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TESTO
21. Natale, il segreto del nulla
Don Angelo Saporiti, Commento al Natale
"Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio. Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un viaggio di mille miglia ha inizio sotto la pianta dei tuoi piedi".
Questa frase di Lao Tzu, filosofo cinese del sesto secolo prima di Cristo, mi fa pensare al segreto nascosto nella festa del Natale: nasce un bambino in un paesello minuscolo e pressoché sconosciuto, nasce e ha inizio una nuova storia per tutta l'umanità. Una storia di liberazione, di gioia, di meraviglia, di luce. Una storia così travolgente e affascinante da coinvolgere uomini e donne di ogni epoca. Una storia così irresistibile, da attirare anche noi, oggi. Tutto inizia da un bimbo fragile e inerme. Eppure questa inconsistente "nullità" di un neonato è diventata albero robusto, torre di pietra alta millenni, viaggio di popoli verso Dio e dimora stabile di Dio dentro l'umanità. Ogni cosa, anche la più grande, ha inizio da un "nulla" da uno "zero". Nella lingua ebraica "zerà" vuol dire sia "zero", sia "seme". In altre parole: noi siamo zero, ma nel nostro niente è nascosto il nostro tutto, proprio come in un seme. Che questo Natale sia segnato dalla disponibilità del sentirci "nulla", per essere invasi dal "tutto" di Dio.
inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 09/12/2011
RACCONTO
22. Il segreto della bilancia 4
Un uomo gravemente ammalato fu accolto in una comunità e messo in una grande stanza insieme a molti altri ammalati. Ma poco dopo essere deposto sul suo giaciglio, chiamò a gran voce il superiore. "In che luogo mi avete portato?", protestò. "Le persone che ho dintorno ridono e scherzano come bambini! Non sono certe ammalate come me!".
"A dire la verità lo sono molto più di lei!", rispose il superiore, "ma hanno scoperto un segreto, che oggi pochissimi conoscono o che, pur conoscendolo, non ci credono più."
"Quale segreto?" domandò l'uomo.
"Questo!", rispose un anziano dal letto confinante. Estrasse dal comodino una piccola bilancia, prese un sassolino e lo depose su un piatto; subito l'altro si alzò. "Che stai facendo?", chiese l'uomo.
"Ti sto mostrando il segreto! Questa bilancia rappresenta il legame che esiste fra uomo e uomo. Il sassolino è il tuo dolore che ora ti abbatte. Ma mentre abbatte te, solleva l'altro piatto della bilancia permettendo ad un altro di gioire. Gioia e dolore si tengono sempre per mano. Ma bisogna che il dolore sia offerto, non tenuto per sé; allora fa diventare come bambini e fa fiorire il sorriso anche in punto di morte".
"Nessuna scienza giustifica quello che tu dici!", fu la riflessione dell'uomo. "Appunto per questo c'è in giro tanto dolore vissuto con amarezza. Qui non è questione di scienza ma di fede. Perché non entri anche tu nella bilancia dell'amore?".
L'uomo accettò la strana proposta. E fu così che, quando guarito, rivisse istanti di gioia, non poté non pensare alla sofferenza degli altri. E si sentì legato agli uomini di tutto il mondo da un sottile filo d'oro.
Per molti rimarrà solo una bella fiaba. Ma se un domani dovessi incontrare un ammalato che sa sorridere, un infelice capace di gioire, un handicappato che ha fiducia nella vita, ricordatelo: probabilmente hai incontrato qualcuno che conosce il segreto della bilancia...
doloregioiaaccettazionecondivisioneofferta
inviato da Gloria Salvi, inserito il 08/07/2011
TESTO
Ci sono quelli che danno poco
del molto che hanno
e lo danno per ottenerne riconoscenza;
e il loro segreto desiderio guasta i loro doni.
E ci sono quelli
che hanno poco e danno tutto:
sono proprio loro
quelli che credono nella vita,
e nella generosità della vita,
e il loro scrigno non è mai vuoto.
Ci sono quelli che danno con gioia,
e quella gioia è la loro ricompensa.
E ci sono quelli che danno con dolore
e questo dolore è il loro battesimo.
E ci sono quelli che danno
e nel dare non provano dolore
né cercano gioia
né danno pensando alla virtù.
Essi danno come in quella valle laggiù
Il mirto esala nello spazio la sua fragranza.
Per mezzo delle mani di gente come loro
Dio parla e dietro ai loro occhi
egli sorride alla terra.
E' bene dare quanto si è richiesti,
ma è meglio dare quando,
pur non essendo richiesti,
si comprendono i bisogni degli altri.
E per chi è generoso
Il cercare uno che riceva
È gioia più grande che il non dare.
E c'è forse qualcosa che vorresti trattenere?
Tutto ciò che hai
un giorno o l'altro sarà dato via:
perciò dà adesso,
così che la stagione del dare sia la tua,
non quella dei tuoi eredi.
inviato da Qumran2, inserito il 30/09/2010
PREGHIERA
24. Sei nato in una stalla sì, però sei nato 2
Sei nato in una stalla sì,
però sei nato;
nessuno ti voleva,
ma ti hanno accolto almeno,
una mamma ed un papà!
Quanti bambini invece,
non vedranno oggi la luce,
quanti papà non sanno
e non sapranno mai,
di aver avuto un figlio!
E quante donne oggi,
guardando il tuo presepe,
in segreto piangeranno,
un bimbo non voluto!
