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TESTO

1. Il segreto del maestro

don Tonino Bello, Scrivo a voi... Lettere di un vescovo ai catechisti, EDB

Carissimi catechisti,

ogni volta che tornavo nel mio paese, andavo a trovarlo. Ultimamente si era incurvato e gli tremavano le mani. Ma per me è rimasto sempre il maestro di un tempo. Tornavo da lui per un dovere di gratitudine. Ma soprattutto condotto dalla speranza. Chi sa, mi dicevo, che non abbia, come nelle fiabe che ci raccontava in quarta elementare, una noce misteriosa da farmi schiacciare nei momenti difficili!

Di tutti gli insegnanti che ho avuto, lui era l'unico a provare soggezione di me. Me ne accorgevo dall'imbarazzo con cui, nel discorso con me, passava dal “lei” al “tu”. Mi hanno detto anche che era fiero di avermi avuto come discepolo. Forse però non ha mai saputo che se ancora tornavo da lui era perché avevo il presentimento che mi avrebbe aiutato a risolvere, come un tempo, qualche altro complicato problema, per il quale non mi bastavano più le quattro operazioni dell'aritmetica che lui mi aveva insegnato. Ogni volta che lo lasciavo, sentivo di avergli rubato spezzoni di mistero. Quegli spezzoni che a scuola ci sottraeva volutamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Sì, perché lui aveva l'incredibile qualità di non spiegarci mai tutto e per ogni cosa ci lasciava un ampio margine d'arcano, non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore.

Perché l'arcobaleno dura così poco in cielo? E cosa fa Dio tutto il giorno? Perché le farfalle lasciano l'argento sulle dita? Perché Gesù ha fatto nascere così il povero Nico, che veniva a scuola sulla carrozzella spinta dalla nonna? Perché si muore anche a dieci anni, come la sua bambina, e noi scolari quel giorno andammo tutti in chiesa a pregare per lei?

Non aveva l'ansia di rivelarci tutto. Non era malato di onnipotenza culturale. E neppure ci imponeva le sue spiegazioni. Qualche volta sembrava fosse lui a chiederle a noi. Ma quando dopo gli acquazzoni di primavera spuntava l'arcobaleno, ci conduceva fuori per contemplarne la tenerezza dei colori. E, mostrandoci le rondini che garrivano in cielo, ci diceva che non dovevamo abbatterle con le nostre frecce di gomma perché Dio, la sera, le conta una ad una. E ci raccontava che le farfalle, l'argento, andavano a prenderlo tra le erbe profumate dei crepacci. E a Nico gli restituiva la gioia di esserci, perché gli scompigliava tutti i capelli, a lui solo, e, durante le passeggiate scolastiche, gli faceva tenere la sua borsa, con la merenda del maestro. E quando morì la sua bambina, lo vedemmo piangere di nascosto.

Forse la grandezza del mio maestro era tutta qui. In questa sua capacità di comunicare messaggi profondi più con il silenzio che con le parole, di lavorare su domande legittime, di non tirare mai conclusioni per tutti, di costruire occasioni di crescita reciproca, di accettare le differenze come un dono, di ritenere i suoi ragazzi titolari di una forte capacità progettuale, di dare più peso alla sfera relazionale che a quella dell'istruzione da trasmetterci, di interpretare la scuola come un gioco, anzi come una festa in cui il primo a divertirsi era lui.

Vorrei augurare a tutti voi che i vostri ragazzi provino per voi gli stessi sentimenti che ho provato io per il mio vecchio maestro delle elementari... statene certi: se restate saldi in Gesù e vi animerà una forte passione di trasmettere la sua Verità, essi, i vostri ragazzi di oggi, un giorno verranno a farvi visita. Sì, perché anche se saranno diventati professori dell'università gregoriana, torneranno da voi per recuperare quei frammenti di mistero, di cui non hanno ancora trovato spiegazione neppure sui libri di teologia.

Vi saluto, don Tonino Vescovo
3 marzo 1991

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inviato da Anna Barbi, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

2. Dov'è finita la stella cometa?   2

Bruno Ferrero, L'iceberg e la duna

Quando i Re Magi lasciarono Betlemme, salutarono cortesemente Giuseppe e Maria, baciarono il piccolo Gesù, fecero una carezza al bue e all'asino. Poi, con un sospiro, salirono sulle loro magnifiche cavalcature e ripartirono.

«La nostra missione è compiuta!», disse Melchiorre, facendo tintinnare i finimenti del suo cammello. «Torniamo a casa!», esclamò Gaspare, tirando le briglie del suo cavallo bianco. «Guardate! La stella continua a guidarci», annunciò Baldassarre.

La stella cometa dal cielo sembrò ammiccare e si avviò verso Oriente. La corte dei Magi si avviò serpeggiando attraverso il deserto di Giudea. La stella li guidava e i Magi procedevano tranquilli e sicuri. Era una stella così grande e luminosa che anche di giorno era perfettamente visibile. Così, in pochi giorni, i Magi giunsero in vista del Monte delle Vittorie, dove si erano trovati e dove le loro strade si dividevano.

Ma proprio quella notte cercarono invano la stella in cielo. Era scomparsa. «La nostra stella non c'è più», si lamentò Melchiorre. «Non l'abbiamo nemmeno salutata». C'era una sfumatura di pianto nella sua voce. «Pazienza!», ribatte Gaspare, che aveva uno spirito pratico. «Adesso possiamo cavarcela da soli. Chiederemo indicazioni ai pastori e ai carovanieri di passaggio».

Baldassarre scrutava il cielo ansiosamente; sperava di rivedere la sua stella. Il profondo e immenso cielo di velluto blu era un trionfo di stelle grandi e piccole, ma la cometa dalla inconfondibile luce dorata non c'era proprio più. «Dove sarà andata?», domandò, deluso. Nessuno rispose. In silenzio, ripresero al marcia verso Oriente.

La silenziosa carovana si trovò presto ad un incrocio di piste. Qual era quella giusta? Videro un gregge sparso sul fianco della collina e cercarono il pastore. Era un giovane con gli occhi gentili nel volto coperto dalla barba nera. Il giovane pastore si avvicinò e senza esitare indicò ai Magi la pista da seguire, poi con semplicità offrì a tutti latte e formaggio. In quel momento, sulla sua fronte apparve una piccola inconfondibile luce dorata.

I Magi ripartirono pensierosi. Dopo un po', incontrarono un villaggio. Sulla soglia di una piccola casa una donna cullava teneramente il suo bambino. Baldassarre vide sulla sua fronte, sotto il velo, una luce dorata e sorrise. Cominciava a capire.

Più avanti, ai margini della strada, si imbatterono in un carovaniere che si affannava intorno ad uno dei suoi dromedari che era caduto e aveva disperso il carico all'intorno. Un passante si era fermato e lo aiutava a rimettere in piedi la povera bestia. Baldassarre vide chiaramente una piccola luce dorata brillare sulla fronte del compassionevole passante.

«Adesso so dov'è finita la nostra stella!», esclamò Baldassarre in tono acceso. «È esplosa e i frammenti si sono posati ovunque c'è un cuore buono e generoso!». Melchiorre approvò: «La nostra stella continua a segnare la strada di Betlemme e a portare il messaggio del Santo Bambino: ciò che conta è l'amore». «I gesti concreti dell'amore e della bontà insieme formano la nuova stella cometa», concluse Gaspare. E sorrise perché sulla fronte dei suoi compagni d'avventura era comparsa una piccola ma inconfondibile luce dorata.

