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PREGHIERA

21. Rendici degni di servirti nei poveri

Vito Mangia

Signore Gesù,
rendici degni di servirti nei poveri,
che sono le persone ammalate
ed anziane della nostra Comunità,
affamate di rapporti semplici e sinceri
e spesso anzitutto ammalate di solitudine!
Rendici degni di servirti nei poveri,
che sono i ragazzi ed i giovani che vivono accanto a noi,
spesso digiuni di ideali e di punti di riferimento solidi e sicuri.
Rendici degni di servirti nei poveri,
che sono le coppie in crisi,
assetate di conferme e di dialogo,
incapaci di guardare al cammino
che hanno finora fatto insieme
ed incapaci di alimentare la fiamma
di un amore che continui a ardere,
anche se brucia sotto la cenere
degli egoismi e delle parole non dette.
Rendici degni di servirti nei poveri,
che sono le persone sole, abbandonate, divorziate,
senza più un marito o una moglie,
senza un figlio,
senza più fiducia negli altri, senza più fede:
eppure tutti uniti in un'ardente ricerca di te!
Attraverso i nostri sguardi liberi dal giudizio,
attraverso le nostre braccia pronte ad accogliere,
dona loro la forza necessaria per costruirsi,
con il Tuo aiuto, un futuro migliore.
Gesù, aiutaci ad andare oltre, fuori da noi stessi,
per riconoscerti presente
e servirti nelle povertà
dei nostri fratelli. Amen.

povertàcaritàamoresolidarietànon giudicare

inviato da Don Vito Mangia, inserito il 03/05/2006

RACCONTO

22. Le tre sorelle   2

Gianni Capotorto

C'erano una volta, e ci sono ancora, tre sorelle. La prima stava sempre in chiesa a pregare. Per tutti. Perché, diceva, le preghiere non sono mai abbastanza. In parrocchia era onnipresente; lei curava il catechismo e l'animazione liturgica. Se avesse potuto, forse avrebbe anche celebrato. Sapeva trasmettere agli altri la sua incrollabile fiducia in Dio e nella sua bontà. Non era mai triste o preoccupata. Sapeva che Lui avrebbe aggiustato ogni cosa.

La seconda invece era sempre in movimento. Aiutava gli altri, instancabile. Dovunque qualcuno soffriva lei era sempre lì per soccorrerlo. Aveva imparato a curare molte malattie. Ma spesso era la sua sola presenza operosa a guarire. Anche lei andava in chiesa, ma si fermava solo per poco. C'era tanto da fare e non voleva sottrarre tempo ai suoi poveri. Sentiva che quello era il suo modo per glorificare Dio, ponendosi al servizio delle creature più bisognose. E poi, comunque c'era sempre sua sorella a pregare per tutti.

La più piccola si chiamava Speranza. A volte si fermava con Fede a pregare, altre volte aiutava Carità nel suo giro. Ma spesso era triste e, di nascosto, piangeva. Le sue sorelle servivano continuamente Dio. L'una con le preghiere, l'altra con le opere. Lei invece si sentiva inutile. Non aveva un ruolo preciso e credeva di non poter amare come loro.

Quel giorno davanti al portone della chiesa era seduto un uomo che piangeva, disperato. Passò Fede e cercò di consolare la sua pena parlandogli della bontà divina. L'uomo entrò in chiesa e pregò a lungo insieme a lei. Ne usci rincuorato, ma in fondo al suo cuore la sua pena non era svanita.

Non aveva più niente, nessuno da amare. Si sentiva inutile. Camminò a lungo, senza una meta, chiedendo a Dio di guidare i suoi stanchi passi, di mostrargli lo scopo della sua vita. Cadde stremato dalla fatica e dalla fame.

Passò Carità e lo raccolse, offrendogli un pasto caldo ed un posto per dormire. Si addormentò subito, finalmente su un letto vero. In sogno vide un sentiero ripido, tortuoso che portava verso la cima di un monte. Non riusciva a vederla, ma sentiva che emanava una forte luce, come se il sole si fosse divertito a nascondersi dietro al monte. Tanti cercavano di percorrere il sentiero, ma solo pochi si spingevano fino alla cima. Alcuni si fermavano a metà strada, incerti se proseguire. Erano pieni di lividi per le tante cadute e spesso, sconsolati, si volgevano indietro.

