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RACCONTO

221. Un pezzo di legno   3

Bruno Ferrero

C'è un uomo che tiene appeso in salotto, nel posto d'onore, uno strano oggetto. Quando qualcuno gli chiede il perché di quella stranezza racconta:

Il nonno, una volta mi accompagnò al parco. Era un gelido pomeriggio d'inverno. Il nonno mi seguiva e sorrideva, ma sentiva un peso. Il suo cuore era malato, già molto malandato. Volli andare verso lo stagno. Era tutto ghiacciato, compatto! "Dovrebbe essere magnifico poter pattinare", urlai, "vorrei provare a rotolarmi e scivolare sul ghiaccio almeno una volta!". Il nonno era preoccupato. Nel momento in cui scesi sul ghiaccio, il nonno disse: "Stai attento...". Troppo tardi. Il ghiaccio non teneva e urlando caddi dentro. Tremando, il nonno spezzò un ramo e lo allungò verso di me. Mi attaccai e lui tirò con tutte le sue forze fino ad estrarmi dal crepaccio di ghiaccio. Piangevo e tremavo. Mi fecero bene un bagno caldo e il letto, ma per il nonno questo avvenimento fu troppo faticoso, troppo emozionante. Un violento attacco cardiaco lo portò via nella notte. Il nostro dolore fu enorme. Nei giorni seguenti, quando mi ristabilii completamente, corsi allo stagno e ricuperai il pezzo di legno. È con quello che il nonno aveva salvato la mia vita e perso la sua! Ora, fin tanto che vivrò, starà appeso su quella parete come segno del suo amore per me!

Per questo motivo noi cristiani oggi ci inginocchiamo dinanzi a quel legno, cui si è appeso l'Amore-Gesù; per questo teniamo nelle nostre case un "pezzo di legno" a forma di croce... Per ricordare come si ama, e a chi dobbiamo guardare per amare senza stancarci!

crocevenerdì santoGesù Cristoamoresacrificio

4.3/5 (4 voti)

inserito il 20/05/2009

RACCONTO

222. Il pane della fratellanza   3

Si racconta di una anziana contadina, di nome Giulia, che viveva in una fattoria con i suoi tre figli, Roberto, Michele e Francesco. Il marito le era morto durante la guerra. I tre figli, di cuore buono, erano però sempre pronti a litigare. Si volevano bene ma, bastava una parola in più ed erano litigi senza fine. A quel punto interveniva Mamma Giulia e ben presto i figli ritrovavano pace.

La mamma divento vecchia, allora i figli si preoccuparono: "Mamma, cerca di star sempre bene e di non morire, perché quando litighiamo chi rimetterà la pace fra noi?". "Ma io dovrò pur morire prima o poi", rispose la mamma. "Allora, chiesero i figli inventa qualcosa perché quando tu non ci sarai più noi potremo rifare pace e volerci bene".

Mamma Giulia pensò a lungo alla cosa e un giorno prese un foglio, vi scrisse come dovevano essere divisi i campi fra i tre figli e aggiunse alcune raccomandazioni perché andassero sempre d'accordo. La mamma un giorno si ammalò gravemente e dal suo letto chiamò i figli, consegnò loro il suo testamento, poi prese un pane, ne fece tre parti, ne diede una a ciascuno e raccomandò: "Mangiate e cercate di volervi bene". I figli, commossi, mangiarono il pane della mamma, bagnandolo con le loro lacrime. Di lì a pochi giorni Giulia morì.

Roberto, Michele e Francesco si divisero serenamente i campi e ognuno si mise a lavorare il suo. Ma un giorno Roberto e Michele scoprirono che il confine fra i loro campi non era chiaro. Ben presto si misero a litigare. Stavano per fare a botte, quando arrivò Francesco. Egli si mise in mezzo a loro: "Non ricordate la mamma? Perché non facciamo come quel giorno che ci ha chiamati al suo capezzale?". Presero un pane, ne fecero tre parti, ne presero una per ciascuno e si misero a mangiare. Mentre mangiavano nella mente di Roberto e Michele si riaccese l'immagine della mamma; il suo volto e le sue parole scendevano nel loro cuore come una medicina.
Scoppiarono in un pianto dirotto e fecero pace.

La pace non durava molto, perché occasioni di litigio ne incontravano spesso. Però avevano imparato la soluzione: ogni volta che si creava un'occasione per litigare, i tre fratelli si sedevano attorno ad un tavolo, prendevano un pane, lo mangiavano insieme; ben presto scompariva la rabbia e tornava la pace.

eucaristiapacericonciliazionelitigifraternitàfratellanzacomunionegenitorifiglifratelli

3.0/5 (3 voti)

inserito il 20/05/2009

RACCONTO

223. La drogheria del Paradiso   1

Camminavo lungo l'autostrada della vita, tanto tempo fa.

