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RACCONTO

21. Pensare a cosa sia la guerra.... troppo semplice!

Un volontario di Medici senza Frontiere

Vivi bene in una paese che conosci, la casa, gli amici sono i punti di riferimento della vita. Ci sono gli studi, la ricerca ragionevole di una affermazione professionale tra strade sicure, il naturale progetto di una famiglia, bambini, nuova casa, vacanze, la compagnia di coloro che ti amano, un cane che non si stanca di farti festa.

Pensa ad un paese in guerra: qualcuno improvvisamente abbatte la porta e spara, si diffondono malattie, bombardano nel quartiere vicino, le strade sono minate, ci sono corpi immersi nel sangue, bambini ti muoiono tra le braccia, c'è gente che prega per essere risparmiata, non sa perché sarà uccisa, ma lo sarà tra un momento, in un modo barbaro, ciascuno di fronte agli altri. E' il governo che spara, sono i ribelli che attaccano, sono le bande che uccidono, sono le mine che provocano amputazioni e morte, soprattutto fra i piccoli.

Ciascuno di coloro che sono armati ti impedisce di passare, ti impedisce di soccorrere, ti impedisce di denunciare e testimoniare, ti vuole complice o morto. Gli oggetti utili vengono distrutti, le case bruciate, le strade sono crateri, i ponti saltano in aria. Le medicine per le terribili malattie che circolano non possono più arrivare. C'è chi muore di ferita, chi muore di omicidio, chi muore di prigione, chi muore di fame, chi di paura, mentre tenta una fuga senza senso e senza fine.

Sto descrivendo due mondi o uno? Se contate le migliaia di chilometri, sono due mondi. Se fosse possibile entrare nella vita di un volontario (chi scrive è un volontario di Medici senza frontiere), l'immagine cambierebbe di colpo. E' un solo mondo, una sola strada, lo stesso quartiere.

La guerra è di casa in paesi come Angola, Liberia, Ruanda, Mozambico, Guinea, Armenia, Somalia, Sudan, Ciad, Nigeria, Serbia, Zaire/Congo, Bosnia, Afghanistan, Burundi... e ovunque infinite croci.

Oggi viene solleticata la nostra compassione per i morti in Iraq... ma in quante e quali altre terre ci sono morti ugualmente atroci, ugualmente brutali, ugualmente assurde, che si sono consumate e continuano a consumarsi senza l'attenzione di alcuno?

Per chi non crede, la domenica è una ricorrenza un po' ostica, più difficile da "metabolizzare" rispetto le altre. E il significato che può avere per un credente, non può che sfuggirmi.

Forse l'invito che vi rivolgo sarà fuori luogo, o forse potrei rivolgervelo in un momento migliore, non so. Vi chiedo di ricordare (nelle vostre preghiere, ma anche, se potete, a voce, con qualcun altro) quelli che si sono spenti, che sono stati spenti, che si stanno spegnendo in quelle terre devastate, di soffermarvi un secondo (nella vostra mente, ma, se potete, anche insieme ad altri) calandovi in loro, per quanto possa essere difficile immaginarci nostro padre sanguinante sotto le macerie, nostra madre abbattuta a colpi di machete, il bimbo della porta affianco che si spegne gelido, mentre il suo corpo non alimentato non ce la fa più neppure a trattenere calore quanto basta, e noi stessi giusto sulla soglia...

Fermatevi un attimo. E immaginate. Non volti anonimi di gente "diversa". Ma quelli che avete più cari. Per quelli di cui ho letto, in questo istante, dalla mia stanza, non so cos'altro fare, se non regalarvi un istante di orrore. Non so cos'altro fare, se non tentare che essi risorgano almeno in qualche coscienza. Forse questa mail non ha molto le sembianze di una qualcosa di gioioso, ma visto che "sento" che partirò, voleva anche servire ad augurarvi una giornata serena, in cui sentirsi più che mai felici e fortunati di appartenere a questa porzione di mondo...

guerraviolenzaindifferenza

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inviato da Samiland80, inserito il 21/02/2005

RACCONTO

22. La benedizione   1

Bruno Ferrero, Solo il vento lo sa

Nella comunità dell'Arca dove aveva deciso di vivere, dopo una vita passata nel mondo universitario, un giorno il celebre padre Henri Nouwen fu avvicinato da una handicappata della comunità che gli disse: "Henri, mi puoi benedire?". Padre Nouwen rispose alla richiesta in maniera automatica, tracciando con il pollice il segno della croce sulla fronte della ragazza.

Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: "No, questa non funziona. Voglio una vera benedizione!". Padre Nouwen si accorse di aver risposto in modo abitudinario e formalistico e disse: "Oh, scusami... ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione".

Dopo la funzione, quando circa una trentina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, padre Nouwen disse: "Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso".

La ragazza si alzò e andò verso il sacerdote, che indossava un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet lo abbracciò e pose la testa contro il suo petto. Senza pensarci, padre Nouwen la avvolse con le sue maniche al punto di farla quasi sparire tra le pieghe del suo abito.

Mentre si tenevano l'un l'altra padre Nouwen disse: "Janet, voglio che tu sappia che sei l'Amata Figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po' giù e che c'è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te". Janet alzò la testa e lo guardò; il suo largo sorriso dimostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione.

Quando Janet tornò al suo posto, tutti gli altri handicappati vollero ricevere la benedizione. Anche uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: "E io?". "Certo", rispose padre Nouwen. "Vieni".

Lo abbracciò e disse: "John, è cosi bello che tu sia qui. Tu sei l'Amato Figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito". Il giovane lo guardò con le lacrime agli occhi e disse: "Grazie, grazie molte".

La sensazione di essere maledetti spesso colpisce più facilmente che la sensazione di essere benedetti. Dobbiamo riscoprire il senso e la bellezza della benedizione. E quando le cose sono difficili e la vita è pesante ricordati chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amato da Dio e da tutte le persone che sono con te.

amorebenedizionerapporto con Dio

inviato da Maurizio Seghieri, inserito il 16/12/2003

RACCONTO

23. Un celebre astronomo   1

Tilmann Pesch

Il celebre astronomo Kircher aveva uno dei suoi amici che dubitava della esistenza di Dio.

Un giorno in cui doveva recarsi a visitarlo, collocò sul suo tavolo un magnifico globo celeste. L'incredulo era appena entrato quando il novello oggetto colpì il suo sguardo; l'esaminò da vicino e domandò a Kircher se gli apparteneva.

"No", rispose l'astronomo, "il globo che voi vedete non appartiene ad alcuno; non ha proprietario. Deve esser venuto qui per effetto del caso, perché io non posso spiegare altrimenti la sua presenza".

L'amico credeva che Kircher scherzasse: ma l'astronomo continuò a sostenere con serietà quello che aveva affermato non ascoltando alcuna delle obiezioni dell'incredulo, fino al momento in cui questi dimostrò di aversene a male.

Allora Kircher sorrise e gli disse con malizia: "Voi trovate che sarebbe assurdo ammettere che il caso abbia portato qui questo piccolo globo: come dunque volete poi che il caso sia autore di questo grande ed ammirevole globo che noi abitiamo?".

Il visitatore tacque non trovando nulla da obiettare ad una argomentazione così decisiva.

scienzafedericerca di sensosenso della vitaateismocredereesistenza di Diodubbio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Claudia Nobile, inserito il 27/10/2003

RACCONTO

24. Il significato della vita   5

Bruno Ferrero, Solo il vento lo sa

Un professore concluse la sua lezione con le parole di rito: "Ci sono domande?".
Uno studente gli chiese: "Professore, qual è il significato della vita?".
Qualcuno, tra i presenti che si apprestavano a uscire, rise. Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria. Comprese che lo era. "Le risponderò" gli disse. Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta. Poi disse: "Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi. Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli. Conservai il piccolo specchio. Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch'io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza. Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno. Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto. In questo per me sta il significato della vita".

senso della vitatestimonianzamissioneimpegnoresponsabilitàesempio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Claudio Galeazzi, inserito il 01/04/2003