Ai piedi del monte c'era Fede che indicava la cima ad alcune persone assorte in preghiera. Chiedevano la forza per salire. L'uomo comprese chi c'era su quel monte. Era seduto sul bordo della strada, chiedendosi se continuare quella scalata apparentemente impossibile. Attorno a lui c'era tanta gente che piangeva e si lamentava. Alcuni erano a terra, ormai esausti, pieni di lividi, incapaci di proseguire il cammino. E Carità era accanto a loro per curare le loro membra stanche.

L'uomo si guardò intorno. Sul sentiero adesso c'era solo un vecchio barcollante, incapace di stare in piedi. C'era anche una bambina che cercava di sorreggerlo, di aiutarlo. Piangeva perché il peso era troppo grande per lei. Il suo compito era portarlo fino in cima. Si disperava, impotente. L'uomo vide il suo sforzo sovrumano e provò ammirazione per quella bimba così testarda. Istintivamente si alzò e corse per aiutarla. Afferrò il vecchio sottobraccio e subito i suoi muscoli si gonfiarono per lo sforzo. Sembrava troppo pesante anche per lui, ma non si arrese. Per la prima volta nella sua vita era felice di poter essere utile a qualcuno. Riprovò a spingere, aiutato dalla piccola, e finalmente il vecchio si mosse. Lentamente cominciarono a salire. Passo dopo passo il peso sembrava diminuire. Quando raggiunsero la cima, l'uomo ormai esausto, si pose a sedere.

Il vecchio si voltò verso di lui, come per ringraziarlo. Aveva il suo stesso volto, consumato dagli anni e dalla disperazione. L'uomo provò un brivido di terrore, vedendosi come in uno specchio distorto. Comprese subito l'arcano messaggio. Quel peso immane era la sua vita senza senso, i suoi peccati.

La bambina gli fece un cenno e scese di nuovo. La seguì; non era più stanco.

Al mattino la piccola Speranza svegliò l'uomo col suo dolce sorriso. Lui la riconobbe subito e la prese per mano. Anche lei aveva fatto quel sogno. Non si sentiva più inutile. Aveva capito. Le sue sorelle indicavano la meta, aiutando chi si perdeva per strada. Ma solo lei poteva salire. Insieme, mano nella mano, andarono a cercare il senso delle loro vite. Ai piedi del monte c'era tanta gente che aspettava e solo lei, solo loro potevano aiutarli ad arrivare in cima. E loro sapevano chi c'era su quel monte.

fedesperanzacarità

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inviato da Gianni Capotorto, inserito il 01/05/2006

RACCONTO

23. Perché suonano le campane

C'era una volta, in una grande città, una chiesa davvero splendida. Dall'ingresso principale si riusciva a malapena a scorgere l'altare di pietra che si trovava all'altro capo. Di fianco alla chiesa si levava un campanile, simile a una torre, così alto nel cielo che la punta si distingueva soltanto quando il tempo era molto limpido.
Lassù nella torre vi erano delle campane che si diceva fossero le più belle e le più sonore del mondo, ma nessun essere vivente le aveva mai sentite!
Erano le campane speciali di Natale: potevano far udire i loro rintocchi solo la notte di Natale e, per di più, soltanto quando fosse stato deposto sull'altare il più grande e il più bel dono al Bambino Gesù. Purtroppo, da molti anni non si era avuta un' offerta così splendida da meritare il suono delle grandi campane.
Tuttavia, ogni vigilia di Natale, la gente si affollava davanti all'altare portando doni, cercando di superarsi gli uni con gli altri, gareggiando nell'escogitare offerte sempre più straordinarie. Nonostante la chiesa fosse affollata e la funzione splendida, lassù nella torre di pietra si udiva soltanto fischiare il vento.

