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ESPERIENZA
61. Tre storie della vita di Steve Jobs 3
Nella vita le sconfitte sono le svolte migliori. Perché costringono a pensare in modo diverso e creativo.
Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.
La prima storia è su una cosa che io chiamo "unire i puntini" di una vita.
Quand'ero ragazzo, ho abbandonato l'università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l'ho fatto? E' iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia - all'ultimo minuto - disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?". Loro risposero: "Certamente! ". Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l'uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l'adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l'inizio della mia vita.
Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.
Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.
Era molto difficile all'epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.
Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.
Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Consentitemi di fare subito un esempio.
Il Reed College all'epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le 'grazie', capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.
Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un'applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. è stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all'epoca in cui ero al college era impossibile per me 'unire i puntini' guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all'indietro.
Insomma, non è possibile 'unire i puntini' guardando avanti; si può unirli solo dopo, guardandoci all'indietro. Così, bisogna aver sempre fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Bisogna credere in qualcosa: il nostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Perché credere che alla fine i puntini si uniranno ci darà la fiducia necessaria per seguire il nostro cuore anche quando questo ci porterà lontano dalle strade più sicure e scontate, e farà la differenza nella nostra vita. Questo approccio non mi ha mai lasciato a piedi e, invece, ha sempre fatto la differenza nella mia vita.
La mia seconda storia è a proposito dell'amore e della perdita.
Io sono stato fortunato: ho scoperto molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Steve Wozniak e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in dieci anni Apple è diventata - da quell'aziendina con due ragazzi in un garage che era all'inizio - una compagnia da 2 miliardi di dollari con oltre 4 mila dipendenti.
Nel 1985 - io avevo appena compiuto 30 anni e da pochi mesi avevamo realizzato la nostra migliore creazione, il Macintosh - sono stato licenziato.
Come si fa a venir licenziati dall'azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l'azienda insieme a me, e per il primo anno le cose erano andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era saltato e io ero completamente devastato.
Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me; come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l'ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.
Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L'evolvere degli eventi con Apple non aveva cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.
Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti, consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.
Durante i cinque anni successivi fondai un'azienda chiamata NeXT e poi un'altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, 'Toy Story', e adesso è lo studio di animazione di maggior successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono tornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple. Mia moglie Laurene e io abbiamo una splendida famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. è stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente.
Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però. Sono convinto che l'unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l'amore per quello che ho fatto. Bisogna trovare quel che amiamo. E questo vale sia per il nostro lavoro che per i nostri affetti. Il nostro lavoro riempirà una buona parte della nostra vita, e l'unico modo per essere realmente soddisfatti è di fare quello che riteniamo essere un buon lavoro. E l'unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che facciamo. Chi ancora non l'ha trovato, deve continuare a cercare. Non accontentarsi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie d'amore, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, bisogna continuare a cercare sino a che non lo si è trovato. Senza accontentarsi.
La terza storia è a proposito della morte.
Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, un giorno avrai sicuramente ragione". Mi colpì molto e da allora, negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: "Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?". E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c'è qualcosa che deve essere cambiato.
Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siamo già nudi. Non c'è ragione, quindi, per non seguire il nostro cuore.
Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la Tac alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Prima non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile, che sarei morto entro i prossimi tre, al massimo sei mesi. Quindi sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi di poter dire loro in dieci anni. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi addio.
Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell'analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini, per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l'intervento chirurgico e adesso, per fortuna, sto bene.
Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche l'unica per qualche decennio. Essendoci passato attraverso, adesso posso parlarvi con un po' più di cognizione di causa di quando la morte per me era solo un concetto astratto.
Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso, in realtà non vogliono morire per andarci. Ma la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. E' l'agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo.
Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.
Quando ero un ragazzo, c'era un giornale incredibile che si chiamava 'The Whole Earth Catalog', praticamente una delle bibbie della mia generazione. E' stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci aveva messo dentro tutto il suo tocco poetico. E' stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fatto con macchine per scrivere, forbici e foto Polaroid. E' stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.
Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di 'The Whole Earth Catalog' e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono l'ultimo numero. Era più o meno la metà degli anni Settanta. Nell'ultima pagina di quel numero finale c'era la fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l'autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c'erano le parole: 'Stay Hungry. Stay Foolish', siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish: io me lo sono sempre augurato per me stesso.
E adesso lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish.
vitasconfittacreativitàentusiasmoperditamorteprogetti
inviato da Lisa, inserito il 06/11/2011
TESTO
Ignazio di Antiochia, II secolo
Formate un solo coro, prendendo tutti la nota da Dio. Tendendo alla piena unità concertate nella più stretta concordia per inneggiare con una voce sola al Padre per mezzo di Gesù Cristo. Egli vi ascolterà e, dalle vostre opere, riconoscerà che siete voi il canto del suo Figlio. Anche se dovete soffrire restate nell'unità più indiscussa; così sarete sempre uniti a Dio.
inviato da Qumran2, inserito il 17/10/2011
ESPERIENZA
63. Grazie mamma e papà per non avermi abortito! 1
Elisa Bertoli, www.gingergeneration.it
Quando si discute di aborto, non ci si chiede mai cosa sceglierebbe il bimbo concepito. Intervistiamo Federica, 21 anni, venuta al mondo dopo che sua madre ha avuto il coraggio di non abortire.
Non ci si ricorda mai che, quando si discute di aborto, si parla prima di tutto di persone. Che magari sono talmente piccole da stare nel palmo di una mano, ma che, per citare il film "Juno", "hanno già le unghie". Loro in questi dibattiti non hanno voce, nonostante si discuta della loro vita e della loro morte. Ma provate a pensarci: cosa risponderebbe secondo voi un feto se gli si potesse chiedere di scegliere tra la venuta al mondo e la soppressione nel grembo della mamma? Secondo me vorrebbe nascere, nonostante tutto.
Tuttavia si sa che una mamma per il proprio bimbo desidera sempre il massimo, e il timore che egli non lo potrà avere, o la paura di non riuscire a portare avanti la gravidanza in una situazione che non è delle migliori, le impedisce di sentire una vocina che chiede semplicemente un po' di amore. E questo succede soprattutto se si sente sola e tutti, invece di aiutarla, le dicono che quella dell'aborto è "la soluzione più giusta, veloce e indolore" (non sanno queste persone che le donne in tanti casi ne portano il segno per tutta la vita). Ma ci sono anche mamme che, trovandosi in grandi difficoltà, riescono a chiedere aiuto e a vincere le proprie paure, perché si accorgono di non essere sole. E ci sono anche papà (già, perché dei papà non si parla mai!) che sono pronti a combattere con loro per avere la gioia di vedere finalmente quel bimbo. Sono grata a queste mamme (e a questi papà), perché, se una di loro non avesse avuto questo coraggio, anch'io non avrei mai potuto conoscere Federica!