Ma tu dalla tua culla,
piccolo Dio bambino,
consola quelle mamme,
a cui manca tanto
un figlio.
Maria, tu che sei donna,
raccogli il loro pianto,
benedici anche chi,
un giorno non ha saputo,
ripetere il tuo "sì".
inviato da Assunta Vergani, inserito il 05/09/2010
TESTO
25. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa
Karl Rahner, Sul sacerdozio
Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...
Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.
E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.
Che cos'è un sacerdote?
Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.
Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.
Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.
Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.
Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.
tratto da www.donboscoland.it
sacerdotepretepresbitericleroanno sacerdotale
inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010
PREGHIERA
26. Maria, donna del silenzio 1
Santa Maria,
donna del silenzio,
riportaci alle sorgenti della pace.
Liberaci dall'assedio delle parole.
Da quelle nostre, prima di tutto.
Ma anche da quelle degli altri.
Figli del rumore,
noi pensiamo di mascherare l'insicurezza
che ci tormenta
affidandoci al vaniloquio del nostro interminabile dire:
facci comprendere che,
solo quando avremo taciuto noi,
Dio potrà parlare.
Coinquilini del chiasso,
ci siamo persuasi di poter esorcizzare
la paura alzando il volume dei nostri transistor:
facci capire che Dio si comunica all'uomo
solo sulle sabbie del deserto,
e che la sua voce non ha nulla da spartire
con i decibel dei nostri baccani.
Spiegaci il senso profondo di quel brano della Sapienza,
che un tempo si leggeva a Natale
facendoci trasalire di meraviglia:
«Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose,
e la notte era a metà del suo corso,
la tua Parola onnipotente dal cielo,
dal tuo trono regale, scese sulla terra...».
Riportaci, ti preghiamo,
al trasognato stupore del primo presepe,
e ridestaci nel cuore la nostalgia di quella "tacita notte".
Santa Maria, donna del silenzio,
raccontaci dei tuoi appuntamenti con Dio.
In quali campagne ti recavi nei meriggi di primavera,
lontano dal frastuono di Nazaret, per udire la sua voce?
In quali fenditure della roccia ti nascondevi adolescente,
perché l'incontro con lui non venisse profanato dalla violenza degli umani rumori?
Su quali terrazzi di Galilea,
allagati dal plenilunio,
nutrivi le tue veglie di notturne salmodie,
mentre il gracidare delle rane,
laggiù nella piana degli ulivi,
era l'unica colonna sonora ai tuoi pensieri di castità?
Che discorsi facevi, presso la fontana del villaggio,
con le tue compagne di gioventù?
Che cosa trasmettevi a Giuseppe quando al crepuscolo, prendendoti per mano,
usciva con te verso i declivi di Esdrelon,
o ti conduceva al lago di Tiberiade nelle giornate di sole?
Il mistero che nascondevi nel grembo glielo
confidasti con parole o con lacrime di felicità?
Oltre allo Shemàh Israel
e alla monotonia della pioggia nelle grondaie,
di quali altre voci risonava la bottega del falegname
nelle sere d'inverno?
Al di là dello scrigno del cuore,
avevi anche un registro segreto
a cui consegnavi le parole di Gesù?
Che cosa vi siete detto, per trent' anni,
attorno a quel desco di povera gente?
Santa Maria, donna del silenzio,
ammettici alla tua scuola.
Tienici lontani dalla fiera dei rumori
entro cui rischiamo di stordirei,
al limite della dissociazione.
Preservaci dalla morbosa voluttà di notizie,
che ci fa sordi alla "buona notizia".
Rendici operatori di quell'ecologia acustica,
che ci restituisca il gusto della contemplazione
pur nel vortice della metropoli.
Persuadici che
solo nel silenzio maturano le cose grandi della vita:
la conversione, l'amore, il sacrificio, la morte.
Un'ultima cosa vogliamo chiederti, Madre dolcissima.
Tu che hai sperimentato, come Cristo sulla croce,
il silenzio di Dio,
non ti allontanare dal nostro fianco nell'ora della prova.
Quando il sole si eclissa pure per noi,
e il cielo non risponde al nostro grido,
e la terra rimbomba cava sotto i passi,
e la paura dell'abbandono rischia di farei disperare,
rimanici accanto.
In quel momento, rompi pure il silenzio:
per direi parole d'amore!
E sentiremo sulla pelle i brividi della Pasqua.
Mariasilenziovita quotidianarumore
inviato da Barbara Battilana, inserito il 30/07/2010
RACCONTO
Un giorno, il cavallo di un contadino cadde in un pozzo. Non riportò alcuna ferita, ma non poteva uscire da lì con le sue proprie forze. Per molte ore l'animale nitrì fortemente, disperato, mentre il contadino pensava a cosa avrebbe potuto fare.
Finalmente, il contadino prese una decisione crudele: pensò che il cavallo era già molto vecchio e non serviva più a niente, e anche il pozzo ormai era secco ed aveva bisogno di essere chiuso in qualche maniera. Così non valeva la pena sprecare energie per tirar fuori il cavallo dal pozzo. Allora chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a interrare vivo il cavallo.
Ciascuno di essi prese una pala e cominciò a gettare della terra dentro il pozzo. Il cavallo non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo, e pianse disperatamente. Tuttavia, con sorpresa di tutti, dopo che ebbero gettato molte palate di terra, il cavallo si calmò.
