riesco a capire perché la primavera tardi tanto a venire - disse il gigante egoista mentre, seduto presso la finestra, guardava il suo giardino gelato e bianco: - Mi auguro che il tempo cambi.
Ma la primavera non venne mai e nemmeno l'estate. L'autunno diede frutti d'oro a tutti i giardini, ma nemmeno uno a quello del gigante. Era sempre inverno laggiù e il vento del Nord, la Grandine, il gelo e la Neve danzavano tra gli alberi.

Una mattina il gigante udì dal suo letto: una dolce musica, risuonava tanto dolce alle sue orecchie che pensò fossero di musicanti del re che passavano nelle vicinanze. Era solo un merlo che cantava fuori dalla sua finestra, ma da tanto tempo non udiva un uccellino cantare nel suo giardino, che gli parve la musica più bella del mondo. La Grandine cessò di danzare sulla sua testa, il Vento del Nord smise di fischiare e un profumo delizioso giunse attraverso la finestra aperta.
- Credo che finalmente la primavera sia venuta - disse il gigante; balzò dal letto e guardò fuori della finestra.
Che vide? Una visione meravigliosa. I fanciulli entrati attraverso un'apertura del muro e sedevano sui rami degli alberi. Su ogni albero che il gigante poteva vedere c'era un bambino. Gli alberi, felici di riavere i fanciulli, s'erano ricoperti di fiori e gentilmente dondolavano i rami sulle loro testoline. Gli uccellini svolazzavano intorno cinguettando felici e i fiori sollevavano il capo per guardare di sopra l'erba verde e ridevano. Era una bella scena.

Solo in un angolo regnava ancora l'inverno. Era l'angolo più remoto del giardino, e vi stava un bambinetto. Era tanto piccolo che non riuscire a raggiungere il ramo dell'albero e vi girava intorno piangendo disperato. Il povero albero era ancora coperto dal gelo e dalla neve e sopra di esso il vento del nord fischiava.
- Arrampicati piccolo - disse l'albero e piegò i suoi rami quanto più poté: ma il bimbetto era troppo piccino. A quella vista il cuore del gigante si intenerì.
- Come sono stato egoista! - disse. - Ora so perché la primavera non voleva venire. Metterò quel bambino in cima all'albero poi abbatterò il muro e il mio giardino sarà, per sempre, il campo di giochi dei bambini.
Era veramente addolorato per quanto aveva fatto. Scese adagio le scale e aprì la porta d'ingresso. Ma quando i bambini lo videro, si spaventarono tanto che scapparono, e nel giardino regnò di nuovo l'inverno. Soltanto il bambinetto non scappò; i suoi occhi erano così colmi di lacrime che non vide venire il gigante. E il Gigante giunse di soppiatto dietro a lui, lo prese delicatamente nella sua mano e lo mise sull'albero. E l'albero fiorì, gli uccellini vennero a cantare e il bambino allungò le braccine, si avvicinò al collo del gigante e lo baciò.
Non appena gli altri bambini videro che il gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa e con essi venne la primavera. - Ora questo è il vostro giardino, bambini - disse il gigante e, presa una grande ascia, abbatté il muro.

A mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il gigante giocare con i bambini nel giardino più bello che avessero mai veduto. Giocarono tutto il giorno e la sera i bambini salutarono il gigante.
- Dov'è il vostro piccolo amico? - disse: - Il bambino che io ho messo sull'albero?.
Il gigante l'amava più di tutti perché l'aveva baciato.
- Non lo sappiamo - risposero i bambini - se n'è andato.
- Dovete dirgli che domani deve assolutamente venire - disse il gigante.
Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitasse e che prima non l'avevano mai veduto, e il gigante si sentì molto triste. Ogni pomeriggio, finita la scuola, i bambini venivano a giocare con il gigante. Ma il bambinetto che il gigante prediligeva non si vide più. Il gigante era molto buono con tutti, ma desiderava il suo piccolo amico e spesso parlava di lui.
- Quanto mi piacerebbe vederlo - diceva sovente.

Gli anni passarono, e il gigante divenne vecchio e debole. Non poteva più giocare; sedeva in una grande poltrona e osservava i bambini mentre giocavano e ammirava il suo giardino.
- Ho molti bei fiori - diceva - ma i bambini sono i fiori più belli.

Una mattina d'inverno, mentre si vestiva, guardò fuori dalla finestra. Ora non odiava più l'inverno perché sapeva che era soltanto la primavera addormentata e che i fiori si riposavano.

Ad un tratto si fregò gli occhi sorpreso e si mise a guardare intensamente. Era una cosa veramente meravigliosa. Nell'angolo più remoto del giardino v'era un albero interamente ricoperto di fiori bianchi. Dai rami d'oro pendevano frutti d'argento, e sotto di essi stava il bambinetto ch'egli aveva amato.
Il gigante scese di corsa e, tutto acceso di gioia, uscì nel giardino. Si affrettò sull'erba e s'avvicinò al bambino. Quando gli fu vicino si fece rosso di collera e disse:
- Chi ha osato ferirti? - perché il bambino aveva il segno di due chiodi sul palmo delle mani e sui piedi.
- Chi ha osato ferirti? - esclamò il gigante - dimmelo e io prenderò la mia grossa spada e l'ammazzerò.
- No - rispose il bambino - queste sono soltanto le ferite dell'amore.
- Chi sei? - chiese il gigante, e uno strano stupore s'impadronì di lui e s'inginocchiò dinanzi al bambino. Il bambino gli sorrise e disse:
- Un giorno mi lasciasti giocare nel tuo giardino, oggi verrai a giocare nel mio giardino, che è il Paradiso.
Quando nel pomeriggio i fanciulli entrarono di corsa nel giardino trovarono il gigante morto, ai piedi dell'albero tutto coperto di fiori candidi.