In un villaggio abbastanza lontano dalla città viveva un ragazzo di nome Pedro, insieme al suo fratellino. Essi avevano sentito parlare delle famose offerte della vigilia di Natale, e per tutto l'anno avevano fatto progetti per assistere alla grande e sfarzosa cerimonia, e per la Messa di mezzanotte.
Il mattino precedente il giorno di Natale, all'alba, mentre cadevano i primi fiocchi di neve, Pedro e il fratellino si misero in cammino. Al calar della notte, avevano già quasi raggiunto la porta della città quando, per terra davanti a loro, scorsero una povera donna che era caduta nella neve, troppo stanca e malata per cercare rifugio da qualche parte. Pedro si inginocchiò cercando di alzarla, ma non vi riuscì.
«Non ce la faccio, fratellino» disse Pedro. «È troppo pesante. Devi proseguire da solo».
«lo? Da solo?» esclamò il fratellino. «Ma allora tu non ci sarai alla funzione di Natale».
«Non posso fare altrimenti» disse Pedro. «Guarda questa povera donna. Il suo viso è simile a quello della Madonna nella finestra della cappella. Morirà di freddo se l'abbandoniamo. Sono andati tutti in chiesa, ma io starò qui e mi prenderò cura di lei fino alla fine della Messa. Allora tu potrai condurre qui qualcuno che l'aiuti. Ah, fratellino, prendi questa monetina d'argento e deponila sull'altare: è la mia offerta per il Bambino Gesù. Su, ora, corri!».
E mentre il bambino si avviava verso la chiesa, Pedro sbatté gli occhi per trattenere le lacrime di delusione che gli rigavano le guance. Poi passò un braccio dietro al capo della povera donna che si lamentava debolmente e cercò di sorriderle.
«Coraggio, signora», le disse, «tra poco arriverà qualcuno».

Nella grande chiesa, la funzione di quella vigilia di Natale fu più splendida che mai! L'organo suonò e i fedeli cantarono e, alla fine della funzione, poveri e ricchi avanzarono orgogliosamente verso l'altare per offrire i loro doni. A poco a poco, sull'altare, si accumularono oggetti splendidi d'oro, d'argento e d'avorio intarsiato; dolci elaborati nei modi più impensati; stoffe dipinte e broccati.
Ultimo, in un gran fruscio di seta e tintinnar di spade, il re del paese percorse la navata. Portava in mano la corona regale, tempestata di pietre preziose che mandavano barbagli di luce tutt'intorno.
Un fremito di eccitazione scosse la folla.
«Senza dubbio questa volta si sentiranno suonare le campane a festa!» mormoravano tutti.
Il re depose sull'altare la splendida corona. La chiesa piombò in un silenzio profondo. Tutti trattennero il respiro, con le orecchie tese per ascoltare il suono delle campane.
Ma soltanto il solito freddo vento sibilò sul campanile.
I fedeli scossero la testa increduli. Qualcuno cominciò a dubitare che quelle strane campane avessero mai potuto suonare. «Forse si sono bloccate per sempre!» sosteneva qualche altro.

La processione era terminata e il coro stava per iniziare l'inno di chiusura, quando all'improvviso l'organista smise di suonare paralizzato. Perché d'un tratto dalla cima della torre si era levato il dolce suono delle campane. Un suono ora alto ora basso, che fluttuava nell'aria riempiendola di festosa sonorità.
Era il suono più angelico e piacevole che mai si fosse udito.
La folla restò un attimo eccitata e silenziosa. Poi, tutti insieme, si alzarono volgendo gli occhi all'altare per vedere quale meraviglioso dono aveva finalmente risvegliato le campane dal loro lungo silenzio. Ma non videro altro che la figura di Fratellino che silenziosamente era scivolato lungo la navata per deporre sull'altare la monetina d'argento di Pedro.

condivisionenataleoffertacaritàsolidarietàpovertàamore

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 10/07/2004

ESPERIENZA

24. La bella signora

Bernadette Soubirous, Racconto dell'apparizione della Madonna di Lourdes

La prima volta che andai alla Grotta, vi andai per raccogliere legna con due altre bimbe. Quando arrivammo al mulino, tutte insieme seguimmo il corso del canale e ci trovammo davanti alla Grotta. Le mie due compagne, non potendo più proseguire il cammino, attraversarono l'acqua che si trovava di fronte alla Grotta ed io rimasi sola dall'altra parte; domandai loro se volevano aiutarmi a gettare qualche pietra nel canale per poter passare senza levarmi le calze, ma esse mi dissero di fare come loro.

Allora andai un po' più lontano per vedere se potevo passare a piedi asciutti, ma invano e mi decisi a togliermi le calze. Mi ero appena levata la prima calza, che udii un rumore, come un soffio di vento impetuoso. Volsi lo sguardo verso la prateria gli alberi immobili e molto calmi.

"Mi sarò ingannata", pensai, e mi accinsi a togliermi l'altra calza. Ma udii di nuovo il medesimo rumore; alzai il capo verso la Grotta e vidi una signora vestita di bianco, che benevolmente mi guardava.

