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TESTO

41. Avvento significa saper attendere   1

Dietrich Bonhoeffer, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. Weber, Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 37

Festeggiare l'Avvento significa saper attendere: attendere è un'arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Esso vuole staccare il frutto maturo non appena germoglia; ma gli occhi ingordi vengono soltanto illusi, perché un frutto apparentemente così prezioso è dentro ancora verde, e mani prive di rispetto gettano via senza gratitudine ciò che li ha delusi. Chi non conosce la beatitudine acerba dell'attendere, cioè il mancare di qualcosa nella speranza, non potrà mai gustare la benedizione intera dell'adempimento.

Chi non conosce la necessità di lottare con le domande più profonde della vita, della sua vita e nell'attesa non tiene aperti gli occhi con desiderio finché la verità non gli si rivela, costui non può figurarsi nulla della magnificenza di questo momento in cui risplenderà la chiarezza; e chi vuole ambire all'amicizia e all'amore di altro, senza attendere che la sua anima si apra all'altra fino ad averne accesso, a costui rimarrà eternamente nascosta la profonda benedizione di una vita che si svolge tra due anime.

Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e questo non avviene in modo tempestoso, ma secondo la legge divina della germinazione, della crescita e dello sviluppo.

avventoattesaattendereimpazienzapazienzasperanzafretta

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

42. Dio di misericordia - Preghiera per i migranti

Papa Francesco, Discorso a Lesvos (Grecia), 16 aprile 2016

Dio di misericordia,
Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini,
che sono morti dopo aver lasciato le loro terre
in cerca di una vita migliore.
Benché molte delle loro tombe non abbiano nome,
da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto.
Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare
il loro sacrificio con le opere più che con le parole.
Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio,
sopportando paura, incertezza e umiliazione,
al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza.
Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio
quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe,
così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlie
attraverso la nostra tenerezza e protezione.

Fa' che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo
dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa
e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace.
Dio di misericordia e Padre di tutti,
destaci dal sonno dell'indifferenza,
apri i nostri occhi alle loro sofferenze
e liberaci dall'insensibilità,

frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.
Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui,
a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste
sono nostri fratelli e sorelle.
Aiutaci a condividere con loro le benedizioni
che abbiamo ricevuto dalle tue mani
e riconoscere che insieme, come un'unica famiglia umana,
siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te,
che sei la nostra vera casa,
là dove ogni lacrima sarà tersa,

dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio.

migrantimisericordiaindifferenza

3.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 18/04/2016

PREGHIERA

43. O Croce di Cristo!   2

Papa Francesco, Via Crucis al Colosseo, Venerdì santo 25 marzo 2016

O Croce di Cristo, simbolo dell'amore divino e dell'ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell'egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione, segno dell'obbedienza ed emblema del tradimento, patibolo della persecuzione e vessillo della vittoria.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei cuori impietriti di coloro che giudicano comodamente gli altri, cuori pronti a condannarli perfino alla lapidazione, senza mai accorgersi dei propri peccati e colpe.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell'uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei potenti e nei venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ladroni e nei corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l'etica si vendono nel misero mercato dell'immoralità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli stolti che costruiscono depositi per conservare tesori che periscono, lasciando Lazzaro morire di fame alle loro porte.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei distruttori della nostra "casa comune" che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli anziani abbandonati dai propri famigliari, nei disabili e nei bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nel nostro Mediterraneo e nel mar Egeo divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata.

O Croce di Cristo, immagine dell'amore senza fine e via della Risurrezione, ti vediamo ancora oggi nelle persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l'ammirazione degli altri.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ministri fedeli e umili che illuminano il buio della nostra vita come candele che si consumano gratuitamente per illuminare la vita degli ultimi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volti delle suore e dei consacrati - i buoni samaritani - che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell'ingiustizia.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei misericordiosi che trovano nella misericordia l'espressione massima della giustizia e della fede.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità e nell'osservanza filiale dei comandamenti.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei pentiti che sanno, dalla profondità della miseria dei loro peccati, gridare: Signore ricordati di me nel Tuo regno!

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei beati e nei santi che sanno attraversare il buio della notte della fede senza perdere la fiducia in te e senza pretendere di capire il Tuo silenzio misterioso.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volontari che soccorrono generosamente i bisognosi e i percossi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei perseguitati per la loro fede che nella sofferenza continuano a dare testimonianza autentica a Gesù e al Vangelo.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto. In te Santa Croce vediamo Dio che ama fino alla fine, e vediamo l'odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro preferiscono le tenebre alla luce.

O Croce di Cristo, Arca di Noè che salvò l'umanità dal diluvio del peccato, salvaci dal male e dal maligno! O Trono di Davide e sigillo dell'Alleanza divina ed eterna, svegliaci dalle seduzioni della vanità! O grido di amore, suscita in noi il desiderio di Dio, del bene e della luce.

O Croce di Cristo, insegnaci che l'alba del sole è più forte dell'oscurità della notte. O Croce di Cristo, insegnaci che l'apparente vittoria del male si dissipa davanti alla tomba vuota e di fronte alla certezza della Risurrezione e dell'amore di Dio che nulla può sconfiggere od oscurare o indebolire. Amen!

crocesofferenzaperseguitatiingiustiziapasquamortevitarisurrezionecorruzionepeccatosalvezzaegoismosolidarietàsperanza

5.0/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/03/2016

TESTO

44. Le mani addosso

Marina Guarino, Vertigine, ed. Rupe Mutevole, 2010

Lo sento piangere e lamentarsi
in quel giardino dove gli ulivi
contorti e misteriosi
somigliano agli uomini:
attaccati tenacemente alla terra
piegati dalle avversità
eppure protesi nel loro slancio.