Ci sono uomini e donne che conservano in sé un frammento di stella cometa. Si chiamano cristiani.

epifaniare Magistellabontàtestimonianza

4.5/5 (2 voti)

inviato da Don Antonello Pelisseri, inserito il 28/12/2016

TESTO

3. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrel, Il piccolo monaco, Gribaudi editore, Torino, 1990

Gesù vuol vivere in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

discepolisequelatestimonianzaamorecaritàGesù

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 28/12/2016

RACCONTO

4. Una penna disobbediente   4

Angelo Valente, Nove Vie in Betlemme, Elledici

C'era una volta un grande e bravissimo poeta che nessuno conosceva perché nessuno aveva mai letto le sue poesie.
Il poeta, fin da piccolo, si era affezionato ad una sola ed unica penna e non ne aveva mai utilizzate altre.
Questa penna, però, si era sempre rifiutata di scrivere per paura di finire il suo inchiostro: perciò nessuno conosceva le bellissime poesie del poeta.
Un giorno il poeta si recò presso una biblioteca e portò con sé anche la sua penna.
Fu lì che la penna conobbe tante altre penne come lei e vide che tutte scrivevano, senza farsi troppi problemi.
C'era lì anche una penna appoggiata su una scrivania che sembrava molto anziana, perché aveva quasi terminato tutto il suo inchiostro.
Dopo averle rivolto il saluto, la penna del poeta le parlò delle sue resistenze a scrivere. Ma l'anziana penna, che aveva scritto tanto, le disse:
«Guarda intorno quanti libri. Tanta gente può venire qui a leggere ed imparare cose nuove proprio perché delle penne come noi sono state utili ai loro padroni. Non serve a nulla e a nessuno tenere per sé ciò che loro ci dicono. Noi abbiamo il grande compito di manifestare agli altri il loro pensiero, le loro idee, cioè di scrivere ciò che di più profondo c'è in loro utilizzando ciò che di più profondo c'è in noi, cioè l'inchiostro. Questo ci rende utili e fa crescere la gente».
La penna del poeta ringraziò di cuore l'anziana penna e da quel giorno iniziò a scrivere tutte le poesie che il poeta recitava.
Il poeta fu apprezzato e conosciuto da molti perché da quel giorno tanta gente poté leggere le sue splendide poesie.

Anche noi siamo come quella penna, non siamo utili a nessuno e non serve a nessuno se incontriamo Gesù Cristo e non raccontiamo agli altri questa splendida avventura.
Come per la penna costa inchiostro scrivere, anche per noi costa coraggio testimoniare.
Se lo faremo, però, saremo strumenti contenti ed efficaci nelle mani del Signore, perché lo aiuteremo a non restare anonimo e sconosciuto, ma lo manifesteremo a chi ancora fa fatica a riconoscerlo.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 27/12/2016

PREGHIERA

5. Lettera di un parroco a Gesù Bambino

don Giuseppe Comi, Zenit.org

Caro Gesù Bambino,

da quando il Padre tuo, per mezzo di te, ha creato l'uomo, tu non ti sei mai stancato di amarlo. Per la sua salvezza, ti sei fatto carne nel seno della Vergine. Dalla carne gli hai mostrato quanto è grande la tua compassione, la tua divina carità. Nella carne hai preso tutti i suoi peccati e nel tuo corpo li hai affissi su legno della croce, per toglierli dalle sue spalle. Per attestare che ogni tua parola, ogni tuo gesto d'amore è vero, sei risorto e ora sei assiso nella più alta gloria del Cielo, avendo ricevuto dal Padre un nome che è sopra ogni altro nome.

Dinanzi a te, ogni ginocchio si piega sulla terra, nei cieli, sotto terra e ogni lingua proclama che solo tu sei il Signore. Non esistono altri signori nell'universo. Solo tu sei la Vita di ogni uomo. Questa la tua verità eterna. Questa è la nostra fede. In te, solo in te, l'uomo ritrova la luce, la pace, se stesso.

Dopo la tua gloriosa ascensione, hai bisogno della nostra carne per continuare la tua missione. Hai bisogno del mio corpo per dire la tua parola, per battezzare nel tuo nome, per perdonare i peccati, per fare te pane di vita, per trasformare te in Eucaristia. Per mostrare ad ogni uomo la tua compassione, la tua carità, la tua salvezza, per discerne e separare con taglio netto, più che spada a doppio taglio, la luce dalle tenebre, la verità dalla falsità, il bene dal male, la giustizia dall'ingiustizia, l'amore dall'odio, la pace dalla guerra, la virtù dal vizio.

Non hai bisogno di un corpo di peccato, nel quale non può abitare lo Spirito Santo e il tuo cuore mai potrà muovere il mio. Hai bisogno della mia carne pura, santa, immacolata, come la carne della Madre tua. Se è nel peccato, non può essere data a te, perché appartiene già al principe del mondo. Per questo ti scrivo: per chiederti questa piccola grazia: fa' che la tua carne sia la mia carne, il tuo cuore il mio cuore, la tua anima la mia anima, il tuo Spirito Santo il mio Spirito Santo, i tuoi sentimenti i miei sentimenti.

Conformami a te, perché come te, in te, per te, possa esercitare il mio ministero profetico, sacerdotale, regale come lo hai esercitato tu. Sarò sacerdote secondo il tuo cuore. Il mondo lo vedrà e tutti si lasceranno conquistare a te. Ti prego. Non negarmela. Tu per questo vieni: per farci vita della tua vita, per essere veri strumenti della tua salvezza.

Sarei egoista se pensassi solamente a me. La mia Parrocchia è fatta di molte persone: piccoli giovani, adulti, anziani, sani, ammalati, vicini a te, ma anche tanti che da te sono lontani. Anche per ogni persona affidata alle mie cure pastorali ti chiedo una grazia. Fa' che quanti sono vicini a te, crescano nel tuo amore, diventino tuoi missionari per fare conoscere te a quanti non ti conoscono o si sono stancati di servirti, perché privi del tuo amore nel loro cuore.

Dona a questi tuoi fedeli costanza nel servizio, perseveranza nell'amore, fortezza nell'impegno, zelo nella proclamazione della tua Parola, carità sempre viva perché mai si stanchino di amare, come non ti sei stancato tu, concludendo la tua missione sull'albero della croce. A quanti sono lontani dal tuo cuore e dalla tua parola, manda dal cielo lo Spirito di conversione come hai fatto con Saulo, il tuo persecutore. Tu lo hai convertito e ne hai fatto un tuo apostolo, sempre fedele nel servizio e perennemente obbediente alla tua volontà.

Aiuta quanti sono piccoli a crescere in età, sapienza e grazia. Sostieni i giovani perché non si smarriscano dietro le false profezie del mondo, le ingannevoli promesse e inganni che sempre le tenebre prospettano loro come vera luce. Dona alle famiglia la gioia dell'unità, della pace, del perdono, della mutua carità. Rendi gli uomini liberi per abbracciare la fede nel tuo Vangelo, senza mai vergognarsi di testimoniarti in ogni momento e circostanza della vita.

Ai senza lavoro provvedi perché abbiano il loro pane quotidiano. Agli ammalati porta la consolazione della tua presenza, così come hai fatto con tutti i sofferenti del tuo tempo. A tutti dona la saggezza dello Spirito Santo e la luce della verità.

Tu, Caro Gesù Bambino, dal tuo cielo ci scruti, ci conosci, sai le nostre debolezze, fragilità, carenza di amore. Sai che ci stanchiamo con facilità. Iniziamo tante cose, ma poi non abbiamo la forza di imitarti restando fedeli alla missione. Ti prego, manda con potenza su di noi il tuo Santo Spirito come hai fatto sugli Apostoli il giorno della Pentecoste. Fa' che Lui venga con tutta la potenza dei suoi santi sette doni: sapienza, conoscenza, fortezza, consiglio, intelletto, pietà, timore del Signore.

Senza di lui che ci muove e ci attrae, noi saremo sempre privi di quell'energia divina che ci fa tuoi veri servi. Noi non vogliamo essere discepoli oziosi, infingardi, negligenti, apatici, senza alcuna volontà di amarti. Vogliamo servirti con tutto l'amore che abita nel tuo cuore. Se tu non divieni, con il tuo Santo Spirito, il nostro nuovo alito di vita, mai ti serviremo secondo il tuo cuore e mai porteremo una sola anima a te. Vieni presto, non tardare. Abbiamo bisogno di te, per servire te, per amare te, per mostrare ad ogni uomo te.

