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RACCONTO

1. Lodare il Signore

Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte, ci addormentammo all'alba vicino a un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e s'inoltrò nel deserto sen­za riposarsi un solo istante.

Quando fu giorno gli domandai: «Che ti è successo?».

Rispose: «Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli alberi, vedevo le pernici sui monti, le rane nell'acqua e gli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a lui.»

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4.0/5 (1 voto)

inviato da Simona, inserito il 11/03/2024

RACCONTO

2. Seduto su un tronco   2

Questa è una leggenda degli indiani Cherokee a riguardo del "rito di passaggio".

Il padre porta il figlio nella foresta, gli mette una benda sugli occhi e lo lascia lì da solo. Il giovane deve rimanere seduto su un tronco tutta la notte senza togliere la benda finché i raggi del sole non lo avvertono che è mattino. Non può e non deve chiedere aiuto a nessuno. Se sopravvive alla notte, senza andare a pezzi, sarà un uomo.

Non può raccontare della sua esperienza ai suoi amici o a nessun altro, perché ogni giovane deve diventare uomo da solo.

Il ragazzo è chiaramente terrorizzato: sente tanti rumori strani attorno a lui. Ci sono senz'altro bestie feroci che lo circondano. Forse anche degli uomini pericolosi che gli faranno del male.

Il vento soffia forte tutta la notte e scuote il tronco su cui è seduto, ma lui va avanti coraggiosamente, senza togliere la benda dagli occhi. In fondo, è l'unico modo per diventare uomo!

Finalmente, dopo una notte terrificante, esce il sole e si toglie la benda dagli occhi. Ed è così che si accorge che suo padre è seduto sul tronco a fianco a lui. È stato di guardia tutta la notte proteggendo suo figlio da qualsiasi pericolo.

Il padre era lì, anche se il figlio non lo sapeva.

Anche noi non siamo mai soli. Nella notte più terrificante, nel buio più profondo, nella solitudine più completa, anche quando non ce ne rendiamo conto, Dio non ci abbandona mai, e fa la guardia, seduto sul tronco a fianco a noi.

pauraamore di Diorapporto con Diofedefiduciaabbandonoabbandono in Dio

inviato da Qumran2, inserito il 23/12/2020

RACCONTO

3. La mappa del Rio delle Amazzoni   1

Anthony De Mello

Un esploratore era tornato dalla sua gente, che era ansiosa di sapere tutto del Rio delle Amazzoni.
Ma come poteva esprimere con le parole i sentimenti che avevano invaso il suo cuore nel vedere fiori di strabiliante bellezza e nell'udire i suoni della foresta di notte?
Come comunicare ciò che aveva provato nel suo cuore nell'avvertire il pericolo delle belve o nel condurre la sua canoa per le acque infide del fiume?

Disse: «Andate a vedere voi stessi. Niente può sostituire il rischio personale e l'esperienza personale.»
Tuttavia, per guidarli tracciò una mappa del Rio delle Amazzoni.

Essi presero la mappa, l'incorniciarono e l'appesero in municipio.
Ne fecero delle copie personali.
E chiunque aveva una copia si considerava un esperto del Rio delle Amazzoni.
Non conosceva forse ogni svolta e curva del fiume, e quanto era largo e profondo, e dov'erano le rapide e dove le cascate?
L'esploratore visse nel rimpianto di aver tracciato quella mappa.
Sarebbe stato meglio se non avesse disegnato nulla.

esperienzaincontrorapportorealtàconcretezzaspiritualità

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 23/06/2020

RACCONTO

4. Finalmente sarò felice   3

Questa è la storia di un uomo che quando era ragazzo e andava a scuola continuava a dire: «Ah! quando lascerò la scuola e comincerò a lavorare, allora sarò felice».
Lasciò la scuola, cominciò a lavorare e diceva: «Ah! quando mi sposerò, sarà la felicità!».
Si sposò, e in capo a pochi mesi constatò che la sua vita mancava di varietà, e allora disse: «Ah, come sarà bello quando avremo dei bambini!».
Vennero i bambini, ed era un'esperienza affascinante, ma piangevano tanto, anche alle due di notte, e il giovane sospirava: «Crescano in fretta!».
E i figli crebbero, non piangevano più alle due di notte, ma facevano una stupidaggine dopo l'altra e cominciarono i veri problemi. E allora l'uomo sognò il momento in cui sarebbe stato di nuovo solo con sua moglie: «Staremo così tranquilli!».
Adesso è vecchio, e ricorda con nostalgia il passato: «Era così bello!».