Federica ha ventuno anni, abita sul Lago d'Orta. Studia informatica a Milano, svolge servizio civile presso la Croce Rossa Italiana, è animatrice in oratorio e per parecchie ore la settimana lavora in una pizzeria come cameriera. Ha due sorelle più grandi: Elena di ventisette anni e Maura di ventidue. Quando sua madre scoprì di essere in dolce attesa per la terza volta, non passava un momento facile: assieme al marito correva continuamente da un ospedale all'altro per far curare Elena, molto spesso malata, e al tempo stesso doveva accudire Maura, di soli otto mesi.
Come ha reagito tua madre alla notizia?
Aveva molta paura: Elena non stava ancora bene e Maura era molto piccola. Inoltre le condizioni economiche non erano delle migliori, lei aveva appena ripreso a lavorare dopo la seconda maternità... Insomma, una paura dietro l'altra!
Così ha pensato di abortire?
Sì, ha cominciato a tener presente la possibilità di abortire.
E come hanno reagito alla notizia invece tuo padre, i familiari, gli amici? Cosa le consigliavano?
Le persone esterne alla famiglia che le erano accanto le consigliavano di abortire, "tanto è solo una goccia di sangue". Mia madre nel frattempo macinava tutto questo dentro di sé senza parlarne con mio padre, senza sapere quindi cosa ne pensasse. Un giorno però il ginecologo le ha detto che era ora di prendere una decisione e così, capendo che non poteva decidere da sola, ha preso il coraggio tra le mani e ne ha parlato con lui. La risposta è stata decisa: le ha detto subito che non era proprio il caso di abortire. Anche perché erano cattolici praticanti e le ha chiesto con quale coraggio, commettendo un tale gesto, avrebbero poi potuto ancora andare in chiesa e ricevere l'Eucaristia.
Così il supporto di tuo padre è stato fondamentale per lei?
Sì, mio padre le ha assicurato che si sarebbero fatti forza a vicenda e che sarebbero andati avanti comunque. Mia madre ha capito allora che il sostegno del compagno nella coppia è fondamentale e che non sempre le persone che ci stanno vicino ci consigliano ciò che è meglio per noi... Ed eccomi qui!
E tu, quanto sei grata loro per aver avuto il coraggio di accogliere la tua vita, nonostante tutto?
Moltissimo! Ora posso dire di essere molto fortunata: sono cresciuta in una bella famiglia, mi sono stati insegnati valori importanti. E poi i miei genitori mi hanno fatto capire che la famiglia è il dono più grande e che bisogna rispettare la vita: essa non è "solo una goccia di sangue".
Quanto le difficoltà familiari si sono fatte sentire nella tua vita? Ti è mai mancato qualcosa?
Non mi hanno mai fatto mancare nulla. Certo, magari non avevo i pantaloni o la maglia firmati, ma l'amore e la gioia che mi donavano i miei genitori e che mi donano tuttora mi rendono molto più ricca. Non mi sono mai sentita una figlia non voluta: ho sempre ricevuto tanto amore sia dalle mie sorelle sia dai miei genitori.
Alla luce della tua esperienza, cosa ti senti di dire alle ragazze che si trovano ora in una situazione simile a quella vissuta da tua madre?
Alle ragazze che stanno pensando di abortire, vorrei dire che questa non è l'unica soluzione, che dentro di loro c'è una vita e che non hanno il diritto di buttarla via, perché è stata donata loro con amore, è stata generata da amore. Ragazze, oggi ci sono tante associazioni che aiutano le giovani mamme in difficoltà, ci sono tante persone che vogliono solo aiutarvi, provate ad ascoltarle! E poi ci sono anche molte famiglie che cercano un figlio con fatica senza riuscirci. Pensate a loro, e pensate se qualcuno decidesse della vostra vita senza chiedervi un parere, non credo vi piacerebbe!
abortocoraggiomaternitàpaternitàfamigliavita
inviato da Elisa Bertoli, inserito il 10/07/2011
PREGHIERA
Maria Maistrini, Preghiera a Gesù
E' la celebrazione della Pasqua.
Gesù ha detto:
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni
fine alla fine del mondo".
Non posso più vivere senza Gesù Eucaristia:
mi devo nutrire tutti i giorni
di questo bianco pane del Cielo;
Tu ti immoli.
Ti sento vivo dentro di me.
Il mio cuore esulta di gioia.
Ascolto la tua voce che mi dice:
prendi e mangia;
chi mangia di me vivrà per me.
O amato Gesù, rimani nel mio amore!
Tu mi sussurri:
sarò tutto tuo, tu sarai mia per sempre.
Pane degli angeli ti adoro;
adoro la grandezza del tuo mistero.
Pane degli angeli, mi attiri a te,
innestandomi nel tuo mistero.
Pane degli angeli,
hai trasformato la mia anima, riempendola del tuo amore.
Pane degli angeli,
fatto da molti chicchi di grano, sei diventato "uno solo" .
O Gesù, come è bello
incontrarti in quel pezzo di pane!
O amatissimo Gesù
voglio essere sempre una sola cosa
con te, mio solo ed unico re.
inviato da Maria Maistrini, inserito il 09/07/2011
RACCONTO
Un Cerino triste e rassegnato, si era messo in disparte su un lato della scatola e una Candela dispiaciuta, incominciò a parlargli:
"La conosci la storia del Cerino?", esclamò la Candela.
"No!", rispose il Cerino.
"Caro Cerino, non sai quanto sei importante!".
"Parli bene tu!", disse con voce rammaricata il Cerino. "Sei una Candela, ti accendesti tempo fa e la tua fiamma ancora brucia nel consumarti lentamente. Io sono un Cerino, mi accenderò per poi spegnermi rapidamente, in meno di un istante".
"Cerino c'è verità in quel che dici, ma credimi non conta quanto sia lunga un'esistenza, ma è importante la realizzazione della sua essenza".
Il Cerino ci rifletté su e poi aggiunse: "Tu credi che valga sempre e comunque la pena vivere? Seppur consapevole di nascere per poi morire, di accendersi per poi finire?".
"Ascolta prima la Storia, figlio mio!".
C'era un volta una Candela, accesa nel buio della notte, essa era una faro per tutti i viandanti del mondo, chiunque poteva scorgerla anche dai luoghi più remoti, quella luce calda e confortante li carezzava ed era davvero tanto ma tanto importante.
Una notte come tante, i viandanti ebbero però un amara sorpresa, la luce della Candela si spense. Del resto era un Candela non poteva durare in eterno, avrebbero dovuto prevederlo, ed invece nel restare completamente al buio, panico e sconforto avvolsero l'animo di ogni viandante.
Passarono alcuni istanti che parvero lunghi come secoli, ed improvvisamente qualcuno s'ingegnò, chi ricordò che in soffitta aveva conservata una vecchia candela, chi trovò una torcia, chi un lumino, e ci fu persino chi scoprì nella propria casa un camino, ma ahimè era tutto inutile senza un Cerino.