La volontà si assopisce subito
in Giacomo e Giovanni
il loro viso è nascosto dall'ombra
io guardo la casupola del torchio
lontana,
disegnata dalla luna.

Ascolto con angoscia
la sua voce rotta dalla paura
mentre prega il Padre
con quello stesso amore
che Lui conosce
dapprima che la luce fosse
di custodirci dai venti della perfidia
e sollevarci dalle onde di ogni tempesta.

Poi la stanchezza mi benda gli occhi
fin quando odo i passi frettolosi
di chi avrebbe messo le mani
addosso al Giusto.

passionevenerdì santoorto degli ulivi

5.0/5 (3 voti)

inviato da Marina Guarino, inserito il 22/03/2016

PREGHIERA

45. La morte corporale   1

Carlo Maria Martini, Credo la vita eterna

Riconosco, Signore, che la durata della mia condizione mortale è gravata dalla maligna separazione che nell'incredulità si produce tra il nostro tempo e il tuo. E so che questa separazione si riflette nell'angoscia in cui trascorre il tempo che ciascuno di noi cerca di avere soltanto per se stesso. La malinconia del tempo inesorabilmente passato è figlia dell'incredulità e madre della disperazione.

La morte si presenta allora e solo allora come una dimostrazione dell'inutilità del tempo dell'amore. I colpi in cui il dolore percuote l'uscio di casa diventano i sogni di un destino implacabile che assegna alla morte l'ultima parola. La nostalgia del tempo perduto si trasforma in una malattia che rende cronica la perdita di ogni senso di tempo.

Ma se io, Signore, tendo l'orecchio e imparo a discernere i segni dei tempi, distintamente odo i segnali della tua rassicurante presenza alla mia porta. E quando ti apro e ti accolgo come ospite gradito nella mia casa, il tempo che passiamo insieme mi rinfranca.

Alla tua mensa divido con te il pane della tenerezza e della forza, il vino della letizia e del sacrificio, la parola della sapienza e della promessa, la preghiera del ringraziamento e dell'abbandono nelle mani del Padre. E ritorno alla fatica del vivere con indistruttibile pace. Il tempo che è passato con te sia che mangiamo sia che beviamo è sottratto alla morte.

Adesso, anche se è lei a bussare, io so che sarai tu ad entrare; il tempo della morte è finito. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per esplorare danzando le iridescenti tracce della Sapienza dei mondi. E infiniti sguardi d'intesa per assaporarne la Bellezza. Amen.

preghierarapporto con Diomortevita eternaabbandonosperanzadisperazionesenso della vitaricerca di senso

3.0/5 (2 voti)

inviato da Simone Pestelli, inserito il 07/02/2016

PREGHIERA

46. Laudato si, Dio creatore e padre

padre Antonio Rungi

Laudato si, Signore mio,
perché ci ha creato e redento,
Tu Padre di immensa tenerezza e bontà.

Laudato si, Signore mio,
per il dono del creato
che hai affidato alla nostra custodia
e messo nelle nostre mani,
non sempre attente ed oculate
nel conservare i beni
che ci hai lasciato
a nostra gioia e felicità.

Laudato si, Signore mio
per ogni uomo e donna
di questa martoriata terra,
afflitta da tanti mali incurabili
del corpo e dello spirito.

Fa' che nessuno di questi nostri fratelli
possano assaporare la freddezza
del nostro cuore e l'indifferenza
della nostra mente
presa da tanti personali problemi,
incapace di leggere il dolore
e la sofferenza sul volto
di chi non conta in questo mondo.

Laudato si, Signore mio,
per tutte le croci che ci doni ogni giorno
e ci inviti a portare con dignità
senza scaricarle sulle spalle degli altri,
ma felici di salire con te sul calvario
e donare la nostra vita,
come vittime espiatrici
per la conversione e la santificazione
del genere umano.

Laudato si, Signore mio
per le tante umiliazioni
che ci hai fatto sperimentare
attraverso quanti non sanno
e non vogliono amare sinceramente gli altri
e si fanno giudici severi degli altri
e molto tolleranti con se stessi.

Laudato si, Signore mio
per ogni cosa e per tutto quello
che guardiamo con i nostri occhi,
gustiamo con il nostro palato,
tocchiamo con le nostre mani,
odoriamo con il nostro naso,
ascoltiamo con le nostre orecchie,
soprattutto se sei Tu Signore a parlare
direttamente al nostro cuore,
perché ci vuoi totalmente consacrati
al tuo amore e alla tua lode,
nella cristiana speranza di lodarti
per sempre nella gioia del tuo Regno,
dove ci attendi per donarci
la pace e la felicità che non ha fine,
insieme a Maria, la tua e la nostra Madre,
Regina del cielo e della terra. Amen.

creatocustodia del creatodonogratitudinelode

5.0/5 (1 voto)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 03/02/2016

PREGHIERA

47. Vai e fai anche tu come ho fatto io

sr Mariangela frp Tassielli, Paoline

Strade, angoli, piazze e quartieri... sono tanti i luoghi in cui uomini e donne, senza nome, muoiono per indifferenza o solitudine.
Non esistono, Signore, samaritani che appaiono dal nulla. Non ci sono, Gesù, samaritani che arrivano da altri mondi.
Esistiamo noi, con le nostre scelte, E ci sei tu con la tua audace proposta:
«Vai e anche tu fai ciò che ho fatto io. Vai e tendi la mano a chi è povero. Vai e sorridi a chi è solo. Vai e apri il tuo cuore a chi è triste. Vai e abbraccia chi è caduto e sanguina».
Signore Gesù, rendi vera la nostra fede, insegna al nostro cuore ad amare veramente, aiuta le nostre gambe e le nostre mani ad andare verso gli altri, perché il mondo possa scoprire, e sentire il tuo amore, nel nostro credere, amando. Amen.

amiciziaSamaritano

5.0/5 (1 voto)

inserito il 03/02/2016

RACCONTO

48. Ascolta l'eco della tua vita!

C'era una volta un ragazzo che viveva in un piccolo villaggio sulle montagne e ogni mattina conduceva al pascolo il suo gregge di capre.