Un tizio domandò al mio amico Jaime Cohen: «Secondo te, qual è la cosa più divertente degli esseri umani?»

Cohen rispose: «Il fatto che siano sempre contraddittori: hanno fretta di crescere e poi sospirano per l'infanzia perduta. Sacrificano la salute per ottenere il denaro, e poi spendono i soldi per avere la salute. Pensano in modo talmente impaziente al futuro che trascurano il presente e così non si godono né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai, e muoiono come se non avessero mai vissuto.»

​(P. Coelho, Sono come il fiume che scorre, Ed. Bompiani, 2006, p. 194)

gratitudinevitatempovalore del tempopassatopresentefuturoaspettative

4.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 31/05/2018

RACCONTO

5. Un giorno sarai uno dei due...   1

John Powell

Quando ero un giovane seminarista, ricordo di essermi recato in infermeria una sera (sinceramente non ne rammento il motivo). Mentre il frate infermiere stava rimboccando le coperte per la notte a due preti costretti a letto, io ero nel corridoio buio e assistetti a tutta la scena. Mentre rimboccava le coperte al primo prete, tirandogliele sotto il mento, l'anziano lo rimbrottò adirato: «Togli la tua faccia dalla mia, fratello». II povero frate andò in silenzio nell'altra stanza dal secondo prete. II prete rispose con gratitudine: «Oh, fratello, sei così buono con noi. Stasera, prima di dormire, dirò una preghiera particolare solo per te». Lì, nel corridoio buio, fui colpito da un'improvvisa consapevolezza. Un giorno io sarei stato uno di quei due vecchi preti. La piena consapevolezza era questa: io stavo già esercitandomi per quel momento. Quando si invecchia, le abitudini prendono il sopravvento. I vecchi eccentrici si esercitano tutta la vita a essere eccentrici. I vecchi santi si esercitano tutta la vita a essere santi.

La vecchiaia è come un conto in banca.
Ritiriamo alla fine quanto vi abbiamo depositato durante tutta la vita...

vecchiaiapazienzairapretisacerdotianzianiabitudinisaggezza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

RACCONTO

6. I due fratelli che si amavano   5

Due fratelli, uno scapolo e l'altro sposato, possedevano una fattoria dal suolo fertile, che produceva grano in abbondanza. A ciascuno dei due fratelli spettava la metà del raccolto. All'inizio tutto andò bene.

Poi, di tanto in tanto, l'uomo sposato cominciò a svegliarsi di soprassalto durante la notte e a pensare: "Non è giusto così. Mio fratello non è sposato e riceve metà di tutto il raccolto. Io ho moglie e cinque figli, non avrò quindi da preoccuparmi per la vecchiaia. Ma chi avrà cura del mio povero fratello quando sarà vecchio? Lui deve mettere da parte di più per il futuro di quanto non faccia ora. E' logico che ha più bisogno di me".

E con questo pensiero, si alzava dal letto, entrava furtivamente in casa del fratello e gli versava un sacco di grano nel granaio. Anche lo scapolo cominciò ad avere questi attacchi durante la notte.

Ogni tanto si svegliava e diceva tra sé: "Non è affatto giusto così. Mio fratello ha moglie e cinque figli e riceve metà di quanto la terrà produce. Io non ho nessuno oltre a me stesso da mantenere. E' giusto allora che il mio povero fratello che ha evidentemente molto più bisogno di me riceva la stessa parte?". Quindi si alzava dal letto e andava a portare un sacco di grano nel granaio del fratello.

Un notte si alzarono alla stessa ora e si incontrarono ciascuno con in spalla un sacco di grano!