bambiniamoretenerezzapazienzaegoismochiusuraaperturagentilezzadonocondivisionebambinisperanzadisperazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Lianza, inserito il 29/01/2003

RACCONTO

84. Le cose non sempre sono quelle che sembrano

Due angeli viaggiatori si fermarono per passare la notte nella casa di una ricca famiglia. Era una famiglia di persone molto avare che si rifiutarono di far dormire i due angeli nella camera degli ospiti. Infatti concessero agli angeli solo un piccolo spazio fuori, nel duro e freddo pavimento del pergolato davanti alla casa. Mentre si preparavano come potevano un letto per terra il più vecchio degli angeli vide un buco nel muro e lo riparò. Quando l'angelo giovane gli chiese perché, lui rispose soltanto: "Le cose non sono sempre quello che sembrano".

La notte dopo la coppia di angeli cercò riparo nella casa di una molto povera ma, molto ospitale famiglia, dove furono accolti da un contadino e sua moglie. Dopo aver diviso con gli angeli il seppur poco cibo che avevano, i contadini cedettero agli angeli i propri letti, dove finalmente i viaggiatori si poterono riposare comodamente.

Quando il sole sorse, la mattina dopo, gli angeli trovarono l'uomo e sua moglie in lacrime. La loro unica mucca, la sola loro fonte di sostentamento, giaceva morta nel campo. Il giovane angelo ne fu infuriato a chiese al più vecchio come avesse potuto lasciare accadere una cosa del genere. "Al primo uomo, che pure aveva tutto, hai fatto un favore", lo accusò. "Questa famiglia seppure aveva pochissimo era pronta a dividere tutto, e tu hai lasciato morire la mucca!".

"Le cose non sono sempre quello che sembrano" replicò l'angelo. "Quando eravamo nel cortile della villa ho notato che c'era dell'oro nascosto nel muro e che si poteva scoprire grazie a quel piccolo buco. Siccome quell'uomo era così avaro e ossessionato dal denaro io ho riparato quel buco, così non avrebbe trovato anche quella ricchezza. Poi la notte scorsa quando dormimmo nel letto del contadino l'angelo della morte venne per sua moglie. Io invece di lei gli ho dato la mucca. Le cose non sono sempre quello che sembrano".

futuroprogetto di DiomisteroProvvidenza

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 14/12/2002

RACCONTO

85. Eliogabalo e matusalemme   1

Bruno Ferrero, Novena di Natale

Il piccolo e zoppo Matusalemme ed Eliogabalo (detto Gabalo) erano due ragazzi poveri della città. Avevano sempre vissuto, dalla nascita, nel collegio dei ragazzi poveri. "Sai che domani è Natale?" chiese Gabalo, un giorno che tutti e due stavano spalando la neve dall'ingresso dell'istituto. "Ah, davvero?" rispose Matusalemme. "Spero proprio che la signora Pynchurn non se ne accorga. Diventa particolarmente antipatica nei giorni di festa!". L'antipatica signora Pynchum era la direttrice dell'istituto dei poveri, ed era temuta da tutti.

Matusalemme proseguì: "Gabalo, tu credi che Babbo Natale ci sia davvero?". "Certo che c'è". "E allora perché non viene mai qui alla casa dei poveri?". "Beh", rispose Gabalo, "noi stiamo in una strada tutte curve, lo sai no? Forse Babbo Natale non riesce a trovarla". Gabalo cercava sempre di mostrare a Matusalemme il lato bello delle cose, anche quando non c'era!

Proprio in quel momento un'automobile investì un povero cane che cadde riverso sulla neve. Gabalo corse subito in suo aiuto e vide che aveva una zampa rotta. Fece una stecca e fasciò strettamente la zampa del cane. Gabalo lesse sul collare che il cane apparteneva al dottor Carruthers, un medico famoso nella città. Lo prese in braccio e si avviò verso la casa dei dottore.

Il dottore aveva una gran barba bianca lo accolse con un sorriso e gli chiese chi aveva immobilizzato e steccato così bene la zampa dei cane.

"Perbacco, io, signore", rispose Gabalo e gli raccontò di tutti gli altri animali ammalati che aveva guarito. "Sei un ragazzo davvero in gamba!" gli disse alla fine il dottor Carruthers guardandolo negli occhi. "Ti piacerebbe venire a vivere da me e studiare per diventare dottore?".

Gabalo rimase senza parole. Andare lontano dalla signora Pynchum e non essere più uno "della Casa dei Poveri", diventare un dottore! "Oh, oh s-s-sì, signore! Oh...". Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Gabalo se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Matusalemme? "Io... io vi ringrazio, signore" disse. "Ma non posso venire, signore! E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime corse fuori dalla casa".