Un mattino, mentre era su un sentiero nuovo in una valle stretta, gli sembrò di udire rumore di passi e belati di altri animali. Il ragazzo pensò che ci doveva essere nelle vicinanze un pastore come lui e ne fu felice: gli sarebbe tanto piaciuto avere un amico. Facendo imbuto con le mani davanti alla bocca, gridò: «Chi è là?». Udì una voce che gli rispondeva: «Chi è là? Chi è là? Chi è là?». Le grida venivano da più parti. C'erano tanti pastori sulla montagna? Allora gridò più forte: «Fatevi vedere!». Le voci risposero: «fatevi vedere! Fatevi vedere! Fatevi vedere!». Ma non apparve nessuno. Il ragazzo gridò ancora: «Perché non venite fuori?». Da tutte le direzioni le voci risposero «Venite fuori! Venite fuori!». Il giovane pastore pensò che volessero prenderlo in giro e si rattristò. Allora urlò in tono arrabbiato: «Chi fa così è proprio scemo!». Per tutta la montagna rimbombò: «Scemo! Scemo! Scemo!». Allora il povero pastore tornò in fretta al villaggio. Ora aveva paura a tornare sulla montagna: magari quei pastori avrebbe potuto tendergli un tranello e fargli del male!

Il giorno dopo la madre gli chiese: «Che cos'hai, figlio mio? Perché non vuoi portare le capre al pascolo?». Il ragazzo le raccontò tutto. La madre comprese che non c'era nessuno sulla montagna, soltanto l'eco rimandava al ragazzo le parole che lui stesso aveva gridato.

«Non ti preoccupare, figlio mio», gli disse «Quei pastori non ti vogliono fare alcun male. Hanno solo paura di te e vorrebbero amici. Domani, quando sarai tra le rocce, augura loro il buongiorno e aggiungi qualche frase amichevole! Sono sicura che te la ricambieranno».

Il giorno dopo, quando raggiunse la gola tra i monti, il ragazzo inspirò profondamente e gridò: «Buongiorno!». L'eco rispose: «Buongiorno! Buongiorno! Buongiorno!». Rassicurato, il giovane gridò ancora: «Vorrei essere vostro amico!». L'eco rimbalzo tra le rocce: «Amico! Amico! Amico!».

E' quasi una legge della vita.
Gli altri ti restituiscono sempre l'eco delle tue parole...

comunicazionecomportamentoparolepositivitànegativitàottimismopessimismorapporto con gli altrigentilezzavolgarità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 02/02/2016

TESTO

49. Lettera di Dio per la custodia della donna   2

La donna che hai al fianco, emozionata, con l'abito da sposa, è mia. Io l'ho creata. Io le ho voluto bene da sempre; ancor prima di te e ancor più di te. Per lei non ho esitato a dare la mia vita. Ho dei grandi progetti per lei. Te l'affido. La prenderai dalle mie mani e ne diventerai responsabile.

Quando l'hai incontrata l'hai trovata bella e te ne sei innamorato. Sono le mie mani che hanno plasmato la sua bellezza, è il mio cuore che ha messo dentro di lei la tenerezza e l'amore, è la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità e la sua intelligenza e tutte le qualità belle che hai trovato in lei.

Però non basta che tu goda del suo fascino. Dovrai impegnarti a rispondere ai suoi bisogni, ai suoi desideri. Ti renderai conto che ha bisogno di tante cose: ha bisogno di casa, di vestito, di serenità, di gioia, di equilibrio psichico, di rapporti umani, di affetto e tenerezza, di piacere e di divertimento, di presenza umana e di dialogo, di relazioni sociali e familiari, di soddisfazioni nel lavoro e di tante altre cose.

Ma dovrai renderti conto che ha bisogno soprattutto di me, e di tutto quello che aiuta e favorisce questo incontro con me: la pace del cuore, la purezza di spirito, la preghiera, la Parola, il perdono, la speranza e la fiducia in me, la mia vita. Sono Io e non tu il principio, il fine, il destino di tutta la sua vita.

Facciamo un patto tra noi: la ameremo insieme. Io la amo da sempre. Tu hai incominciato ad amarla da qualche anno, da quando te ne sei innamorato. Sono io che ho messo nel tuo cuore l'amore per lei. È stato il modo più bello perché ti accorgessi di lei. Volevo affidarla a qualcuno che se ne prendesse cura. Ma volevo anche che lei arricchisse con la sua bellezza e le sue qualità la vita di un uomo. E questo uomo sei tu.

Per questo ho fatto nascere nel tuo cuore l'amore per lei. Era il modo più bello per dirti: "ecco, te la affido", e perché tu potessi godere della sua bellezza e delle sue qualità. Quando le dirai "prometto di esserti fedele, di amarti e rispettarti per tutta la vita", sarà come se mi rispondessi che sei lieto di accoglierla nella tua vita e di prenderti cura di lei. Da quel momento saremo in due ad amarla.