Un giorno vidi un cartello che indicava: "Drogheria del Paradiso". Non appena mi avvicinai di più la porta si spalancò da sola e, appena mi ripresi dallo stupore, mi ritrovai dentro. Vidi una schiera di Angeli: stavano dappertutto. Uno mi porse un cestino e mi disse: "Fai la spesa con attenzione, ragazzo mio! Tutto ciò che occorre a un buon Cristiano si può trovare in questa drogheria del Paradiso; tutto quello che tu non riuscissi a portar via oggi, puoi ritornare a prenderlo domani!"

Per prima cosa presi un po' di pazienza: l'Amore si trovava nello stesso scaffale.

Più in basso c'era il Discernimento, di cui si ha bisogno ovunque si vada.

Poi presi una o due scatole di Saggezza e uno o due sacchetti di Fede.

Non mi dimenticai di prendere lo Spirito Santo, dal momento che si trovava ovunque nel negozio.

Mi fermai ed acquistai un po' di Forza e un po' di Coraggio perché mi aiutasse nel cammino.

Mi accorsi allora che il cestino era quasi pieno, ma avevo ancora bisogno di comperare un po' di Grazia.

Non dimenticai di prendere la Salvezza che, per fortuna, era in offerta gratuita, e così cercai di prenderne abbastanza da salvare te e me.

Mi avviai poi alla cassa per pagare il conto della drogheria.

Non appena arrivai al corridoio vidi la Preghiera e la misi dentro perché sapevo che, una volta fuori, sarei incappato nel Peccato.

Nell'ultimo scaffale c'era una gran quantità di Pace e di Gioia e lì vicino erano appesi canti e lodi e così mi servii.

Quindi chiesi all'Angelo quanto gli dovevo. Egli si limitò a sorridermi e mi disse: "Porta ogni cosa con te, dovunque tu vada!"

A mia volta gli sorrisi e gli chiesi: "Sul serio, quanto ti devo?"

L'Angelo sorrise di nuovo e disse: "Gesù Bambino ha pagato il tuo conto, tanto, tanto, tanto tempo fa!"

vitavalori

3.0/5 (2 voti)

inviato da Roberto Domanico, inserito il 19/05/2009

RACCONTO

224. Storia di un pezzo di pane   1

don Angelo Saporiti

Quando l'anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l'eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all'angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo. Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò:

Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando. Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?

Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi. E quando l'amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata. "La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo", pensò il dottore.

La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata.

La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo. "Se questo pane c'è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l'ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi", disse il dottore. "Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. È un pane santo!".

Chi lo sa quante volte l'anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!.

I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa. Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita. Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo, lo aveva spezzato per amore.

paneeucaristiacomunionedonocondivisionesolidarietà

3.3/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 17/05/2009

RACCONTO

225. Il sogno di Maria   2

Giuseppe, ho fatto un sogno che non riesco proprio a comprendere, ma credo che riguardava la nascita di nostro figlio.

La gente stava facendo i preparativi con sei settimane d'anticipo: decoravano le case, compravano vestiti nuovi, uscivano spesso a fare spese e compravano regali molto elaborati.

Era tutto molto strano, perché i regali non erano per nostro figlio: li avvolgevano in fogli vistosi, li legavano con dei nastri preziosi e poi li mettevano sotto un albero. Sì, Giuseppe, un albero dentro le case; quella gente aveva decorato un albero e i rami erano pieni di ciondoli brillanti e in cima all'albero c'era una figura – mi sembrò che fosse un angelo – veramente molto bella.

Dopo ho visto una tavola splendidamente imbandita con piatti deliziosi e tanti vini: tutto sembrava squisito e tutti erano contenti, ma noi non eravamo stati invitati.

Si vedeva che la gente era felice, sorridente e perfino emozionata quando si scambiavano i regali, ma...

Sai, Giuseppe? Non rimaneva alcun regalo per nostro figlio e mi dava l'impressione che nessuno lo conoscesse perché nessuno fece mai il suo nome. Non ti sembra strano che la gente si dia tanto da fare e spenda tanto nei preparativi per celebrare il compleanno di qualcuno che non nominano mai e che forse neppure conoscono? Ebbi la strana sensazione che se nostro figlio fosse entrato in quelle case si sarebbe sentito un intruso.

Tutto era così bello e la gente così contenta, ma io avevo una gran voglia di piangere perché nostro figlio era completamente ignorato.

Che tristezza per Gesù non essere desiderato nella sua festa di compleanno!

Sono contenta perché si è trattato solamente di un sogno, ma che terribile sarebbe se ciò divenisse realtà!...

natale

5.0/5 (2 voti)

inviato da Roberto Jori, inserito il 03/05/2009

RACCONTO

226. Il giudizio di Dio

Antonio il Grande (sant'Antonio Abate), Vita e detti dei padri del deserto

Il Padre Antonio, volgendo lo sguardo agli abissi del giudizio di Dio, chiese: "O Signore come mai alcuni muoiono giovani, altri vecchissimi? Perché alcuni sono poveri ed altri sono ricchi? Perché degli empi sono ricchi e dei giusti poveri?". E giunse a lui una voce che disse: "Antonio, bada a te stesso. Sono giudizi di Dio questi, non ti giova conoscerli".