Il contadino guardò in fondo al pozzo e con sorpresa vide che ad ogni palata di terra che cadeva sopra la schiena, il cavallo la scuoteva, salendo sopra la stessa terra che cadeva ai suoi piedi. Così, in poco tempo, tutti videro come il cavallo riuscì ad arrivare alla bocca del pozzo, passare sopra il bordo e uscire da lì, trottando felice.
La vita ti getta addosso molta terra, tutti i tipi di terra. Soprattutto se tu sei già dentro un pozzo. Il segreto per uscire dal pozzo è scrollarsi la terra che portiamo sulle spalle e salire sopra di essa. Ciascuno dei nostri problemi è un gradino che ci conduce alla cima. Possiamo uscire dai buchi più profondi se non ci daremo per vinti. Adoperiamo la terra che ci tirano per fare un passo verso l'alto!
Ricordati di queste cinque regole per essere felice:
1. Libera il cuore dall'odio.
2. Libera la mente dalle eccessive preoccupazioni.
3. Semplifica la tua vita.
4. Dà in misura maggiore e coltiva meno aspettative.
5. Ama di più e... accetta la terra che ti tirano, poiché essa può essere la soluzione e non il problema.
vitasperanzadisperazionedifficoltàreagireaccettazioneserenitàforza interiore
inviato da Padre Giorgio Bontempi, inserito il 26/06/2010
RACCONTO
Bruno Ferrero, 365 storie per l'anima
C'era una volta un re che aveva una figlia di grande bellezza e straordinaria intelligenza.
La principessa soffriva però di una misteriosa malattia. Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe, mentre vista e udito si affievolivano. Molti medici avevano invano tentato di curarla.
Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva che conoscesse il segreto della vita. Tutti i cortigiani si affrettarono a chiedergli di aiutare la principessa malata. Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un coperchio chiuso, e disse: «Prendilo e abbine cura. Ti guarirà».
Piena di gioia e attesa, la principessa aprì il coperchio, ma quello che vide la sbalordì dolorosamente. Nel cestino giaceva infatti un bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferente di lei.
La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassione. Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo. Passarono i mesi: la principessa non aveva occhi che per il bambino. Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva. Lo vegliava di notte, gli parlava teneramente. Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa.
Quasi sette anni dopo, accadde qualcosa di incredibile. Un mattino, il bambino cominciò a sorridere e a camminare. La principessa lo prese in braccio e cominciò a danzare, ridendo e cantando. Leggera e bellissima come non era più da gran tempo. Senza accorgersene era guarita anche lei.
Signore, quando ho fame mandami qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di acqua;
quando ho freddo, mandarmi qualcuno da riscaldare;
quando sono nella sofferenza, mandami qualcuno da consolare;
quando la mia croce diviene pesante, dammi la croce di un altro da condividere;
quando sono povero, portami qualcuno che è nel bisogno;
quando non ho tempo, dammi qualcuno da aiutare per un momento;
quando mi sento scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando sento il bisogno di essere compreso, dammi qualcuno che ha bisogno della mia comprensione;
quando vorrei che qualcuno si prendesse cura di me, mandami qualcuno di cui prendermi cura;
quando penso a me stesso, rivolgi i miei pensieri ad altri.
compassionetenerezzamalattiadonaredonoapertura verso gli altrialtruismochiusura
inviato da Stefania Chiari, inserito il 21/12/2009
PREGHIERA
Signore,
con questa preghiera vogliamo ringraziarti per il regalo più bello che ci hai fatto.
Dopo le stelle nel cielo di notte, la luce e il calore del sole germe di vita, la profondità degli oceani,
l'armonia del canto degli uccelli, i mille colori del mondo, il profumo dei fiori più rari,
la vastità dell'orizzonte lontano...
dopo tutto questo, hai dato ad ognuno di noi un pezzetto del tuo cuore:
l'amore della mamma.
Lei ci tiene sotto al suo cuore per nove mesi già con tanto amore.
Mamma,
è la prima parola che ogni figlio del cielo pronuncia
e l'ultima che ogni figlio sussurra prima che al cielo torni.
Quando la pronunciamo per la prima volta ancora non ne conosciamo il senso,
ma sorridiamo quando lei si avvicina.
Mamma,
sei l'unica al mondo che dona tutto senza chiedere nulla
come Gesù, sai soltanto amare.
Sei la nostra ancora di salvezza, lo spiraglio di luce in mezzo a un cielo scuro,
un guerriero pieno d'amore che combatte per noi, una dolce melodia che consola il dolore,
la spinta giusta per scavalcare ogni barriera,
sei il riparo dal freddo e dalle tempeste, il camino che nelle notti gelide riscalda il cuore.
Sei l'angelo custode della nostra esistenza.
Un angelo al quale il Signore ha donato un corpo e un anima
e ti ha avvolta nel fuoco dello Spirito Santo per esserne sempre illuminata.
Ci accompagni per le ripide strade della vita,
schiarendoci il cammino col bagliore dei tuoi sorrisi carichi di un amore eterno ed immortale
e ci segui passo dopo passo col tuo cuore,
anche quando cominciamo a volare da soli.
Ci hai dato la luce, tu, che la luce sei.
Ci dai sicurezza con la tua dolcezza, serenità con la tua bontà,
stabilità con il tuo amore per il papà, l'unica che sa adorare i nostri difetti
e il tuo saper perdonare ci insegna ad amare.