RACCONTO

25. Trovare le risposte   1

Paulo Coelho, I racconti del maktub

In un bar in un paese remoto della Spagna, vicino alla città di Olite, c'è un'insegna messa dal proprietario: "Non appena arrivavo a trovare tutte le risposte, tutte le domande cambiavano". Dice il maestro: "Siamo sempre preoccupati nel dare risposte. Sentiamo che le risposte sono importanti per capire il significato della vita. E' molto più importante vivere pienamente, e permettere che il tempo ci riveli i segreti della nostra esistenza. Se ci preoccupiamo troppo col dare un senso alla vita, preveniamo la natura dal suo agire, e diventiamo incapaci di leggere i segnali di Dio".

ricerca di sensosenso della vitadomanderisposte

inviato da Anna Lianza, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

26. Storia di un chicco di grano   1

Johannes Joergensen, Parabole

Come il seminatore ebbe terminato la sua opera, il chicco di grano venne a trovarsi tra due zolle di terra nera e umidiccia, e divenne terribilmente triste. Era buio, era umido, e l'oscurità e l'umidore aumentavano sempre di più, poiché al calar sera s'era disciolta in pioggia fitta fitta. C'era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano cominciò a ricordare.

Bei tempi quelli, quando il chicco stava al caldo e al riparo in una spiga diritta e cullata dal vento, in compagnia dei fratellini! Bei tempi sì, ma così presto passati!

Poi era venuta la falce con il suo suono stridulo e devastatore, a sbattere tutte le spighe. Poi i mietitori con i loro rastrelli avevano caricato sui carri le spighe legate in covoni. Poi, più terribile ancora, i battitori si erano accaniti sulle spighe pestandole senza pietà. E le famigliole dei chicchi, vissute sempre insieme dalla più verde giovinezza, erano state sbalzate fuori dalle loro spighe, e i chicchi scaraventati in giro, ciascuno per conto suo, per non incontrarsi più.

Ma nel sacco del grano almeno ci si trovava ancora in compagnia. Un po' pigiati, è vero, e magari si respirava a fatica, ma insomma si poteva chiacchierare un po'. Ora invece, era l'abbandono assoluto, la solitudine tetra, una disperazione!

Ma l'indomani fu peggio, quando l'erpice passò sul campo e il chicco si trovò nella tenebra più densa, con terra dappertutto, sopra, sotto, in parte. L'acqua lo penetrava tutto, non sentiva più in sé il minimo cantuccio asciutto.

"Ma perché fui creato, se dovevo finire in modo così miserando? Non sarebbe stato meglio per me non aver mai conosciuto la vita e la luce del sole?" Pensava tra sé.

Allora dal profondo della terra una voce si fece sentire. Gli diceva: "Abbandonati con fiducia. Volentieri, senza paura. Tu muori per rinascere ad una vita più bella".

"Chi sei?" domandò il povero chicco, mentre un senso di rispetto sorgeva in lui. Poiché sembrava che la Voce parlasse a tutta la terra, anzi all'universo intero.

"Io sono Colui che ti ha creato, e che ora ti vuole creare un'altra volta".

Allora il chicco di grano si abbandonò alla volontà del suo Creatore, e non seppe più nulla di nulla.

Un mattino di primavera, un germoglio verde mise fuori la testolina dalla terra umida. Si guardò attorno inebriato. Era proprio lui, il chicco di grano, tornato a vivere un'altra volta.

Nell'azzurro del cielo il sole splendeva e la lodoletta cantava.

Era tornato a vivere... E non da solo, poiché intorno a sé vedeva uno stuolo di germogli in cui riconobbe i suoi fratellini.

Allora la tenera pianticella si sentì invadere dalla gioia di esistere, e avrebbe voluto alzarsi fino al cielo per accarezzarlo con le sue foglioline.

Dio è il pastore. Il dolore è il suo cane. Talvolta ha il morso duro, ma è per il bene.

fiduciafedeabbandono in Diomortevita eternadoloresofferenzarisurrezione

4.0/5 (1 voto)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

27. Le quattro candele

Le quattro candele, bruciano, si consumano lentamente.
Il luogo era talmente silenzioso, che si poteva ascoltare la loro conversazione...