Vergine Maria, Madre di Gesù, Madre della Redenzione, presenta la nostra preghiera al tuo Divin Figlio, prima però rivestila con il tuo cuore, avvolgila con la tua anima, così Gesù penserà che se tu che chiedi ogni cosa per te e di certo ti esaudirà. Angeli e Santi, intercedete per noi, gridate al cuore di Gesù perché ascolti la nostra supplica. Vogliamo vivere in lui, per essere di lui, per portare i cuori a Lui. Per lui sempre è Natale quando nasce in un cuore.

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4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 24/12/2016

TESTO

6. Un libro come fuoco - Papa Francesco ai giovani   4

Papa Francesco, Quaderno N°3972 del 2015/12/26 - Civiltà Cattolica IV 519-654

Miei cari giovani amici,

se voi vedeste la mia Bibbia, forse non ne sareste affatto colpiti. Direste: «Cosa? Questa è la Bibbia del Papa? Un libro così vecchio, così sciupato!». Potreste anche regalarmene una nuova, magari anche una da 1.000 euro: no, non la vorrei. Amo la mia vecchia Bibbia, quella che ha accompagnato metà della mia vita. Ha visto la mia gioia, è stata bagnata dalle mie lacrime: è il mio inestimabile tesoro. Vivo di lei e per niente al mondo la darei via.

La Bibbia per i giovani, che avete appena aperto, mi piace molto: è così vivace, così ricca di testimonianze di santi, di giovani, che fa venir voglia di leggerla d'un fiato, dall'inizio fino all'ultima pagina. E poi...? Poi la nascondete, sparisce sul ripiano di una libreria, magari dietro, in terza fila, finendo per riempirsi di polvere. Finché un giorno i vostri figli la venderanno al mercatino dell'usato. No: questo non può essere!

Voglio dirvi una cosa: oggi, ancor più che agli inizi della Chiesa, i cristiani sono perseguitati; qual è la ragione? Sono perseguitati perché portano una croce e danno testimonianza di Cristo; vengono condannati perché possiedono una Bibbia. Evidentemente la Bibbia è un libro estremamente pericoloso, così rischioso che in certi Paesi chi possiede una Bibbia viene trattato come se nascondesse nell'armadio bombe a mano!

Mahatma Gandhi, che non era cristiano, una volta disse: «A voi cristiani è affidato un testo che ha in sé una quantità di dinamite sufficiente per far esplodere in mille pezzi la civiltà tutta intera, per mettere sottosopra il mondo e portare la pace in un pianeta devastato dalla guerra. Lo trattate però come se fosse semplicemente un'opera letteraria, niente di più».

Che cosa tenete allora in mano? Un capolavoro letterario? Una raccolta di antiche e belle storie? In tal caso, bisognerebbe dire ai molti cristiani che si fanno incarcerare e torturare per la Bibbia: «Davvero stolti e poco avveduti siete stati: è solo un'opera letteraria!». No, con la Parola di Dio la luce è venuta nel mondo e mai più sarà spenta. Nella mia esortazione apostolica Evangelii gaudium ho scritto: «Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente "Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso". Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata» (n. 175).

Avete dunque tra le mani qualcosa di divino: un libro come fuoco, un libro nel quale Dio parla. Perciò ricordatevi: la Bibbia non è fatta per essere messa su uno scaffale, piuttosto è fatta per essere tenuta in mano, per essere letta spesso, ogni giorno, sia da soli sia in compagnia. Del resto in compagnia fate sport, andate a fare shopping; perché allora non leggere insieme, in due, in tre o in quattro, la Bibbia? Magari all'aperto, immersi nella natura, nel bosco, in riva al mare, la sera al lume di una candela... farete un'esperienza potente e sconvolgente. O forse avete paura di apparire ridicoli di fronte agli altri?

Leggete con attenzione. Non rimanete in superficie, come si fa con un fumetto! La Parola di Dio non la si può semplicemente scorrere con lo sguardo! Domandatevi piuttosto: «Cosa dice questo al mio cuore? Attraverso queste parole, Dio mi sta parlando? Sta forse suscitando il mio anelito, la mia sete profonda? Cosa devo fare?». Solo così la Parola di Dio potrà dispiegare tutta la sua forza; solo così la nostra vita potrà trasformarsi, diventando piena e bella.

Voglio confidarvi come leggo la mia vecchia Bibbia: spesso la prendo, la leggo per un po', poi la metto in disparte e mi lascio guardare dal Signore. Non sono io a guardare Lui, ma Lui guarda me: Dio è davvero lì, presente. Così mi lascio osservare da Lui e sento - e non è certo sentimentalismo -, percepisco nel più profondo ciò che il Signore mi dice.

A volte non parla: e allora non sento niente, solo vuoto, vuoto, vuoto... Ma, paziente, rimango là e lo attendo così, leggendo e pregando. Prego seduto, perché mi fa male stare in ginocchio. Talvolta, pregando, persino mi addormento, ma non fa niente: sono come un figlio vicino a suo padre, e questo è ciò che conta.
Volete farmi felice? Leggete la Bibbia.

Vostro Papa Francesco

È la versione italiana della prefazione scritta dal Pontefice per una edizione della Bibbia destinata ai giovani, i quali hanno collaborato a discutere e scriverne i commenti (Bibel. Jugendbibel der Katholischen Kirche): vedi qui l'articolo su Civiltà Cattolica.

bibbiaparola di DioSacra Scritturapreghieratestimonianza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Centro Missionario Guanelliano, inserito il 25/08/2016

RACCONTO

7. Si faccia avanti chi crede   2

Una domenica mattina, mentre stava per iniziare la Messa, in una piccola chiesa al confine tra il Venezuela e la Colombia, fecero irruzione una banda di guerriglieri armati fino ai denti. Tra lo sgomento generale, afferrarono il sacerdote e lo trascinarono fuori dalla chiesa facendo chiaramente capire che lo avrebbero giustiziato.

Poi il capo della banda rientrò in chiesa tra il terrore generale, dicendo ad alta voce: "Si faccia avanti chiunque crede veramente in queste stupidaggini della religione che vi insegna questo prete."

La paura si leggeva sul viso sbiancato di tutti i presenti. Ci fu un lungo silenzio pieno di tensione. Poi, un giovane trentenne si fece avanti e davanti allo capo dei guerriglieri orgogliosamente disse: "Io amo Gesù". Fu subito trascinato con rudezza fuori della chiesa.

Nel frattempo, altre 14 persone di varie età, si fecero avanti e davanti al capo della banda professarono la loro fede in Gesù. Uno dopo l'altro, anch'essi furono trascinati in malo modo fuori dalla chiesa, facendo presagire ai presenti la stessa sorte che sarebbe toccata al sacerdote. Passarono pochi attimi e i presenti sentirono il crepitare delle mitragliatrici.

Assicuratosi che non c'era più nessuno in chiesa desideroso di farsi identificare come cristiano, il capo dei guerriglieri, con fare sdegnato ordinò ai presenti di uscire immediatamente dalla chiesa.

Appena passata la soglia della chiesa si accorsero che il sacerdote e gli altri trascinati fuori a forza, erano sani e in piedi fuori della porta. A quest'ultimi, il capo dei guerriglieri ordinò di rientrare e di continuare la loro liturgia mentre a tutti gli altri disse in maniera sprezzante: "Non vi permettete assolutamente di rientrare in chiesa fino a quando non avrete il coraggio di morire per la vostra fede".

Detto questo, il gruppo sparì nella giungla con la stessa rapidità con la quale aveva fatto irruzione in chiesa.