E fu così che nell'affanno di risolvere il danno, qualcuno in tasca trovò un Cerino.
La tristezza avvolse l'animo di quel poverino, conosceva bene la durata di un Cerino, ma la vita del mondo era in declino e allora lo usò per accendere un camino.
Da quel camino ogni candela trovò fiamma, ogni cero luce, ogni lume scintilla.
E nel giro di qualche secondo, scanditi come secoli dal mondo la luce si riaccese a tutto tondo, e grazie a quel Cerino il mondo venne salvato dal declino.
"Che storia incantevole Candela, e come si chiamava quel Cerino?".
"Ma come? Quel Cerino lo conosci anche tu, si chiamava Gesù!".
Il Cerino sorrise di una Luce interiore che lo fece accendere con tanto amore e quella sua breve esistenza la trascorse nel dare realizzazione alla sua essenza.
importanza del singoloresponsabilitàvitamorteimpegnovocazionecompito
inviato da Lisa, inserito il 08/07/2011
RACCONTO
Un imperatore, in punto di morte, convocò i suoi fidati generali, per dettare loro le sue ultime volontà.
Ho tre precisi desideri da esprimervi, disse:
1) che la mia bara sia trasportata a spalle, da nessun altro se non dai medici che non hanno saputo guarirmi;
2) che i tesori, gli ori e le pietre preziose conquistate ai nemici vengano sparse e disseminate a vantaggio del popolo, lungo la strada che porta alla mia tomba;
3) che le mie mani siano lasciate penzolare fuori della bara, alla chiara vista di tutti.
Uno dei generali, scioccato da queste strane ed inaudite ultime volontà del grande condottiero, chiese: Sire, qual è mai il motivo di tutto questo?
L'imperatore, con la voce ormai bassa e tremula, gli rispose:
1) voglio solo i medici a portarmi all'ultima mia dimora, per dimostrare a tutti che non hanno alcun potere di fronte alla malattia e alla morte;
2) voglio il suolo pubblico ricoperto dai miei tesori, perché la gente umile ne tragga qualche vantaggio, ma soprattutto per ricordare a tutti che i beni materiali, qui conquistati, qui restano;
3) voglio le mie mani penzolanti al vento, perché la gente capisca che a mani vuote veniamo e a mani vuote andiamo via.
Questo episodio ci ricorda e ci insegna che il regalo più prezioso che abbiamo nella nostra vita è il tempo. Possiamo conquistare, possiamo costruire case e palazzi, possiamo dipingere più quadri e scrivere più romanzi, possiamo accumulare più ricchezze, ma non possiamo produrre più tempo.
E' per questo che, quando dedichiamo quel po' di tempo che abbiamo e quel po' che ci rimane a un animale, a un'idea, a una persona che amiamo, alla gente che comprendiamo e rispettiamo... facciamo una grande opera. Il miglior regalo che possiamo fare a qualcuno è, dunque, quello di dedicargli il nostro tempo.
Varie presentazioni trovate in rete attribuiscono questo testo ad Alessandro Magno, ma non ci sono elementi fondati per affermarlo con certezza.
tempovitaricchezzamortesenso della vita
inviato da Qumran2, inserito il 08/07/2011
RACCONTO
67. Il segreto della bilancia 4
Un uomo gravemente ammalato fu accolto in una comunità e messo in una grande stanza insieme a molti altri ammalati. Ma poco dopo essere deposto sul suo giaciglio, chiamò a gran voce il superiore. "In che luogo mi avete portato?", protestò. "Le persone che ho dintorno ridono e scherzano come bambini! Non sono certe ammalate come me!".
"A dire la verità lo sono molto più di lei!", rispose il superiore, "ma hanno scoperto un segreto, che oggi pochissimi conoscono o che, pur conoscendolo, non ci credono più."
"Quale segreto?" domandò l'uomo.
"Questo!", rispose un anziano dal letto confinante. Estrasse dal comodino una piccola bilancia, prese un sassolino e lo depose su un piatto; subito l'altro si alzò. "Che stai facendo?", chiese l'uomo.
"Ti sto mostrando il segreto! Questa bilancia rappresenta il legame che esiste fra uomo e uomo. Il sassolino è il tuo dolore che ora ti abbatte. Ma mentre abbatte te, solleva l'altro piatto della bilancia permettendo ad un altro di gioire. Gioia e dolore si tengono sempre per mano. Ma bisogna che il dolore sia offerto, non tenuto per sé; allora fa diventare come bambini e fa fiorire il sorriso anche in punto di morte".
"Nessuna scienza giustifica quello che tu dici!", fu la riflessione dell'uomo. "Appunto per questo c'è in giro tanto dolore vissuto con amarezza. Qui non è questione di scienza ma di fede. Perché non entri anche tu nella bilancia dell'amore?".
L'uomo accettò la strana proposta. E fu così che, quando guarito, rivisse istanti di gioia, non poté non pensare alla sofferenza degli altri. E si sentì legato agli uomini di tutto il mondo da un sottile filo d'oro.
Per molti rimarrà solo una bella fiaba. Ma se un domani dovessi incontrare un ammalato che sa sorridere, un infelice capace di gioire, un handicappato che ha fiducia nella vita, ricordatelo: probabilmente hai incontrato qualcuno che conosce il segreto della bilancia...
doloregioiaaccettazionecondivisioneofferta
inviato da Gloria Salvi, inserito il 08/07/2011
PREGHIERA
68. Concedimi di accoglierti nel mio cuore 5
Gesù, fa' che il suono
della tua voce riecheggi
sempre nelle orecchie,
perché io impari a capire
come il mio cuore,
la mia mente e la mia anima,
ti possano amare.
Concedimi di accoglierti
negli spazi più nascosti del mio cuore,
tu che sei il mio unico bene,
la mia gioia più dolce,
il mio vero amico.
Gesù, vieni nel mio cuore,
prega con me, prega in me,
perché io impari da te a pregare.
preghierarapporto con Dioconversioneapertura
inviato da Monache Benedettine Di S. Margherita - Fabriano (AN), inserito il 06/07/2011
RACCONTO
Alta sopra la città, su una lunga, esile colonna sporgeva la statua del Principe Felice. Era tutto dorato di sottili foglie d'oro fino, i suoi occhi erano due lucenti zaffiri, e un grande rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada.
Tutti lo ammiravano. "E' bello come una banderuola" osservò un giorno uno degli assessori di città che ambiva farsi una reputazione d'uomo di gusto; "però è meno utile" si affrettò a soggiungere, per timore che la gente lo giudicasse privo di senso pratico, cosa che egli non era affatto.
"Perché non sai comportarti come il Principe Felice?" chiese una madre piena di buon senso al suo bambino che piangeva perché voleva la luna. "Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nulla".
"Sono contento che a questo mondo ci sia qualcuno veramente felice" borbottò un uomo disilluso ammirando la splendida statua.