La prima diceva:
"Io sono la pace,
ma gli uomini non riescono a mantenermi: penso proprio che non mi resti altro da fare che spegnermi!".
Così fu, e a poco a poco, la candela si lasciò spegnere completamente.

La seconda diceva:
"Io sono la fede,
purtroppo non servo a nulla. Gli uomini non ne vogliono sapere di me, e per questo motivo non ha senso che io resti accesa".
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.

Triste triste, la terza candela, a sua volta disse:
"Io sono l'amore,
non ho la forza per continuare a rimanere accesa. Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza.
Essi odiano perfino coloro che più li amano, i loro familiari."
E senza attendere oltre, la candela si lasciò spegnere.

Inaspettatamente...
un bimbo in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente. Impaurito per la semioscurità disse:
"Ma cosa fate! Voi dovete rimanere accese, io ho paura del buio!".

E così dicendo scoppiò in lacrime. Allora la quarta candela impietositasi disse:
"Non temere,
non piangere:
finché io sarò accesa,
potremo sempre riaccendere
le altre tre candele:
io sono la speranza".

Con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime, il bimbo prese la candela della speranza e riaccese tutte le altre.

Che non si spenga mai la speranza dentro il nostro cuore...
...e che ciascuno di noi possa essere lo strumento, come quel bimbo, capace in ogni momento di riaccendere con la sua Speranza la Fede, la Pace e l'Amore!!!

speranzaamorefedepaceottimismopessimismoimportanza del singolo

4.0/5 (1 voto)

inviato da Sara Accorti, inserito il 28/08/2002

RACCONTO

28. Il riccone in Paradiso

Un riccone arrivò in Paradiso dopo una lunga vita passata nel lusso a motivo degli affari per i quali aveva uno speciale fiuto. Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi.

Non gli pareva vero: anche qui avrebbe potuto mettere a frutto il suo spiccato senso per gli investimenti. Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.

Al momento di pagare porse all'angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio. L'angelo sorrise: "Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore".

"Come?", si stupì il riccone.

"Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato", rispose l'angelo.

generositàaltruismodonareparadisovita eterna

inviato da Mariangela Molari, inserito il 14/06/2002

RACCONTO

29. L'angelo custode   1

C'era una volta, e c'è ancora adesso, un angelo custode.

Era un angelo come tanti altri, ma era molto triste perché era custode e protettore di un bambino così discolo che non si era mai visto. Si chiamava Pino, ma ogni volta che lo chiamavano lui rispondeva: "Chi? Io?", e così tutti iniziarono a chiamarlo Pinocchio.

Pinocchio era svogliato, disubbidiente, qualche volta cattivo e tutte le volte il suo angioletto si disperava e non sapeva più come fare per trattenerlo.

Finché un giorno ebbe un'idea grandiosa. Chiese un colloquio con Dio e quando si trovò alla sua presenza espose la sua proposta. Chiese il permesso di scendere sulla terra e di parlare con Pinocchio sicuro in questo modo di riuscire a convincerlo a cambiare vita. Dio ci pensò un po' su' ed infine accordò all'angioletto il permesso di fare quest'ultimo tentativo, ma con la promessa di non toccare la terra con i piedi, altrimenti non avrebbe più potuto risalire in cielo. L'angioletto allora chiese timidamente come avrebbe fatto a non poggiare i piedi per terra, ma Dio non fece altro che sorridere facendo gli auguri di buona fortuna.

L'angioletto cominciò a girovagare per il cielo volando da una nuvola all'altra pensando a come poter scendere sulla terra mantenendo i piedi separati da essa.

Ad un tratto fu attirato dal vociare di alcuni angeli che stavano giocando su di una nuvola attrezzata con un'altalena. Immediatamente capì che aveva trovato lo strumento adatto per la sua missione.Aiutato dagli altri angioletti riuscì a costruire una altalena con le corde lunghe dal cielo alla terra. L'angioletto si accomodò sul sedile e si raccomandò con gli amici di farlo scendere lentamente e poi di trattenere le corde fino al suo segnale di risalita. Per l'occasione aveva vestito il suo abito migliore, quello delle grandi occasioni, un frac tinta nuvola completo di bastone e cappello.