Vivi in simbiosi con noi nei pensieri, ci vedi anche se ci nascondiamo,
ci senti anche se stiamo zitti, in segreto asciughi le nostre lacrime,
incoraggi i nostri passi, correggi i nostri errori,
e ci consoli quando siamo inconsolabili.
Sei l'arbitro indiscusso della difficile partita della vita di ogni figlio.
Ci insegni ad essere migliori, non i migliori.
In ogni tuo respiro, sguardo, sorriso, in ogni tuo gesto si legge sempre una grande felicità dell'essere mamma,
la mamma di figli come noi, forti o fragili, belli o brutti, bravi o stolti, sani o malati,
in ogni angolo di te si legge che siamo il tuo bene più prezioso,
pur sapendo che non siamo di tua proprietà.
Mamma,
non ci siamo scelti
ma Dio ti scelse per ognuno di noi perché voleva anticiparci il Paradiso.
Sei il filo sottile dell'immortalità, che lega lo spirito al corpo.
Come il Signore, anche tu operi il mistero della creazione.
Sei la serva fedele al progetto di Dio.
Nel suo progetto d'amore per te c'eravamo noi,
nel suo progetto di vita per noi
c'eri tu.
In questo momento della Santa Comunione vogliamo ringraziare il Signore,
per questo dono inestimabile,
e pregare lo Spirito Santo, che in te li ha risposti tutti i suoi sette doni,
perché ogni figlio sappia sempre curarlo e custodirlo come merita.
Amen
inviato da Liana Paciaroni, inserito il 21/11/2009
PREGHIERA
30. Santa Maria donna del riposo 1
Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni
Santa Maria, donna del riposo, accorcia le nostre notti quando non riusciamo a dormire. Come è dura la notte senza sonno! È una pista senza luce, su cui atterrano tenebrosi convogli di ricordi, e da cui decollano stormi di incubi che stringono il cuore.
Mettiti accanto a noi quando, nonostante i sedativi, non ce la facciamo a chiudere occhio, e il letto più morbido diventa una tortura, e dalla strada i latrati del cane sembrano dar voce ai gemiti dell'universo, e dalla torre dell'orologio i rintocchi scendono sull'anima come colpi di maglio, e i secondi scanditi dal pendolo del corridoio non si sa bene se vogliano farti compagnia, o ricordarti l'inarrestabile corsa del tempo, o dilatare il supplizio delle ore che non passano mai.
Sorveglia il riposo di chi vive solo. Allunga nei vecchi i sipari del sonno, corti e leggeri come veli di melagrana. Tonifica il dormiveglia di chi sta in ospedale sotto un pianto di flebo. Rasserena l'inquietudine notturna di chi si rigira nel letto sotto un pianto di rimorsi. Acquieta l'ansia di chi non riposa perché teme il sopraggiungere del giorno. Rimbocca gli stracci di chi dorme sotto i ponti. E riscalda i cartoni con cui la notte i miserabili si riparano dal freddo dei marciapiedi.
Santa Maria, donna del riposo, vogliamo pregarti per coloro che annunciano il Vangelo. Qualche volta li vediamo stanchi e sfiduciati, e sembrano dire come san Pietro: «Abbiamo faticato tutta la notte, ma non abbiamo preso nulla». Ebbene, fermali quando la generosità pastorale li porta a trascurare la loro stessa persona. Richiamali al dovere del riposo. Allontanali dalla frenesia dell'azione. Aiutali a dormire tranquilli. Non indurli nella tentazione di ridurre le quote minime di sonno, neppure per la causa del Regno. Perché lo stress apostolico non è un incenso gradito al cospetto di Dio.
Pertanto, quando nel breviario recitano il Salmo 126, mettiti a cantarlo con loro, e calca la voce sui versetti in cui si dice che è inutile alzarsi di buon mattino o andare tardi a riposare la sera, perché «ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno». Capiranno bene, allora, che tu non li esorti al disimpegno, ma a rimettere tutto nelle mani di colui che dà fecondità al lavoro degli uomini.
Santa Maria, donna del riposo, donaci il gusto della domenica. Facci riscoprire la gioia antica di fermarci sul sagrato della chiesa, e conversare con gli amici senza guardare l'orologio. Frena le nostre sfibranti tabelle di marcia. Tienici lontani dall'agitazione di chi è in lotta perenne col tempo. Liberaci dall'affanno delle cose. Persuadici che fermarsi sotto la tenda, per ripensare la rotta, vale molto di più che coprire logoranti percorsi senza traguardo. Ma, soprattutto, facci capire che se il segreto del riposo fisico sta nelle pause settimanali o nelle ferie annuali che ci concediamo, il segreto della pace interiore sta nel saper perdere tempo con Dio. Lui ne perde tanto con noi. E anche tu ne perdi tanto.
Perciò, anche se facciamo tardi, attendici sempre la sera, sull'uscio di casa, al termine del nostro andare dissennato. E se non troviamo altri guanciali per poggiare il capo, offrici la tua spalla su cui placare la nostra stanchezza, e dormire finalmente tranquilli.
ripososolitudineammalatisofferenzaannuncioevangelizzatorievangelizzazioneconsacratireligiosiparrocidomenicafare la propria parte
inviato da Qumran2, inserito il 24/07/2009
PREGHIERA
31. Santa Maria, donna del riposo, donaci il gusto della domenica
Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni, ed. Paoline, pagg. 64-65
Santa Maria, donna del riposo, donaci il gusto della domenica. Facci riscoprire la gioia antica di fermarci sul sagrato della chiesa, a conversare con gli amici senza guardare l'orologio. Frena le nostre sfibranti tabelle di marcia, tienici lontani dall'agitazione di chi è in lotta perenne col tempo.