Dobbiamo però metterci d'accordo: non è possibile che tu la ami in un modo e io in un altro. Devi avere per lei un amore simile al mio, e devi desiderare per lei le stesse cose che Io desidero. Non puoi pensare nulla di più bello e gioioso per lei.

Se la ami sul serio vedrai che ti troverai d'accordo con me nel progetto che ho concepito per lei. Ti farò capire poco alla volta quale sia il mio modo di amare, e ti svelerò quale vita ho sognato e voluto per questa mia creatura che diventerà tua sposa.

Mi rendo conto che ti sto chiedendo molto. Pensavi che questa donna fosse tutta e solo tua, e ora invece hai l'impressione che io ti chieda di spartirla con Me. Non è così. Io non sono il tuo rivale in amore. Al contrario, sono molui che ti aiuta ad amarla appassionatamente. Per questo desidero che nel tuo piccolo amore ci sia il mio grande amore.

Col tuo amore potrai fare molto per lei, ma è sempre troppo poco. Io ti rendo invece capace di amare da Dio. È questo il mio dono di nozze: un supplemento di amore che trasforma il tuo amore di creatura e lo rende capace di produrre le opere di Dio nella donna che ami.

Sono parole per te misteriose, ma le capirai un poco alla volta. Ti assicurò che non ti lascerò mai solo in questa impresa. Sarò sempre con te e farò di te lo strumento del mio amore, della mia tenerezza; continuerò ad amare la mia creatura, che è diventata tua sposa, attraverso i tuoi gesti d'amore, di attenzione di impegno, di perdono, di dedizione. In una parola: ti renderò capace di amare come io amo, perché ti darò una forza nuova di amare che è il mio stesso amore.

Se vi amerete in questo modo, la vostra coppia diventerà come una fortezza che le tempeste di vita non riusciranno mai ad abbattere. Un amore costruito sulla mia Parola è come una casa costruita sulla roccia: nessuna vicenda potrà distruggerla. Ricordatelo, perché molti si illudono di poter fare a meno di me: ma se io non sono con voi nell'edificare la casa della vostra vita e del vostro amore, vi affaticherete invano: come gli apostoli che faticarono tutta una notte e al mattino tornarono a riva con le reti vuote; bastò un semplice intervento Mio, e le reti pescarono tanto pesce che per l'abbondanza si rompevano. Di più. Se vi amerete in questo modo diventerete forza anche per gli altri.

Oggi si crede poco all'amore vero, quello che dura per sempre, e che offre la propria vita all'amato. Si cercano più le emozioni amorose che l'amore. Ma le emozioni nascono e muoiono presto, lasciando solo vuoto e nostalgia.

Per questo qualcuno ha detto che il matrimonio è solo una grande illusione che si dissolve presto. Se voi saprete amarvi come io amo, con una fedeltà che non viene mai meno, diventerete come la città sul monte. Sarete una speranza per tutti, perché tutti vedranno che l'amore è una cosa possibile.

donnaamorematrimoniocoppiasposicustodire

4.7/5 (3 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 16/06/2015

PREGHIERA

50. A Maria, Madre del silenzio

Papa Francesco

Madre del silenzio,
che custodisci il mistero di Dio,
liberaci dall'idolatria del presente,
a cui si condanna chi dimentica.
Purifica gli occhi dei Pastori
con il collirio della memoria:
torneremo alla freschezza delle origini,
per una Chiesa orante e penitente.

Madre della bellezza,
che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano,
destaci dal torpore della pigrizia,
della meschinità e del disfattismo.
Rivesti i Pastori
di quella compassione che unifica e integra:
scopriremo la gioia
di una Chiesa serva, umile e fraterna.

Madre della tenerezza,
che avvolge di pazienza e di misericordia,
aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità
di chi non conosce appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani,
i nostri piedi e i nostri cuori:
edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
Madre, saremo il Popolo di Dio,
pellegrinante verso il Regno.
Amen.

mariapastoripretichiesacomunitàapostolatomisericordia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Alessandro Bianco, inserito il 16/06/2015

RACCONTO

51. Il sogno dell'ometto

Leggenda peruviana

Era piccolo, sparuto e miserabile, quell'ometto. Era un servo, un domestico indiano, e doveva compiere la sua corvée nella residenza del grande Signore.

Pieno di umiltà e di terrore, l'Ometto si teneva in piedi di fronte al padrone. Forse a causa di quella sua aria smarrita, era da questi particolarmente disprezzato.

«Mi sembri un cane», gli diceva. «Mettiti a quattro zampe. Ora trotta come i cagnolini. Ora drizza le orecchie. Giungi le mani!».

L'Ometto obbediva come meglio poteva, e il padrone rideva a crepapelle. E così ogni giorno, obbligava il suo servo a umiliarsi, lo esponeva alle canzonature dei suoi compagni. Ma una sera, l'Ometto alzò d'un tratto la voce. Aveva qualcosa da dire.

«Grande Signore, Padrone mio, perdonami, ma vorrei parlarti», disse.
«Che? proprio tu?... e a me?».

«Si, Signore. Ho fatto un sogno. Ho sognato che eravamo morti tutti e due: tu, ed io».

«Tu?... Con me?... Racconta, che ridiamo un po'». «Ecco, eravamo morti, e perciò nudi tutti e due insieme. Nudi davanti al nostro grande Patrono san Francesco». «Ma guarda un po'! E allora?... Parla!», ordinò il padrone, tra seccato e incuriosito.

«II nostro grande Patrono ci esaminava con i suoi occhi che vedono fin dentro al cuore. Poi chiamò un Angelo e gli ordinò: "Porta una coppa d'oro piena del miele più trasparente!». «E allora?», incalzò il padrone.