Se ti accusassero di essere cristiano, troverebbero delle prove contro di te? (Dietrich Bonhoeffer)

martiriotestimonianzaessere cristiani

5.0/5 (4 voti)

inviato da Padre Vincenzo PMS, inserito il 28/05/2015

ESPERIENZA

8. Una predica nella festa dell'Epifania in India

Piero Gheddo, http://gheddo.missionline.org/?p=826

Nel 1965, in India, alla festa dell'Epifania, sono stato invitato a parlare nella chiesa di una cittadina dello stato di Andhra Pradesh, dove lavorano i missionari del Pime. Essendo l'unico prete disponibile, ho dovuto celebrare la Messa (ma allora si celebrava in latino!) e anche fare la predica dell'Epifania. Dato che sapevo solo poche parole di telegu, la lingua locale (una delle più importanti delle 18 lingue ufficiali dell'India, parlata da più di 80 milioni di indiani, con una letteratura molto ricca e antica), il vescovo di Warangal monsignor Alfonso Beretta mi aveva fatto accompagnare da un catechista che sapeva bene l'inglese. «Tu parla inglese andando adagio», mi aveva detto, «e lui tradurrà in telegu, frase per frase, parola per parola».

Così sono andato in quella grande chiesa di Kammameth (che oggi è Diocesi), piena di gente, col mio bel discorso scritto in inglese. Dopo la lettura del Vangelo, la gente si è seduta e io ho cominciato a parlare, facendo riflessioni sulla festa liturgica, sul significato teologico dell'Epifania. A ogni frase mi fermavo e lasciavo al catechista il tempo di tradurre. Ma, man mano che andavo avanti nella predica, mi accorgevo che mentre le mie frasi erano brevi, il catechista parlava a lungo; e poi, io non citavo nessun nome proprio, ma lui continuava a citare Baldassarre, Melchiorre e Gaspare.

Dopo la Messa gli chiedo come aveva tradotto la mia predica e mi sento rispondere: «Padre, tu dicevi cose troppo difficili che io capivo poco e i nostri fedeli, gente semplice, non avrebbero capito nulla e non sapevo come tradurre. Allora ho raccontato alla gente la storia dei tre Re Magi, chi erano, da dove venivano e cosa hanno fatto quando sono tornati alle loro case dopo aver visto Gesù. Forse tu non sai, ma in India c'è la tradizione che i Magi erano indiani. Io li ho ambientati nei nostri villaggi telegu, in modo che tutti li sentissero come loro antenati. Ma non preoccuparti, ai nostri fedeli la tua predica è piaciuta molto, anche perché hanno capito tutto e adesso le vicende della vita di Gaspare, Baldassarre e Melchiorre le racconteranno anche ad altri».

Quell'episodio mi ha fatto capire una grande verità: il Vangelo è il racconto di un fatto, di un avvenimento, di una notizia; cioè comunica la «Buona Notizia» e usa un linguaggio estremamente concreto, che invita a cambiare vita, a convertirci. Gesù parla con parabole, cioè racconta dei fatti che avrebbero potuto anche essere veri, per dare un'indicazione morale. Non fa come in certe prediche di noi sacerdoti, che la gente non ascolta o non capisce, perché disincarnate dalla vita quotidiana. Essere cristiani significa vivere la vita di Cristo e offrire agli uomini degli esempi concreti di vite spese per Dio e per il prossimo. Quello che convince o scuote e fa riflettere i non credenti o i non praticanti non sono i ragionamenti o le dimostrazioni filosofiche o teologiche (ci vogliono anche queste, ma a luogo e tempo debito)., sebbene i buoni esempi delle vite di Gesù, di Maria e dei santi. E anche dei Re Magi che venivano dall'Oriente!

Anche la nostra vita cristiana deve diventare, agli occhi di chi non crede, un annunzio di salvezza, una testimonianza di fede e di bontà. Nessuno riesce mai a essere un vero cristiano, perché il modello di Gesù è infinitamente al di là delle nostre piccole persone: ma quel che importa è la sincera volontà di camminare per la via che Cristo ci ha indicato. Non preoccupiamoci troppo delle nostre cadute, quando sono sinceramente combattute e detestate, quando ripetiamo ogni giorno al Signore il nostro pentimento e la volontà di togliere il peccato dalla nostra vita. «La santità», diceva Santa Teresina del Bambino Gesù, «non è una salita verso la perfezione, ma una discesa verso la vera umiltà» .

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

TESTO

9. Io voglio servire Gesù

Shahbaz Bhatti, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianum Press, Venezia 2008, pp. 39-43

Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.

Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l'amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».

Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.

Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa', hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino all'ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.

Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro.

Per cui cerco sempre d'essere d'aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.

Shahbaz Bhatti, ucciso a Islamabad il 2/03/2011

testimonianzamartiriopersecuzione

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

TESTO

10. C'ero anch'io...   3

Mariangela Forabosco

C'ero anch'io, Signore Gesù, quella notte, nel giardino del Getsemani!
Ero lì, con i tuoi Apostoli ancora sconvolti per tutto quello che ti avevano sentito dire, quella sera; per quei piedi lavati proprio da te, il Maestro; per quel incomprensibile, straziante annuncio della tua imminente morte!

Ero lì, e ti ho visto piangere lacrime e sudare sangue, ti ho sentito implorare il Padre tuo di allontanare l'amaro calice della passione che sentivi vicino...io non capivo!

Avrei voluto inginocchiarmi accanto a te, sulle pietre aguzze, asciugare il tuo sudore di sangue, accarezzare il tuo volto sconvolto, implorarti di fuggire lontano, di metterti in salvo dalla crudeltà degli uomini, ma ti ho sentito dire:" Non sia fatta la mia, ma la tua volontà, Padre"!
Il peso di queste parole è stato troppo grande, per me: ti ho lasciato solo, mi sono allontanata e ho dormito, insieme ai tuoi apostoli.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quel mattino, nel pretorio di Pilato!
Ero lì, e sentivo la folla rumoreggiare, fuori; erano come impazziti, tanto da scegliere, urlando, la liberazione di Barabba e la tua condanna.

Ero lì, quando i soldati ti legavano alla colonna; ero lì, quando i flagelli incidevano la tua carne, quando la tua schiena si inarcava per il dolore atroce. Avrei voluto strappare di mano ai soldati quelle fruste che si accanivano sulla tua carne innocente, avrei voluto liberare quelle tue mani che avevano portato sollievo a tante persone, avrei voluto gridare la mia rabbia per tanto strazio, ma non ho saputo fare altro che rintanarmi in un cantuccio nascosto: ho avuto paura di svelare apertamente il mio amore per te, avevo paura di essere riconosciuta come tua sorella, tua amica e mi sono nascosta.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quel mattino, nel cortile del pretorio, quando Pilato ti consegnò ai soldati per la crocifissione!

Ero lì, quando l'intera coorte iniziò a torturare il tuo corpo martoriato dalla flagellazione. Ti rivestirono di porpora e, intrecciata una corona con pungentissime spine, te la conficcarono nel capo, profondamente; si inginocchiavano davanti a te, uomo dei dolori, dicendoti:"Salve, re dei Giudei!", e ti sputavano addosso e continuavano a percuotere il tuo corpo straziato.

Avrei voluto strappare spina per spina dal tuo capo, avrei voluto liberare il tuo santo corpo da tanta crudeltà, avrei voluto gridare a tutti che si ricordassero quante parole sananti avevi pronunciato, quanti peccati avevi perdonato, con quelle labbra ora tumefatte e sanguinanti. Invece, ancora una volta mi sono nascosta dietro le mie paure, la mia voglia di quieto vivere, la tentazione di non impicciarmi, di non rischiare, e sono fuggita.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quando, carico della croce, percorrevi la via che portava al luogo del supplizio. Tanta gente urlava, ai lati, e ti scherniva: erano gli stessi che la domenica delle Palme stendevano i loro mantelli sotto i tuoi passi e ti chiamavano "Figlio di Davide".