Molti anni più tardi dopo la loro morte, si venne a sapere la loro storia. Così, quando i loro concittadini decisero di costruire un tempio, essi scelsero il punto in cui i due fratelli si erano incontrati, poiché secondo loro non vi era un luogo più sacro di quello in tutta la città.

sacrificiofratellialtruismogenerositàempatia

4.7/5 (6 voti)

inserito il 11/07/2014

RACCONTO

7. Martin, il calzolaio che aspettava Gesù   11

Comunità missionaria Villaregia

Martin, avvicinandosi il Natale desiderava preparare qualcosa per Gesù. Gli preparò un paio di scarpe, una torta, e mise da parte dei risparmi che potevano servire a Gesù per i suoi poveri.

Quando era tutto pronto si mise ad aspettarlo. Improvvisamente qualcuno fuori gridò: "Al ladro, al ladro...". Una donna afferrava un bambino che le aveva rubato una mela. Martin, si addolorò e pensò: "Adesso, se arriva la polizia o lo prende, come passerà il Natale?". Prese i risparmi che aveva messo da parte per Gesù e li diede alla donna, pregandola di lasciar andare il bambino.

Nuovamente incominciò ad aspettare Gesù e per la finestra si accorse di un paio di piedi che camminavano scalzi sulla neve. "Chi sarà?", si domandò. E uscì a cercare il proprietario di quei piedi. Era un giovane: "Vieni, entra in casa mia, riscaldati un poco", gli disse. Afferrò le scarpe che aveva fatto per Gesù e gliele diede. Si disse felice: "Per Gesù mi rimane ancora la torta". Già il sole tramontava e vide un anziano che camminava curvo sulla strada. "Povero vecchietto, forse non avrà mangiato niente tutto il giorno". Lo invitò ad entrare nella sua casa, non gli restava che la torta, pazienza, pensò tra sè, offrendo la torta al povero, accoglierò Gesù un'altra volta. Dopo che anche l'anziano se ne andò, il povero Martin, si sentiva felice e nello stesso tempo triste, aveva preparato tutto per Gesù, ma lui non era arrivato: pazienza!

Durante la notte fece un sogno: nel sogno gli si presentò Gesù e gli disse:
"Martin, mi stavi aspettando?".
"Sì, ti ho atteso tutto il giorno..."
"Ma io sono venuto a visitarti per ben tre volte. Grazie dei tuoi regali!"

E Martin vide che Gesù aveva nelle sue mani i risparmi e la torta, ai suoi piedi le scarpe. Si svegliò felice: Gesù era venuto a visitarlo.

attesaNatalepoveriincarnazionegenerosità

5.0/5 (9 voti)

inviato da Don Paolo Benvenuto, inserito il 23/12/2013

RACCONTO

8. Per la strada vidi una ragazzina   2

Anthony de Mello, Il canto degli uccelli

Per la strada vidi una ragazzina che tremava di freddo, aveva un vestitino leggero e ben poca speranza in un pasto decente. Mi arrabbiai e dissi a Dio: "Perché permetti questo? Perché non fai qualcosa?".
Per un po' Dio non disse niente.
Poi improvvisamente, quella notte rispose.
"Certo che ho fatto qualcosa: Ho fatto te".

impegnoresponsabilitàimportanza del singolocaritàsolidarietàlamentarsi

4.4/5 (7 voti)

inviato da Arosio Silvestro, inserito il 20/09/2012

RACCONTO

9. La pecora nera alla grotta di Betlemme   8

Angelillo D'Ambrosio, Racconti di Natale, ediz. Aquaviva

C'era una volta una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece era nera, nera come la pece. Quando passava per i campi tutti la deridevano, perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un lenzuolo bianco: «Guarda una pecora nera! Che animale originale; chi crede mai di essere?». Anche le compagne pecore le gridavano dietro: «Pecora sbagliata, non sai che le pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?».

La pecora nera non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle. E così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti, da sola: "Almeno là avrebbe potuto brucare in pace e riposarsi all'ombra dei pini." Ma nemmeno in montagna trovò pace. «Che vivere è questo? Sempre da sola!», si diceva dopo che il sole tramontava e la notte arrivava. Una sera, con la faccia tutta piena di lacrime, vide lontano una grotta illuminata da una debole luce. «Dormirò là dentro!» e si mise a correre. Correva come se qualcuno la attirasse.

