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RACCONTO

1. Papà sotto il letto

Erma Bombek

Quando ero piccola un padre era per me come la luce nel frigorifero. Ogni casa ne aveva uno, ma nessuno sapeva realmente cosa facevano sia l'uno che l'altro, dopo che la porta era stata chiusa.

Mio padre usciva di casa ogni mattina e ogni sera, quando tornava, sembrava felice di rivederci. Lui solo era capace di aprire il vasetto dei sottaceti, quando gli altri non riuscivano. Era l'unico che non aveva paura di andare in cantina da solo. Si tagliava facendosi la barba, ma nessuno gli dava il bacino o si impressionava per questo. Quando pioveva, ovviamente era lui che andava a prendere la macchina e la portava davanti all'ingresso. Se qualcuno era ammalato, lui usciva a comperare le medicine. Metteva le trappole per i topi, potava le rose in modo che ci si potesse affacciare alla porta d'ingresso senza rischiare di pungersi. Quando mi regalarono la mia prima bicicletta, pedalò per chilometri accanto a me, finché non fui in grado di cavarmela da sola. Avevo paura di tutti gli altri padri, ma non del mio. Una volta gli preparai il tè. Era solo acqua zuccherata, ma lui era seduto su una seggiolina e lo sorbiva dicendo che era squisito.

Ogni volta che giocavo con le bambole, la bambola mamma aveva un sacco di cose da fare. Non sapevo invece che cosa far fare alla bambola papà, così gli facevo dire: "Bene, adesso esco e vado a lavorare", poi la buttavo sotto il letto.

Quando avevo nove anni, un mattino mio padre non si alzò per andare a lavorare. Andò all'ospedale e morì il giorno dopo. Allora andai in camera mia e cercai la bambola papà sotto il letto. La trovai, la spolverai e la posai sul mio letto.

Mio padre non fece mai nulla. Non immaginavo che la sua scomparsa mi avrebbe fatto tanto male.

Ancora oggi non so perché.

Una signora confidò: «E' qualche anno che è morto mio padre e ancora sento fortemente il rimorso di non avergli mai detto: Papà, ti voglio bene!»

padremadrefamigliapaternitàpapà

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 23/06/2020

RACCONTO

2. Finalmente sarò felice   3

Questa è la storia di un uomo che quando era ragazzo e andava a scuola continuava a dire: «Ah! quando lascerò la scuola e comincerò a lavorare, allora sarò felice».
Lasciò la scuola, cominciò a lavorare e diceva: «Ah! quando mi sposerò, sarà la felicità!».
Si sposò, e in capo a pochi mesi constatò che la sua vita mancava di varietà, e allora disse: «Ah, come sarà bello quando avremo dei bambini!».
Vennero i bambini, ed era un'esperienza affascinante, ma piangevano tanto, anche alle due di notte, e il giovane sospirava: «Crescano in fretta!».
E i figli crebbero, non piangevano più alle due di notte, ma facevano una stupidaggine dopo l'altra e cominciarono i veri problemi. E allora l'uomo sognò il momento in cui sarebbe stato di nuovo solo con sua moglie: «Staremo così tranquilli!».
Adesso è vecchio, e ricorda con nostalgia il passato: «Era così bello!».

Un tizio domandò al mio amico Jaime Cohen: «Secondo te, qual è la cosa più divertente degli esseri umani?»

Cohen rispose: «Il fatto che siano sempre contraddittori: hanno fretta di crescere e poi sospirano per l'infanzia perduta. Sacrificano la salute per ottenere il denaro, e poi spendono i soldi per avere la salute. Pensano in modo talmente impaziente al futuro che trascurano il presente e così non si godono né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai, e muoiono come se non avessero mai vissuto.»