ricchezzapovertàprovvidenzagiudizio di Diosenso della vitaricerca di senso

inviato da Luca Peyron, inserito il 03/05/2009

RACCONTO

227. Il macigno e il seme   4

Luigi Guglielmoni - Fausto Negri

«Guarda come sono forte» disse un grosso macigno a un piccolo seme.
Ciò detto si lanciò da un'altura abbattendo tutto ciò che incontrava: non si fermava davanti a nessun ostacolo e finì la sua corsa facendo un grosso buco nel terreno.
«Vedi - continuò il macigno - i miei risultati sono rapidi ed eclatanti».
Il seme sorrideva calmo. Una mano lo prese e lo seminò nel terreno. Anche il macigno fu sepolto dal vento sotto un manto di foglie di terra.
Passarono i giorni e dal seme nacque una spiga. Passò un anno e nacquero tante spighe. Dopo pochi anni, il macigno era sempre più sprofondato nel terreno mentre il seme era diventato un biondo campo di grano.
«Povero me», gemette il masso, «cosa ci sto a fare al mondo? Se qualcuno si ricorda di me, è solo per maledirmi. Come hai fatto ad essere tu il più forte?».
«Siamo forti tutti e due, ma di una forza diversa», rispose il seme.
«Tu hai bisogno di "spinte" per salire in alto, io mi affido ad una mano amica per scendere in un solco.
Tu fai molto rumore per essere vincente, io mi nascondo per crescere e lasciarmi mangiare.
Tu puoi servire al massimo per costruire archi di trionfo e lapidi da cimitero, io tolgo la fame e divento carne e sangue vitali.
Tu ti imponi con la tua mole, io attraggo per la mia bellezza.
Io sono piccolo ma ho una grande energia di dentro. Tu non puoi trascorrere una vita felice per il semplice motivo che in te non c'è neppure vita!».

piccolezzaforzavitainterioritàesterioritàdebolezzafecondità

4.4/5 (5 voti)

inviato da Leonardo Salutati, inserito il 03/05/2009

RACCONTO

228. L'alpinista   3

Si racconta che un alpinista, dopo lunghi anni di preparazione, decise di realizzare il suo sogno e di scalare una montagna molto alta. Volendo tutta la gloria per sé, decise di andarci da solo.

Le ore passarono in fretta e l'oscurità lo sorprese. Non avendo il necessario per accamparsi, decise di proseguire la scalata. Il buio gli impediva di vedere il proprio sentiero. Le nuvole nascondevano la luna e le stelle.

Aveva quasi raggiunto la vetta quando l'inevitabile capitò. Perse l'appoggio e cadde nel vuoto. Ebbe giusto il tempo di vedere delle macchie scure e si sentì inghiottito dall'abisso.

I principali avvenimenti della sua vita sfilarono altrettanto velocemente davanti ai suoi occhi.

Sentiva la morte avvicinarsi quando un violento colpo sembrò quasi squarciargli il ventre: aveva raggiunto la fine della corda di cui aveva fissato un'estremità nella roccia... e l'ancoraggio aveva fortunatamente resistito.

Riprese fiato e si rese conto di essere ancora lì, sospeso nel buio e nel silenzio assoluti. Ormai disperato, urlò:
- Dio mio, aiutami!!!
Immediatamente, una voce grave e profonda penetrò il silenzio:
- Che vuoi che faccia?
- Salvami, mio Dio!!!
- Credi veramente che io possa salvarti?
- Certamente, Signore!!!
- Se è così, taglia la corda che ti mantiene!!!

Ebbe un momento di esitazione, poi l'uomo si attaccò con maggiore disperazione alla corda. Il gruppo di salvataggio racconta che l'indomani trovarono l'alpinista morto. Il freddo l'aveva invaso e tra le sue mani indurite egli teneva ancora, disperatamente, la corda... a soli due metri dal suolo!!!

E tu, avresti tagliato la corda?
Nella vita, dobbiamo prendere decisioni che mettono alla prova la nostra fede.
E tu? Tu che conti tanto sulle tue corde... Accetteresti di tagliarle?
Tutti i giorni dobbiamo ravvivare la nostra fede e fare nostra, la preghiera di Isaia: "Il Signore nostro Dio ci tiene per mano e ci dice: non temere. Io sono con te."

fiducia in Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Mela, inserito il 05/02/2009

RACCONTO

229. Il male esiste?   2

Aneddoto attribuito ad Albert Einstein

Germania, primi anni del XX secolo.

Durante una conferenza tenuta per gli studenti universitari, un professore ateo dell'Università di Berlino lancia una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda:
"Dio ha creato tutto quello che esiste?"
Uno studente diligentemente rispose: "Sì certo!".

"Allora Dio ha creato proprio tutto?" - Replicò il professore.
"Certo!", affermò lo studente.

Il professore rispose: "Se Dio ha creato tutto, allora Dio ha creato il male, poiché il male esiste e, secondo il principio che afferma che noi siamo ciò che produciamo, allora Dio è il Male".