«Chi sei?», le domandò una voce appena fu entrata. «Sono una pecora che nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno buttata fuori dal gregge». «La stessa cosa è capitata a noi! Anche per noi non c'era posto con gli altri nell'albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e mia moglie Maria. Proprio qui ci è nato un bel bambino. Eccolo!». La pecora nera era piena di gioia. Prima di tutte le altre poteva vedere il piccolo Gesù. «Avrà freddo; lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!». Maria e Giuseppe risposero con un sorriso. La pecora si avvicinò stretta stretta al bambino e lo accarezzò con la sua lana. Gesù si svegliò e le bisbigliò nell'orecchio: «Proprio per questo sono venuto: per le pecore smarrite!».

nataleaccoglienzadiversità

4.6/5 (7 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 24/06/2012

RACCONTO

10. La sete   1

Agenda Missionaria

Un giovane si presentò a un sacerdote e gli disse: "Cerco Dio".
Il reverendo gli propinò un sermone. Concluso il sermone, il giovane se ne andò triste in cerca del vescovo. "Cerco Dio".
Monsignore gli lesse una sua lettera pastorale. Terminata la lettura, il giovane, sempre più triste, si recò dal papa. "Cerco Dio".
Sua santità cominciò a riassumergli la sua ultima enciclica, ma il giovane scoppiò in singhiozzi.
"Perché piangi?", gli chiese il papa del tutto sconcertato. "Cerco Dio e mi offrono parole."
Quella notte il sacerdote, il vescovo e il papa fecero un medesimo sogno. Sognarono che morivano di sete e che qualcuno cercava di dar loro sollievo con un lungo discorso sull'acqua.

ricerca di Diopredicazioneconcretezzatestimonianza

4.6/5 (5 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/04/2012

RACCONTO

11. Il Tesoro   3

Don Oreste Benzi, Pane Quotidiano

Gli era stata promessa per la sua festa di laurea un'auto nuova, fiammante, all'uscita dell'università, con il diploma di laurea sotto il braccio.
Quale non fu la sua amara sorpresa quando, il giorno fatidico, il padre lo abbracciò sorridente, non però con le chiavi della macchina, bensì con un libro in mano, appena ritirato nella vicina libreria. Una Bibbia.
Il giovane neo dottore scagliò rabbiosamente il libro fuori dalla finestra dell'aula e da quel giorno non rivolse più la parola al padre.
Rimise piede in casa quando anni dopo gli fu comunicata la notizia della morte dell'anziano genitore. La notte del funerale, mentre rovistava tra le carte della scrivania paterna, trovò la Bibbia che gli era stata regalata il giorno della laurea.
In preda a un vago rimorso, soffiò via la polvere che si era depositata sulla copertina del libro e cominciò a sfogliarlo. Scoprì tra le pagine un assegno datato il giorno della laurea e con l'importo esatto dell'auto promessa.

La Bibbia: in libro sigillato, inutile e polveroso per tanti. Eppure tra le sue pagine è nascosto il tesoro che tanto sospiriamo...

bibbiaParola di DioSacra Scrittura

4.0/5 (6 voti)

inviato da Alessandra Ziggiotto, inserito il 21/01/2012

RACCONTO

12. La stella verde   2

Don Angelo Saporiti, Commento sul Natale

In cielo c'erano migliaia di stelle di tutti i colori: bianche, argentate, dorate, rosse, blu e verdi.
Un giorno andarono da Dio e dissero: "Desideriamo andare sulla terra e poter vivere tra la gente".
"Così sia", rispose Dio. "Io vi lascio così piccole come siete, così che discretamente possiate scendere sulla terra".
E così, in quella notte, ci fu una meravigliosa pioggia di stelle. Qualcuna si fermò sul campanile, qualcun'altra volò con le lucciole sopra i campi, qualcun'altra ancora si mescolò tra i giocattoli dei bimbi, così che la terra era meravigliosamente scintillante.
Con il passare del tempo però le stelle decisero di lasciare la gente sulla terra e di fare ritorno in cielo.
"Perché siete tornate indietro?" chiese loro Dio.
"Signore, non potevamo stare sulla terra, dove c'è così tanta miseria, ingiustizia e violenza".
"Sì", disse Dio, "il vostro posto è qui in cielo. La terra è il luogo delle illusioni, il cielo è invece il luogo dell'eternità e della vita senza fine".
Quando tutte le stelle furono tornate indietro, Dio le contò e si accorse che ne mancava una. "Manca una di voi. Ha forse preso la strada sbagliata?"
Un angelo, che era nelle vicinanze, disse: "No, Signore, una stella ha deciso di rimanere tra la gente. Ha scoperto che il suo posto era là, dove c'è l'imperfezione, il limite, la miseria e il dolore".
"E chi è quindi questa stella?", volle sapere Dio.
"E' la stella verde, l'unica con questo colore, la stella della speranza".
Così quando ogni sera le stelle guardavano di sotto vedevano la terra meravigliosamente illuminata, perché in ogni dolore umano c'era una stella verde.