Liberaci dall'affanno delle cose. Persuadici che fermarsi sotto la tenda, per ripensare la rotta, vale molto di più che coprire logoranti percorsi senza traguardo.
Ma, soprattutto, facci capire che se il segreto del riposo fisico sta nelle pause settimanali o nelle ferie annuali che ci concediamo, il segreto della pace interiore sta nel saper perdere tempo con Dio. Lui ne perde tanto con noi. E anche tu ne perdi tanto.
preghieradomenicariposomariamadonna
inviato da Massimiliano Mastrecchia, inserito il 18/07/2009
PREGHIERA
32. Preghiera a san Giovanni M. Vianney
Guy Bagnard, Vescovo di Belley-Ars
Santo Curato d'Ars, tu hai fatto della tua vita un'offerta totale a Dio per il servizio degli uomini. Che lo Spirito Santo, per la tua intercessione, ci conduca a rispondere oggi, senza debolezza, alla nostra vocazione personale.
Tu sei stato un assiduo adoratore di Cristo nel Tabernacolo. Insegnaci ad avvicinarci con fede e rispetto all'Eucaristia, a gustare la presenza silenziosa di Gesù nel Santissimo Sacramento.
Tu sei stato l'amico dei peccatori. Tu dicevi loro: "Le vostre colpe sono come un granello di sabbia rispetto alla grande montagna della misericordia di Dio". Sciogli i legami della paura che talvolta ci tengono lontani dal perdono di Dio. Aumenta in noi il pentimento per le nostre colpe. Mostraci il vero volto del Padre che attende instancabilmente il ritorno del figliol prodigo.
Tu sei stato il sostegno dei poveri: "Il mio segreto è molto semplice: dare tutto senza conservare niente". Insegnaci a condividere con quelli che sono nel bisogno, rendici liberi riguardo al denaro e a tutte le false ricchezze.
Tu sei stato un figlio affettuoso della Vergine Maria, "il tuo più vecchio amore". Insegnaci a pregarla con la semplicità e la fiducia di un bambino.
Tu sei diventato il testimone esemplare dei Parroci dell'universo. Che la tua carità pastorale conduca i pastori a ricercare la vicinanza con tutti, senza preferenze. Ottieni loro l'amore per la Chiesa, lo slancio apostolico, la solidità nelle prove.
Ispira ai giovani la grandezza del ministero sacerdotale e la gioia di rispondere alla chiamata del buon Pastore.
Santo Curato d'Ars, sii tu il nostro intercessore presso Dio. Amen.
sacerdotipretipresbiterianno sacerdotale
inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009
TESTO
Caro albero,
insegnami il segreto per restare giovani.
Albero centenario,
mi piace vederti
pieno di getti
e di germogli
come se fossi un adolescente.
Insegnami il segreto
di invecchiare così:
aperto alla vita,
alla giovinezza,
ai sogni come chi sa
che gioventù e vecchiaia
non sono che gradini
verso l'eternità.
giovanigiovinezzavecchiaiaeternitàmaturitàcammino
inviato da Suor Gabriella, inserito il 12/06/2009
TESTO
Thomas Merton, Nessun uomo è un'isola, Garzanti
Non basta all'amore di essere partecipati, bisogna che sia partecipato liberamente, perché nella costrizione non vi può mai essere felicità. Un amore disinteressato che si riversa su un oggetto egoista non dà una felicità completa: non perché l'amore abbia bisogno, per amare, di ricambio o di ricompensa, ma perché riposa nella felicità dell'amato. E se questi riceve l'amore egoisticamente, l'amante non è soddisfatto, perché vede che il suo amore non è riuscito nell'intento di rendere felice l'amato, non ha risvegliato in lui la capacità di amare senza egoismo.
Di qui il paradosso che l'amore disinteressato può riposare completamente solo in un amore perfettamente ricambiato: perché sa che la sola vera pace si trova in un amore che non cerca se stesso. Un tale amore accetta di non essere amato disinteressatamente per amore di colui che ama e, nel far così, perfeziona se stesso.
Il dono dell'amore è il dono della potenza e della capacità di amare e quindi darlo in pieno vuol dire anche riceverlo. Così lo si può conservare solo se lo si dona e lo si può donare perfettamente solo se lo si riceve.
amorefelicitàgratuitàdisinteressereciprocità
inviato da Giovanna Martinetti, inserito il 11/06/2009
TESTO
35. Dio in principio si mise da parte
Mary Gales Ryian, "Servitium" quaderni di ricerca spirituale
Dio in principio si mise da parte,
e così ebbe inizio il mondo.
Questo è il segreto dell'amore:
mettersi da parte.
Se puoi, cerca soprattutto
di metterti da parte.
Chiedi per te
solo un piccolo angolo nel tempo.
Metti confini al tuo volere,
e guarda come fiorisce un mondo.
inviato da Fr. Marcellino Pane, inserito il 02/06/2009
RACCONTO
Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali
C'era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto. «Paggio», gli chiese un giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?».
«Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto».
Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!».
«Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi, puoi sottrargliela».
«Come?».
«Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove».
«Che cosa significa?».
«Fa' quello che ti dico...».
Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d'oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva: «Questo tesoro è tuo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato».
Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta... novantanove! Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. «Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Maledetti!».
Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili... Ma non trovò quello che cercava.
Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d'oro. Soltanto novantanove. «Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero completo» pensava. «Cento è un numero completo, novantanove no».
La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.
Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l'avrebbe fatta! Il paggio era entrato nel giro del novantanove...
Non passò molto tempo che il re lo licenziò. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.
E se ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro. E che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove. È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati. Un tranello per non farci mai smettere di spingere.
Quante cose cambierebbero se potessimo goderci i nostri tesori così come sono.
tesorodenarocupidigiaavariziafelicitàinterioritàesterioritàgratitudinesoldibeni materiali
inserito il 25/11/2007
TESTO
Il Pane di S. Antonio, Maggio 2005
Prendi il tempo per riflettere:
è una fonte di pace.
Trova un tempo per svagarti:
è il segreto della giovinezza.
Scegli un tempo per leggere:
è la fonte della saggezza.
Prendi il tempo per amare ed essere amato:
è un dono di Dio.
Trova il tempo per la tenerezza:
è la strada della felicità.
Scegli il tempo per sorridere:
è una musica per l'anima.
Prendi il tempo per dare:
è la porta della fraternità.
Trova un tempo per lavorare:
è il prezzo del successo.
Scegli il tempo per essere solidale:
è la chiave del cielo.
Prendi il tempo per pregare:
è la forza della tua debolezza.
inviato da Mario Varano, inserito il 21/08/2007
PREGHIERA
38. Preghiera alla Madre silenziosa
Maria silenziosa,
che tutto immaginasti
senza parlare,
oltre ogni visione umana,
aiutami ad entrare
nel mistero di Cristo
lentamente e profondamente,
come un pellegrino arso di sete
entra in una caverna buia
alla cui fine oda un lieve correr d'acqua.
Fa' che prima di tutto m'inginocchi
ad adorare,
fa' che poi tasti la roccia
fiducioso,
e m'inoltri sereno nel mistero.
Fa' infine ch'io mi disseti
all'acqua della Parola
in silenzio
come te.
Forse allora, Maria,
il segreto del Figlio Crocifisso
mi si rivelerà
nella sua immensità senza confini
e cadranno immagini e parole
per fare spazio solo all'infinito.
silenziomisteropreghieracontemplazione
inviato da Qumran2, inserito il 29/10/2006
TESTO
39. Lettera di chi non ha tutto
Caro Gesù,
quest'anno ho voluto anch'io scriverti per Natale. Questa lettera non la leggerà mai nessuno, ma non importa: l'importante è che arrivi a te.
Non ho particolari cose da chiederti.. anzi nessuna, se non una. Voglio pregarti per tutte le persone che incontro ogni giorno, che incrocio per le strade, che mi passano accanto nei supermercati, che vedo alla televisione, che assistono ai concerti e ascoltano la musica come me. Voglio pregarti perché siano felici.
Eh sì... perché qualche volta ho l'impressione che non sia così. Mi sembrano tanto tristi... E non capisco cosa gli manchi! Secondo la logica di questo mondo io non ho niente e loro tutto...
Pensa... io vorrei parlare, ma non posso.
Urlare... men che meno!
Vorrei correre... ma come faccio?
Saltare non esiste...
Un po' camminare.. ma che fatica!
Mangiare... mai da solo!
Bere... quando me lo danno.
Andare ai servizi... non ne parliamo!
Cantare: un sogno!
Per la musica che fanno gli altri... impazzisco!
Scrivere... non se ne parla;
prima vorrei imparare i colori, ma non ci riesco!
Adoro il calcio, ma non ci gioco...
Una cosa bella, però, ce l'ho anch'io; è una cosa spettacolare, il più grande dono che potessi ricevere: il sorriso.
Quello non lo risparmio mai a nessuno: né ai genitori, né a mia nonna o a mia sorella, né agli educatori né ai volontari, né ai bambini né agli sconosciuti...
È la mia arma vincente e la uso fino in fondo.
Allora, Gesù, ti prego: dona un po' di questo mio sorriso agli altri; è un sorriso semplice, di chi non parla, non canta, non corre, non gioca... ma che viene dal cuore; dal cuore di chi, nel suo silenzio, ti incontra ogni giorno e ti parla nel segreto. Il sorriso di chi, come te, quando giacevi nella mangiatoia in fasce, avevi bisogno di tutto: di essere nutrito, cambiato, lavato, compreso per le espressioni del tuo viso perché senza parole... Ma io ho 26 anni. Nella mia povertà mi sento vicino a te, e per me questo è tutto. Per questo niente di ciò che mi manca potrà mai togliermi il sorriso.