Cominciò la discesa finché non si trovò sospeso a mezz'aria in attesa di Pinocchio.

E Pinocchio non si fece attendere; incuriosito dal personaggio così strano subito si avvicinò domandando chi fosse e come mai avesse la faccia così triste.

L'angioletto iniziò la sua storia da quando era stato assegnato come suo custode elencando tutti i dispiaceri che aveva passato per colpa sua, e ad ogni nuova avventura aggiungeva un granellino di sabbia sulla piccola bilancia che teneva in mano, la quale pendeva inesorabilmente in un solo senso.

Pinocchio lo ascoltò con attenzione; ma lui era furbo; non era mica un bambino che credeva agli angioletti, e così con una alzata di spalle fece per andarsene. L'angioletto disperato vedendo sfuggire il suo protetto cominciò a chiamarlo dicendo che non poteva scendere dall'altalena in quanto non sarebbe più potuto risalire.

Pinocchio si fermò; tornò indietro, guardò l'angioletto in lacrime e gli disse che gli avrebbe creduto se gli avesse fatto vedere il cielo sopra le nuvole. L'angioletto ci pensò un poco su', poi decise che una vita salvata valeva pure una sgridata del "Capo".

Fece salire Pinocchio sull'altalena e diede ordine ai suoi amici di tirare su. L'altalena non si mosse. L'angioletto gridò più forte; niente; come prima.

Pinocchio stava per prendersi la sua rivincita quando l'angelo cominciò ad arrampicarsi su una delle corde. Svelto come un gatto anche lui lo seguì dall'altra corda ed insieme salirono fino alle nuvole. Quando arrivarono su, videro che gli amici erano tutti addormentati e quindi non avevano udito il comando di risalita.

Ma se loro avevano lasciato le corde dell'altalena, come mai non era caduta sulla terra?

I due si accorsero allora che le corde proseguivano in alto, su un'altra nuvola. Ripresero a salire, arrampicandosi finché non spuntarono dall'altra parte.

Si trovarono di fronte al "Capo" che aveva le corde dell'altalena legate ad un dito e li guardava sorridendo. Pinocchio che era davanti si voltò indietro in direzione dell'angioletto per chiedere spiegazioni e con immenso stupore si accorse che il viso dell'angelo era diventato uguale al suo, come una goccia d'acqua.

A quel punto capì tutto, capì che era tutto vero quello che aveva ascoltato dalla bocca dell'angelo, capì che era di fronte a Dio e capì che di fronte a Dio tutti gli angeli custodi sono visti con lo stesso volto degli uomini di cui sono custodi sulla terra.

Ridiscese trasformato, e cominciò a mettere in pratica quello che tutti gli avevano insegnato e lui non aveva mai seguito.

Un giorno ripassò nel luogo in cui aveva incontrato l'angelo e ci trovò ancora l'altalena. Si sedette e cominciò a dondolarsi, felice di sentirsi cullato dalla mano di Dio. Guardò in alto e vide sopra la nuvola il "suo" angioletto sorridente con in mano la stessa bilancia del primo incontro; questi cominciò a versare la sabbia del piatto su Pinocchio trasformandola in una pioggia di polvere dorata che ricoprì il suo cuore e lo riempì di felicità.

Oggi Pinocchio non ha più bisogno di andare a dondolarsi sull'altalena per sentirsi vicino al Padre che è nei cieli, ma ancora oggi i suoi bambini prima di addormentarsi alla sera vogliono ascoltare la stupenda avventura del loro papà e del "suo" angioletto.

angelo custodecoscienza

inviato da Luca Peyron, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

30. Father forgets   1

W. Livingstone Larned

Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormen­do con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Mi sono introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono se­duto a leggere in biblioteca, un'ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.

E stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe. Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo. Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai comin­ciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato: «Ciao, papino!» e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: «Su diritto con la schiena!». E tutto è ricominciato da capo nel tardo pome­riggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze buca­te. Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoti a casa davanti a me. Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura. Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell'offesa subita? Quando ho alzato gli occhi dal giornale impaziente per l'interruzione sei rimasto esitante sulla porta. "Che vuoi?", ti ho aggredito brusco. Tu non mi hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l'affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai. Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale. Be', figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un'angoscia terri­bile. Cosa mi sta succedendo? Mi sto abituando a tro­vare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto? Nient'altro per stanotte, figliolo. Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergo­gna.

E' una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio. Ma domani sarò per te un vero papà. Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti. Continuerò a ripeter­mi, come una formula di rito: «E' ancora un bambi­no, un ragazzino!». Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo. E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei an­cora un bambino. Ieri eri dalla tua mamma, con la testa della spalla. Ti ho sempre chiesto troppo, troppo.

paternitàmaternitàaffettotenerezzabambinipretesefamigliagenitorieducatorieducare

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

31. Mangia il tuo frutto   2

Anthony de Mello, Il canto degli uccelli

Un discepolo una volta si lamentava con il maestro: "Ci racconti delle storie, ma non ci riveli mai il loro significato."

Il maestro rispose: "Che ne diresti se qualcuno ti offrisse un frutto e lo masticasse prima di dartelo?"

Nessuno può sostituirsi a te per trovare il tuo significato. Neppure il maestro.

senso della vitaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Mariangela Molari, inserito il 28/05/2002

RACCONTO

32. Il mondo rovesciato

Nel granaio di una fattoria, in campagna, vive il pipistrello Bastiano. Di notte, Bastiano, vola sulla fattoria orientandosi con il suo udito sensibilissimo e, di giorno, si riposa stando a testa in giù, appeso per i piedi a una trave del granaio. Questa sua, curiosa abitudine gli è valsa il soprannome di "Bastian contrario" .Così lo chiamano tutti gli abitanti della fattoria.

- Bastian contrario, sei proprio un bell'originale! - gli dicono i topolini che abitano nel granaio, incuriositi dal bizzarro comportamento del loro lontano parente.

- Bastian contrario, si può sapere com'è il mondo visto rovesciato? - gli domanda una topina.

- È molto più diritto di quanto non immagini! - è la strana risposta del pipistrello.

Da qualche giorno, però, Bastiano non attira più l'attenzione degli abitanti della fattoria, perché sono tutti interessati a un'altra cosa. Al fatto che l'usignolo che vive sull'olmo, al centro del cortile, ha smesso di cantare. Nessuno ode più il suo canto melodioso e tutti si sentono molto tristi.

- La vita, nella fattoria, non è più la stessa da quando l'usignolo ha smesso di cantare! - osserva il cavallo.

- Sì, prima, quando il lavoro finiva e a ciascuno restava solo il peso della propria fatica, il canto dell'usignolo ci sollevava e leniva i nostri cuori, ora invece, la sera, c'è un senso di oppressione nell'aria - dice la mucca.

Anche l'usignolo è triste e questa mattina si è rifugiato nel granaio perché è stanco di sentirsi chiedere in continuazione: «Perché non canti più?».

Credendo di essere solo nel granaio, l'usignolo dà sfogo, alla sua amarezza:

- Hanno un bel coraggio, tutti quanti, a venirmi a chiedere perché non canto più! Possibile che non capiscano che la colpa è soltanto loro? Sono stanco di sgolarmi senza una parola di ringraziamento! Perché, devo essere sempre io a rallegrare la vita degli altri, quando nessuno sembra preoccuparsi di rallegrare la mia? Ma adesso lo vedranno; non canterò più una sola nota in questa fattoria, vedremo se incominceranno a capire, e a ringraziare!

- Forse dovresti incominciare a ringraziare tu - lo interrompe una voce che sembra provenire dall'alto.

L'usignolo solleva il capino e vede il pipistrello Bastiano appeso alla trave.

- Ah... ci sei anche tu... - dice l'usignolo imbarazzato - io credevo di essere solo, per questo mi sono sfogato così... Comunque - riprende con sicurezza - lascia che ti dica che la tua osservazione è proprio stupida... o forse non mi hai ascoltato bene...