"Assomiglia a un angelo" dissero i Trovatelli uscendo dalla cattedrale nei loro lucenti mantelli scarlatti e nei loro lindi grembiulini candidi.
"Come fate a dire questo?" osservò il professore di matematica, "se non ne avete mai veduti!"
"Oh, si, che ne abbiamo visti, nei nostri sogni!" risposero i bambini, e il professore di matematica aggrottò la fronte e fece la faccia scura, perché non trovava giusto che i bambini sognassero.
Una sera volò sulla città un Rondinotto. I suoi amici se n'erano andati in Egitto sei settimane innanzi, ma egli era rimasto indietro perché si era innamorato di una bellissima Canna. L'aveva conosciuta al principio di primavera mentre volava giù per il fiume in caccia di una grossa falena gialla, ed era stato talmente attratto dalla sua vita sottile che si era fermato a parlarle.
"Vuoi che m'innamori di te?" le aveva chiesto il Rondinotto, cui piaceva venir subito al sodo, e la Canna gli aveva fatto un profondo inchino. Così egli le volò più volte intorno, sfiorando l'acqua con le ali, e increspandola di cerchi argentei. Questa fu la sua corte, e durò tutta l'estate.
"Proprio un attaccamento ridicolo," garrivano le altre Rondini, "E' senza un soldo, ma in compenso ha un sacco di parenti," e a dire il vero il fiume era zeppo di Canne.
Poi, non appena venne l'autunno, le Rondini volarono via tutte. Quando se ne furono andate il Rondinotto si sentì solo, e incominciò a stancarsi della sua bella.
"Non sa conversare" si disse, "e temo sia una civetta poiché seguita a frascheggiare col vento." E infatti, ogni volta che il vento spirava, la Canna si piegava con inchini graziosissimi.
"Riconosco che sei casalinga," prosegui il Rondinotto, "ma a me piace viaggiare e di conseguenza anche a mia moglie dovrebbero piacere i viaggi".
"Vuoi venir via con me?" le chiese infine, ma la Canna scosse la testa, era troppo affezionata alla sua casa. "Tu mi hai preso in giro!" gridò il Rondinotto. "Me ne vado alle Piramidi. Addio!" e volò via.
Volò tutto il giorno, e a sera giunse alla città.
"Dove alloggerò?" si disse. "Spero mi abbiano preparato dei festeggiamenti."
Ma poi notò la statua sull'alta colonna. "Andrò ad abitare lì," esclamò. "La posizione è bellissima, e ci si deve respirare dell'ottima aria fresca."
Così si posò proprio tra i piedi del Principe Felice.
"Ho una camera da letto tutta d'oro" mormorò sottovoce tra sé e sé, guardandosi attorno e preparandosi per la notte, ma giusto mentre stava mettendo la testa sotto l'ala gli cadde addosso una grossa goccia d'acqua.
"Che cosa strana!" esclamò. "In cielo non c'è neanche la più piccola nuvola, le stelle sono chiare e luminose, eppure piove. Il clima del Nord Europa è semplicemente spaventoso. Alla Canna la pioggia piaceva, ma questo era dovuto unicamente al suo egoismo".
In quella cadde un'altra goccia.
"A che serve una statua se non riesce a riparare dalla pioggia?" brontolò; "bisogna che mi cerchi un buon comignolo," e fece per volarsene via. Ma proprio mentre stava per aprire le ali una terza goccia cadde, ed egli allora alzò gli occhi e vide... ah, che cosa vide? Gli occhi del Principe Felice erano gonfi di lagrime, e lagrime rigavano le sue guance dorate. Il suo viso era così bello sotto la luce della luna che il piccolo Rondinotto si senti invadere da una profonda pietà.
"Chi sei?" chiese.
"Sono il Principe Felice".
"Perché piangi, allora? Mi hai inzuppato tutto."
"Quando ero vivo e avevo un cuore umano," rispose la statua, "non sapevo che cosa fossero le lagrime, perché abitavo nel Palazzo di Sans-Souci, dove al dolore non è permesso di entrare. Durante il giorno giocavo coi miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nella Grande Sala. Intorno al giardino correva un muro altissimo, ma mai io mi curai di sapere che cosa si stendesse al di là di esso, ogni cosa intorno a me era così bella! I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e se il piacere è felicità, io ero veramente felice. Così vissi, e così morii. E ora che sono morto mi hanno messo qui tanto in alto che adesso vedo tutta la bruttezza e tutta la miseria della mia città, e sebbene il mio cuore sia di piombo altro non mi resta che piangere".
"Come mai? Non è d'oro massiccio?" si chiese mentalmente il Rondinotto, perché era troppo educato per rivolgere ad alta voce domande di carattere personale.
"Lontano lontano," proseguì la statua con la sua dolce voce musicale, "lontano in una stradina c'è una povera casa. Una finestra di questa casa è aperta e attraverso vi vedo una donna seduta a un tavolo. Ha il viso magro e sciupato, e le sue mani sono rosse e ruvide e tutte bucherellate dall'ago, poiché fa la cucitrice. Sta ricamando passiflore su un abito di raso che la più bella tra le damigelle d'onore della Regina indosserà al prossimo ballo di Corte. In letto, in un angolo della stanza, il suo bambino giace ammalato. Ha la febbre e vorrebbe mangiare delle arance, ma sua madre non ha nulla da dargli, fuorché acqua di fiume, perciò il bambino piange. Rondinotto, piccolo Rondinotto, non gli porteresti il rubino che luccica sull'elsa della mia spada? I miei piedi sono attaccati a questo piedistallo e io non mi posso muovere".
"Sono aspettato in Egitto" rispose il Rondinotto. "I miei amici in questo momento volano sul Nilo, e discorrono con i grandi fiori di loto. Tra poco andranno a dormire nella tomba del gran Re, dove il Re stesso riposa nel suo sarcofago dipinto, avvolto in gialli lini e imbalsamato con aromi. Ha il collo adorno di una collana di giada verde pallida, e le sue mani assomigliano a foglie avvizzite".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me per una notte soltanto, ed essere il mio messaggero? Il bambino ha tanta sete, e la madre è così triste!"
"Non credo che mi piacciano i bambini" replicò il Rondinotto. "L'estate scorsa, quando stavo sul fiume, c'erano due ragazzi maleducati, i due figliuoli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Naturalmente non mi hanno mai preso, si capisce: noi rondini voliamo troppo bene per lasciarci colpire, e del resto io vengo da una famiglia famosa per la sua agilità; comunque però era una grave mancanza di rispetto".
Ma il Principe Felice aveva un viso così doloroso che il Rondinotto ne provò pena. "Qui fa molto freddo" disse, "ma per farti piacere resterò ancora una notte e sarò tuo messaggero".
"Grazie, piccolo Rondinotto" disse il Principe.