Rimasi sorpresa e sbigottita e, credendola un'illusione, mi stropicciai gli occhi, ma invano. Io vedevo sempre la medesima Signora. Allora cercai nelle tasche e ne trassi il mio rosario. Volli farmi il segno della croce, ma la mia mano non giunse alla fronte e ne rimasi anche più sgomenta.

La Signora prese in mano il rosario, che pendeva al suo braccio, e si fece il segno della croce. Io tentai di farlo per la seconda volta, vi riuscii e subito in me scomparve ogni sentimento di paura. Mi inginocchiai, ed alla presenza della Bella Signora, recitai il rosario. Quando ebbi finito, Ella mi accennò di andarle vicino ma io non osai, ed ella disparve. Allora mi levai l'altra calza, attraversai l'acqua di fronte la Grotta e raggiunsi le compagne.

rosarioMariaapparizioneLourdes

inviato da Anna Lianza, inserito il 15/04/2003

TESTO

25. La svolta del tempo

Mons. Klaus Hemmerle

Perché il tempo possa cambiare,
c'è bisogno di uno spazio.
La svolta del tempo c'è stata.
Quando egli nacque.
Ma dove era lo spazio per lui?
Nelle locande non c'era posto.
Ma in un cuore,
che si aprì all'impossibile,
e lungo il cammino
che due percorsero insieme
sperando contro ogni speranza.
E i pastori, che credettero
alla parola dell'angelo,
si unirono a loro.
Lo spazio crebbe.
C'è spazio nelle nostre locande?
C'è spazio
per una svolta del tempo?
Tutti noi abbiamo un cuore
e ognuno ha gli altri
per compagni di strada.
Speranza per il tempo
e per l'eternità.

Nataleincarnazioneaccoglienzadisponibilità

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/01/2003

TESTO

26. Ogni minuto, un attimo di eternità

Justo Mullor, Dio crede nell'uomo

Ogni minuto è il riassunto di tutta la storia: quella universale - che scriviamo tutti, senza rendercene quasi conto - e quella personale, che costruiamo giorno dopo giorno, senza mai sapere quando finirà. Ogni momento può essere il tocco finale di una meravigliosa avventura o la conclusione deludente di un progetto incompiuto.

Il tempo, il cui mistero è più profondo di quello dello spazio, ci è stato dato da Dio come dono e, insieme, come vocazione: quella di usarlo, davanti a Lui e agli altri, per fare del mondo un luogo sempre più degno del suo Creatore e delle creature alle quali Egli lo ha affidato. Il tempo ci è stato dato per moltiplicare le luci che fughino le tenebre; per fare di più e sempre meglio; perché ci siano più case e meno catapecchie; meno analfabeti e più libri; più pace e meno guerre; più libertà e meno schiavitù; più gioia e meno sofferenze; più salute e meno malattie. E, soprattutto, perché "Dio sia tutto in tutti" (1 Cor 15,28): prima nella nostra coscienza, poi nella nostra vita e, infine, nella grande storia dell'umanità.

Il tempo, per il suo carattere inesorabile e fuggente, esige che vigiliamo. Se non del tutto svegli, dobbiamo almeno essere pronti ad aprire gli occhi ed a metterci in cammino al primo segno del passaggio di Dio e delle sue esigenze.

impegnoresponsabilitàtempovalore del tempo

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002

TESTO

27. Essere presenza

Cardinale Pironio

"Essere presenza", Signore, è parlare di te senza nominarti.
Tacere nel momento in cui è necessario che siano i gesti al posto della parola.
Essere luce che illumini il linguaggio del silenzio e voce che, anche se sorge della vita, non parla.
È dire agli altri che gli stiamo vicini, pur essendo grande la distanza che ci separa.
È intuire la speranza degli altri e semplicemente riempirla.
È soffrire insieme con quello che soffre al di dentro e mostrargli che Dio guarisce le nostre piaghe.
È ridere con quello che ride e gioire del fratello perché ama.
È gridare con tutta la forza dello Spirito, la verità che è Dio soltanto che ci salva.
È vivere esposto e senza armi, affidandosi ciecamente alla Sua Parola.
È condurre il "deserto" ai fratelli, dividendo il tuo mistero e annunciandogli che tu li ami.
È sapere ascoltare il tuo linguaggio nel silenzio.
È "vedere" al loro posto quando la loro fede sembra spegnersi.
"Essere presenza", o Signore, è sapere aspettare il tuo tempo senza fretta e nella quiete.
È dare tranquillità con una pace molto profonda.
È vivere la tensione dello sconcerto in una Chiesa che, siccome cresce, cambia.
È aprire se stesso ai "segni dei tempi", pur rimanendo fedele alla tua Parola.
È alla fine, essere pellegrino in un cammino pieno di fratelli, che gridano nel silenzio che tu sei vivo e ci tieni stretti nelle tue mani.