Quella sera, il dottor Carruthers si presentò all'istituto con le braccia cariche di pacchetti. Quando Matusalemme lo vide cominciò a gridare: "E' arrivato Babbo Natale!". Il dottore scoppiò a ridere e, mentre consegnava al ragazzo un pacchetto dai vivaci colori, notò che zoppicava e gli fece alcune domande. Dopo un attimo, il dottor Carruthers disse: "Conosco un ospedale in città dove potrebbero guarirti. Hai parenti o amici?". "Oh, sì", rispose subito Matusalemme, "ho Gabalo!". Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Gabalo. "E' per lui che non hai voluto venire a stare da me, figliuolo". "Beh, io... io sono tutto quello che lui possiede", rispose Gabalo. Il dottore, profondamente commosso, disse: "E se prendessi anche Matusalemme con noi?".

Questa volta a Gabalo non importò che tutti vedessero le sue lacrime, e Matusalemme si mise a battere le mani dalla gioia. Naturalmente non sapeva che sarebbe guarito e che un giorno Gabalo sarebbe diventato un chirurgo famoso. Tutto quello che sapeva era che Babbo Natale aveva trovato la strada per la casa dei poveri e che lo portava via con Gabalo.

Natalepovertàamiciziasolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

RACCONTO

86. Alla ricerca dell'amore perduto di mamma e papà

Mamma e papà di Paola non si amavano più. Paola buona e mite, capiva tutto. Papà e mamma erano pieni d'ira e si voltavano la schiena. Papà, una volta, aveva rotto un bicchiere dando un pugno sulla tavola e mamma aveva schiaffeggiato Paola, perché non osava ancora schiaffeggiare papà.

Paola andava dall'uno all'altra, e diceva delle parole piacevoli per farli ridere, raccontava tutte le cose buffe che le erano capitate e quello che era successo a scuola, tentava di riconciliarli.

Un giorno, che la cosa sembrava particolarmente grave, Paola aveva addirittura finto di essersi avvelenata con la benzina per smacchiare. Voleva che i genitori facessero la pace al suo capezzale.

Tre mesi dopo, tutto era ricominciato. Paola continuava il suo lavoro di formica. E non disperava. Di notte, nel suo lettino, stringeva forte forte al cuore il suo tigrotto di stoffa', che si chiama Titì, e che era spelacchiato e malconcio per i tanti abbracci, baci, Nutella e lacrime che in nove anni Paola gli aveva rovesciato addosso. Dalla camera di papà e mamma filtravano spesso strilli e imprecazioni soffocate, e il rumore degli attaccapanni sbattuti di malagrazia. Paola si premeva forte le mani sulle orecchie e pregava: «Signore, per piacere, falli smettere!».

Quando arrivava un estraneo e osservava gli occhi gonfi di mamma, e papà afono per aver troppo gridato, Paola preveniva le critiche e diceva: «Vedi, è colpa delle cipolle». Oppure: «Non conosce una medicina per papà? Ha il mal di gola e non può più parlare».

Una strana voce nella notte

Una notte, Paola fu svegliata dalla solita baruffa. Dormiva abbracciata a Titì e sentì chiaramente: «Basta! Non possiamo continuare così!», diceva mamma.
«Sei tu che vuoi sempre avere ragione!» ribatté papà.
«Che cosa suggerisci, sapientona?».

«Ci... dividiamo. Ognuno per conto suo e... non se ne parli più!».
La casa si riempì di silenzio.

Ma qualcuno con un buon udito avrebbe potuto sentire il piccolo cuore di Paola che batteva all'impazzata: «Tum... tum... tum...», mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. «Non voglio! Non voglio!». Mormorava piano piano.
«E allora parti!», disse una voce.
Paola trattenne il fiato per la sorpresa.
«Chi ha parlato? Chi c'è qui?», domandò un tantino inquieta.
«Sono io. Titì», riprese fiera la vocina.

Paola accese la luce del comodino ed esaminò il tigrotto di stoffa.
«Tu, parli?».
Gli occhi di vetro di Titì brillarono come fossero veri.

«Quando ci vuole, ci vuole», bofonchiò. «Chi ama tanto, può far parlare anche le pietre, se è solo per questo. Ora ascoltami bene: posso parlare solo una volta nella vita, anche se la vita di un animale di stoffa è piuttosto lunga e non mi posso lamentare. E certo che la vita con te è piuttosto... umida».
«Scusami», sussurrò Paola.

«Non c'è di che. Quando avevi tre mesi mi inondavi con ben altro... Ecco quello che devi fare: vai a riprendere l'amore perduto di mamma e papà».
«Dove?».
«C'è un posto dove si trovano tutti gli amori perduti.

Non perdere tempo; bisogna riportarli finché sono ancora vivi, caldi e luminosi; altrimenti non c'è niente da fare... Puoi andare soltanto tu. Prenditi lo zainetto: l'amore di un papà e una mamma è pesante».

«Ma non conosco la strada». Protestò Paola mentre si vestiva e indossava il fedele zainetto scolastico.
«La troverai. Parti diritto avanti a te».
«Ma c'è il muro!».
«Fidati di me. Tira diritto!».

Paola chiuse gli occhi e... passò attraverso il muro.