- Ti ho ascoltato benissimo, invece - dice il pipistrello - e ripeto la mia osservazione: forse dovresti incominciare a ringraziare tu.

- Ma questo è assurdo! - replica l'usignolo con vivacità. - E' esattamente il contrario del buon senso. Insomma, tu vorresti propormi, oltre al danno, anche le beffe! Andare a ringraziarli, per che cosa, poi?
- Perché ti stanno a sentire...

- Ah, questa è bella! Scommetto che tu sei quel tipo, del quale ho sentito parlare, che tutti chiamano Bastian contrario!

- Sono proprio io e, se mi starai a sentire un pochino, forse ti insegnerò qualcosa di nuovo. Ti ho detto che devi incominciare a ringraziare tu e ciò significa che devi metterti dalla parte del torto. Il che non è poi tanto sbagliato, se ci pensi bene. Vedi, la tua tristezza non nasce dal fatto che gli altri non ti ringraziano, ma dal fatto che non ti ringraziano nel modo che tu ti aspetti. Ma, se ci rifletti bene, il fatto che tutti riconoscano che la loro vita era trasformata dal tuo canto è il più bel ringraziamento, per te. Vedi, gli altri donano a loro modo, sei tu che non sai ricevere...

- Ma questo è il mondo rovesciato! - esclama l'usignolo - Ringraziare quando si aspetta di essere ringraziati! Però, anche se mi costa, devo riconoscere che c'è qualcosa di vero nelle tue parole, allora voglio provare a fare come dici tu.

L'usignolo è tornato sul ramo dell'olmo e ha ripreso a cantare.
E il suo canto dice così:

- Grazie, amici miei, perché mi state a sentire. Grazie perché accogliete il mio canto. Io credevo di consolarvi ed eravate voi che mi consolavate.

Credevo di aiutarvi ed eravate voi che mi aiutavate. Credevo di avere bisogno del vostro grazie, mentre eravate voi che avevate diritto al mio. Grazie, amici miei, per tutto questo, grazie!

Mai il canto dell'usignolo era stato più melodioso. Perché l'uccellino ha vinto se stesso dimenticato le sue pretese per rispondere alle richieste dei suoi amici che volevano il suo canto. E la presenza silenziosa di tutti gli abitanti della fattoria sotto l'olmo, le lacrime che scorrono sul muso mansueto della mucca sono il ringraziamento più bello per l'usignolo. Il quale non si stanca di dire a tutti che il grazie più grande deve andare a Bastian contrario che lo ha aiutato a capovolgere la sua situazione.

E così, adesso, c'è sempre qualcuno che fa capolino nel granaio per chiedere consiglio a Bastiano.

Anzi, quando c'è qualche problema nella fattoria tutti dicono: «Andiamo da Bastiano perché ci aiuta a capovolgere questa situazione».
E Bastiano dice a uno:
- Forse dovresti incominciare a perdonare tu...
E a un altro:
- Forse l'unica cosa da fare è non fare nulla...

E a un altro ancora: - se vuoi essere il primo, sii l'ultimo; se vuoi essere amato, ama; se vuoi essere compreso, comprendi; se vuoi essere ascoltato, ascolta; se vuoi essere esaltato, umiliati; se sei nelle tenebre, parla agli altri della luce.

E a poco a poco, tutti incominciano a vedere le cose come le vede Bastiano, cioè rovesciate.
Che è spesso l'unico modo per vederle veramente diritte.

E l'unico modo per dare un senso a cose che a volte sembrano esserne prive.

Perché, rovesciare le cose, significa non guardarle più con il nostro occhio, non misurarle più con il nostro metro, che si chiama egoismo, ma guardarle con gli occhi degli altri e misurarle con il metro del prossimo che è la carità.

Perché, rovesciare le cose, significa avere compreso che esistono pensieri che non assomigliano ai nostri pensieri, che esistono delle vie che non sono le nostre vie.
Ma sono le uniche vie che conducono alla Pace.

gratitudineperdonofare il primo passo

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

RACCONTO

33. L'aquila che si credeva un pollo   2

Anthony De Mello

Un uomo trovò un uovo d'aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L'uovo si schiuse contemporaneamente a quelli della covata e l'aquilotto crebbe insieme ai pulcini.