testimonianzasolidarietàsperanzapresenza

inviato da Anna, inserito il 30/09/2002

PREGHIERA

28. Preghiera della famiglia

Ti preghiamo, Signore, per la nostra famiglia perché ci conosciamo sempre meglio e ci comprendiamo nei nostri desideri e nei nostri limiti.

Fa' che ciascuno di noi senta e viva i bisogni degli altri e a nessuno sfuggano i momenti di stanchezza, di disagio, di preoccupazione dell'altro. Che le nostre discussioni non ci dividano, ma ci uniscano nella ricerca del vero e del bene e ciascuno di noi nel costruire la propria vita non impedisca all'altro di vivere la propria.

Fa', o Signore, che viviamo insieme i momenti di gioia e soprattutto, conosciamo Te e Colui che ci hai mandato, Gesù Cristo in modo che la nostra famiglia non si chiuda in sé stessa, ma sia disponibile ai parenti, aperta agli amici, sensibile ai bisogni dei fratelli.

Fa', o Signore, che ci sentiamo sempre parte viva della Chiesa in cammino e possiamo continuare insieme in Cielo il cammino che insieme abbiamo iniziato sulla terra. Amen.

famigliacoppiafigligenitorimatrimonio

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 14/06/2002

PREGHIERA

29. Resta con noi   1

David Maria Turoldo

Resta con noi, Signore, la sera,
quando le ombre si mettono in via
e scenderà sulle case la tenebra
e sarà solo terrore e silenzio.

Ognuno è solo davanti alla notte,
solo di fronte alla sua solitudine,
solo col suo passato e futuro:
il cuore spoglio del tempo vissuto.

Resta con noi, Signore, la sera,
entra e cena con questi perduti
fa' comunione con noi, Signore,
senza di te ogni cuore è un deserto.

Ora crediamo, tu sei il Vivente,
sei il compagno del nostro cammino,
ti conosciamo nel frangere il pane,
tu dai il senso ad ogni esistenza.

Ora corriamo di nuovo al cenacolo,
gridando a tutti: "Abbiam visto il Signore!".
Nuova facciamo insieme la chiesa
di uomini liberi da ogni paura.

A te, Gesù, o Risorto, ogni gloria:
ora risorgi in ognuno di noi,
perché chi vede te veda il Padre,
l'eguale Spirito in tutta la terra.

solitudinerapporto con Dio

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

ESPERIENZA

30. Andate in missione per cercare luoghi e modi per dare la vita

Roberta Pignone

Questo titolo un po' strano è quello che meglio descrive il mio viaggio in Bangladesh fatto proprio lo scorso settembre. Fin dall'inizio del mio cammino di preparazione al PIME, iniziato lo scorso ottobre, ho sempre avuto come motivazione principale quella di scoprire cosa avrei potuto fare come medico in una Missione.

E così mi sono completamente affidata a questo cammino, io ho deciso di parteciparvi, tutto il resto mi è stato donato.

Nel mese di aprile ho saputo che la mia destinazione sarebbe stata il Bangladesh.

Non sapevo nulla di questo paese, solo che è il più povero del mondo...

Sono partita per questa esperienza caricata molto positivamente, la gioia e la curiosità erano davvero grandi, ma avevo anche un po' di paura. Le aspettative erano molte ma ho voluto un po' accantonarle dicendo: "Lascio al Signore di decidere quello che vorrà donarmi con questa esperienza".

Al momento della partenza sapevo solo che io, a differenza delle due ragazze che sono partite con me, sarei stata da sola in un'altra missione più a nord del paese, dove mi aspettava il lavoro in un dispensario.

Il primo impatto all'arrivo a Dahka è stato davvero traumatico, la prima sera i miei sentimenti e le emozioni erano incontrollabili continuavo a ripetermi: Perché sono qui? Non potevo seguire i consigli di chi mi ha sempre un po' scoraggiato in questo viaggio?!. Ma chi me lo ha fatto fare? Voglio tornare a casa!