Ero lì, quando cadevi sotto il peso di quel legno! Avrei voluto togliertelo di dosso, asciugarti il volto come ha fatto la Veronica, offrirti dell'acqua, gridarti il mio dolore e la rabbia che provavo nel vederti sopportare così passivamente tanta crudeltà. Invece, non ho trovato il coraggio di farmi riconoscere; ho preferito assistere al tuo martirio senza compromettermi troppo.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quando i colpi del martello risuonavano nell'universo e il Figlio di Dio veniva inchiodato ad una croce, tra due malfattori. Ero lì, quando, ormai allo stremo, trovavi la forza di perdonare i tuoi carnefici "perché non sanno quello che fanno": così hai detto!

Ero lì, quando hai consegnato tua Madre a Giovanni e Giovanni a tua Madre; c'ero anch'io, in quella consegna; c'ero anch'io, in quel perdono; c'era anche la mia salvezza, in quel "tutto è compiuto"! Avrei voluto abbracciare quella croce, che tratteneva il tuo corpo ormai senza vita; avrei voluto strappare di mano la spada che ti ha trafitto il costato; avrei voluto dare la mia vita per la tua, ma, ormai, era troppo tardi, tutto era irrimediabilmente finito!

C'ero anch'io, Signore Gesù, davanti al sepolcro vuoto, quel mattino del primo giorno della settimana! Ero lì, con le altre donne, con Pietro, con Giovanni, con la Maddalena, a guardare stupita la pietra rimossa, le bende piegate, a chiedermi dove fosse il mio Signore.

Ero lì, e non capivo, perché la mia fede era provata duramente dalla tua morte, ma anche perché sapevo di averti lasciato solo, e il mio cuore mi suggeriva rimorso e rimpianto.

Ero lì, e piangevo e avrei voluto ancora una volta fuggire lontano, nascondermi al mio stesso dolore, consapevole che avevo cercato tanto il mio Signore, ma che la mia paura me l'aveva fatto perdere per sempre! Ed ecco che, improvvisamente, quando stavo per andarmene, sconsolata, ho sentito una voce dolcissima chiamarmi per nome: era la tua voce, Signore Gesù!

Eri tornato, eri vivo, eri lì, davanti a me; eri venuto a cercarmi e mi avevi trovata. I miei abbandoni, i miei tradimenti li hai presto dimenticati; hai voluto dirmi che tu sei il vivente, che non mi lascerai mai, che la morte è vinta per sempre ed io sto partecipando, insieme a tutta la creazione, alla tua risurrezione.

Cristo è risorto, alleluia!

crocepassionerisurrezionepasquaresurrezionepauratradimentogetsemanitestimonianzavergogna

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inviato da Mariangela Forabosco, inserito il 21/03/2008

TESTO

11. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco, Gribaudi ed, Torino, 1990

Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.

Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gl'inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

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inviato da Anna Barbi, inserito il 25/08/2006

TESTO

12. Come candele davanti al Tabernacolo   1

San Luigi Orione

San Luigi Orione, con questo suo scritto del 2/2/1938, ci ricorda il compito affidatoci da Gesù di essere la luce del mondo e sottolinea che quella luce si alimenta solo dinanzi al Tabernacolo, dinanzi a Gesù Eucaristia.

Quando si nasce, e ci portano al battesimo, si prende e si accende una di quelle candele benedette e la si mette nelle mani del padrino e della madrina che fanno per noi le promesse... Ma la candela si accende anche quando si muore, nell'atto in cui si raccomanda l'anima, nell'atto in cui essa sta per passare da questo mondo all'altra vita, quando il sacerdote pronuncia le parole: "Presto, o anima, ritorna al Padre che ti ha creato, ritorna al Figlio che ti ha redenta, ritorna allo Spirito che ti ha illuminata, che ti ha riempita di carismi"... La candela che si accende quando si è fatti cristiani sarà presente allorquando dovremo rendere conto del come si è condotta la vita, se veramente ci siamo mostrati veri seguaci di Cristo.

Con il Battesimo, siamo dunque noi stessi come candele accese che dovranno rendere conto della qualità della propria luce.

Le proprietà della candela sono diverse: la candela è diritta, e noi dobbiamo essere diritti, retti, sempre retti, sempre mostrarci retti se vogliamo essere veramente seguaci di Gesù Cristo. Dobbiamo morire pur di essere sempre moralmente retti, se vogliamo veramente essere cristiani.

La candela è bianca e noi dobbiamo mantenere bianca la nostra anima, coltivare nella nostra anima la virtù della purezza che ci fa bianchi all'occhio del Signore; virtù che è il giglio delle virtù, la bella virtù. Virtù che in modo grande splendette nella Vergine Santa...

La candela è ardente, manda luce, è calda. Così deve essere la vita nostra; non tiepida, non smorta, ma calda.

Dobbiamo ardere ed ardere di un amore grande di Dio e del prossimo. Dobbiamo fare sì che il Comandamento dell'amore sia in noi. Facciamolo ardere l'amore nel nostro petto; facciamolo affocare nel nostro cuore. Facciamo splendere la bella virtù... Dobbiamo essere lucerna ardente sicché tutti vedano, nella luce nostra, risplendere la luce di Dio, sentano il Signore, sentano la vita di Dio, la verità di Dio.

Andiamo da Gesù Eucaristia ad imparare la rettitudine, la purezza, una vita calda di amore a Dio e al prossimo.

La candela poi si offre e si consuma, in generale, davanti all'immagine dei Santi e davanti al Santissimo. E così deve ardere, splendere, consumarsi la nostra vita, deve consumarsi davanti a Dio.

La nostra vita sia come la candela che arde, splende e si consuma per amore di Dio e del suo Regno.

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inviato da Lia Sirna, inserito il 05/01/2006

PREGHIERA

13. Chiamati a volare

Giuliana Martirani

Parla all'io cuore, Signore.
"Ti sto parlando. Ma perché hai paura?
Eppure non avevi paura di incontrare illustri sconosciuti
che potevano portarti a sfiorare i pantani della vita!
E hai paura di me, l'unico che hai conosciuto meglio di tutti?
Mi hai conosciuto. Non è forse vero?
Puoi forse dire che conosci i pensieri, i sogni e i palpiti di qualcun altro, come conosci i miei?
Sono tanti anni che li racconto personalmente a te.
Quali sogni conosci meglio dei miei?
Ti ho conosciuto, chi ti conosce meglio di me?
Forse qualcuno ha saputo intravedere i tuoi talenti anche quando non si vedevano,
soffocati com'erano da mille croste?
Forse qualcuno ha puntato su di te come ho fatto io, con determinazione e sicurezza?
Io sapevo di te quando tu neanche ti supponevi.
E allora, se io conosco così bene te e tu così bene me, perché hai paura?
Sono forse un fantasma?
Ti ha fatto compagnia un fantasma durante le notti di paura e solitudine?
E' forse un fantasma quello che, con le mani della provvidenza, ti ha mandato cibo, casa e vestiti per te e i tuoi figli?
Tu dici: - Può essere fantasia, autosuggestione tutto ciò?
E se fosse tutto una follia? -
Io ti rispondo: E' forse una follia andare insieme sul monte della felicità,
o era una follia affidarsi ciecamente a gente più cieca di te?
E' forse una follia la dimensione dello spirito sulla quale voglio farti volare,
o non è forse più follia restare terra terra quando invece il Padre nostro
ci ha fatto giganti spirituali con ali per volare?
Non aver paura, non è una follia. Solo resta tranquillo, seguimi, attaccati alle mie ali
e comincia a volare con me.
Quando ti vedrò sicuro nel volo, solo allora ti lascerò volare da solo!
Ma dovrai volare da solo, perché non posso fare la balia per sempre.
Devi diventare adulto e aiutarmi perché è per diffondere l'amore
che mi sono fatto conoscere da te, è per essere amato e per far conoscere agli altri,
attraverso il rapporto d'amore mio e tuo, che l'amore di Dio è una seria e concreta.
Perché vedano e, vedendo, ne abbiano voglia anche loro.
Per questo mi sono fatto conoscere da te".

rapporto con Dioconversioneevangelizzazionetestimonianzamissionecrescitainteriorità

inviato da Leo, inserito il 10/10/2005

ESPERIENZA

14. L'esperienza che si fa messaggio

Tonino Bello

Carissimi catechisti,

è autentica. Ieri sera stavo amministrando l'eucarestia, durante la messa solenne, quando si è presentato un papà con la figlioletta in braccio. Il Corpo di Cristo. Amen. E gli ho fatto la comunione.