Per tutta la vita l'aquilotto fece quel che facevano i polli nel cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro.
Trascorsero gli anni e l'aquila divenne molto vecchia.

Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d'aria, muovendo appena le robuste ali dorate.

La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. "Chi è quello?", chiese. "E' l'aquila, il re degli uccelli", rispose il suo vicino. "Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli".

E così l'aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale.

vitaprogettocoraggioconsapevolezzaconoscenza di sésenso della vitaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

34. La tazza traboccante   2

Nyogen Senzaki e Paul Reps, 101 storie Zen, ed. Adelphi Milano 1989

Un saggio maestro giapponese, noto per la saggezza delle sue dottrine, ricevette la visita di un dotto professore di università, che era andato da lui per interrogarlo sul suo pensiero.

Il saggio maestro, secondo l'usanza, prima di tutto servì il thé: cominciò a versarlo, colmando la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare tranquillamente, con una espressione serena e sorridente.

Il professore guardava il thé traboccare, ed era talmente stupito, da non riuscire a chiedere spiegazione di una distrazione così contraria alla norme della buona educazione.

Ad un certo punto non riuscì più a contenersi: "E' ricolma! Non ce ne sta più" - esclamò spazientito.

"Come questa tazza - disse il saggio imperturbabile - tu sei ricolmo della tua cultura, delle tue sicurezze, delle tue congetture erudite e complesse. E allora, come posso parlarti della mia dottrina, che è comprensibile solo agli animi semplici e aperti, se prima non vuoti la tua tazza?".

umiltàsenso della vitaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

35. La formica n. 49.783.511

Un formicaio ai piedi di un vecchio abete. Milioni di formiche nere corrono senza sosta, perfettamente organizzate. Sezione trasporto aghi e foglie; sezione ricerca semi, insetti, larve; sezione allevamento e cura piccoli; comitato difesa dagli assalti...

Un giorno la formica n. 49.783.511 si fermò. Ansimando s'appoggiò al lungo ago che stava trascinando e alzò lo sguardo. Si sentiva svenire... abituata a scansare i fili d'erba, i sassolini, i bruchi, ora i suoi occhi si smarrivano nell'azzurro immenso del cielo, il cuore le scoppiava d'emozione guardando il grande tronco, i rami ordinati, il verde brillante.

"N. 49.783.511 - gridò il capo settore - gli altri sgobbano e tu poltrisci! T'assegno un quarto d'ora supplementare!".

La sera la formica n. 49.783.511 fece il recupero di lavoro. Poi mentre tutte s'infilavano nelle tane, restò fuori e scoprì le stelle. Un incanto!

Tutta la notte ebbe gli occhi pieni di luce. Da allora i turni supplementari aumentavano, ma lei non si preoccupava. Diceva a tutti: "Alzate gli occhi. c'è qualcosa di grande sopra di noi, non possiamo portare solo larve e semi. Non avete mai guardato nemmeno l'abete!".

La prendevano in giro: "Tu guardi e guardi, ma come riempiamo le riserve di cibo? Chi ripara la casa quando piove?".

La formica n. 49.783.511 lavorava, s'impegnava, rendeva bello il suo formicaio. Ma brontolavano lo stesso: "Se guardare il cielo fosse utile, dovresti essere più brava di noi, invece sei anche tu come noi. Le stelle non servono a niente".

Che volete, per capire che cos'è guardare il cielo bisogna provare, spiegare non si può.

Hai mai provato a spiegare la preghiera? C'è sempre un tizio pieno di "saggezza", che ti risponde: "uomo n. 789.451.331 smettila. Bisogna studiare, lavorare, produrre; fare sport per mantenersi sani; bisogna cambiare il mondo, avere mentalità scientifica; bisogna divertirsi, essere moderni...".

Il formicaio umano va avanti. Io credo d'essere importante perché porto aghi d'abete, o rivoluzionario perché faccio confusione.
E non ho il coraggio di guardare il cielo.

senso della vitaricerca di sensovitastuporeinteriorità

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

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