Dahka è una città lasciata a metà, tutto è stato iniziato ma ben poco è stato portato a termine, grande caos, forti rumori, traffico peggio che a Milano, odori nauseabondi...

Ma in fondo la mia destinazione era un piccolo villaggio del nord, questo mi faceva avere la speranza che le cose sarebbero cambiate.

Dopo due giorni ho raggiunto Boldipukur, la mia piccola e accogliente missione. Le case diroccate hanno lasciato spazio al verde che è la nota caratteristica del B, qua la gente vive nelle capanne in mezzo alla natura, proprio intorno alla missione.
Uno spettacolo meraviglioso!

Così le angosce e le paure che mi avevano accompagnato fino a quel momento hanno lasciato spazio ad una sensazione di pace. Sono stata ospite di una piccola comunità di cinque suore, tre bengalesi e due italiane, suor Eleonora e suor Mariangela. Mi sono sentita subito ben accolta, mi sentivo come a casa mia.

A differenza di Dahka dove sono stata solo spettatrice di un mondo che sentivo estremamente estraneo a me e anche un po' ostile, in questo ambiente sono dovuta scendere allo scoperto, entrando nella quotidianità di questa gente, nelle loro case, nelle loro vite.

Sono entrata con timore, quasi in punta di piedi per non voler far notare troppo la differenza e mi sono scontrata subito con una povertà che disarma e fa cadere tutte le certezze.

Appena arrivata in missione mi hanno mostrato la mia camera e subito mi ha colto una sensazione di disagio: non funzionava il ventilatore, assolutamente necessario per affrontare alcuni momenti della giornata, e l'acqua che scendeva dal mio rubinetto era arancione. "Voglio tornare a casa" e il solito "Chi me lo ha fatto fare?!".

In risposta a queste mie domande mi hanno portato a fare un giro nel villaggio appena fuori le mura della missione e ho visto gente che vive nelle capanne, in una unica stanza c'è tutto e soprattutto nessuna comodità, niente ventilatore, niente acqua corrente, solo la luce per chi è fortunato.

La povertà che ho incontrato nel piccolo villaggio è diversa da quella di Dahka, è una povertà dignitosa, hanno davvero poco per il loro sostentamento, ma quel poco lo condividono.

Ho voluto conoscere la realtà della Sanità in B, suor Mariangela si è fatta carico di questa cosa e mi ha fatto vedere tutto quello che le era possibile, portandomi da una cittadina all'altra, consapevole che di fronte ad alcune realtà sarei rimasta senza parole.

Così ho visitato l'ospedale governativo di Rangpur, la città più grande vicino alla mia missione, una decina di chilometri, penso che le parole non riescano a rendere il significato di quello che ho visto: non credevo di essere in un ospedale. La struttura è fatiscente, mi verrebbe da paragonarla alla stazione centrale, ogni angolo di corridoio o di scala è utilizzato come bagno o spazzatura. Nel reparto di chirurgia generale, uno stanzone enorme nel quale sono ricoverati una cinquantina di persone, uomini e donne insieme, chi su di un letto dalle lenzuola putride, chi addirittura per terra adagiato su delle coperte di lana anch'esse molto sporche. Ogni paziente ha al suo fianco la famiglia per qualsiasi necessità, l'ospedale non dà cibo, ma nemmeno i farmaci necessari al ricovero. Tutto è a carico del paziente.

E' stato sufficiente vedere quel reparto per chiedere alla suora di portarmi via, non volevo veder più nulla e nel cuore la speranza che non succeda mai nulla per cui i missionari abbiano bisogno di un ricovero urgente.

La speranza si è accesa quando invece a Dinajpur ho visto l'ospedale gestito dai Missionari, una stretta al cuore, nella povertà e nella semplicità della struttura, riesco comunque a riconoscere un ospedale. Corridoi e stanze pulite, ognuno ha un proprio letto con lenzuola degne di essere chiamate tali.

L'esperienza comunque più significativa l'ho vissuta proprio al dispensario dove ho potuto agire direttamente.

Il dispensario raccoglie tutti i giorni dalle 100 alle 150 persone e più provenienti dai villaggi limitrofi, solo donne e bambini. Vi lavorano solo due suore infermiere, il numero di utenti sarebbe troppo alto con gli uomini.