Così il Rondinotto colse il grande rubino che ornava la spada del Principe e volò sopra i tetti della città, tenendo stretto il gioiello nel becco appuntito. Passò accanto alla torre della cattedrale, su cui erano scolpiti i grandi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e udì un suono di danze.
Una fanciulla bellissima si affacciò al balcone col suo innamorato. "Guarda che stelle meravigliose" egli le disse, "e come è meraviglioso il potere dell'amore! "
"Spero che il mio vestito sarà pronto per quando ci sarà il ballo di Stato" rispose la fanciulla. "Ho ordinato che sia ricamato a passiflore, ma le cucitrici sono talmente pigre! "
Passò sopra il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Passò sul Ghetto, e vide i vecchi Ebrei che contrattavano tra di loro, e pesavano il danaro su bilance di rame. E finalmente giunse alla povera casa e vi guardò dentro. Il bambino si agitava febbrilmente sul letto, mentre la madre si era addormentata: era tanto stanca! Saltellò nella stanza e posò il grosso rubino sul tavolo, accanto al ditale della donna. Poi volò piano attorno al letto, e accarezzò con le sue ali la fronte del piccolo, facendogli vento dolcemente.
"Come mi sento fresco!" disse il bambino. "Forse incomincio a star meglio" e si addormentò di un sonno tranquillo.
Allora il Rondinotto rivolò dal Principe Felice e gli raccontò quello che aveva fatto. "E' strano" osservò, "ma benché faccia un freddo cane adesso ho caldo."
"Perché hai compiuta una buona azione" gli disse il Principe.
Il piccolo Rondinotto incominciò a pensare, ma subito si addormentò: il pensare gli metteva sempre addosso un gran sonno.
Quando il giorno spuntò, volò giù al fiume e prese un bagno.
"Che fenomeno straordinario!" esclamò il Professore di Ornitologia che passava in quel momento sul ponte. "Una Rondine d'inverno!" E mandò al giornale locale una lunga lettera in proposito. Tutti la citarono: era costellata di un sacco di vocaboli che nessuno capiva.
"Questa sera parto per l'Egitto" disse il Rondinotto, e questa previsione lo mise di ottimo umore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase a lungo seduto in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano e bispigliavano tra di loro: "Che forestiero distinto!" Cosicché il Rondinotto si divertì un mondo.
Quando la luna sorse rivolò dal Principe Felice. "Hai qualche commissione da darmi per l'Egitto?" disse. Sono di partenza.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me ancora una notte?"
"In Egitto mi aspettano" rispose il Rondinotto. "Domani i miei amici voleranno fino alla Seconda Cateratta. Laggiù, tra i giunchi, se ne sta accovacciato l'ippopotamo, e su un grande trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli contempla le stelle, e quando risplende la stella del mattino proferisce un unico grido di gioia, e poi tace. A mezzogiorno i leoni fulvi scendono a bere all'orlo dell'acqua. Hanno occhi simili a verdi berilli, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "lontano lontano, dall'altra parte della città, vedo un giovane in una soffitta, appoggiato a una scrivania ingombra di carte, e in un boccale accanto a lui c'è un mazzolino di viole appassite. Ha i capelli bruni e crespi, le sue labbra sono rosse come una melagrana, e i suoi occhi sono grandi e sognanti. Sta sforzandosi di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per poter seguitare a scrivere. Non c'è fuoco nel suo camino, e la fame lo ha fatto svenire".
"Va bene, aspetterò presso di te un'altra notte" disse il Rondinotto, che aveva proprio un cuore d'oro. "Devo portargli un altro rubino?"
"Ahimé, non ho più rubini, ormai" disse il Principe, "tutto ciò che mi è rimasto sono i miei occhi, ma sono fatti di zaffiri rari, e furono portati dall'India più di mille anni fa. Strappane uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà legna da ardere, e finirà la sua commedia".
"Caro Principe" disse il Rondinotto, "io non posso fare questo"
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, piangendo, "ubbidiscimi, ti prego".
Così il Rondinotto strappò l'occhio del Principe e volò fino alla soffitta dello studente. Era facile entrarvi, perché nel tetto c'era un buco. Il Rondinotto vi sfrecciò attraverso, e penetrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato tra le mani, perciò non avvertì il frullio d'ali dell'uccello, e quando alzò gli occhi vide il bellissimo zaffiro adagiato in mezzo alle viole appassite.
"Incominciano ad apprezzarmi!" gridò; "certo me lo manda qualche grande ammiratore. Adesso potrò finalmente terminare la mia commedia!" Ed era tutto felice.
Il giorno dopo il Rondinotto volò giù al porto. Si posò sull'albero di una grossa nave e stette a osservare i marinai che a forza di funi calavano su dalla stiva pesanti casse. "Issa-oh! " si gridavan l'un l'altro a mano a mano che le casse salivano.
"Io vado in Egitto!" garrì il Rondinotto, ma nessuno gli badò, e quando spuntò la luna volò ancora una volta dal Principe Felice.
"Sono venuto a salutarti" gli disse.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi rimanere con me ancora per questa notte?"
"E' inverno ormai" rispose il Rondinotto, "e fra poco arriverà la fredda neve. In Egitto il sole è caldo sulle verdi palme, e i coccodrilli riposano nel fango e si guardano attorno con occhi pigri. I miei compagni stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosee e bianche li guardano, e tubano tra loro. Caro Principe, debbo lasciarti, ma non ti dimenticherò mai, e la prossima primavera ti porterò due gemme bellissime, al posto di quelle che tu hai regalate. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il vasto mare".
"Nella piazza qua sotto" disse il Principe Felice, "ci sta una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nella cunetta del marciapiedi, e si sono tutti bagnati. Suo padre la picchierà se non porterà a casa un po' di danaro, e perciò la piccola piange. Non ha né calze né scarpe, e la sua testolina è nuda. Strappa l'altro mio occhio e portaglielo, così suo padre non la batterà".
"Resterò con te ancora per questa notte" disse il Rondinotto, "ma non posso strapparti l'altro occhio. Rimarresti completamente cieco".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "fa' come ti dico".
Così il Rondinotto strappò l'altro occhio del Principe e sfrecciò giù nella piazza. Passò roteando accanto alla piccola fiammiferaia e le fece scivolare il gioiello nel palmo della mano.
"Che bel pezzettino di vetro!" esclamò la bambina, e corse a casa ridendo.
Poi il Rondinotto ritornò dal Principe. "Adesso sei cieco" disse, "perciò io resterò con te per sempre".
"No, piccolo Rondinotto" mormorò il povero Principe, "tu devi andare in Egitto".