La polvere luccicante

Si trovò in un giardino intersecato da molti sentieri. Ne imboccò uno. Dopo un po', scorse su una panchina qualcosa che brillava. Si avvicinò e vide che era un pezzettino dell'amore di mamma e papà. Naturalmente lo riconobbe subito, perché i figli sono fatti con l'amore di mamma e papà. Poco più in là, vicino a una grande quercia, vide un altro pezzettino, appena uno spolverio, dell'amore di mamma e papà. Si avvicinò e vide che, in un angolino del tronco rugoso, erano incise alcune parole: «Riccardo e Ornella, per sempre».

«Sono mamma e papà», mormorò Paola. Raccolse la polvere luccicante e la infilò nello zainetto con il pezzetto che aveva già trovato. «Di questo passo, ci metterò un sacco di tempo» si disse.

Proprio in quel momento alzò gli occhi e vide il cartello indicatore: «Deposito amori perduti. Di qua».

«Grazie», sussurrò e cominciò a camminare. Il paesaggio cominciò a cambiare e prese a soffiare un vento gelido e, tagliente. Paola si strinse rabbrividendo dentro il «pile». Solo la polvere d'amore che aveva trovato mandava un lieve tepore. La pista ghiaiosa finiva stroncata in una palude triste e minacciosa. Un cartello festonato di ragnatele polverose indicava: «Palude del Mio-mio».

«Sempre diritto!», fece Paola ad alta voce. Strinse i pugni e si incamminò nel fango.

Ogni passo le costò fatica e lacrime. Il fango della palude era vischioso e cercava di trattenerla. Ma Paola arrivò dall'altra parte. La strada riprendeva con una ripida salita e dopo alcuni tornanti si interrompeva bruscamente.

Paola era stanca e quando scorse che cosa l'attendeva, si accasciò avvilita.

«Oh, no!». Quello che aveva davanti era il peggiore dei precipizi che avesse mai visto. E per di più lei pativa le vertigini. Incastrato sull'orlo del dirupo faceva capolino il solito cartello scheggiato: «Salto della fiducia».

La parola «salto» non diceva niente di buono a Paola, ma la prospettiva di tornare ad affrontare la palude era altrettanto tremenda. Si affacciò sul ciglio del precipizio, chiuse gli occhi, strinse i pugni e saltò.

Il sentiero di rose

Atterrò sul soffice. Si trovò su uno strato di rose enormi, profumate, colorate, morbide come seta. Si rialzò e ricominciò a camminare con decisione. Troppa decisione. Le sue gambe affondarono e le spine, spine enormi come le rose, la ferirono.
«Ahi!», gridò Paola.

Un'ape che ronzava come un elicottero con il suo canestrino per raccogliere nettare, la rimbrottò severamente.

«Devi essere delicata, se vuoi camminare sulle rose. Non lo sai?».

«Grazie, signora ape. È che sto cercando l'amore perduto di mamma e papà».

«Sei quasi arrivata. Vai sempre diritto. E mi raccomando... Delicatezza e rispetto!».

Paola riprese a camminare, facendo molta attenzione a dove poggiava i piedi. Il sentiero di rose si fece sempre più solido e sicuro. Finalmente, dopo una collinetta color tramonto, Paola arrivò a una strana costruzione. Il cartello non lasciava dubbi: «Deposito degli amori perduti. Fare lo scontrino alla cassa».

La gioia di Paola si velò di preoccupazione. Aveva esattamente cinquecento e cinquanta lire in una tasca dello zainetto. Quanto poteva costare lo scontrino per ritirare un amore perduto?

C'erano altre persone che facevano la coda davanti a un burbero cassiere, che teneva in mano una bilancia a due piatti: su uno poneva l'amore perduto richiesto, sull'altro il prezzo che il richiedente era disposto a pagare.

A quanto pareva nessuno riusciva a pagare la somma richiesta. E il cassiere, inflessibile, li rimandava indietro.

Davanti a Paola c'era un uomo triste e grigio. Mise sul piatto della bilancia un miliardo. Mille milioni uno sull'altro. Ma il piatto della bilancia non si mosse neanche un po'. L'amore perduto pesava molto, molto di più. L'uomo se ne andò, più triste e più grigio di prima.

Paola era davvero preoccupata. Stringendo in pugno le sue due monete, guardò il cassiere e disse con la sua voce da passerotto: «Vorrei l'amore perduto di mamma e papà».

Il cassiere aprì un armadio e ne tirò fuori un grosso amore che sistemò sul piatto della bilancia.
«È ancora caldo e luminoso, meno male», pensò Paola.
«Come paghi?», chiese severo il cassiere.

Paola allungò esitante la mano con le monete, poi con un'improvvisa ispirazione, si sedette sull'altro piatto della bilancia. I due piatti scattarono e si fermarono in perfetta parità.
«O.K. Il prezzo è giusto!», disse il cassiere.

Paola lo abbracciò felice. Prese l'amore di mamma e papà e... si trovò a casa.

«Anche noi dobbiamo fare un viaggio»

Quando mamma e papà furono seduti a tavola per fare colazione, Paola arrivò in pigiama e senza parlare posò in mezzo al tavolo l'amore che aveva ritrovato. Un'ondata di calore e di felicità, di baci e di voglia di cantare, invase la casa. Mamma e papà guardarono la loro bambina con occhi che brillavano di una luce tenera. Paola aspettava.