«Allora san Francesco disse: "Ricopri questo gentiluomo col miele della coppa d'oro". E l'Angelo, prendendo il miele nelle proprie mani, lo ha spalmato sopra il tuo corpo, o Padrone, dalla testa ai piedi, cosicché tu eri raggiante di luce, come una statua d'oro, trasparente nello splendore del cielo». «Bene», fece il padrone. Poi aggiunse: «E tu?». «Per me, il nostro Santo Patrono fece venire un Angelo con un grosso bidone pieno di escrementi umani. "Andiamo, gli disse, insudicia il corpo di questo ometto; coprilo tutto come meglio potrai. Alla svelta". Così fece l'Angelo. Mi impiastricciò tutto il corpo, da capo a piedi, ed io comparvi, vergognoso e puzzolente, nella luce del cielo...».

«Proprio così ha da accadere», approvò il Padrone. «Finisce qui la tua storia?».

«Oh no, mio Signore, no, Padre mio. San Francesco riprese a scrutarci con quei suoi occhi che frugano il cuore, poi comandò: "Ed ora, leccatevi l'un l'altro. Lentamente, e a lungo!" E ordinò agli Angeli di vegliare perché si adempisse la sua volontà».

giudizioricchezzasuperbia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 16/06/2015

PREGHIERA

52. Spirito Santo, amore (perché tutto, e sempre, sia preghiera)

Valentino Salvoldi

Apri la mia mente
Spirito Santo, Amore,
perché intenda il linguaggio
dell'eterna Parola,
tesoro da cui trarre
verità antiche e sempre nuove.

Apri le mie labbra,
Spirito d'intelletto e di consiglio,
per cantare e lodare
il santo nome di Gesù
mio Dio e Fratello,
mio scudo e fortezza.

Apri il mio cuore
Spirito di sapienza e di scienza
a una continua conversione
per gustare le meraviglie del creato,
aderire alla follia evangelica,
inebriarmi della Parola e del Pane di vita.

Apri le mie mani,
Spirito di fortezza e di pietà
per tradurre in opere di giustizia
l'affascinante proposta di fede
che mi addita, nel più piccolo dei fratelli,
il mio Signore e mio Dio.

Scarica la raccolta completa di preghiere e testi di don Valentino Salvoldi

Spirito Santodonidoni dello Spirito Santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Valentino Salvoldi, inserito il 16/06/2015

TESTO

53. Lavanda dei piedi, capovolgimento della vita (versione lunga)

don Primo Mazzolari, Scritti

«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)

Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire. «Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».

Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

«Gesù sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre»...

Per un cristiano non ci sono ore inconsapevoli; ogni ora segna il transito dal mondo al Padre, dal terrestre allo spirituale, dal parziale all'universale, dal temporale all'eterno.

Il distacco, che prepara il transito, non può avvenire che per un accrescimento d'amore, vale a dire nella luce della carità del Padre, che non conosce limiti. «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

Un «passaggio» o una «conversione» che diminuisse le affezioni naturali e ci sottraesse alle parziali emozioni che tali affetti giustamente ci comandano, non sarebbe un'ascensione.

Si sale verso il Padre, con cuore purificato, ma non separato. Il nostro vero patrimonio umano ce lo portiamo con noi per accrescerne il valore nella santità.

Niente ci deve impedire di portare «sino alla fine», nella pienezza della carità, i nostri vincoli umani: neanche la presenza del traditore, neanche la possibilità di piegare per altre vie le resistenze delle creature.

Proprio quando Gesù sa che «il diavolo aveva già messo in cuore» a Giuda Iscariota di tradirlo, quando ha la certezza che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che stava per ritornare a Dio «...si levò da tavola, depose le sue vesti e preso un asciugatoio, se ne cinse...».

Facendosi uomo aveva preso «la forma del servo». Ma nessuno se n'era accorto fino a quel momento, tanto era in alto il Maestro nella sua così comune umanità. Operava grandi miracoli, si trasfigurava sul monte, predicava con autorità mai vista, parlava come un profeta non aveva mai parlato.

Gli uomini avevano bisogno di vedere il servo, in una forma evidente, inequivocabile. L'amore ve l'avrebbe fissato per sempre e in un gesto che sfida le false grandezze e le false dignità create dal nostro orgoglio.

«Si levò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio se ne cinse. Poi mise dell'acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio».

Non ha cominciato né da Pietro né da Giovanni; forse da Giuda, per subito gustare l'estrema ripugnanza di servire l'inservibile, di amare l'inamabile.

Quando arriva a Pietro si sente dire: - Tu Signore, lavare i piedi a me? - Pietro misurava soltanto la propria miseria, e non poneva l'occhio sul mandato di carità che lo avrebbe impegnato come seguace di Cristo, per tutta la vita.

- Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo. Capiva il fatto dell'umiliazione, non capiva la lezione che il Maestro intendeva dargli attraverso il mistero dell'umiliazione. Pietro voleva aver parte con Cristo immaginando chi sa quali ricompense; per questo era disposto a farsi lavare anche le mani e il capo. Neanche il primo degli apostoli sapeva che l'unica condizione per aver parte con lui, è legata, più che a una lavanda materiale, alla continuazione di quella carità che il Cristo veniva istituendo con un atto quasi sacramentale.

«Come dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe riprese le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: - Capite quel che vi ho fatto?».

E poiché gli apostoli non capivano l'istituzione della carità, che doveva precedere di poco l'istituzione del sacramento della carità, il Maestro è costretto a continuare la lezione.

«Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io che sono il Signore e Maestro v'ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v'ho fatto io».

L'istituzione dell'eucaristia si chiude con parole quasi eguali: - Fate questo in memoria di me.

I cristiani di tutti i tempi hanno trovato più facile ripetere la presenza eucaristica della presenza della carità, dimenticando che non si può capire una mensa dalla quale, almeno uno, dietro l'esempio del Maestro, non si alzi per continuare nel mondo quella carità che è il fermento celeste del pane del mistero.

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Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.

Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.

I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

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lavanda dei piediservizioeucaristiagiovedì santo

inviato da Qumran, inserito il 09/06/2015

RACCONTO

54. Le mani di Gesù

Un uomo, camminando, parlava con se stesso come fanno di solito coloro che nella vita non hanno amici con cui confidarsi.
- Ecco - diceva -, nessuno è più povero di me; avevo un cappello e me l'ha portato via il vento; avevo un mantello e me l'hanno rubato; avevo un bastone e ho dovuto bruciarlo per farne fuoco; avevo una ciotola per il cibo e la bevanda e il fiume me l'ha portata via; non ho che le mani per raccogliere acqua da bere. C'è al mondo qualcuno più povero di me?
- Io fratello.
L'uomo si volta e vede davanti a sé il Signore in abito da pellegrino.
- Io sono più povero di te. Tu, se hai sete, puoi raccogliere acqua con le mani: io no, perché me le hanno trafitte.

passionedolorecompassionepovertàricchezza

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inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 09/06/2015

RACCONTO

55. La concordia

Apoftegmi dei Padri del deserto

Vivevano in una stessa cella due fratelli assai celebrati per la loro umiltà e pazienza. Un po' alla volta, passando gli anni, si erano accomodati il loro nido eremitico in modo perfetto. La cella l'avevano fatta di vinchi e tutta intonacata; attorno poi avevano piantato un bell'orto con rigagnoli d'acqua derivati da una sorgente vicina, che lo mantenevano fresco tutto l'anno e così ricco di erbaggi e di frutti da averne anche da regalare agli altri eremiti. Non mancavano neppure piccole aiuole di fiori e di erbe odorifere che servivano ad adornare il piccolo altare dell'oratorio.

Un giorno un vecchio monaco che aveva sentito parlare delle grandi virtù di questi due fratelli, volle accertarsene di persona: «Andrò a vedere», disse, «se sarà tutto oro o se vi sarà anche del piombo».

Accolto con molta riverenza e fatta orazione, chiese di vedere il giardino. «Venite venite», dissero i due, e vo lo accompagnarono. «Bello bello!», faceva il vecchio arricciando il naso: «anche troppo bello per degli eremiti...» E, preso un bastone, si mise a menarlo con gran furia a destra e a manca, sbattendolo sui cavoli, l'insalata, i cetrioli, i fiori. Pareva impazzito. I due stavano lì a mani giunte a guardarlo, ed ebbero appena il fiato di dire: «O Dio!», ma non aggiunsero altro.

Più tardi, prostratisi ai piedi di quel santo Padre che nel frattempo s'era seduto all'ombra a tergersi il sudore, gli dissero: «Padre, se ti piace, vorremmo andare a cogliere un poco di quel cavolo che c'è rimasto, e così lo cuoceremo e lo mangeremo tutti e tre insieme». Il vecchio non credeva ai propri orecchi: tutto stupefatto, li abbracciò e disse: «Rendo grazie a Dio, perché veramente lo Spirito Santo abita in voi».

fraternitàconcordiapace interiorepazienzaumiltà

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inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 09/06/2015

PREGHIERA

56. Basta un pezzo di pane   1

Servire, rivista Scout per educatori, 3/2014, p. 50

Signore, ci hai detto di chiederlo ogni giorno ma è per noi più che un bene materiale: è il pane, Signore, che hai misteriosamente scelto per testimoniare tra noi la tua presenza e non possiamo, se non profanandolo, considerarlo solo come il prodotto del fornaio. Non ne ho mai cotto io stesso, non ho mai seminato né frumento né segale nei prati arati; non ne ho mai falciato un covone, non ho mai battuto le spighe sull'aia, non ho né macinato il grano né impastata la farina, né mescolato il lievito alla pasta, non ho sorvegliato la cottura. Tutto questo è stato fatto da altri, e quasi tutti anonimi. Io mi son contentato di tagliare il mio pane e di mangiarlo, senza pesar pensar tanto alla sua storia prodigiosa.

Trovo naturale mangiare il pane, eppure non penso che ogni pezzo di pane può ricondurmi a te.

Non ci hai narrato del lievito che la massaia nasconde in mezzo alle tre misure di farina? E tu, non hai moltiplicato nel deserto i cinque pani d'orzo che stavano con qualche pesce in fondo ad un cestino? Il pane? Ma tu l'hai preso nelle tue mani, l'hai spezzato, l'hai distribuito e l'hai mangiato con i tuoi discepoli, ti sei identificato con il pane della vita e hai scelto una cosa tanto comune, un cibo quotidiano che è nell'ambito del nostro stesso appetito: "Io sono il Pane vero".