Gli studenti ammutolirono a questa asserzione. Il professore, piuttosto compiaciuto con se stesso, si vantò con gli studenti che aveva provato per l’ennesima volta che la fede religiosa era un mito.

Un altro studente alzò la sua mano e disse: "Posso farle una domanda, professore?".
"Naturalmente!" - Replicò il professore.

Lo studente si alzò e disse: "Professore, il freddo esiste?".

"Che razza di domanda è questa? Naturalmente, esiste! Hai mai avuto freddo?". Gli studenti sghignazzarono alla domanda dello studente.

Il giovane replicò: "Infatti signore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della fisica, ciò che noi consideriamo freddo è in realtà assenza di calore. Ogni corpo od oggetto può essere studiato solo quando possiede o trasmette energia ed il calore è proprio la manifestazione di un corpo quando ha o trasmette energia. Lo zero assoluto (-273 °C) è la totale assenza di calore; tutta la materia diventa inerte ed incapace di qualunque reazione a quella temperatura. Il freddo, quindi, non esiste. Noi abbiamo creato questa parola per descrivere come ci sentiamo... se non abbiamo calore".
Lo studente continuò: "Professore, l’oscurità esiste?".
Il professore rispose: "Naturalmente!".

Lo studente replicò: "Ancora una volta signore, è in errore, anche l’oscurità non esiste. L’oscurità è in realtà assenza di luce. Noi possiamo studiare la luce, ma non l’oscurità. Infatti possiamo usare il prisma di Newton per scomporre la luce bianca in tanti colori e studiare le varie lunghezze d’onda di ciascun colore. Ma non possiamo misurare l’oscurità. Un semplice raggio di luce può entrare in una stanza buia ed illuminarla. Ma come possiamo sapere quanto buia è quella stanza?

Noi misuriamo la quantità di luce presente. Giusto? L’oscurità è un termine usato dall’uomo per descrivere ciò che accade quando la luce... non è presente".

Finalmente il giovane chiese al professore: "Signore, il male esiste?".

A questo punto, titubante, il professore rispose, “Naturalmente, come ti ho già spiegato. Noi lo vediamo ogni giorno. E’ nella crudeltà che ogni giorno si manifesta tra gli uomini. Risiede nella moltitudine di crimini e di atti violenti che avvengono ovunque nel mondo. Queste manifestazioni non sono altro che male".

A questo punto lo studente replicò "Il male non esiste, signore, o almeno non esiste in quanto tale. Il male è semplicemente l’assenza di Dio. E’ proprio come l’oscurità o il freddo, è una parola che l’uomo ha creato per descrivere l’assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che succede quando l’uomo non ha l’amore di Dio presente nel proprio cuore. E’ come il freddo che si manifesta quando non c’è calore o l’oscurità che arriva quando non c’è luce".

Il giovane fu applaudito da tutti in piedi e il professore, scuotendo la testa, rimase in silenzio.

Il rettore dell'Università si diresse verso il giovane studente e gli domandò: "Qual è il tuo nome?".

"Mi chiamo, Albert Einstein, signore!" - Rispose il ragazzo.

benemaleDiofreddoamoretenebrebuioluceesistenza di Diovitasenso della vita

5.0/5 (2 voti)

inviato da Mesiti Pasquale, inserito il 25/01/2009

RACCONTO

230. La pietra e la farfalla   2

Lovecchio Stefano

Un giorno, in un bosco di montagna, una farfalla meravigliosa svolazzando tra un fiore e l'altro, si posò su di un fiore nato vicino ad una pietra. La pietra vedeva passare ogni giorno quella farfalla e quel giorno, visto che le era così vicina, le disse: "Ciao, che meravigliosi colori che hai e come è bello vederti svolazzare, io invece sono qui immobile e posso vedere ben poco del mondo e poi..., ho solo questo colore grigio!".

La farfalla un po' vanitosa rispose: "Si, ho dei bellissimi colori, tutti mi ammirano e vado dove voglio. Tu invece sei sempre lì. Ma non ti annoi?". La pietra ci pensò un poco e rispose: "No, non mi annoio perché comunque posso vedere le cose belle del mondo che riesco a vedere di qui e ho tanti amici alberi attorno a me, però mi sento un po' male se penso che non posso andare dove vorrei, come te".

A quel sentire, un faggio maestoso che aveva ascoltato tutto intervenne e disse: "Cara mia vecchia amica pietra, se tu non fossi qui, io come altri alberi e altra vegetazione attorno a te non potremmo vivere perché le nostre radici sono affondate nel terreno e si abbracciano con forza a te per sostenerci. Tu che sembri una piccola pietra sei invece maestosa e imponente ed è proprio perché sei lì da secoli immobile che hai permesso a noi alberi attorno a te di crescere stabili. E' vero quindi che non hai i colori della farfalla ma la tua bellezza sta nell'essere roccia.

Tu invece cara piccola farfalla, è vero che sei splendida con i tuoi colori ed è bello vederti volare quei pochi giorni della tua vita, ma non potresti esistere se non ci fosse questa vegetazione che abbraccia le proprie radici a rocce maestose come questa che sembra una piccola pietra, ma non lo è".