Mamma e papà sorrisero. Per le sue misteriose vie, l'amore era tornato al suo posto.
«Grazie, Paoletta», disse mamma. «Abbiamo capito».

«E ora dobbiamo fare un viaggio. Anche noi...», continuò papà.

Paola li abbracciò tutti e due con un lungo e riconoscente sospiro di sollievo.

amorematrimoniocoppiasacrificiocrocefedeltàfamiglia

inviato da Sergio B., inserito il 11/12/2002

RACCONTO

87. Il segreto

Anthony de Mello, Dove non osano i polli

Un discepolo andò dal suo maestro e disse, astioso: "Tu mi nascondi il segreto ultimo della contemplazione!".
"Nient'affatto", rispose il maestro.
"E invece sì!", ribadì l'allievo, e si allontanò risentito.
Capitò che i due si ritrovarono camminando all'alba ai piedi della montagna e udirono un uccello cantare al primo giorno.
Il maestro chiese: "Hai sentito l'uccello cantare?".
L'allievo rispose: "Si. L'ho sentito".
Il maestro rispose: "Adesso sai che non ti ho nascosto nulla".

contemplazionestupore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marco Centurione, inserito il 04/12/2002

RACCONTO

88. Il bambino e il santo

Gopal Mukerji

Un giorno, un santo si fermò da noi. Mia madre lo scorse nel cortile, mentre faceva divertire i bambini. "Oh", - mi disse - "è proprio un santo; puoi andargli incontro, bambino mio".

Il santo posò la mano sulla mia spalla e mi chiese: "Bimbo mio, che cosa vuoi fare?".
"Non lo so. Che cosa vuoi che faccia?".
"No, dimmi tu cosa vuoi fare".
"A me piace giocare".
"Allora vuoi giocare con il Signore?".

lo non seppi cosa rispondere. Egli continuò: "Vedi, se tu potessi giocare con il Signore, sarebbe la cosa più grande del mondo. Tutti lo prendono talmente sul serio che lo rendono mortalmente noioso... Gioca con Dio, bambino mio: è il più meraviglioso compagno di gioco".

rapporto con Diogioiagioco

inviato da Barbara, inserito il 02/12/2002

RACCONTO

89. La presenza di Dio   1

Storie dei Padri del deserto

Un giorno un giovane monaco chiese al suo abate, da tutti considerato una persona santa: "Come posso essere certo di essere alla presenza di Dio?". L'abate rispose: "Tu hai tanto controllo su di essa quanto hai potere di far sorgere il sole". Esasperato, il giovane esclamò: "Ma allora a cosa servono tutti i nostri esercizi spirituali e le preghiere?". "Tu fai queste cose per essere certo di essere sveglio quando si leva il sole".

rapporto con Diopreghiera

inviato da Eleonora Polo, inserito il 29/11/2002

RACCONTO

90. Il re di spagna

Paulo Coelho, I racconti del maktub

C'era un re spagnolo che era molto orgoglioso della sua stirpe. Era anche conosciuto per essere crudele con quelli più deboli. Un giorno stava camminando con i suoi anziani consiglieri in un campo in Aragona, dove, anni prima, suo padre era caduto in battaglia. Lì incontrarono un sant'uomo, che stava raccogliendo un enorme mucchio di ossa. "Cosa stai facendo?" chiese il re. "Onore a Sua Maestà" disse il sant'uomo. "Quando ho saputo che il re di Spagna sarebbe venuto qui, ho deciso di ritrovare le ossa di suo padre per dargliele. Ma per quanto cerchi, non riesco a trovarle. Sono uguali a quelle dei contadini, dei poveri, dei mendicanti e degli schiavi".

uguaglianzagiustiziamorteparità

inviato da Anna Lianza, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

91. Il discepolo e i desideri negativi

Paulo Coelho, I racconti del maktub

Il discepolo disse al suo maestro: "Ho trascorso la maggior parte del giorno pensando cose che non avrei dovuto pensare, desiderando cose che non avrei dovuto desiderare e a preparare piani che non dovrebbero essere fatti". Il maestro invitò il discepolo a fare una passeggiata con lui nella foresta dietro la sua casa. Lungo il cammino, indicò una pianta, e chiese al discepolo se ne conoscesse il nome. "Belladonna", disse il discepolo. "Può uccidere chiunque mangi le sue foglie". "Ma non può uccidere nessuno che semplicemente la osservi", disse il maestro. "Allo stesso modo, desideri negativi non possono causare del male se non permetti a te stesso di esserne sedotto".

peccatotentazionedebolezza

inviato da Anna Lianza, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

92. L'illuminazione

Paulo Coelho, I racconti del maktub

Il discepolo si avvicinò al suo maestro: "Per anni sono stato alla ricerca dell'illuminazione", disse. "Sento che sono vicino a raggiungerla. Ho bisogno di sapere qual è il prossimo passo". "Come ti mantieni?", chiese il maestro. "Non ho ancora imparato ad essere autonomo; i miei genitori mi aiutano. Ma quello è solo un dettaglio". "Il tuo prossimo passo è guardare direttamente al sole per mezzo minuto", disse il maestro. Il discepolo obbedì. Quando passarono i trenta secondi, il maestro chiese di descrivere ciò che li circondava. "Non riesco a vedere. Il sole mi ha accecato la vista", disse il discepolo. "Un uomo che cerca solo la luce, evitando le proprie responsabilità, non troverà mai l'illuminazione. E uno che tiene i propri occhi fissi sul sole rimane cieco", fu il commento del maestro.

responsabilitàimpegnoquotidianità

inviato da Anna Lianza, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

93. L'isola dei sentimenti   1

C'era una volta un'isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini: la Ricchezza, l'Orgoglio, la Tristezza, il Buon Umore, il Sapere... così come tutti gli altri, incluso l'Amore.