Questa lettera non la leggerà mai nessuno, perché non potrò mai scriverla. Ma ce l'ho nel cuore e vorrei urlarla al mondo intero.
sorrisointerioritàesterioritàgioiafelicitàrapporto con Dio
inviato da Laura De Capitani, inserito il 13/07/2006
RACCONTO
Suor Angela Benedetta, clarissa
Nella valle incantata, in una fattoria felice, viveva un bue di nome Barny. Grande e grosso, con due occhi buoni e sinceri, lavorava tutto il giorno spingendo l'aratro. Questo bue era l'amico di tutta la fattoria: i contadini con i quali lavorava gli volevano un gran bene e i bambini non si stancavano mai di giocare con lui. Nonostante fosse così grande e grosso non faceva paura a nessuno, perché era l'animale più buono che potesse esserci. Alla sera quando tramontava il sole e si stendevano le prime ombre, tutti gli animali si radunavano intorno a lui per sentirlo narrare le sue tante storie. Appena finiva di raccontarne una, subito gli chiedevano: "Dai, dai, raccontane un'altra"; lui continuava fino al crepuscolo e allo spuntare delle prime stelle, poi diceva: "Ora andiamo a dormire, domani ci aspetta una lunga giornata di lavoro". Allora tutti gli animali andavano a dormire e nella fattoria scendeva un grande silenzio.
Il bue Barny era simpatico a tutti: alle pecore e alle oche, alle anatre e agli agnellini, alle mucche e ai maialini, alle galline e al vecchio cane da guardia, al padrone della fattoria e ai suoi bambini, ma il suo migliore amico era il piccolo asinello Tim con cui condivideva la stalla, la paglia e il duro lavoro. Quando arrivava la notte e si coricavano vicini, si guardavano a lungo senza dirsi nulla e poi si addormentavano, stanchi ma felici.
Il bue aveva un piccolo segreto nel cuore che conosceva solo l'asinello: gli piaceva danzare. Un giorno l'asinello gli disse: "Perché non ci provi, tanto non ci vede nessuno: ti prometto che questo segreto rimarrà in questa stalla". Tra veri amici anche i desideri più assurdi si possono realizzare e da quel giorno il bue incominciò ad improvvisare dei semplici balletti. L'asinello si divertiva tantissimo. Poi toccò a Tim realizzare il suo desiderio: a lui piaceva moltissimo cantare. E siccome tra amici anche i desideri più assurdi si possono realizzare, l'asinello, tutte le domeniche, inventava delle allegre canzoncine che mai nessuno aveva ascoltato all'infuori dell'amico bue.
Quei momenti, quegli scherzi, quelle risate erano tutta la vita e il divertimento dei due amici, che sapevano rendere grazie a Dio per ogni nuovo giorno loro donato. Appena sorgeva l'alba i due amici iniziavano il loro lavoro: il bue spingeva l'aratro e l'asinello trasportava la legna. Fino a sera non si vedevano più, ma non c'era istante della giornata in cui non sentivano l'uno la presenza e il sostegno dell'altro.
Tim era tutto per il bue Barny: fin dal giorno del suo arrivo nella fattoria gli era sempre stato accanto con il suo affetto e con la sua amicizia. Gli aveva insegnato le prime cose e si era preso cura di lui come un fratello, gli aveva fatto conoscere tutti gli animali della fattoria e l'aveva incoraggiato nei momenti di fatica. Anche Barny, sin dall'inizio, aveva ricambiato l'affetto per l'asino Tim e con il passare degli anni erano divenuti sempre più uniti, quasi una cosa sola. Quante difficoltà, quante sofferenze, ma il calore della loro amicizia aveva reso tutto più leggero, più bello.
Una sera, mentre tutti gli animali erano riuniti intorno al bue per ascoltare le sue storie, l'anatra chiese al bue: "Perché non ci racconti la tua storia, la storia della tua famiglia?". Il bue per un attimo esitò, ma poi iniziò il suo racconto.
"In verità non ho molto da dire", disse il bue, inizialmente un po' imbarazzato dall'argomento. "Nella fattoria dove sono nato eravamo tanti vitellini: gli altri sono stati scelti per diventare dei tori e io invece per essere un bue e fare lavori pesanti. Poiché nella mia fattoria non serviva un trasportatore di aratro sono stato venduto e sono finito qui. Io sono molto contento, sapete, non mi lamento, ma ringrazio ogni giorno il buon Dio di essere utile per il duro lavoro della terra e di alleviare il peso dei contadini. Ma i miei fratelli, ahimé, si vergognano di avere un fratello bue, loro, così famosi in tutto il mondo: partecipano alle più importanti corride, gareggiano con i toreri più famosi, figurano su tutti i quotidiani e per questo mi disprezzano. Ma io non li invidio affatto, io non vorrei essere come loro: non fanno altro che fomentare la violenza e l'odio delle persone che assistono alle loro gare, nelle quali, pensate un po', anche morire fa parte dello spettacolo".
Il bue concluse così il suo racconto. Gli animali erano ammutoliti e nessuno osava più domandare nulla. L'asinello prese la parola rompendo il grande silenzio che aveva seguito il racconto del bue e disse: "Anch'io ho dei cugini molto famosi: sono cavalli da corsa. Partecipano alle gare e la gente scommette fior di quattrini sulle loro vittorie. Si vergognano di avere un lontano parente asino e si vantano di avere avuto antenati che hanno portato sulla loro groppa i più coraggiosi cavalieri partecipando alle più cruenti guerre. Sì, io sono un asino da soma e perciò disprezzato, ma non ho mai fatto guerra a nessuno". "Bravo! Giusto!", incominciarono a commentare gli animali, infervorati dal racconto dell'asinello.
Ormai era notte inoltrata quando gli animali della fattoria sciolsero la seduta. Incominciava a far freddo poiché l'autunno stava per fini e l'inverno era alle porte.