"Resterò con te per sempre" ripetè il Rondinotto, e dormì ai piedi del Principe. Poi tutto il giorno seguente se ne stette appollaiato sulla spalla del Principe, e gli raccontò quello che aveva veduto in paesi lontani. Gli parlò dei rossi ibis, che sostano in lunghe file sulle rive del Nilo e col becco acchiappano pesciolini dorati; gli parlò della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa; gli parlò dei mercanti che viaggiano piano al fianco dei loro cammelli e recano tra le mani rosari d'ambra; gli parlò del Re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora un enorme cristallo; gli parlò del grande serpente verde che dorme in un palmizio ed è nutrito da venti sacerdoti con focacce di miele; gli parlò infine dei pigmei che veleggiano su un grande lago sopra larghe foglie piatte e sono sempre in guerra con le farfalle.
"Caro Rondinotto" disse il Principe, "tu mi parli di cose meravigliose, ma più meraviglioso di qualsiasi cosa è il dolore degli uomini e delle donne. Non vi è Mistero più grande della Miseria. Vola sulla mia città, piccolo Rondinotto, e raccontami quello che vedi".
Così il Rondinotto volò sopra la grande città, e vide i ricchi gozzovigliare nelle loro splendide dimore, mentre i poveri sedevano fuori, ai cancelli. Volò in bui vicoli, e vide i visi bianchi dei bambini affamati che fissavano con occhi assenti le strade oscure.
Sotto l'arcata di un ponte due ragazzini si stringevano l'uno all'altro cercando di riscaldarsi a vicenda.
"Che fame, abbiamo!" dicevano.
"Non potete dormire laggiù" gridò la guardia, e i due bambini si allontanarono sotto la pioggia.
Allora il Rondinotto tornò indietro e raccontò al Principe quello che aveva veduto.
"Sono tutto ricoperto d'oro fino" disse il Principe, "tu devi togliermelo di dosso, foglia per foglia, e darlo ai miei poveri: i vivi credono che l'oro possa renderli felici".
Il Rondinotto piluccò via foglia dopo foglia del fine oro, finché il Principe Felice divenne tutto opaco e grigio. Foglia per foglia del fine oro egli portò ai poveri, e le facce dei bambini si fecero più rosate, ed essi risero e giocarono giochi infantili nelle strade.
"Abbiamo pane, adesso! " gridavano.
Poi venne la neve, e dopo la neve venne il gelo. Le strade sembravano pavimentate d'argento, tanto erano lucide e scintillanti; lunghi ghiaccioli, simili a lame di cristallo, pendevano dalle gronde delle case; tutti giravano impellicciati e i ragazzini indossavano cappucci scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
Il povero piccolo Rondinotto aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe; gli voleva troppo bene. Raccoglieva briciole fuor dell'uscio del fornaio quando questi aveva la schiena voltata, e cercava di scaldarsi battendo le ali.
Ma alla fine capì che era prossimo a morire. Ebbe giusto la forza di volare un'ultima volta sulla spalla del Principe.
"Addio, caro Principe" mormorò, "mi permetti che ti baci la mano? "
"Sono contento che tu vada in Egitto, finalmente, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "sei rimasto qui anche troppo tempo, ma tu devi baciarmi sulle labbra, perché io ti amo".
"Non è in Egitto che io vado" disse il Rondinotto, "vado alla Casa della Morte. La Morte non è forse la sorella del Sonno?" E baciò il Principe Felice sulle labbra, e cadde morto ai suoi piedi.
In quel momento si udì nell'interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il fatto è che il cuore di piombo si era spaccato netto in due.
Certo faceva un freddo cane. Il mattino seguente per tempo il Sindaco andò a passeggiare nella piazza sottostante in compagnia degli Assessori. Nel passare dinnanzi alla colonna alzò gli occhi verso la statua:
"Dio mio! Com'è conciato il Principe Felice! " esclamò.
"Davvero! Com'è conciato! " esclamarono gli Assessori che ripetevano sempre quel che diceva il Sindaco, e andarono tutti su per vedere meglio.
"Gli è caduto il rubino dall'elsa della spada, gli occhi non ci sono più, e la doratura è scomparsa" disse il Sindaco, "insomma, sembra poco meno che un accattone!"
"Poco meno che un accattone" ripeterono in coro gli Assessori civici.
"E qui, ai piedi della statua, c'è persino un uccello morto! " proseguì il Sindaco. "Dobbiamo assolutamente emanare un'ordinanza che agli uccelli non sia permesso di morire qui!"
E lo Scrivano Pubblico prese appunti per la stesura del decreto.
Così tirarono giù la statua del Principe Felice.
"Dal momento che non è più bello non è nemmeno più utile" osservò il Professore di Belle Arti dell'Università.
Quindi fusero la statua in una fornace e il Sindaco indisse un'adunanza della Corporazione per decidere quel che si doveva fare del metallo.
"Dobbiamo costruire un'altra statua" disse, "e sarà la mia statua".
"La mia" ripeté ciascuno degli Assessori, e litigarono. L'ultima volta che ebbi loro notizie stavano ancora litigando.
"Che cosa curiosa! " disse il sorvegliante degli operai della fonderia. "Questo rotto cuore di piombo non vuole fondersi nella fornace. Bisogna che lo gettiamo via".
E lo gettarono infatti su un mucchio di spazzatura dove avevano buttato anche il Rondinotto morto.
"Portami le due cose più preziose che trovi nella città" disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
"Hai scelto bene" gli disse Dio, "poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d'oro il Principe Felice mi loderà".
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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 06/05/2011
TESTO
70. Una settimana fuori dal tempo: settimana santa 1
Lunedì Santo: orto degli ulivi
Gesù non sei solo nell'orto degli ulivi della storia; quanti calici ricolmi,
stanno sudando sangue con te i martiri moderni, i senza voce, i migranti,
gli schiavi del potere, i poveri forzati, i bimbi affamati e le donne umiliate.
Martedì santo: il processo dei processi
Il mondo è un grande scenario dove si consumano i processi più assurdi.
Molti puntano il dito per condannare, distruggere, consumare, come il diavolo che divide.
Cristo non ha mai condannato, ha sempre recuperato chi era perduto, perché ci crede.
Mercoledì santo: lavarsi le mani
Troppi si lavano le mani per paura, per non sporcarsi, per non compromettersi, perché è comodo.
Le mani sembrano pulite, ma ti rimane il rimpianto di non aver messo il tuo granello, il tuo mattone,
il cuore rimane ingolfato, sporcato nei meandri del tuo egoismo e ti rode il rimorso dentro.
Giovedì santo: lavare i piedi
Il tuo sacrificio, la tua Messa, la tua offerta al Padre hai voluto arricchirla
con un gesto inedito di servizio al fratello e di carità profonda. Nessuno l'aveva fatto prima.
È il tuo testamento: solo lavando i piedi ai fratelli saremo autentici testimoni del tuo amore.
Venerdì santo: Dio muore nasce l'uomo
Dalla tua morte, è rinato l'uomo nuovo della speranza e dello spirito, l'uomo della resurrezione.
Sabato santo: il grande silenzio
Abbiamo bisogno di fare silenzio, è urgente trovare un po' di deserto nel nostro giorno,
silenzio degli occhi, silenzio di parole, sottrarsi dal frastuono per contemplare il mistero.