Prendi ora questa stella, la stella verde nel tuo cuore.
La stella della speranza non lasciarla andare via. Non lasciare che si spenga!
Stai sicuro: lei brillerà sul tuo cammino e con il tuo cuore illuminato contagerà altre persone.

speranza

3.8/5 (4 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 09/12/2011

RACCONTO

13. Il re saggio

Kahlil Gibran, Le parole non dette, Paoline, 1991

Regnava un tempo nella lontana città di Wirani un re potente e, al tempo stesso, saggio. C'era in quella città un pozzo la cui acqua fresca e cristallina attingevano tutti gli abitanti, compreso il re e i suoi cortigiani, poiché non vi erano altri pozzi. Una notte, mentre tutti dormivano, nella città penetrò una strega e versò nel pozzo sette gocce di un liquido strano, dicendo: «Da questo istante, chi beve di quest'acqua diverrà folle».

Il mattino seguente tutti gli abitanti della città, escluso il re e il gran ciambellano, attinsero dal pozzo e divennero folli, come la strega aveva predetto.

E per tutto il giorno la folla, nei vicoli angusti e nelle piazze della città, non fece altro che bisbigliarsi: «Il re è pazzo. Il nostro re e il gran ciambellano hanno smarrito la ragione. Non possiamo certo servire un re folle».

Quella sera il re ordinò che si colmasse un calice d'oro con acqua del pozzo. E quando glielo portarono, ne bevve sorsi profondi, e ne offrì al gran ciambellano. E ci fu gran gioia in quella lontana città di Wirani, perché il re e il gran ciambellano avevano riacquistato la ragione.

ragionefolliasaggezza

4.0/5 (3 voti)

inviato da Busato Don Paolo, inserito il 06/07/2011

RACCONTO

14. Il gatto e i topi

In un certo luogo di questo mondo abitava un gatto era il terrore di tutti i topi dei paraggi. Non li lasciava vivere in pace neppure un istante. Li inseguiva di giorno e di di notte e così i poveri animaletti non potevano godere un momento di pace.

Il gatto era molto astuto e i topi, sapendo di non poterlo ingannare, decisero di tenere consiglio. Si salutarono cordialmente, perché il pericolo rende la gente più amabile, e poi diedero inizio all'assemblea.

Dopo lunghe ore di discussione senza concludere nulla, un sorcio si alzò e chiese silenzio. Tutti zittirono, perché erano desiderosi di ascoltare le parole di colui che si era alzato in piedi: chissà, forse aveva la soluzione del problema.

"La cosa migliore sarebbe appendere un sonaglio al collo del gatto; così, tutte le volte che si avvicina, paremmo accorgercene in tempo e scappare!"

I topi si entusiasmarono dell'idea e fecero salti di gioia e corsero ad abbracciare quel sorcio che aveva suggerito la soluzione, come se fosse un eroe. Ma, allorché si furono calmati, il sorcio chiese di nuovo silenzio e disse solennemente: "E chi appenderà il sonaglio al collo del gatto?"

All'udire queste parole, i topi si guardarono l'un l'altro imbarazzati e cominciarono a presentare scuse e a tirarsi fuori, uno alla volta. In breve marciarono tutti verso casa senza avere concluso nulla.