Da quel giorno, la farfalla andò a trovare ogni giorno la pietra per raccontarle del creato che lei vedeva, e quando la farfalla fu sul punto di morire la pietra le disse: "Cara amica mia ti ricorderò per sempre perché, anche se pochi giorni, hai rinunciato a svolazzare un po' del tuo tempo per raccontarmi le cose belle del mondo che io da qui non posso vedere".

umiltàgruppocomunitàreciprocitàdifferenzediversità

1.0/5 (1 voto)

inviato da Stefano Lovecchio, inserito il 03/12/2008

RACCONTO

231. Tra Marta e Maria

Vita di Antonio, Atanasio

Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri e diceva a Dio: "O Signore, io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?".

Ora, sporgendosi un po', Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto ad intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l'angelo che diceva: "Fa' così e sarai salvo". All'udire queste parole, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò.

preghieraazionelavoroorazionesalvezzaapostolatoimpegno

3.0/5 (2 voti)

inviato da Luca Peyron, inserito il 07/09/2008

RACCONTO

232. La storia della matita   5

Paolo Coelho

Il bambino guardava la nonna che stava scrivendo una lettera. Ad un certo punto, le domandò: "Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me".

La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: "E' vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto".

Incuriosito il bimbo guardò la matita senza trovarvi alcunché di speciale.

"Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!".

"Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell'esistenza, sarai sempre una persona in pace con il mondo.

Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi."Dio": ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la sua volontà.

Seconda qualità: di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura e usare il temperino. E' un'azione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.

Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere è un'azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.

Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque, presta sempre attenzione a quello che accade dentro di te.

Ecco la quinta qualità della matita: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza, impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione".

vitaviverepaceimpegnoresponsabilitàsofferenzacamminocrescitainterioritàesterioritàrapporto con Diocorrezione

5.0/5 (3 voti)

inviato da Raffaella Pisanti, inserito il 07/09/2008

RACCONTO

233. Della vera e perfetta letizia

San Francesco d'Assisi, Fioretti

Un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi". Questi rispose: "Eccomi, sono pronto". "Scrivi disse - quale è la vera letizia".

"Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine, scrivi: non è vera letizia. Cosi pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltr'Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d'lnghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia".

"Ma quale è la vera letizia?".

"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, alI'estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: "Chi è?". Io rispondo: "Frate Francesco". E quegli dice: "Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai". E poiché io insisto ancora, I'altro risponde: "Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te". E io sempre resto davanti alla porta e dico: "Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte". E quegli risponde: "Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là". Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima".

letiziagioiainterioritàserenitàforza interiore

3.5/5 (2 voti)

inviato da Pier Luca Bancale, inserito il 07/09/2008

RACCONTO

234. Il pozzo e la pozzanghera   1

Stefano Lovecchio

Un giorno una pozzanghera disse al pozzo vicino a sé: "Che vita insignificante la mia! Nessuno si accorge di me se non che qualche uccellino ogni tanto, per bere un po' d'acqua. Tu invece sei ben conosciuto e vengono a te da lontano, ti hanno dato persino un nome".

Il pozzo le rispose: "Cara amica mia, è vero che vengono da lontano e che mi hanno dato un nome, ma non vengono per me, vengono tutti a prendere l'acqua che la terra mi dona e se ne vanno felici per l'acqua che possono prendere. Ma a me va bene così, perché in ogni caso li vedo andar via contenti. Ma anche tu non devi lamentarti, perché è vero che non hai un nome ma quando la tua acqua è calma, riflette lo stupendo azzurro del cielo sulla terra, mentre la mia acqua non ha che buio attorno a sé. Pensaci amica mia, ciò che conta sia per me che per te è permettere all'acqua che ci viene donata di dissetare chi ne ha bisogno. Tu cara amica, disseti chi non sa più guardare il cielo".

gratuitàcondivisioneinterioritàtestimonianza

4.5/5 (2 voti)

inviato da Stefano Lovecchio, inserito il 15/04/2008

RACCONTO

235. Come spiegare la Risurrezione?

Un missionario viveva da tantissimi anni in Cina, Paese dalla cultura millenaria e profondamente religioso. Non aveva battezzato nessuno (non era lì a convertire...), ma era riuscito in qualche modo a stabilire una bellissima relazione con un vecchiettino cinese, con cui passava le ore e le giornate a chiacchierare del più e del meno, e a discutere delle cose di Dio. Era stupendo per entrambi potersi scambiare le proprie esperienze di fede, così diverse eppure così simili. Era bello poter scoprire, grazie all'altro, un altro volto di Dio, un altro colore del suo arcobaleno, un altro raggio della sua luce.

Un giorno il missionario arrivò a parlare della risurrezione... Come spiegare al suo amico il mistero della risurrezione di Gesù? Era facile raccontargli della vita di Gesù, del bene che aveva fatto, di come la gente semplice lo ricordasse proprio come un uomo buono che aveva fatto tanto bene. Ma come spiegargli la risurrezione? Provò, e riprovò, cercò esempi, metafore... ma il suo grande amico non riusciva a comprendere tale stupefacente mistero.