Un giorno venne annunciato ai Sentimenti che l'isola stava per sprofondare, allora prepararono tutte le loro navi e partirono. Solo l'Amore volle aspettare fino all'ultimo momento.

Quando l'isola fu sul punto di sprofondare, l'Amore decise di chiedere aiuto.

La Ricchezza passò vicino all'Amore su una barca sfavillante e lussuosa e l'Amore le disse: "Ricchezza, mi puoi portare con te?", rispose: "Non posso, c'è molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te".

L'Amore decise allora di chiedere all'Orgoglio che stava passando su un magnifico vascello: "Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?", "Non ti posso aiutare, Amore...", rispose l'Orgoglio, "qui è tutto ordinato e perfetto, potresti rovinare la mia barca".

L'Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto: "Tristezza ti prego, lasciami venire con te", "Oh amore", rispose la Tristezza "sono così triste che ho assoluto bisogno di stare sola".

Anche il Buon Umore passò di fianco all'Amore, ma era così contento che non sentì la voce dell'Amore che lo stava chiamando.

All'improvviso una voce disse: "Vieni amore, ti prendo con me" Era un vecchio che aveva parlato. L'Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio. Quando arrivarono sulla terra ferma il vecchio che aveva parlato se ne andò.

L'Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere: "Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?", il Sapere rispose: "È stato il Tempo". "Il Tempo?" si domandò l'Amore, "Perché mai il Tempo mi ha aiutato?", il Sapere, con la sua saggezza rispose: "Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l'amore sia importante nella vita".

amoresentimentisaggezzatempo

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inviato da Anna Barbi, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

94. La meravigliosa storia dell'elefante   1

Un tempo antico in un paese dell'Arabia regnava il califfo Omar, ricco e benvoluto perché era saggio. Era di larghe vedute e non si arrestava all'apparenza delle cose. Prima di esprimere dei giudizi si sforzava sempre di comprendere le relazioni e i legami che ci sono tra i fatti anche se a prima vista potevano apparire isolati e diversi. Egli era perciò rattristato per la grettezza di spirito dei suoi ministri che non vedevano più in là del loro naso.

"Va in giro per il mio regno" disse un giorno il califfo ad un servo fidato "e trova, se ti riesce, tutti gli uomini sfortunati dalla nascita che non hanno mai potuto vedere e che non hanno mai sentito parlare degli elefanti".

Il servo fedele eseguì l'ordine e dopo qualche tempo ritornò con alcuni ciechi fin dalla nascita. Essi erano cresciuti sperduti in piccoli villaggi tra le montagne perciò degli elefanti non avevano mai sentito parlare e non ne supponevano nemmeno l'esistenza. Il califfo fece un gran ricevimento con tutti i suoi ministri e alla fine del banchetto fece entrare un grosso elefante da una porta di bronzo e i ciechi da un'altra porta più piccola.

"Mi sapreste dire che cosa è un elefante?" chiese il califfo ai ciechi.
"No, mai sentita questa parola", risposero i ciechi.

"Ebbene, davanti a voi c'è un elefante: toccatelo, cercate di comprendere di che cosa si tratta. Colui che darà la risposta esatta riceverà in premio 100 monete d'oro".

I ciechi si affollarono intorno all'animale e cominciarono a toccarlo con attenzione soffermandosi sulle sensazioni che ricevevano. Un cieco stava lisciando da cima a fondo una zampa, la pelle dura e rugosa gli sembrava pietra e la forma era di un lungo e grosso cilindro. "L'elefante è una colonna!" esclamò soddisfatto.

"No, è una tromba!" disse il cieco che aveva toccato solo la proboscide.

"Niente affatto, è una corda!" esclamò il cieco che aveva toccato la coda.

"Ma no, è un grosso ventaglio" ribattè chi aveva toccato l'orecchio.

"Vi sbagliate tutti: è un grosso pallone gonfiato!" urlò il cieco che aveva toccato la pancia.

Tra loro c'era il più grande scompiglio e disaccordo perché ciascuno, pur toccando soltanto una parte credeva di conoscere l'intero elefante.

Il califfo, soddisfatto, si rivolse ai suoi ministri: "Chi non si sforza di avere della realtà una visione più ampia possibile, ma si accontenta degli aspetti separati e parziali senza metterli in relazione tra loro, si comporta come questi ciechi. Egli potrà conoscere a fondo tutte le righe della zampa dell'elefante, ma non vedrà mai l'animale intero, anzi, non saprà mai che esiste un siffatto animale".

apparenzalarghezza di vedutenon giudicaregiudizio

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inviato da Furetto, inserito il 23/11/2002

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95. L'aragosta

Tanto tempo fa, quando il mondo era nuovo, una certa aragosta decise che il Creatore aveva fatto un errore.

Così fissò un appuntamento per discutere con Lui la questione.