Perché è molto facile proporre soluzioni; il difficile è assumersi la responsabilità e metterle in pratica, farsi avanti per eseguire un'azione concreta che trasformi in realtà le soluzioni proposte.

impegnoproposteresponsabilitàdisimpegnoconcretezza

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 02/10/2010

RACCONTO

15. Il tesoro nascosto   3

Martin Buber, Il cammino dell'uomo, Qiqajon

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata "Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel". "Ricordati bene di questa storia - aggiungeva allora Rabbi Bunam - e cogli il messaggio che ti rivolge: c'è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare".

tesororicchezzaricercascopertainterioritàricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

16. Un cieco con un lume acceso   1

don Marino Gobbin

Molti anni fa un uomo camminava per le strade buie di una città di oriente con in mano una lampada accesa. La città era molto scura in quella notte senza luna. All'improvviso incontra un amico che lo riconosce e gli dice: "cosa fai, Gino, sei cieco e vai in giro con una lampada accesa in mano? Se tu non vedi...?".
"È che io non porto la lampada per vedere la mia strada; conosco l'oscurità di queste strade a memoria; porto la lampada accesa affinché gli altri trovino la strada quando mi vedono!".

Ognuno può illuminare la strada per se stesso o perché sia vista dagli altri, anche se all'apparenza non ne hanno bisogno. Non è facile illuminare il cammino degli altri: molte volte invece di illuminare, oscuriamo la strada degli altri.
Come? Quando siamo scoraggiati, quando critichiamo, quando siamo egoisti, nell'odio, nel risentimento e nel non sapere ascoltare.
Tutti attraversiamo momenti difficili, o sentiamo il peso del dolore in determinati momenti della vita. Non facciamo vedere il nostro dolore quando qualcuno, disperato, cerca di trovare sostegno in noi! Aiutiamo gli altri seminando una luce di speranza nel loro cuore ferito.
Il nostro dolore diminuisce quando aiutiamo gli altri a sopportare il loro dolore.

amiciziaesempio

inviato da Sr. Geltrude Delizia - Teatina., inserito il 02/06/2009

RACCONTO

17. Un pezzo di legno   3

Bruno Ferrero

C'è un uomo che tiene appeso in salotto, nel posto d'onore, uno strano oggetto. Quando qualcuno gli chiede il perché di quella stranezza racconta:

Il nonno, una volta mi accompagnò al parco. Era un gelido pomeriggio d'inverno. Il nonno mi seguiva e sorrideva, ma sentiva un peso. Il suo cuore era malato, già molto malandato. Volli andare verso lo stagno. Era tutto ghiacciato, compatto! "Dovrebbe essere magnifico poter pattinare", urlai, "vorrei provare a rotolarmi e scivolare sul ghiaccio almeno una volta!". Il nonno era preoccupato. Nel momento in cui scesi sul ghiaccio, il nonno disse: "Stai attento...". Troppo tardi. Il ghiaccio non teneva e urlando caddi dentro. Tremando, il nonno spezzò un ramo e lo allungò verso di me. Mi attaccai e lui tirò con tutte le sue forze fino ad estrarmi dal crepaccio di ghiaccio. Piangevo e tremavo. Mi fecero bene un bagno caldo e il letto, ma per il nonno questo avvenimento fu troppo faticoso, troppo emozionante. Un violento attacco cardiaco lo portò via nella notte. Il nostro dolore fu enorme. Nei giorni seguenti, quando mi ristabilii completamente, corsi allo stagno e ricuperai il pezzo di legno. È con quello che il nonno aveva salvato la mia vita e perso la sua! Ora, fin tanto che vivrò, starà appeso su quella parete come segno del suo amore per me!

Per questo motivo noi cristiani oggi ci inginocchiamo dinanzi a quel legno, cui si è appeso l'Amore-Gesù; per questo teniamo nelle nostre case un "pezzo di legno" a forma di croce... Per ricordare come si ama, e a chi dobbiamo guardare per amare senza stancarci!

crocevenerdì santoGesù Cristoamoresacrificio

4.3/5 (4 voti)

inserito il 20/05/2009

RACCONTO

18. Della vera e perfetta letizia

San Francesco d'Assisi, Fioretti

Un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi". Questi rispose: "Eccomi, sono pronto". "Scrivi disse - quale è la vera letizia".

"Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine, scrivi: non è vera letizia. Cosi pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltr'Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d'lnghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia".

"Ma quale è la vera letizia?".

"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, alI'estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: "Chi è?". Io rispondo: "Frate Francesco". E quegli dice: "Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai". E poiché io insisto ancora, I'altro risponde: "Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te". E io sempre resto davanti alla porta e dico: "Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte". E quegli risponde: "Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là". Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima".

letiziagioiainterioritàserenitàforza interiore

3.5/5 (2 voti)

inviato da Pier Luca Bancale, inserito il 07/09/2008

RACCONTO

19. Per ultima venne la morte

Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa

La morte non voleva credere alle proprie orecchie quando le fu comunicato che il suo dominio universale stava per finire. Pur riconoscendosi la più inamabile di tutte le creature, un po' di riguardo l'avrebbe gradito da parte dell'Arcangelo messaggero. Non era mica l'ultima delle ancelle di Dio, anzi. Il suo ruolo nei piani del Creatore era fondamentale.

«E continuerà ad esserlo», le aveva garantito il messo celeste, «per tutte le creature viventi, tranne che per l'uomo.»
«Perché?», gli aveva domandato la Morte, «diventerà immortale?»
«Non fare troppe domande... tu non capiresti.»

Era stato a questo punto che la Morte si era gravemente offesa. Che oltre a fare un lavoraccio infame, la si giudicasse imbecille, non lo poteva tollerare! Di essere perdente non le importava affatto, tanto il suo lavoro le era ingrato, ma come sarebbe avvenuta la metamorfosi?

Le bastò uno sguardo circolare sulla superficie terrestre per individuare il punto. Forse nessuno, davanti alla grotta di Betlemme, provò maggior sbalordimento della Morte. Eppure, ora che lo aveva davanti, il progetto le appariva chiaro e di un'incredibile semplicità: quel batuffolo di carne, per il solo fatto di essere vita, era già sua preda. La Morte desiderò a quel punto che il Creatore avesse scelto un'altra strada, per non essere chiamata in causa. Ma fu allora che, dal sonno profondo in cui era immerso, il Bimbo le sorrise. E la Morte si sentì vinta e capì come sarebbe stata vinta: da un amore talmente intenso che proprio attraverso di lei sarebbe passato, per dimostrare all'universo la propria potenza e la propria vastità.

natalemorteamorevitaincarnazionepasquarisurrezione

4.0/5 (1 voto)

inviato da Monique, inserito il 19/12/2007

RACCONTO

20. Blackout

Kociss Fava

Uno sfrigolio in punti sparsi. Poi la casa fu buia, la televisione zitta.
La voce di Giacomo squillò:
- Mamma, cos'è successo?
- Giacomino, deve essere un blackout.
- Un... cosa?
- Si, insomma, la corrente elettrica è saltata. Non funziona più la luce e neppure gli elettrodomestici vanno. Non avere paura.
Quando la mamma lo metteva a letto e poi salutandolo spegneva la luce, gli usciva la paura del buio e faticava a dormire. Ma ora non sentiva paura.
Udì rumori ovattati di mani che lo cercavano e si sentì sollevare. Stando attenti a non urtare il tavolo e le sedie, si affacciarono alla finestra.
Giacomo vide le stelle brillare nella notte silenziosa, come mai aveva veduto.
- Vedi quanto sono belle? - chiese la mamma - Un tempo gli uomini le guardavano spesso. Con esse si orientavano, navigando i mari. Le interpellavano per conoscere il proprio destino. Levando gli occhi al cielo molti vi cercavano Dio.
- E adesso?
- Ora la gente preferisce fare affidamento sulla TV, oppure cercare risposte nei giornali. Non più scrutate le stelle hanno perso lucentezza.
In quel momento un brusio attraversò il condominio e quelli vicini. Tornò la luce, si riaccesero i televisori.
Giacomo vide decine di persone affacciate ai balconi dei palazzi di fronte, tutte con il naso all'insù.
Ma la corrente era tornata e le stelle avevano smesso di brillare.

ricerca di Diointeriorità

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inviato da Kociss Fava, inserito il 06/11/2006

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