Finché un giorno il vecchio cinese disse al suo amico missionario: "Ascolta, da tanti giorni ti sforzi di spiegarmi quello che io non posso capire. Credo ci sia un unico modo perché io possa capire cos'è la risurrezione di Gesù: mostrami la tua risurrezione!".

risurrezioneresurrezionetestimonianzaannunciomissione

2.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Stefano Giudici, inserito il 19/03/2008

RACCONTO

236. La Pasqua di Sara   2

Miriam Soter

(Sara, 12 anni, figlia di Giairo, capo della Sinagoga di Cafarnao, cfr. Mc. 5,21-43)

"...Gesù!"

Il tuo nome è l'ultima parola che ho afferrato prima di morire. "Vado a chiamare Gesù", così ripeteva mio papà, lasciandomi per venire a cercarti.

"È arrivato tardi", mormoravano a bocca stretta, i miei vicini di casa; ero già morta, infatti, quando sei arrivato. Avevo dodici anni. "La bambina dorme, ora la sveglio", ti sentirono dire, chiusi nel loro silenzio, ti disprezzarono.

Tenendomi la mano, tu hai detto: "Talità kum!". "Fanciulla, io te lo ordino, alzati!" Non so dove la tua voce mi ha raggiunto; non so come hai fatto a trovarmi. Come un gigante tu hai attraversato, vittorioso, il buio della mia morte. Ho dischiuso gli occhi e ho visto il tuo volto: forte e sorridente.

Ma una ruga ti si formò in mezzo alla fronte, all'improvviso, come una ferita! Tu hai detto: "Datele da mangiare"; contenti ti hanno obbedito; ma io non avrei mai distolto i miei occhi dai tuoi.

Così ho ricominciato a vivere: grazie a te. "E' grazie a Gesù - spiegavo a tutti - se sono di nuovo viva". Mio papà e io non ti abbiamo più lasciato: due anni incredibili vissuti vicino a te. Quanta strada abbiamo fatto insieme a te; quante parole, quanti silenzi, quanti malati guariti, quanti lebbrosi sanati, quanti peccatori perdonati, quanti afflitti consolati, quanti sorrisi restituiti: e ogni volta sul tuo bel volto, una ruga, una ferita in più.

Mi sono sentita perduta il giorno che ti hanno arrestato. Perché farti del male, a te che hai fatto sempre del bene? Perché far del male al mio Gesù? Perché ti hanno flagellato? Perché coprire di sputi il tuo volto così bello? Perché ti hanno preso a schiaffi? Ti hanno messo perfino una corona di spine: perché trattare così il mio Re?

Papà mi ha detto che ti hanno inchiodato a una croce; che ci hai perdonato; che tua mamma era presente; che, prima di morire, anche tu hai chiamato tuo Padre; che il tuo viso era tutto una ferita.

Li ho visti, quel venerdì sera, i tuoi discepoli; vergognosi, tornavano dal Calvario impauriti, sconvolti, disperati. "E' la fine", dicevano, "è la fine". Ma io non potevo rassegnarmi; non potevo dimenticare, io: la mia carne ricordava. Io sapevo, io, che il tuo amore è più forte della morte.

M'hanno detto che sei risuscitato, che ti hanno incontrato: prima alcune donne, poi Pietro, Giovanni e tanti altri. Sono felici! Sembrano rinati! Come li capisco!

Io non ti ho ancora visto; sei salito in cielo: forse non ti vedrò più; ma non importa: le mie notti e i miei giorni sono fatti di te. Eppure, quanta voglia di ascoltarti, di abbracciarti, di vederti.

E' curioso: a volte mi sorprendo a pensare a te, a parlare con te, tanto è grande il desiderio che ho di te; allora chiudo gli occhi per ritrovare il tuo volto; è così grande il desiderio che... vorrei morire... per essere sempre con te, mio Gesù.

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inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

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237. La missione di Angiolino

Miriam Soter

Angiolino era preoccupato. L'Eterno Padre gli aveva assegnato la missione di consolare il suo Figlio agonizzante. "Di che cosa potrà mai aver bisogno il Signore?", pensava tra sé.

In un baleno lasciò la Gloria del Paradiso, raggiunse la Palestina, si diresse verso Gerusalemme e deviò sul Getsemani. Là si arrestò pieno di stupore: lo stesso Dio che aveva contemplato sfolgorante d'infinita gloria, quello stesso Dio davanti al quale stava sempre in adorazione, ora era lì, al buio, prostrato a terra, tutto tremante e angosciato.

«Devo assolutamente trovare qualcuno che lo possa consolare!», si disse dirigendosi verso gli Apostoli. «Sicuramente loro sono disposti ad aiutarmi: hanno ricevuto tanti insegnamenti e hanno visto tanti miracoli!». Ma i discepoli dormivano.