"Con tutto il dovuto rispetto" disse l'aragosta, "Vorrei protestare per il modo in cui ha disegnato il mio guscio. Vedi, appena mi abituo al mio rivestimento esterno, ecco che devo abbandonarlo per un altro molto scomodo. Oltretutto è una perdita di tempo!".

Il Creatore replicò: "Capisco, ma ti rendi conto che è proprio il lasciare un guscio che ti permette di andare a crescere dentro un altro?".
"Ma io mi piaccio così come sono", disse l'aragosta.

"Hai proprio deciso così?" chiese il Creatore. "Certo!" rispose l'aragosta.

"Molto bene" sorrise il Creatore "D'ora in poi il tuo guscio non cambierà e tu continuerai ad essere così come sei ora"... "Molto gentile da parte tua" disse l'aragosta, e se ne andò.

L'aragosta era molto contenta di poter indossare lo stesso vecchio guscio, ma giorno dopo giorno quel che era prima una leggera e confortevole protezione cominciò a diventare ingombrante e scomodo. Alla fine l'animale non riusciva più a respirare. Con grosso sforzo tornò a parlare con il Creatore.

"Con tutto il rispetto" sospirò l'aragosta, "contrariamente a quello che mi avevi promesso, il mio guscio non è rimasto lo stesso. Continua a restringersi sempre di più!".

"No di certo" sorrise il Creatore. "Il tuo guscio è rimasto della stessa misura. Quello che è successo è che TU sei cambiata all'interno del guscio!".

Il Creatore continuò: "Vedi, tutto cambia, continuamente. Nessuno resta lo stesso. E' così che ho creato le cose. La possibilità più interessante che tu hai è quella di poter lasciare il tuo vecchio guscio, quando cresci."

"Aaah, capisco!" disse l'aragosta. "Ma devi ammettere che ciò è abbastanza scomodo!".

"Sì" rispose il Creatore. "Ma ricorda: ogni crescita porta con sé la possibilità di un disagio, insieme alla grande gioia di scoprire nuovi aspetti di se stesso. Dopo tutto, non si può avere l'uno senza l'altro!".
"Tutto ciò è molto saggio!" rispose l'aragosta.

"Ogni volta che lascerai il tuo vecchio guscio" continuò il Creatore "e sceglierai di crescere, costruirai una forza nuova in te. E in questa forza troverai nuove capacità di amare te stessa e di amare coloro che ti sono accanto... di amare la vita stessa! E' questo il mio progetto per ognuno di voi".

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inviato da Luca Mazzocco, inserito il 24/09/2002

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96. La furbizia del Maligno   1

San Antonino, Arcivescovo di Firenze, un giorno si trovò il demonio accanto al confessionale. Subito gli chiese: "Che fai qui, brutta bestia?".

Il demonio rispose: "Vengo a restituire".

"Che cosa?" replicò il Santo.

"Vengo a restituire la vergogna ai fedeli che stanno per confessarsi. L'ho loro tolta quando li ho istigati al male, affinché non paventando più il peccato, si decidessero a commetterlo. Adesso la restituisco affinché, arrossendo per quanto hanno fatto, si decidano a non manifestare le loro colpe".

confessionericonciliazionepentimentoconversioneperdonodiavolo

5.0/5 (2 voti)

inviato da Luigi Basile, inserito il 19/09/2002

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97. Una banconota da 50 euro   1

Giorgio, con la faccia triste e abbattuta, si ritrova con la sua amica Linda in un bar per prendere un caffè. Depresso, scarica su di lei tutte le sue preoccupazioni... e il lavoro... e i soldi... e i rapporti con la ragazza... e la vocazione!...

Tutto sembra andar male nella sua vita. Linda introduce la mano nella borsa, prende un banconota da 50 euro e gli dice: "Vuoi questo biglietto?". Giorgio, all'inizio un po' confuso, gli rispondi: "Certo Linda... sono 50 euro, chi non li vorrebbe?".

Allora Linda prende il biglietto in una mano e lo stringe forte fino a farlo diventare una piccola pallina. Mostrando, poi, la pallina accartocciata a Giorgio, gli chiede di nuovo: "E adesso, lo vuoi ancora?". "Linda, che vuoi dire, continuano ad essere 50 euro. Certo che lo prendo, se me lo dai".

Linda spiegò il biglietto, lo gettò a terra e lo stropicciò ulteriormente con il piede, lo sporcò, lo segnò e riprendendolo chiese ancora: "Continui a volerlo?".

"Ascolta Linda, dove vuoi arrivare? Un biglietto da 50 euro resta tale e finché non lo rompi, conserva il suo valore".

"Caro Giorgio, devi sapere che anche se a volte qualcosa non riesce come vuoi, anche se la vita ti piega o ti accartoccia, continui a essere tanto importante come lo sei sempre stato. Ciò che devi chiederti è quanto vali in realtà e non quanto puoi essere abbattuto in un particolare momento."

Giorgio guardò Linda senza dire una parola. Linda mise il biglietto spiegazzato vicino a Giorgio, sul tavolo, e con un sorriso disse: "Prendilo, così da ricordare questo momento... però mi devi un biglietto nuovo da 50 euro che forse dovrò usarlo con il prossimo amico che ne abbia bisogno". Gli diede un bacio e si allontanò.
Giorgio guardò il biglietto, sorrise, lo guardò ancora, chiamò il cameriere per pagare il conto.