Vengono fatte accomodare 5 o 6 persone tutte insieme e ognuno dice apertamente il proprio problema, non esiste certo la legge sulla privacy.

Così le suore gestiscono i loro pazienti, ascoltandoli, facendo diagnosi, consigliando terapie con farmaci che loro stessi devono pagare. E non si può certo eccedere con i farmaci, dipende da quanti soldi può offrire il paziente.

I primi giorni mi domandavo che senso avessero tali terapie che non duravano più di quattro giorni a dosi che da noi non utilizziamo nemmeno nei bambini. E ho fatto fatica a mettere da parte le mie conoscenze e le mie certezze per entrare in un'ottica che è completamente diversa dalla mia.

Ho subito pensato a come noi, facilmente, possiamo avere dei farmaci che ci aiutano e a quanti Km di strada devono fare loro per raggiungere il dispensario che copre un territorio vastissimo. Certo nei villaggi ci sono i loro dottori che nella maggior parte dei casi sono stregoni che impongono terapie che io non ho voluto nemmeno conoscere.

Certo che i ricordi sono davvero tanti e potrei stare raccontare per ore...

Prima di partire mi hanno consigliato di non andare a vivere un'esperienza di questo tipo con l'idea di andare a fare grandi cose, con l'idea di salvare il mondo, ma anzi, di lavorare poco e di guardare, ascoltare, imparare.

E così ho fatto, sono partita dicendo: "Non dirò di no a nulla e farò tutto quello che mi verrà proposto...".

Ora il sentimento che sento davvero forte nel mio cuore è quello della gratitudine, io non ho fatto assolutamente nulla in questa esperienza, ho solo ricevuto tanti doni.

E quello davvero più grosso è stato quello di una comunità accogliente che mi ha permesso di essere davvero libera di guardare, ascoltare, registrare tutto quello che veniva messo sul mio cammino.

Ho fatto migliaia di km per scoprire in terra straniera uomini e donne italiane, sì, i missionari!!

"Negli occhi una terra lontana, nel cuore una speranza, andare ai confini del mondo per far conoscere te" sono le parole di un canto che porto nel cuore da quando sono tornata e racchiudono davvero il senso del mio viaggio.

Porto nel cuore queste persone che mi hanno insegnato uno stile di vita davvero semplice e sobrio, il loro sguardo carico di amore, i loro sorrisi... riflesso di un amore più grande che li accompagna e li sostiene ogni giorno.

Non posso che chiedervi di pregare per queste persone perché possano davvero continuare questa grande opera che non è altro che la loro vita per Dio!

missionepovertàdonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

TESTO

31. Le cose che ho imparato nella vita   1

Paulo Coelho

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:

Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. E per questo, bisognerà che tu la perdoni.

Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.

Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.

Che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.

Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.

Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.

Che la pazienza richiede molta pratica.

Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.

Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.

Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.

Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.

Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.

Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.

Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.

Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.

La miglior specie d'amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire un parola, e quando vai via senti come se è stata la miglior conversazione mai avuta.

E' vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.

Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole un vita per dimenticarlo.

Non cercare le apparenze, possono ingannare.

Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.

Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante un giornataccia.

Trova quello che fa sorridere il tuo cuore. Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!

Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.

Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.

Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.

Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.

La felicità è ingannevole per quelli che piangono, quelli che fanno male, quelli che hanno provato, solo così possono apprezzare l'importanza delle persone che hanno toccato le loro vite.

L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un thé.

Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori.

Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano. Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l'unico che sorride e ognuno intorno a te pianga.

vitaprogettosperanzaottimismo

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

TESTO

32. Io e l'altro   1

Se qualcuno ti chiede
di andare con lui per un miglio,
va' insieme per due miglia.

Quando uno
sarà tentato di stanchezza,
l'altro l'aiuterà a non fermarsi,
e quando uno
smarrirà per un istante il cammino,
l'altro sarà pronto
a dare la vita per lui.

Cammina con qualunque tempo:
il grano matura
con il sole e con la pioggia.

amiciziacamminosperanza

inviato da Emanuela Salvucci, inserito il 21/05/2002

TESTO

33. Gli indizi per trovare l'amore vero   1

Turriseburnea.it

Esite un modo per verificare se un amore è Amore vero? Vi proponiamo sei domande a cui dare una risposta.