«Che delusione! Forse tra i miracolati troverò qualcuno disposto a consolarlo!». Il povero Angiolino girò tutta la Giudea: visitò ciechi che vedevano, storpi che camminavano, sordi che sentivano, ma tutti erano intenti a festeggiare la Pasqua.

«Tutti pensano a festeggiare e non c'è nessuno che pensi al Signore! Vorrà dire che andrò avanti e indietro nel tempo radunando le anime sante del passato e del futuro!».

Angiolino non ci mise molto: con una velocità supersonica portò un esercito di anime. Tra quelle del passato si distingueva il Re Davide, il profeta Isaia, Mosè, Geremia e tutti gli altri profeti. Brillavano con una luce tutta speciale san Giuseppe e san Giovanni Battista. Tra le anime del futuro c'erano gli Apostoli ormai diventati coraggiosi, schiere sterminate di martiri, di vergini e di confessori. Si vedeva santa Chiara che commossa sussurrava: «Era tutta la vita che chiedevo questa grazia...», accanto a lei c'era san Francesco, sant'Antonio, santa Veronica, poi san Domenico, santa Caterina da Siena, santa Gemma, san Giovanni Bosco, san Massimiliano Maria Kolbe... e San Pio che confuso e profondamente commosso assumeva su di sé la pesantissima Croce, condividendo con Cristo le atroci sofferenze della Passione.

Gesù ne ebbe un gran sollievo, ma la visione delle numerosissime anime che avrebbero disprezzato il suo Sacrificio lo prostrava e addolorava ancora profondamente.

Allora Angiolino come un lampo si diresse verso la casa dell'immacolata. La Signora stava offrendo tutto con Gesù. «Mia dolce Regina, non volevo disturbarti perché so che stai soffrendo molto e avresti bisogno di essere consolata tu stessa, ma sei l'unica che può aiutarmi!».

«Angiolino caro, in questo momento l'unica mia consolazione è proprio quella di poter consolare Gesù! Su, presto! Torna nell'Orto degli Ulivi e portagli il mio Cuore!».

Angiolino tutto tremante prese quel preziosissimo Cuore nelle sue mani di luce e lo portò subito a Gesù.

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inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

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238. Gastone il centurione

Miriam Soter

Gastone era un centurione e ormai da 30 anni si trovava alle dipendenze di Pilato. Di condannati ne aveva visti tanti, ma nessuno come questo Galileo. «Con tutte le torture che gli sono state fatte dovrebbe essere già morto... e invece mantiene sempre la calma, pur tra inaudite sofferenze... e poi... mi ricorda qualcuno...».

Intanto Gesù fu caricato della croce e il triste corteo si avviò verso il Calvario. Ad un tratto lungo la strada apparve una Donna. «E' la madre del condannato», sussurrò qualcuno. Gastone si voltò ed ebbe un sussulto: come un lampo il passato gli tornò davanti agli occhi.

Era un giovane soldato, appena giunto dall'Italia, quando venne mandato con dei colleghi in Galilea a causa di una sommossa. Come gli altri soldati era un prepotente: entrava nei villaggi e saccheggiava le case senza aver rispetto per nessuno. Un giorno la sua guarnigione rimase senza viveri e i soldati decisero di prendere con la violenza un po' di provviste. Gridando e schiamazzando misero in subbuglio il paesino di Nazaret: le urla delle donne e il pianto dei bambini, invece di impietosirli, li facevano divertire.

Mancava ancora una casetta: Gastone fu il primo ad entrare; ma si fermò di colpo. All'interno non c'era niente di strano: solo una donna con un bambino; eppure l'atmosfera era talmente soprannaturale che i soldati entrando rimanevano ammutoliti. Gastone una volta aveva visto da vicino Cesare, eppure da quei due si irradiava una maestà ben superiore a quella dell'imperatore.

Con una voce dolcissima e molto calma la Signora domandò: «Avete bisogno di qualcosa?». I soldati si guardavano imbarazzati. Gastone si fece coraggio e rispose: «Avremmo bisogno di un po' di cibo, ma non vorremmo essere di disturbo...». La Donna si rivolse al bambino: «Gesù, vai a prendere un po' di provviste». Il bambino subito si alzò e corse in dispensa. Quando tornò aiutò la Mamma a preparare tanti fagottini quanti erano i soldati. Infine, la Donna distribuì le provviste a ciascuno di loro.

Pur essendo molto giovane, tutti ebbero l'impressione di trovarsi di fronte alla propria madre. Gastone non aveva più dimenticato quello sguardo e adesso era sicuro di riconoscerlo in quella Donna.

«Il condannato dev'essere quel bambino!». Era la prima volta che provava compassione per un condannato. Un pensiero gli si affacciò alla mente: «Quest'uomo ha affermato di essere Figlio di Dio... E se fosse vero?». La Donna intanto seguiva il Figlio con una compostezza e una dignità che ferivano profondamente il cuore del buon centurione.