Scopriremo il miracolo di un Dio che agisce nel raccoglimento e fa risorgere dalle macerie.
Domenica di pasqua: il trionfo della vita
Tutto tende a te, tutti guardano a te con speranza, giorno senza tramonto, giorno della vita.
Dalla prima pasqua parte un'onda positiva che travolge e contagia di eternità l'esistenza.
Sei il perno della storia, dell'avventura di un Dio che si è giocato tutto credendo nell'uomo.
Loreto, Pasqua 2011
inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 19/04/2011
TESTO
71. Sono stato invitato per Venerdì, sul Golgota 1
C'ero anch'io. Una giornata indimenticabile.
Mi sono sgolato e ho perso la voce gridando:
"Viva Gesù! Osanna! E' il figlio di Davide!".
Ho raccolto un ramoscello di ulivo
e l'ho portato in casa
come ricordo della festa
e l'ho messo bene in vista.
Io voglio bene a Gesù.
Io sono un suo discepolo!
Ho ricevuto un invito.
Gesù mi vuole accanto a lui, Venerdì.
Mi ha scritto: "Non mancare.
Ci tengo. Fammi compagnia.
Sarà una festa imprevedibile!".
Se vai Venerdì, se ti rechi sul Golgota,
guarda che tornerai col vestito macchiato.
Di sangue.
Un vestito macchiato di sangue
- meglio se c'è una ferita sulla tua carne -
sarà domenica il luminoso biglietto d'ingresso
per la festa di Pasqua.
Sarai veramente un suo discepolo!
pasquapalmevenerdì santodiscepolatosequelaseguire Gesùrisurrezioneresurrezione
inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 19/04/2011
TESTO
72. Chiamati ad amare i figli con il cuore di Dio 1
Bartolino Bartolini, Il mio primo libro di preghiera, Elledici
I vostri bambini sono figli di Dio. Dio Padre li ama di un amore infinito ed eterno.
Egli, l'Invisibile, vuole comunicare a loro il suo amore attraverso il vostro amore.
Dio non ha occhi,
ha solo i vostri occhi per contemplare
i vostri bambini e farsi riconoscere da loro.
Dio non ha mani,
ha solo le vostre mani per accarezzarli,
e far sentire a loro il calore della sua tenerezza.
Dio non ha braccia,
ha solo le vostre braccia per stringerli al pettoe far sentire il suo cuore che batte per loro.
Dio non ha labbra, ha solo le vostre labbra per baciarli
e trasmettergli l'infinita dolcezza del suo amore.
Dio non ha bocca,
ha solo la vostra bocca per sorridere
e comunicare la sua gioia.
Dio non ha voce,
ha solo la vostra voce per parlare con loro
e dire quanto è grande il suo amore per loro.
Voi, genitori cristiani, siete chiamati
ad amare i vostri figli con il cuore di Dio.
inviato da Qumran2, inserito il 21/02/2011
PREGHIERA
O Signore, a volte ho tanta rabbia nel cuore, per quel disegno di morte che ha portato via mio figlio! Così chiudo le mani innanzi al tuo sguardo, in segno di protesta! Ma poi una lacrima mi riga il viso e cerco nella preghiera un dialogo con te! Perché è la tua Parola che voglio ascoltare... il tuo sguardo che voglio trovare... il tuo abbraccio che voglio sentire! Tu che sei amore e tenerezza! Tu che sei speranza di ogni madre e di ogni padre! Tu che conosci e comprendi la ferita di un cuore che perde un pezzo di sé! Tu che sei, nel profondo dell'anima, il mio conforto più grande! Tu che non mi hai lasciato solo... Mi hai tenuto per mano e mi sei stato accanto, anche quando il dolore mi ha fatto voltare le spalle alla vita... a te!
Hai preso fra le tue dita, il mio delicato fiore, quando un vento terribile ne ha spezzato lo stelo! Lascia Signore che i suoi petali si schiudano fra le tue mani, al tepore dei tuoi raggi di sole! Affido a te la bellezza di un bocciolo che non ho visto crescere! E confido in te quando la tristezza più profonda si riflette in una lacrima, e il cuore non trattiene i singhiozzi! Dammi la forza di porgere sempre a te il mio dolore, perché in ogni istante possa sentire la tua carezza! Fa' che, nella tua presenza al mio fianco, io possa sempre percepire la bellezza di un mistero che parla del mio angelo. Le sue ali sono diventate forti e ha spiccato il volo sì che dopo una corsa fra le stelle si è tuffato fra le tue braccia! E' ora in te come battito del mio cuore, vive con me attraverso la tua voce! Ascolta quel battito Signore, per infondere nella mia anima conforto di saperti accanto! Fa', Signore, che la tua voce desti sempre la mia attenzione, perché io non possa mai dimenticare che il mio germoglio ora cresce sicuro e forte fra le tue mani, teneramente abbandonato al soffio gentile del tuo infinito amore. Amen.
doloreluttomadregenitorifiglimortesofferenzaconsolazionevita eterna
inviato da Frate Angelo, inserito il 20/02/2011
TESTO
Suor Veronica Monica Novizia, Voce di Padre Pio, n. 3, marzo 2006
L'anima di noi giovani è come un'anfora fragile, basta un colpo di una piccola pietra perché l'anfora si frantumi come un sogno interrotto. Ma è solo il passare del tempo e delle tempeste che dà consistenza all'anima. Dio fa sempre irruzione tra le macerie dei nostri castelli in rovina e ci fa assaporare la sua presenza, ci fa gustare e intravedere che per la nostra vita c'è un altro destino che coincide con il suo progetto e la sua chiamata di infinito amore e tenerezza.
vitacamminogiovanigiovinezzacrescitaprogetto di Dio
inserito il 15/01/2011
TESTO
Lettera a Diogneto, capitolo V
I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio.
cristianicristianesimotestimonianzavita cristianapersecuzione
inviato da Anna Barbi, inserito il 24/11/2010
ESPERIENZA
76. La gente chi dice che io sia?
Domenica. Giorno di festa, di riposo dallo stress. Mi allontano con fatica dal tepore del letto e mi incammino verso la chiesa, per la Messa. Fatica, certo, ma anche gioia trepidante nell'attesa di quel momento di sosta nel quale dire il mio grazie per la settimana passata e per quella che mi viene donata.
Sulle panche lucide, con una strana predilezione per il fondo della chiesa, siedono composte le signore impellicciate, le bambine con il vestitino nuovo, le mamme e i papà, le vecchiette ferventi. Comincia la Messa. Il Vangelo è quello in cui Gesù domanda: «La gente chi dice che io sia?».
Sono tanto assorta nell'omelia che non mi accorgo di un fermento crescente alle mie spalle, fino a che comincio a sentire chiaramente frasi del tipo: «E' una vergogna!», «Serena, non guardare, ascolta la Messa!», «Andrea, fai finta di niente!», «Qualcuno la faccia uscire!».