Eppure, oggi, io mi nascondo dietro lunghe elucubrazioni e mi pare persino strano che per scorgerti vicino a noi, a tavola, sia sufficiente rompere un pezzo di pane, senza discorsi né laboriose dimostrazioni. E ho bisogno di questo piccolo gesto per sapere che mi sei vicino.

paneeucaristia

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 26/05/2015

TESTO

57. Io, Elisa Springer, ho visto Dio   2

Elisa Springer, Il silenzio dei vivi, Marsilio Editori,1997

Io, Elisa Springer, ho visto Dio. Ho visto Dio, percosso e flagellato, sommerso dal fango, inginocchiato a scavare dei solchi profondi sulla terra, con le mani rivolte verso il cielo, che sorreggevano i pesanti mattoni dell'indifferenza. Ho visto Dio dare all'uomo forza, per la sua disperazione, coraggio alle sue paure, pietà alle sue miserie, dignità al suo dolore. Poi... lo avevo smarrito, avvolto dal buio dell'odio e dell'indifferenza, dalla morte del mondo, dalla solitudine dell'uomo e dagli incubi della notte che scendeva su Auschwitz. Lo avevo smarrito... insieme al mio nome, diventato numero sulla carne bruciata, inciso nel cuore con l'inchiostro del male, e scolpito nella mente, dal peso delle mie lacrime... Lo avevo smarrito... nella mia disperazione che cercava un pezzo di pane, coperta dagli insulti, le umiliazioni, gli sputi, resa invisibile dall'indifferenza, mentre mi aggiravo fra schiene ricurve e vite di morti senza memoria.

Ho ritrovato Dio... mentre spingeva le mie paure al di là dei confini del male e mi restituiva alla vita, con una nuova speranza: io ero viva in quel mondo di morti. Dio era lì, che raccoglieva le mie miserie e sollevava il velo della mia oscurità. Era lì, immenso e sconfitto, davanti alle mie lacrime.

memoriapersecuzioneAuschwitzsofferenzagiornata della memoriashoahcampi di concentramentoolocausto

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inviato da Qumran2, inserito il 23/01/2015

TESTO

58. Annunciazione   1

Erri De Luca, Nel nome della Madre

Glielo dissi il giorno stesso. Non potevo stare una notte con il segreto. Non trascorrerà intero il giorno sulla rottura della tua alleanza. Eravamo fidanzati. Nella nostra legge è come essere sposati, anche se non ancora nella stessa casa. Ed ecco che ero incinta. La voce del messaggero era arrivata insieme a un colpo d'aria. Mi ero alzata per chiudere le imposte e appena in piedi sono stata coperta da un vento, da una polvere celeste, da chiudere gli occhi. Il vento di marzo in Galilea viene da nord, dai monti del Libano e dal Golan. Porta bel tempo, fa sbattere le porte e gonfia la stuoia degli ingressi, che sembra incinta. In braccio a quel vento la voce e la figura di un uomo stavano davanti a me.

Ero in piedi e l'ho visto contro luce davanti alla finestra. Ho abbassato gli occhi che avevo riaperto. Sono sposa promessa e non devo guardare in faccia gli uomini. Le sue prime parole sul mio spavento sono state: "Shalòm Miriàm". Prima che potessi gridare, chiamare aiuto contro lo sconosciuto, penetrato nella stanza, quelle parole mi hanno tenuto ferma: "Shalòm Miriàm", quelle con cui Iosef si era rivolto a me nel giorno del fidanzamento. "Shalòm lekhà", avevo risposto allora. Ma oggi no, oggi non ho potuto staccare una sillaba dal labbro. Sono rimasta muta. Era tutta l'accoglienza che gli serviva, mi ha annunciato il figlio. Destinato a grandi cose, a salvezze, ma ho badato poco alle promesse. In corpo, nel mio grembo si era fatto spazio. Una piccola anfora di argilla ancora fresca si è posata nell'incavo del ventre.

Il mio Iosef, bello e compatto da baciarsi le dita, si stringeva le braccia contro il corpo, cercava di tenersi fermo, ripiegato come col mal di pancia. La notizia per lui era una tromba d'aria che scoperchiava il tetto. Tentava un riparo con il corpo, smarrito in faccia, i muscoli che saltavano fuori dalle braccia. Si proteggeva il ventre teso e magro, non si permetteva di toccarmi, di scuotere la mia calma così opposta al suo sgomento, senza poter fingere un po' di agitazione.

Ero in piedi, schiena dritta, un'agilità nuova mi dava slancio, mi accorgevo di essere più alta e più leggera precisamente al centro del corpo, sotto le costole nell'ansa del ventre. Là dove lui accusava il colpo e il peso coi muscoli contratti di un atleta sotto sforzo, io ricevevo una spinta dal basso verso l'alto da aver voglia di mettermi a saltare. I suoi capelli a ciuffi scossi sbattevano sulla fronte chiara, ballavano davanti agli occhi. Glieli misi in ordine con un paio di carezze svelte. Nel suo scompiglio era ancora più bello.

"Cos'altro ha detto, cos'altro", chiedeva Iosef affannato con la testa tra le mani, gli occhi a terra. "Sforzati di ricordare, Miriàm, è importante, cos'altro voleva far sapere?"

Gli uomini danno tanta importanza alle parole, per loro sono tutto quello che conta, che ha valore. Iosef le voleva per poterle serbare, riferire. Immaginò subito le conseguenze legali. L'annuncio aveva rotto la nostra promessa. Ero incinta di un angelo in avvento, prima del matrimonio. Perciò chiedeva altre parole da riportare all'assemblea, in cerca di una difesa di fronte al villaggio.

"Cos'altro ha detto, Miriàm? Ti prego, sforza la memoria, è accaduto solo poche ore fa." "Ero sopra pensiero, Iosef, stupita da un rimescolio del corpo, dalla polvere chiara che mi aveva investito senza lasciare traccia a terra, solo addosso. Ce l'ho ancora, la vedi?" "Lascia stare la polvere, pulirai dopo, adesso aiutami, cosa racconterò agli anziani?"