1 - Prova dei criteri. Se i criteri di scelta del lui/lei si basano su: "mi piace" e "stiamo bene insieme" tutto può finire presto perché sono criteri non sufficienti. La prima domanda di prova è: ho fatto di me stesso/a un dono, lungamente preparato, anche con sacrificio? Ho un progetto di vita ben chiaro che ho scoperto coincide perfettamente con quello dell'altro/a? Ho alle spalle una maturità, non solo fisica, ma soprattutto psichica e una preparazione adeguata?

2 - Prova della partecipazione. L'amore vero vuole partecipare, condividere, dare, raggiungere. La seconda domanda di prova è: siamo capaci di partecipare, condividere? Voglio diventare felice o fare felice l'altro/a e gli altri (servizio... volontariato...)?

3 - Prova del rispetto. Non vi è vero amore senza rispetto, senza la capacità di rispettarsi reciprocamente. La terza domanda è: abbiamo veramente abbastanza rispetto reciproco, sia per il corpo che per le idee dell'altro/a? Sono orgoglioso del mio fidanzato/a?

4 - Prova delle abitudini. L'amore accetta l'altro con le sue abitudini. Non sposatevi sperando che le cose cambino con il tempo. Il pensiero: "Spero di cambiarlo/a" ha sempre fallito! Occorre accettare l'altro/a come è ora, incluse le sue abitudini ed i suoi difetti (non i vizi!) La quarta domanda è: oltre ad amarlo, vi piacciono le sue abitudini?

5 - Prova della disputa. E' importante aver veramente discusso, non tanto per la discussione in sé, quanto per l'essere poi riusciti a riconciliarsi, per aver cioè sperimentato la capacità di perdonarsi. La quinta domanda è: siamo capaci di perdonarci a vicenda e di cedere l'uno all'altro?

6 - Prova del tempo. Non sposatevi se, maturi e preparati, non avete passato almeno un'estate ed un inverno attraverso un cammino di conoscenza reciproca. Se per caso avete dei dubbi sui vostri sentimenti di amore, il tempo vi darà la risposta. Se i dubbi riguardano la sincerità dei sentimenti dell'altro/a allora il chiedere un lecito sacrificio può fugare i sospetti. La sesta ed ultima domanda di prova è: il nostro amore ha passato l'estate e l'inverno? Ci siamo conosciuti, dentro, sufficientemente?

amorematrimoniofidanzamentocoppiadialogofamiglia

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inviato da Luca Peyron, inserito il 19/05/2002

PREGHIERA

34. La spiritualità della strada

Signore, insegnami che la vita è un cammino,
non lo sterile adeguamento a regole prefissate,
né la trasgressione senza esito.
Insegnami l'attenzione alle piccole cose,
al passo di chi cammina con me
per non fare più lungo il mio,
alla parola ascoltata perché non cada nel vuoto,
agli occhi di chi mi sta vicino
per indovinare la gioia e dividerla,
per indovinare la tristezza
e avvicinarmi in punta di piedi,
per cercare insieme la nuova gioia.
Signore, insegnami che la mia vita è un cammino,
la strada su cui si cammina insieme,
nella semplicità di essere quello che si è,
nella serenità dei propri limiti e peccati,
nella gioia di aver ricevuto tutto da te nel tuo amore.
Signore, insegnami che la mia vita è un cammino con te,
per imparare, come te, a donarmi per amore.
Tu, che sei la strada e la gioia.

scoutroutestradacammino

inviato da Emilio Centomo, inserito il 05/05/2002

PREGHIERA

35. Preghiera per la route

Signore,
anche noi proviamo la stanchezza e la tentazione di fermarci,
di abbandonare la strada.
Insegnaci la costanza e la fiducia.
Tu cammini al nostro fianco sempre,
anche quando non ce ne accorgiamo;
tu ci guidi al Santo Monte,
dove si rivela la gloria dell'Altissimo.
Donaci occhi aperti per vedere le meraviglie del creato,
per scorgere la sofferenza di chi incontriamo lungo il cammino.
Donaci mani pronte ad aiutare,
metti sulla nostra bocca parole e sorrisi di bontà.
Fortifica i nostri piedi,
perché la strada è ancora tanto lunga davanti a noi.
Ognuno si sente talvolta un viandante solitario.
Ma, per fortuna, quasi sempre si cammina insieme.
Siamo il tuo popolo in cammino, Signore.
Sii tu la nostra guida e il nostro capo.
Amen.

scoutroutestradacammino

inviato da Maria Vitali, inserito il 29/04/2002

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