Il giorno successivo iniziò con un gran trambusto nella fattoria. Alle prime luci dell'alba era infatti giunto nella valle incantata un gran numero di persone. C'erano il parroco del paese, le autorità e personalità molto importanti. "Chissà chi cercano", iniziarono a chiedersi curiosi gli animali.
Ben presto tutti iniziarono a fare castelli in aria. "Sicuramente cercano me - disse la mucca con presunzione - avranno bisogno del mio latte". "No! - ribatté l'anatra - è me che cercano: avranno bisogno della mia carne pregiata per un pranzo succulento". "No! - interruppe il maiale - il Natale si avvicina e certamente staranno cercando me per il cenone con il gustoso cotechino". "Siete tutti in errore - dissero le galline - certamente è delle nostre uova che avranno bisogno".
Barny e Tim ascoltarono un po' divertiti le dispute dei loro amici, poi si avviarono ad iniziare il loro lavoro, alquanto indifferenti alla questione: di sicuro non era loro due che cercavano. Mentre camminavano, all'improvviso si sentirono chiamare. "Barny, Tim venite qui - gridò il padrone della fattoria - vi stanno cercando". I due amici non credevano alle loro orecchie. Tim avanzò un po' timoroso e Barny lo seguì, restando leggermente indietro. Quando giunsero davanti a tutta quella folla di persone, l'enigma fu presto risolto. "Stiamo preparando per la prima volta un presepe vivente nel nostro paese", disse il parroco sorridendo ai due buffi amici. "E' un evento importante - continuò il sindaco - verrà la gente anche dai paesi vicini per poter rivivere dal vero la nascita del nostro Salvatore". Barny e Tim guardavano i due interlocutori un po' stupiti: cosa c'entravano loro in tutto questo discorso? "Voi saprete che il Bimbo divino fu scaldato nella gelida notte da un bue e un asinello - disse il parroco, concludendo il discorso - abbiamo bisogno di voi per preparare la grotta di Betlemme. Accettate il nostro invito?". "Noi?" disse Tim, talmente stupito da non riuscire quasi a reggersi in piedi, "Accettiamo con gioia immensa - disse Barny - è un dono senza misura poter scaldare Gesù Bambino".
Così nella fattoria iniziarono i preparativi per il grande evento. Tutti gli animali si sentivano onorati della parte assegnata a Tim e Barny e per questo venne loro l'idea di formare una piccola banda musicale per accompagnare il bue e l'asinello in paese la notte di Natale. Le oche suonavano la tromba, le galline i tamburi, i maiali la grancassa, le pecore i piatti, le mucche il trombone e il grosso cane da guardia era nientepopodimeno che il direttore d'orchestra. Intanto anche i bambini iniziarono ad ornare la fattoria con gli addobbi natalizi e tutto si colorò di attesa e di festa, Non c'era sera in cui, dopo il lavoro, gli animali non si riunissero per suonare i brani natalizi, preparati ed eseguiti dalla loro banda, mentre il bue e l'asinello provavano la loro parte nell'immaginaria grotta di Betlemme.
Passarono i giorni e presto giunse il momento tanto atteso: la vigilia di Natale. Gli animali non stavano più nella pelle dalla gioia. Poche ore prima della mezzanotte tutti gli amici si predisposero per scendere in paese suonando. Al cenno del cane da guardia la banda attaccò: prima le oche intonarono con le trombette le dolci melodie, accompagnate dai tromboni; si unirono ad essi i piatti e i tamburi che intervallavano la musica con dei bei ritmi. Ultimi seguivano la banda Tim e Barny, gli ospiti d'onore. E così, passo dopo passo, la processione arrivò in paese. Gli abitanti, usciti dalle case per attendere la nascita di Gesù, non credevano ai loro occhi: mai si era visto uno spettacolo così bello. Finito di suonare, gli animali fecero venire avanti Tim e Barny che presero posto nella grotta.
Eccoli dunque pronti per il fatidico momento. Allo scoccare della mezzanotte, iniziarono a suonare le campane: Gesù era nato. Mentre tutti cantavano "Gloria a Dio su nel cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà", il sacerdote pose il bimbo di gesso nella grotta e i due amici commossi si chinarono per scaldarlo con il loro fiato, come era stato loro detto. Ma all'improvviso, il piccolo bimbo di gesso si animò, aprì gli occhi e guardando il bue e l'asinello disse: "Non è il calore del vostro fiato a scaldarmi in questa gelida notte, ma l'amore che regna tra voi, l'amore della vostra amicizia. Tutte le volte che continuerete a volervi bene, così come avete sempre fatto, io sarò tra voi, come in questa notte".
Questione di pochi attimi e il bimbo ritornò immobile, di gesso. La funzione finì e Barny e Tim ritornarono nella loro fattoria.
Era stato un sogno, uno scherzo della loro fantasia, o davvero un miracolo di Gesù Bambino? E chi lo sa! I due amici non raccontarono mai a nessuno l'episodio, che tennero conservato nel loro cuore fino alla morte. Ma nei loro occhi, da quella notte, ci fu una luce nuova che non passò inosservata agli amici della fattoria: la certezza che quel loro piccolo amore e quella loro semplice amicizia, era qualcosa di grande agli occhi di Dio.
inviato da Marcello, inserito il 23/05/2006