Quante volte dubitiamo del nostro valore? Certo non basta il solo proposito... Si richiede azione ed esistono molte strade da seguire.

Rispondi a queste domande:
1 - Nomina le 5 persone più ricche del mondo.
2 - Nomina le 5 ultime vincitrici del concorso Miss Universo.
3 - Nomina 10 vincitori del premio Nobel.
4 - Nomina i 5 ultimi vincitori del premio Oscar come miglior attore o attrice.
Come va? Male? Non preoccuparti. Nessuno di noi ricorda i migliori di ieri. E gli applausi se ne vanno! E i trofei s'impolverano! E i vincitori si dimenticano!

Adesso rispondi a queste:
1 - Nomina 3 professori che ti hanno aiutato nella tua formazione.
2 - Nomina 3 amici che ti hanno aiutato in tempi difficili.
3 - Pensa ad alcune persone che ti hanno fatto sentire speciale.
4 - Nomina 5 persone con cui passi il tuo tempo.
Come va? Meglio? Le persone che segnano la differenza nella tua vita non sono quelle con le migliori credenziali, con molti soldi o i migliori premi... Sono quelle che si preoccupano per te, che si prendono cura di te, quelle che ad ogni modo stanno con te.



vitafuturosperanzaottimismofiducia in se stessiesterioritàinterioritàvalorescopertaaccettazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 29/08/2002

RACCONTO

98. Al suo posto   2

Bruno Ferrero, C'è qualcuno lassù

Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina. In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di «Cristo delle grazie». Arrivava gen­te da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.

Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiede­re anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all'immagine, pregò: «Signore, voglio soffrire con te. Lasciami prendere il tuo posto. Voglio stare io sulla croce».

Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.

Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse: «Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione: qualunque cosa succeda, qualun­que cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio».
«Te lo prometto, Signore».
Avvenne lo scambio.

Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c'era Se­bastiano inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell'eremita. I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva. Finché un giorno...

Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenti­cò sul gradino la sua borsa piena di monete d'oro. Sebastiano vide, ma conservò il silenzio. Non parlò neppure un'ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne an­dò. Né aprì bocca quando davanti a lui si inginoc­chiò un giovane che chiedeva la sua protezione pri­ma di intraprendere un lungo viaggio per mare. Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l'uomo ricco che, credendo che fosse stato il giova­ne a derubarlo della borsa di monete d'oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido: «Fermi!».

Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare. Sebastiano spiegò come erano andate le cose. Il ricco corse allora a cercare il povero. Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio. Quando nel santuario non ri­mase più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò.

«Scendi dalla croce. Non sei degno di occupare il mio posto. Non hai saputo stare zitto».

«Ma, Signore» protestò, confuso, Sebastiano. «Dovevo permettere quell'ingiustizia?».

«Tu non sai» rispose il Signore, «che al ricco conv­eniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un'ingiustizia. Il povero, al contra­rio, aveva un gran bisogno di quel denaro. Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l'imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare».

Lo scrittore Piero Chiara, poco religioso, era molto ­amico dello scultore Francesco Messina, che era invece profondamente credente.

Quando Chiara era prossimo alla morte, Messina si recò al suo capezzale e, prendendogli la mano, gli chiese: «Dimmi, Piero, come stai a fede?».

Chiara lo fissò con gli occhi dolenti e rispose: «lo mi fido di te».

Sono le parole più belle che possiamo dire ad un amico: «lo mi fido di te».

È la preghiera più bella che possiamo rivolgere a Dio: «lo mi fido di Te».

provvidenzafiduciafedeabbandonovolontà di Dioprogetto di Dio

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 14/06/2002

RACCONTO

99. A piccoli passi   2

Bruno Ferrero, L'Importante è la Rosa, ElleDiCi

Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell'umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese:
"Che cosa devo fare per la pace del mondo?".
San Francesco di Sales gli rispose sorridendo:
"Non sbattere la porta così forte...".

Sono sempre i piccoli inconvenienti che fanno i grandi litigi. Molti divorzi cominciano per dei calzini dimenticati sotto il letto. Ma anche i grandi amori sono fatti di tante piccole cose.

paceattenzione alle piccole coseimportanza del singolo

4.0/5 (1 voto)

inviato da Mariangela Molari, inserito il 14/06/2002

RACCONTO

100. Semplicità dell'amicizia   1

Anonimo africano

Due amici vivevano in due villaggi l'uno dall'altro lontani.

Una sera scoppiò un gran temporale, e la luna non c'era; ma uno dei due amici si svegliò ed ebbe voglia di andare a trovare l'altro. Si mise in cammino, benché avesse paura che un fulmine potesse colpirlo o il fantasma della notte mangiarlo.

Ma non si fermò fino a che non fu giunto alla capanna dell'amico. Era fradicio come fosse caduto in un fiume, ma portò nel capanno legna secca ed asciutta, accese il fuoco e fece cuocere il riso da offrire all'amico che frattanto si era svegliato.

«Perché sei venuto di notte, con questo tempaccio?», gli chiese l'amico.

«Perché mi era venuta voglia di stare vicino a te. Forse che il temporale ti ha chiesto il suo permesso per scoppiare?».

amoreamicizia

4.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Peyron, inserito il 13/06/2002

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