Mentre accadeva guardavo in basso, la veste fino ai piedi. Sotto, il mio corpo chiuso era calmo come un campo di neve. Mentre parlava io diventavo madre. Gli uomini hanno bisogno di parole per consistere, quelle dell'angelo per me erano vento da lasciar andare. Portava parole e semi, a me ne bastava uno.

Ero rimasta in piedi innanzi a lui e in piedi stavo davanti a Iosef. Lui sedeva, si alzava, si risedeva, chiedeva di mettermi seduta, ma restavo in piedi. Eravamo promessi ed era già un atto grave stare soli sotto lo stesso tetto. Avevo chiesto il colloquio, l'avevano concesso ma c'era stato un gran trambusto, ed era quasi sera. E poi non volevo sedermi. Con le mani intrecciate sul ventre piatto mi toccavo la pelle per sentire sulla punta delle dita la mia vita cambiata. Era per me il giorno uno della creazione.

Mi sforzavo di ricordare qualcosa per consolarlo. Mi stava a cuore il suo sgomento, m'importava di lui mortificato dalla rottura del nostro patto di unione.

Iosef fu sorpreso dalla mia quiete. Si attaccò anche a lui. Si alzò in piedi, sollevò la testa, asciugandosi la faccia con il dorso di quelle mani sante che avrei voluto baciare. "Conosci la legge, Miriam?" "Conosco la legge." "Per filo e per segno?" "Non bene come te, non tutte le parole. Spetta a voi uomini conoscerle a memoria. So le conseguenze." "Ascoltami, Miriàm. C'è una possibilità. Tu domani vai da sola in campagna con un pretesto, in cerca di qualche erba invernale per fare un decotto. E torni a sera dal campo dicendo di essere stata aggredita e violata lì, di aver gridato, ma senza risposta. E già successo, si sa di altri casi di ragazze che sono riuscite a evitare così l'accusa di adulterio."

Guardai Iosef per la prima volta. Conoscevo la sua faccia serena anche sotto le mosche e la fatica. Ora vedevo un uomo desolato che provava a governare la situazione progettando menzogne. Quanto dev'essere importante per gli uomini la legge, per ridurli a questo. Dissi: "Quell'uomo messaggero è venuto da me a mezzogiorno, porte e finestre aperte, spalancate. Io mi sono trovata in piedi davanti a lui nella mia stanza e non ho pronunciato una sillaba, non ho neanche risposto al suo saluto, altro che gridi."

Ero felice. Avrei voluto abbracciare il mio Iosef, per lui mi era salita in petto una tenerezza mai provata. Il rispetto, la soggezione che ci insegnano verso l'autorità maschile, abbassano i sentimenti affettuosi. Ma l'annuncio dell'angelo e la risposta del mio corpo quel giorno mi avevano affrancato. Non arrossivo, la fiducia di essere nel giusto mi dava la prontezza necessaria e un contegno nuovo. Anche il mio silenzio era cambiato. Con la tenerezza venne la gratitudine. Mi aveva creduto. Contro ogni evidenza si affidava a me. Sulla sua bella faccia non s'era mosso neanche un muscolo del sospetto, un aggrumo di ciglia, uno sguardo di sbieco. E aveva visto la sua Miriàm per la prima volta, perché era la prima volta che lo guardavo in faccia senza abbassare la fronte, come neanche le mogli osano fare. Mi aveva creduto, ero felice e calda di gratitudine per lui. "Fai quello che è giusto, Iosef. Io oggi sono tua più di prima, più della promessa."

annunciazionefiduciaGiuseppemariaaffidamento

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inviato da Qumran, inserito il 21/01/2015

PREGHIERA

59. Seminatori di speranza   1

don Mario Giovanni Petruzzelli

Ogni giorno tristi notizie
scuotono le strade del mondo.
Ogni persona che incontriamo
ha sempre da raccontarci una lacrima sofferta.
Siamo tutti con gli occhi rivolti verso un'alba serena,
che però tarda a spuntare.
A noi, tuoi figli, o Signore,
hai affidato il compito di seminare speranza
dove c'è disperazione,
poiché la tua grazia ha posto in noi
il seme fecondo che genera il mondo redento e salvato.
Aiutaci, Signore, ad essere ogni giorno
non diffusori di lacrimogeni,
ma banditori della Buona Novella che, nonostante tutto,
la storia sfocia in un giardino di salvezza,
perché è tenuta saldamente nella tue mani.

tristezzagioiafiduciasperanza

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inviato da Paola Berrettini, inserito il 29/10/2014

PREGHIERA

60. Preghiera del chitarrista   3

Antonio Piacentini

Signore Dio,
aiutami a mettere la chitarra al servizio dei fratelli.

Fa' in modo che lo strumento che tengo tra le mani ti renda lode.
Fa' che io non suoni tanto per me e per far vedere la mia bravura
quanto per far pregare gli altri.

Fa' che, come Davide quando suonava per Saul,
il suono del mio strumento aiuti le persone che mi sono vicino a stare meglio.

Aiutami ad accettare i consigli di chi ha più esperienza.
Manda il tuo Spirito per farmi capire
qual' è il canto più adatto da fare in ogni circostanza.

Aiutami a rendere belle le celebrazioni e a ricordare sempre
che queste sono fatte per dare gloria a te e non a me.

Aiutami a ricordare che suonare è un talento che mi hai dato tu
e come ci insegna la parabola del servo fedele
i talenti devono essere messi a frutto e non nascosti.
Te lo chiedo per Cristo nostro Signore. Amen

servizio ecclesaleliturgiamusicacantotalenti

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inviato da Antonio Piacentini, inserito il 18/09/2014

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