La bambina allora, che osservava con occhi colmi di stupore, si è rivolta a suo padre e gli ha chiesto: «È buona?». Sono rimasto letteralmente bruciato da quell'interrogativo. A tal punto, che mi son dovuto fermare. Poi, con la pisside in mano, mi son fatto largo fra la gente, ho raggiunto quel signore che si era già allontanato, e ho sentito il bisogno di dare un bacio alla sua bambina.

Quella domanda mi è parsa splendida. E siccome nell'omelia avevo detto che in fatto di fede possiamo trasmettere agli altri solo ciò che sperimentiamo noi stessi, ho pensato che il Signore, con la battuta ingenua di una bambina e nel linguaggio spontaneo dei semplici, avesse voluto restituirmi la sintesi del mio lungo discorso.

In effetti, ciò che rende credibili sulle nostre labbra di annunciatori la trasmissione del messaggio di Gesù è soltanto l'esperienza che noi per primi facciamo della sua verità. Una verità che non passa, se chi la trasmette non ne pregusta un assaggio e non se ne nutre in abbondanza.

La domanda di quella bambina, perciò, ci stringe d'assedio, perché chiama in causa non tanto il nostro sapere religioso, quanto lo spessore del nostro vissuto concreto.

«È buona?». Perché, se la mensa di cui tu parli ti riempie di forze, desidero sedermi anch'io alla tua tavola. Spezzane un po' anche per me di quel pane che tu gusti avidamente. Fammi bere alla stessa brocca, se è vero che quell'acqua toglie la sete e ti placa l'arsura dell'anima.

«È buona?». Perché se l'hai già provato tu che la legge del Signore è perfetta e rinfranca l'anima, come dicono i salmi, o che gli ordini del Signore fanno gioire il cuore, e le sue parole sono più dolci del miele e di un favo stillante... fa' assaporare pure a me queste delizie del palato e non escludermi da condivisioni di così squisita bontà.

Carissimi catechisti, io non so bene cosa ieri sera, a messa, avesse voluto da me il Signore, il quale per dirla ancora con le Scritture, si esprime spesso con la bocca dei bimbi e dei lattanti.

Ha voluto provocarmi a uscire dall'assuefazione ad un cibo troppo distrattamente consumato? Ha inteso rimproverarmi la sistematica assenza di gratitudine per il Suo Pane disceso dal cielo? Ha voluto farmi prendere coscienza con quanto poco stupore accolgo la ricchezza dei suoi doni?

Non lo so.

Certo è che, se quella bambina avesse potuto capirmi e io mi fossi sentito meno indegno di accreditarmi certi meriti, avrei risposto per conto del suo papà, rimasto muto, e avrei voluto dirle: «Sì che è buona l'eucarestia. Così come è buona la sua Parola. Così come è buona la sua amicizia. Così come è buona la sua croce. Te lo dico io che non posso più resistere senza quell'ostia. Che non so più fare a meno della sua Parola di vita eterna. Che sperimento la sua amicizia, sia nel gaudio di quando Lui mi è accanto, come nella nostalgia quando mi manca. Te lo dico io che ho una croce leggera sul petto, e una pesante sulle spalle. Quest'ultima, però, da quando ho capito che è una scheggia di quella portata da Lui, da simbolo delle mie sconfitte, si è tramutata in fontana di speranza. Per me e per gli altri. Parola di uomo!».

eucaristiatestimonianzacristianesimo

inviato da Michelangelo Dessì Sdb, inserito il 08/12/2004

ESPERIENZA

15. Testimonianza di Benedetta Bianchi Porro

Benedetta Bianchi Porro, Oltre il silenzio. Diari e lettere

Caro Natalino,

in «Epoca» è stata riportata una tua lettera. Attraverso le mani, la mamma me l'ha letta. Sono sorda e cieca, perciò le cose, per me, diventano abbastanza difficoltose.

Anch'io come te, ho ventisei anni, e sono inferma da tempo. Un morbo mi ha atrofizzata, quando stavo per coronare i miei lunghi anni di studio: ero laureanda in medicina a Milano. Accusavo da tempo una sordità che i medici stessi non credevano all'inizio. Ed io andavo avanti casi non creduta e tuffata nei miei studi che amavo disperatamente. Avevo diciassette anni quando ero già iscritta all'Università.

Poi il male mi ha completamente arrestata quando avevo quasi terminato lo studio: ero all'ultimo esame. E la mia quasi laurea mi è servita solo per diagnosticare me stessa, perché ancora (fino allora) nessuno aveva capito di che si trattasse.

Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista; ora è notte. Però nel mio calvario non sono disperata. lo so che in fondo alla via Gesù mi aspetta.

Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli.

Fra poco io non sarò più che un nome; ma il mio spirito vivrà qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano.

E tu, Natalino, non sentirti solo. Mai. Procedi serenamente lungo il cammino del tempo e riceverai luce, verità: la strada sulla quale esiste veramente la giustizia, che non è quella degli uomini, ma la giustizia che Dio solo può dare.

Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio.
Lui mi sorride e accetta la mia cooperazione con Lui.

Ciao, Natalino, la vita è breve, passa velocemente. Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per giungere in Patria.

Ti abbraccio. Tua sorella in Cristo, Benedetta

Lettera di Benedetta Bianchi Porro, già molto malata, ad un giovane disperato.

sofferenzadolorecrocesperanza

inviato da Don Roberto Rossi, inserito il 29/07/2004

TESTO

16. Che dite che io sia? (Mt 16,15)

Madre Teresa di Calcutta

Chi è Gesù per me?
Gesù è il Verbo fatto uomo.
Gesù è il pane della vita.
Gesù è la vittima offerta
per i nostri peccati sulla croce.
Gesù è il sacrificio offerto per i miei
e per i peccati del mondo.
Gesù è la parola che va proclamata.
Gesù è la verità, che deve essere narrata.
Gesù è la vita, che deve essere percorsa.
Gesù è la luce, che deve essere fatta splendere.
Gesù è la vita, che deve essere vissuta.
Gesù è l'amore, che deve essere amato.

Gesù è la gioia, che deve essere condivisa.
Gesù è il sacrificio, che deve essere offerto.
Gesù è la pace, che deve essere data.
Gesù è il pane della vita, che deve essere mangiato.
Gesù è l'affamato, che deve essere nutrito.
Gesù è l'assetato, che deve essere dissetato.
Gesù è l'ignudo, che deve essere rivestito.
Gesù è il senza tetto, che deve essere ospitato.
Gesù è il malato, che deve essere sanato.
Gesù è l'uomo solo, che deve essere consolato.
Gesù è il non voluto, che deve essere voluto. Gesù è il lebbroso, che deve essere lavato nelle sue ferite.
Gesù è il mendicante, che deve essere gratificato di un sorriso.
Gesù è l'ubriaco, che bisogna ascoltare .
Gesù è il malato di mente che bisogna proteggere.
Gesù è il piccolo che bisogna abbracciare.
Gesù è il cieco, che bisogna guidare.
Gesù è il muto, cui bisogna parlare.
Gesù è lo zoppo, con cui bisogna camminare.
Gesù è il drogato, che bisogna aiutare.
Gesù è la prostituta, da sottrarre al pericolo e da sostenere.
Gesù è il prigioniero, che bisogna visitare.
Gesù è il vecchio, che deve essere servito.

Per me
Gesù è il mio Dio
Gesù è il mio sposo
Gesù è la mia vita
Gesù è il mio solo amore
Gesù è il mio tutto di tutto.
La mia pienezza.