Arrivarono sul Calvario e dopo tre ore di tremenda agonia, alla morte di Gesù Gastone cadde in ginocchio ed esclamò: «Costui era veramente Figlio di Dio!», e così dicendo gli tornarono alla mente le Sue ultime parole: «Donna ecco tuo Figlio»: solo allora capì che si trattava di una Maternità universale ed ebbe un sussulto: era proprio questa l'impressione che aveva avuto quando aveva visto la Donna per la prima volta.

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inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

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239. Evaristo il pettirosso   2

Miriam Soter

Evaristo era un passerotto come tanti altri. Viveva in un bel nido tra le tegole del Tempio di Gerusalemme e ogni mattina si appollaiava fra le travi di cedro del Portico di Salomone per ascoltare Gesù. In quei giorni la città era piena di gente, perché si avvicinava la Pasqua: c'era gran folla anche tra gli uccellini ed Evaristo ogni mattina, al sorgere del sole, volava in picchiata a prendersi il posto in prima fila per poter sentire bene gli insegnamenti del Redentore.

Un venerdì, però, gli uccellini aspettarono tutta la mattinata invano. Un po' alla volta gli altri se ne tornarono ai loro nidi. Evaristo era preoccupato: «Com'è strano! Di solito è sempre così puntuale! Sarà successo qualcosa?». Poco dopo mezzogiorno decise di andare a cercarlo. Quando giunse nei pressi del Golgota ebbe una terribile sorpresa: Gesù era stato crocifisso. La folla che fino al giorno prima lo acclamava come Messia, ora lo scherniva e insultava. Il suo Corpo era tutto piagato e sul suo capo era stata posta una corona di spine.

Evaristo si accorse subito che una di quelle spine gli causava un particolare dolore e decise di togliergliela. Al volo raggiunse il suo Signore, prese la spina con il becco e con tutte le sue forze cercò di staccarla. Dopo vari tentativi ci riuscì, ma appena si fu allontanato un po' si accorse di essersi ferito: una piccola spina gli era penetrata nel cuore e gli faceva tanto male. «E' dolorosa, ma non è niente rispetto a quello che soffre Gesù!».

Il tempo passava e quella spina diventava ogni momento più insopportabile. Il fervore iniziale era finito e la generosità veniva soffocata dal dolore. Evaristo si avvicinò alla Madre di Gesù per lamentarsi ed essere liberato da quella spina: «O Signora! Guardatemi come soffro! Nessuno soffre come me e non ce la faccio più!».

L'immacolata lo guardò con mestizia e, senza dir niente, con la mano gli mostrò il suo bel Cuore Immacolato: non una sola spina, ma l'intera corona lo attanagliava, facendolo sanguinare copiosamente.

Evaristo rimase profondamente confuso: lui si era lamentato così tanto per una piccola spina, mentre la Regina stava offrendo, in silenzio e con amore, al Padre il suo immenso dolore. «Oh! Scusatemi! Non voglio più essere liberato dalla mia spina, ma la voglio offrire insieme a Voi!».

Non appena ebbe detto queste parole la spina incominciò a dissolversi, lasciando sul petto una bella impronta rossa come il Sangue del Redentore e della Corredentrice. Da allora Evaristo e i suoi discendenti mostrano, con commozione e gratitudine, il loro petto rosso che ricorda a tutti quelli che lo vedono i dolori immensi di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria.

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inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

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240. Per ultima venne la morte

Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa

La morte non voleva credere alle proprie orecchie quando le fu comunicato che il suo dominio universale stava per finire. Pur riconoscendosi la più inamabile di tutte le creature, un po' di riguardo l'avrebbe gradito da parte dell'Arcangelo messaggero. Non era mica l'ultima delle ancelle di Dio, anzi. Il suo ruolo nei piani del Creatore era fondamentale.

«E continuerà ad esserlo», le aveva garantito il messo celeste, «per tutte le creature viventi, tranne che per l'uomo.»
«Perché?», gli aveva domandato la Morte, «diventerà immortale?»
«Non fare troppe domande... tu non capiresti.»

Era stato a questo punto che la Morte si era gravemente offesa. Che oltre a fare un lavoraccio infame, la si giudicasse imbecille, non lo poteva tollerare! Di essere perdente non le importava affatto, tanto il suo lavoro le era ingrato, ma come sarebbe avvenuta la metamorfosi?

Le bastò uno sguardo circolare sulla superficie terrestre per individuare il punto. Forse nessuno, davanti alla grotta di Betlemme, provò maggior sbalordimento della Morte. Eppure, ora che lo aveva davanti, il progetto le appariva chiaro e di un'incredibile semplicità: quel batuffolo di carne, per il solo fatto di essere vita, era già sua preda. La Morte desiderò a quel punto che il Creatore avesse scelto un'altra strada, per non essere chiamata in causa. Ma fu allora che, dal sonno profondo in cui era immerso, il Bimbo le sorrise. E la Morte si sentì vinta e capì come sarebbe stata vinta: da un amore talmente intenso che proprio attraverso di lei sarebbe passato, per dimostrare all'universo la propria potenza e la propria vastità.

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inviato da Monique, inserito il 19/12/2007

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