Mi volto, e mi accorgo che una delle tante sedie vuote è ora occupata da una vecchia vagabonda che ho già visto qualche volta. È una donna sola, alcoolizzata, che non ha una casa; vive in un mondo suo e si porta sempre dietro un borsone lurido come i suoi vestiti. Di solito in chiesa viene quando piove e non c'è nessuno: allora, chi entra viene accolto dal canto melanconico della sua voce stentata.
Le signore con la pelliccia sono scandalizzate e le mamme si tengono stretti i loro bambini, come se da un momento all'altro la donna potesse mangiarli in un boccone!
La Messa è interrotta, mentre il brusio aumenta. Alla fine due volontari della Croce Rossa intervengono e conducono fuori la donna. Tutti tirano un sospiro di sollievo: dopotutto i bambini sono salvi, no?!
Il prete riprende l'omelia scusandosi per lo spiacevole inconveniente.
«La gente chi dice che io sia?».
Assisto sgomenta al triste spettacolo dell'ipocrisia di sempre.
"La Messa è finita: andate in pace!". Ma quale pace?!
"Vedete, fratelli, duemila anni fa, gli apostoli risposero a Gesù dicendo: «La gente pensa che tu sia Geremia, altri che sei Elia, altri dicono che sei un profeta». Oggi credo che la risposta giusta sia: Gesù è una povera vecchia, che non ha nessuno e non ha una casa; senza qualcuno che si prenda cura di lei e con cui ridere; rifiutata dalla gente che incontra perché è diversa...e non ha la pelliccia".
Se il prete avesse detto queste parole, cosa sarebbe successo?
diversitàcaritàrapporto con Dioriconoscere Gesù
inviato da Cristina Carmagnola, inserito il 10/11/2010
PREGHIERA
Sulla tua parola getterò le reti, mio Signore,
quando la vita mi chiederà il conto dei miei errori
e non avrò altro porto dove andare
se non in quel piccolo orto del Getsemani
provando a rimanere sveglio accanto a te che preghi
e ti abbandoni fiducioso al progetto di tuo Padre.
Sulla tua parola getterò le reti, mio Signore,
quando, dopo la fatica del giorno, non ci sarà il premio del riposo
e la consolazione della festa ma la notte resterà notte
e la luna sarà da un'altra parte ad illuminare il mondo.
E non avrò altra voce a farmi compagnia
se non la preghiera di un Uomo sulla croce.
Sulla tua parola getterò le reti, mio Signore,
quando anche l'ultimo dei miei amici si rifiuterà
di rimanermi accanto e le parole dell'amicizia e dell'amore,
dell'accoglienza e del perdono non avranno più alcun valore.
E allora salirò sul sicomoro di Zaccheo e aspetterò che, passando,
tu mi dica che stai venendo a casa mia.
Sulla tua parola getterò le reti, mio Signore,
quando i miei figli alzeranno il dito per giudicare
il poco che ho dato, il troppo poco che ho insegnato.
Allora ricorderò i giorni che, per mano, li ho portati nella tua casa,
le canzoni della messa stonate per la strada,
le mani intrecciate per il Padre nostro.
E dirò come Pietro che sono stanco
che avrei voglia mille volte di rinnegarti dietro un angolo
ma non posso...
Perché ti ho incontrato, sono finito nella tua rete
e ora, piccola, inutile maglia di rete,
non posso far altro che darti ragione...
rimanere in mare
e gettare le reti sulla tua parola.
Amen.
Preghiera scritta per il gruppo di famiglie dei ragazzi dell'iniziazione cristiana, nell'anno catechistico dedicato a Pietro, il pescatore di Galilea.
inviato da Anna D.M., inserito il 20/10/2010
TESTO
Agata Fernandez Motzo, Una voce divina
E' dell'estate il solstizio:
il sole nella notte
balla con la bianca luna,
domani, al suo sorgere festoso,
spanderà candide perle di rugiada....
Questa la favola,
poetica e assai bella, ma
nella sua fantastica realtà
domani, forse, più triste
il sole sorgerà,
perché, lasciato il suo zenit,
inizia il suo declino,
giorno dopo giorno,
verso la lunga notte...
E come nella favola quello del sole, così
anche di ogni mortale il cammino:
comincia il primo giorno
in un radioso mattino,
ma segue, purtroppo, anche per lui
dell'umana vicenda
il quotidiano tramonto,
verso la lunga notte...
Per chi ha fede, però, della vita
non è triste il tramonto,
ché in quella lunga notte
sa che festeggerà il Natale,
il suo, quello eterno, quando l'anima,
oltre un orizzonte infinito,
che segna la fine dell'umano cammino
e del divino l'inizio,
incontrerà in tutto il suo splendore
quel Sole che non tramonta, ma brilla
in un eterno radioso solstizio.
inviato da Agata Fernandez Motzo, inserito il 17/10/2010
RACCONTO
Bruno Ferrero, C'è ancora qualcuno che danza
Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l'amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.
Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: "Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo".
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.
Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
"Per cos'è? Che cosa vuoi piccola?".
"È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo".
"Che cosa dici?" borbottò il farmacista.
"Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c'è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo".
Il farmacista accennò un sorriso triste.
"Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli".
"Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?".
C'era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall'aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione.
Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L'uomo si avvicinò a lei.
"Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?".
"Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa…. È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un'operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho".
"Quanto hai?".
"Un dollaro e undici centesimi…. Ma, sapete…." Aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa….".
L'uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!". Con una mano raccolse la piccola somma e con l'altra prese dolcemente la manina della bambina.
"Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo pratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno".
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.
Quell'uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.
"Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…".
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi…. più, naturalmente l'amore e la fede di una bambina.
Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: "Spostati da qui a là e il monte si sposterà". Niente sarà impossibile per voi (Vangelo di Matteo 17,20).
inviato da Lisa, inserito il 29/09/2010
PREGHIERA
Pierfortunato Raimondo, Abbiate sale in voi stessi - Effatà, Ed. Cantalupa (TO), 2005
Ed oggi ancora, Signore,
pronunzia quella parola:
"Effatà, àpriti!"
di fronte a ciascuno di noi.
Apri le nostre orecchie
affinché non siamo sordi
agli appelli del nostro prossimo,
amico o traditore che sia,
e della tua voce nella coscienza,
piacevole o antipatica che sia.
Apri le nostre bocche
perché possa sgorgare sincera
la voce dell'affetto e della stima,
ferma e convinta,
quella che difende la giustizia e la pace.
Apri le nostre mani
affinché restino pulite
nella nostra professione,
leste e operative
nelle nostre attività,
capaci di stringere le mani di tutti,
indipendentemente
dal loro colore e calore.
Apri i nostri cuori
affinché vibrino all'unisono col tuo,
vivendo emozioni
che conducono a scelte concrete
e sentimenti che resistono
alla corsa del tempo e dei tempi.
inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 03/09/2010