Gesù,
ecco chi amo con tutto il cuore,
con tutto il mio essere.
Gli ho dato tutto,
persino i miei peccati.
E lui m'ha sposata a se stesso.
In tenerezza e amore.
Ora e per la vita.
Sono al sposa del mio sposo crocifisso.
Amen.

Gesù Cristocaritàamoresolidarietàtestimonianza

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 07/12/2002

ESPERIENZA

17. La messa si fa missione

padre Giovanni Dutto, Eucarestia, cuore della missione

Ad un giovane medico indiano, induista e profondamente religioso, venne offerta una borsa di studio per l'università di Roma: avrebbe potuto specializzarsi in chirurgia. Nella sua città non c'era nessun chirurgo. Egli ne fu felicissimo, evidentemente per la specializzazione, ma anche per un motivo religioso: avrebbe incontrato persone di altre religioni e avrebbe potuto pregare con loro. E' una nota culturale ed eclettica comune agli Indù. Per loro tutte le religioni sono ugualmente valide e tutte, per vie diverse, portano allo stesso fine. Nessuna religione può pretendere di essere l'unica vera e di conseguenza non ha senso convertirsi da una all'altra. La pensava così anche Gandhi, che ammirava Cristo e fece proprio il discorso della montagna, ma non pensò mai di divenire cristiano e condannò l'opera dei missionari cattolici. Si legge in un libro indù: "Il cristiano non deve diventare un indù, né un buddista. Un indù, o un buddista, non deve diventare un cristiano. Ognuno deve assimilare lo spirito altrui e conservare nel tempo stesso la propria individualità" (Vivekananda).

Durante il viaggio il nostro medico entrò nelle moschee e pregò con i musulmani. Incontrò gli ebrei e volle pregare con loro nelle sinagoghe. A Roma, si riprometteva di pregare anche con i cristiani. Non conosceva nulla del cristianesimo. Aveva intuito solo che i cristiani a volte si radunano in edifici particolarmente belli, per pregare insieme.

Fu così che una domenica si unì alla folla che entrava in S. Andrea della Valle. Era per la Messa, ma lui non la conosceva: era unicamente animato da una grande attenzione per poter pregare con i cristiani. Ad un certo momento vide tutti frugare nelle tasche e offrire del denaro, mentre una processione si mosse dal fondo della chiesa: venivano portati dei pani e dei vasi, che il sacerdote accolse ed elevò sull'altare con somma dignità. Pensò: "Si vede che i cristiani, quando pregano, donano qualche cosa".

Non aveva portato nulla con sé. Si sentì indotto a supplire con una preghiera: "Signore, lavorerò per i poveri".

Ora diventato chirurgo, è nella sua città natale, Madras, ed è il primario dell'ospedale. E' famoso per questo: non si concede tempo libero, e dopo il normale turno quotidiano si attarda ancora nel suo studio per ricevere i poveri, e li riceve gratuitamente!

Lo Spirito Santo aveva trovato la via aperta per comunicarsi a lui e ispirargli il dono di sé.

Questo medico insegna la partecipazione: a Messa non si va "come estranei o muti spettatori" (Sacrosanctum Concilium 47). Ma soprattutto insegna che la Messa si proietta sulla vita. Il medico induista non fu più quello di prima: quella Messa lo fece missionario dell'amore.

La Messa ci fa "sacrificio a Dio gradito", cioè persone nuove, toccate da Lui. La Messa ci ha chiamati, ci ha trasformati e ci invia. Messa e vita; Messa e missione, dunque!

L'esperienza dell'Eucarestia non si chiude alle spalle con le porte della chiesa dopo la celebrazione, ma "va'" in tutto il mondo. Ci è stato detto: "La Messa è finita". Il suo genuino significato è: "La Messa non è finita". "Si scioglie l'assemblea perché ognuno torni alle sue occupazioni lodando e benedicendo Dio".

La carica eucaristica è tale che riscopre il suo vero nome: missione.

E' la missione della pace, come suggerisce l'augurio liturgico: "andate in pace!".

EucaristiamissionetestimonianzasacrificioMessaoffertorio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

18. Date l'esempio!   2

C'era una volta un uomo che viveva una vita normale. Pensava di non essere stato cattivo, ma neppure di essere stato un santo. Un giorno Gesù toccò il suo cuore e quest'uomo lo accettò come suo Signore e Salvatore. Sentì tanta gioia che promise al Signore di parlare di Lui a tutte le persone che avrebbe incontrato e che avrebbe portato almeno 100 persone a questa cosa grande che aveva trovato. Ma quest'uomo subito si accorse che portare persone a Cristo non era una cosa facile da fare. La maggior parte dei suoi amici pensava che fosse impazzito e si allontanava da lui.

A volte voleva ritirarsi dalla sua promessa ma continuò a raccontare a chi gli era possibile della buona novella del vangelo e come lo aveva cambiato riempiendolo di tanta pace e gioia.

Poi un giorno quest'uomo morì e si trovò in una stanza, con tutte le cose che aveva fatto e detto durante la sua vita: tutte le cose cattive che aveva fatto, tutti i brutti pensieri che aveva avuto, ritornati a lui come un lampo in un momento di tempo. Poi vide una visione di sé, nel giorno in cui la salvezza l'aveva toccato, quando aveva promesso a Gesù che avrebbe portato a Lui almeno 100 persone. L'uomo cadde in ginocchio piangendo.

Allora Gesù si avvicinò a lui e gli disse: "Alzati figliolo e dimmi: perché piangi?". L'uomo rispose: "Signore ho commesso tutte queste cose terribili nella mia vita, e ti ho detto perfino bugie!". Il Signore lo guardò chiedendogli: "Quando mi hai detto bugie?". "Ti avevo promesso di portare 100 persone a te Signore. E anche se ho provato non sono riuscito a portarne nemmeno una alla salvezza! Non ho mantenuto la mia promessa e ho detto bugie a Te".

Allora Gesù gli sorrise, gli asciugò le lacrime sul viso, e gli disse: "Figliuolo, tu non hai rotto la tua promessa con me". "Ma Signore, non ho portato neanche una persona a te!!!". Gesù rispose: "Mio figliuolo, ti ricordi quel giorno quando ti sei seduto al ristorante e hai mangiato ringraziando il Padre per il cibo? C'era una donna seduta in quel ristorante, era malata di peccato. Anche se ho provato tante volte a toccare il suo cuore, lei mi aveva sempre ignorato. Pensava di ritornare a casa per togliere la vita a sé stessa e a quella dei suoi figliuoli. Ma questa signora ti ha visto pregare e le si è aperto il cuore. Una porta si aprì nel suo cuore e mi lasciò entrare. La signora andò a casa e invece di togliersi la vita accettò me chiedendomi di diventare il Signore della sua vita. Uno dei suoi bambini diventò un presbitero santo e guidò molte anime a me. Quindi mio figliuolo sii felice, tu hai mantenuto la tua promessa. Il tuo piccolo consistente atto di fede guidò non 100 ma 100.000 persone a me!".

L'uomo prese coraggio, ma ancora si sentiva colpevole: "Mio Dio, e tutte le altre cose brutte che ho fatto?". Gesù sorrise dicendo: "Ho pagato il prezzo io per te: vedi le mie mani e i miei piedi trafitti, il mio costato perforato, il mio capo grondante sangue per te, tutto il mio corpo flagellato? Tutti e due abbiamo mantenuto la promessa!".

Ricordiamoci che un nostro piccolo atto insignificante può toccare il cuore di altri fratelli, anche quando non ce ne accorgiamo.