​(P. Coelho, Sono come il fiume che scorre, Ed. Bompiani, 2006, p. 194)

gratitudinevitatempovalore del tempopassatopresentefuturoaspettative

4.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 31/05/2018

RACCONTO

3. Il taglialegna   5

C'era una volta un possente taglialegna in cerca di lavoro. Dopo aver girato diverse città, il taglialegna trovò finalmente impiego presso un importante commerciante di legno. L'ottima paga e le eccellenti condizioni di lavoro convinsero il taglialegna a dare il meglio di sé.

Il primo giorno il capo diede al nuovo arrivato un'ascia e gli indicò l'area del bosco dove avrebbe dovuto lavorare. Al termine della giornata, il possente taglialegna frantumò il record degli altri dipendenti, raggiungendo i 18 alberi abbattuti. Il capo si congratulò sinceramente con lui e questo motivò ancor più il taglialegna.

Il secondo giorno il taglialegna lavorò con tutte le sue energie, ma al tramonto gli alberi abbattuti furono 15. Per nulla demoralizzato, il terzo giorno il taglialegna si impegnò con ancora più vigore, ma anche questa volta il numero di alberi calò: 10 unità. Per quanta energia mettesse nel suo lavoro, giorno dopo giorno, il numero di alberi abbattuti continuò a calare inesorabilmente.

Mortificato, il taglialegna sì presentò dal capo scusandosi per lo scarso rendimento. Al che l'esperto commerciante di legno pose al suo dipendente una semplice domanda: «Quando è stata l'ultima volta che hai affilato la tua ascia?»

Un po' imbarazzato il taglialegna rispose: «Signore, non ho avuto tempo per affilare la mia ascia, ero troppo impegnato a tagliare gli alberi.»

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4.6/5 (9 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 31/07/2014

RACCONTO

4. Arriva Dio!   3

Un giorno un uomo "single" venne a sapere che Dio stava per venire a trovarlo. «Da me?», si preoccupò. «Nella mia casa?». Si mise a correre affannato attraverso tutte le camere, salì e scese per le scale, si arrampicò fin sul tetto, si precipitò in cantina. Vide la sua casa con altri occhi, adesso che doveva venire Dio.

«Impossibile! Povero me!», si lamentava. «Non posso ricevere visite in questa indecenza. E' tutto sporco! Tutto pieno di porcherie. Non c'è un solo posto adatto per riposare. Non c'è neppure aria per respirare». Spalancò porte e finestre.

«Fratelli! Amici!», invocò. «Qualcuno mi aiuti a mettere in ordine! Ma in fretta!». E cominciò a spazzare con energia la sua casa. Attraverso la spessa nube di polvere che si sollevava, vide uno che era venuto a dargli aiuto. In due era più facile. Buttarono fuori il ciarpame inutile, lo ammucchiarono e lo bruciarono. Si misero in ginocchioni e strofinarono vigorosamente le scale e i pavimenti. Ci vollero molti secchi d'acqua, per pulire tutti i vetri. Stanarono anche la sporcizia che si annidava negli angoli più nascosti.

«Non finiremo mai!», sbuffava l'uomo. «Finiremo!», diceva l'altro, con calma. Continuarono a lavorare, fianco a fianco, per tutto il giorno. E, finalmente, la casa pareva messa a nuovo, lustra e profumata di pulito.

Quando scese il buio, andarono in cucina e apparecchiarono la tavola. «Adesso», disse l'uomo, «può venire il mio Visitatore! Adesso può venire Dio. Dove starà aspettando?». «Io sono già qui!», disse l'altro, e si sedette al tavolo. «Siediti e mangia con me!».

Dio non ci lascia mai soli nel compito di «far pulizia» nella nostra casa-anima. E' con noi, dalla nostra parte. Ci incoraggia con la sua parola, ci affianca e agisce con la sua grazia. Il sacramento della Riconciliazione è opera contemporaneamente di Dio e del cristiano, che si incontrano per star bene insieme e «mangiare alla stessa tavola».

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Cecilia Leone, inserito il 28/07/2004