Un sorriso, una dolce parola, una preghiera in pubblico, sono vie che portano luce e possono cambiare una vita.

quotidianitàtestimonianzaesempioconversionemissione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 02/06/2002

RACCONTO

19. Lo straniero

Jules Beaulac, (liberamente tradotto)

Arrivava da non si sa dove; lui stesso non se lo ricordava. Aveva camminato tanto e per tanto tempo, a giudicare dal suo sguardo fisso, dalle sue labbra secche e dalla sua barba lunga di più giorni. I suoi vestiti erano neri di polvere e la sua pelle ancor più sporca. Non camminava più, ma ondeggiava di qua e di là. Non aveva più sembianze. Solo lui conosceva il bruciore che gli torceva lo stomaco, tanto aveva fame... i crampi che gli mordevano i polpacci, tanto aveva camminato... il dolore che gli rompeva la testa, tanto il sole gliela aveva picchiata. Non aveva dormito da giorni e notti ormai, aveva mangiato qualcosa a malapena, bevuto un po'...
Ora, davanti a lui un paese: si augurava di trovare un cuore compassionevole. Entrò nel negozio di un fruttivendolo e domandò la "carità" di una arancia o di una mela.
- Hai i soldi?
- No, signore, ma sto morendo di fame...
- Niente soldi, niente frutta! Qui, non si fa credito. Vai a cercare altrove!
Bussò alla porta di una casa privata. La proprietaria, vedendo quella specie di accattone, non aprì la porta... tantomeno il cuore!

Si stava facendo notte, anche per la sua speranza. Come ultimo tentativo andò a suonare all'ufficio parrocchiale... più e più volte. Finalmente, una donna aprì prudentemente la porta e, senza lasciar tempo a parole, gli disse:
- Mi dispiace, signore, non riceviamo più nessuno, l'ora d'ufficio è passata. Se volete qualcosa ripassate domani all'ora indicata sulla targhetta.
Non ebbe il tempo di rispondere che la porta era di già sbarrata.
- Possibile che la carità sia programmata?... - si disse tra sé e sé.

Proprio vicino alla casa parrocchiale c'era una villa con un grande portico ombreggiato e una signora che si dondolava beatamente al fresco:
- Signora, avreste qualcosa da mangiare e un angolo in casa vostra per dormire?
Non aveva ancora finito di domandare, che si sentì folgorare dallo sguardo:
- Sappiate, signore, che io non faccio la carità a tipi come voi! Andate via a lavarvi! E poi andate a lavorare come fan tutti! A parte questo, io ho già le mie buone opere da fare, i miei poveri. Sono una donna buona, io, e una buona cristiana!
Capì che anche lì non avrebbe ottenuto niente. Ma il cervello si arrovellava: ma che razza di cristiani fabbrica questo paese...

Riprese la sua strada trascinando i piedi: era troppo affaticato e... scoraggiato. Non ci sarebbe stato proprio nessuno su questa terra a dargli vitto e alloggio?
Avanzava lentamente, sentiva il cuore stringersi, e le lacrime tiepide rigargli le gote...
All'improvviso si sentì chiamare:
- Ehi, tu! Come sei conciato! Si direbbe che hai camminato per tutta la terra, senza mangiare, senza lavarti e senza riposarti! Mi fai un po' pena! Dai, fermati, entra da me e lasciati vedere!

Non credeva alle sue orecchie. La speranza gli diede la forza di alzare gli occhi e guardare chi lo aveva apostrofato: Dio mio, chi poteva essere? E adesso, che fare?...

Capelli neri, ricci come il mantello di un montone, maschera di cipria, trucco pesante, mascara agli occhi... labbra laccate di rosso, una camicetta abbondantemente scollata e una mini-minigonna!

Capì subito che aveva a che fare con la "maddalena" del villaggio. Senza nemmeno rendersi conto, si ritrovò a tavola, davanti ad una minestra e ad una bistecca saporita mentre dalla stanza gli arrivavano effluvi di incenso e chissà quanti altri profumi e unguenti: come era bello mangiare dopo così tanto tempo! Appena finito, si ritrovò sapone e asciugamano in mano e sentì gorgogliare l'acqua tiepida nella vasca da bagno. Ah! che bello sentirsi finalmente pulito!
Lei gli infilò una camiciola uscita da chissà dove e lo mandò a dormire dopo avergli preparato una tisana. Sprofondò in un sonno di piombo.

Mentre dormiva, la "Maddalena" si accese la ventesima sigaretta e vuotò il sesto bicchiere di cognac... In lei, pensieri diversi la paralizzavano per la sorpresa:
- Poveretto, faceva davvero pena! Non lo potevo lasciar passare, bisognava che facessi qualcosa... Ho dato quello che potevo. Tu, Gesù, che dall'alto del tuo paradiso sai tutto, hai visto quello che è successo questa sera. Spero che te lo ricorderai quando alla fine della vita, sarò davanti a te... Certo, io non vado alla Messa: i devoti si scandalizzerebbero. Le mie "buone opere" non sono nel catalogo delle "signore perbene"! I benpensanti non passano davanti alla mia casa, molti entrano da dietro! Però tu sai che in fondo in fondo ti voglio bene, e io so che tu mi ami, come hai amato una come me che ti ha asciugato i piedi tanto tempo fa. So che un giorno tu mi cambierai cuore e vita. Questa sera ho fatto solo della carità ad un poveruomo: l'ho nutrito, lavato, ospitato ed ascoltato; ebbene, buon Gesù è a te e per te che l'ho fatto!

Tirò l'ultimo sbuffo di fumo di sigaretta dalle narici, scolò il bicchiere già vuoto e si alzò per andare a letto: l'animo era tranquillo come non mai. Si addormentò del sonno dei giusti.

La sua era stata veramente una buona giornata!

Mt 25,35: "Ero forestiero e mi avete ospitato".

Eb 13,2: "Non chiudere la tua porta allo straniero perché rischi di chiuderla all'Angelo del Signore".

Gv 21,7: "Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!»".

caritàtestimonianzaessere cristiani

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 28/05/2002

PREGHIERA

20. Lo sguardo

Michel Quoist

Adesso Signore, sto per chiudere le mie palpebre,
perché i miei occhi questa sera hanno finito il loro lavoro,
e il mio sguardo sta per rientrare nella mia anima
dopo aver girato una giornata nel giardino degli uomini.
Grazie, Signore, per i miei occhi, finestre aperte sullo spazio.
Grazie per lo sguardo che trasporta la mia anima
come il raggio generoso conduce la luce e il calore del tuo sole.
Io ti prego nella notte, affinché domani, Signore,
quando aprirò i miei occhi al chiarore del mattino,
essi siano pronti a servire la mia anima e il suo Dio.
Fa' che i miei occhi siano chiari, Signore,
e che il mio sguardo limpido dia fame di purezza.
Fa' che non sia sguardo deluso, disilluso, disperato.
Ma che sappia ammirare, estasiarsi, contemplare.
Concedi ai miei occhi di sapersi chiudere per ritrovarti meglio,
ma senza che si distolgano mai dal mondo perché essi ne hanno paura.
Concedi al mio sguardo di essere profondo
per riconoscere nel mondo la tua presenza.
E fa' che mai i miei occhi si chiudano sulla miseria degli uomini.
Che il mio sguardo, Signore, sia pulito e saldo,
ma sappia intenerirsi e che i miei occhi siano capaci di piangere.
Fa' che il mio sguardo non sporchi colui che tocca.
Che non disturbi ma plachi.
Che non rattristi ma comunichi Gioia.
Che non seduca per tener prigioniero,
ma sia invitante e aiuti a superare se stessi.
Fa' che disturbi il peccatore affinché vi riconosca la tua luce,
ma che sia solo un rimprovero per incoraggiare.
Fa' che il mio sguardo sconvolga, perché è un incontro, l'incontro con Dio.
Che sia l'appello, lo squillo di tromba
che mobilita tutto il mondo sulla soglia di casa,
non a causa mia, Signore, ma perché Tu stai per passare.
Affinché il mio sguardo sia tutto questo, Signore,
una volta di più, questa sera, io ti offro la mia anima.
Ti offro il mio corpo.
Ti offro i miei occhi così che guardando gli uomini, miei fratelli,
sia tu a guardarli,
e che attraverso me Tu faccia loro un richiamo.

sguardopurezzadonaretestimonianza

inviato da Mariangela Molari, inserito il 20/05/2002

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