Quando hai bisogno, Qumran ti dà una mano, sempre.
Ora Qumran ha bisogno di te.
- Clicca qui per sapere il perché.
Hai cercato pane tra i ritagli lunghi
Hai trovato 8 ritagli
RACCONTO
C'era una volta un chicco di grano. Si era staccato dalla spiga alla fine del mese di giugno e aveva riposato per tutta l'estate in un comodo sacco di juta insieme a migliaia di suoi amici. Si stava proprio bene in quel luogo, sufficientemente comodo e fresco.
L'estate passo senza nessuna grossa novità. Venne infine l'autunno. Le giornate si facevano più corte e dalle finestre del granaio, dove il sacco di juta era stato messo, si intravedeva il sole che ogni giorno si abbassava sempre più: presto sarebbe arrivato l'inverno e le prime piogge.
Improvvisamente, una mattina, il sacco fu sollevato e preso sulle spalle da un uomo e caricato sul pianale di un trattore.
"Che succede? Dove ci portano? Come mai andiamo via da questo luogo?". L'agitazione dentro il sacco cresceva sempre più, e nessuno dei chicchi sapeva dare una spiegazione valida a quello che stava succedendo. Sballottati dalle manovre, i chicchi si lamentavano: "Ohi ohi, che botta! Non spingete! Mi sei venuto addosso!"
Finalmente il trattore si fermò. Il sacco fu scaricato per terra. Mani forti aprirono il sacco, raccolsero diverse manciate di chicchi e le misero in piccolo secchio. Anche Chicco finì lì dentro.
l contadino, con gesto solenne, prendeva continuamente manciate di chicchi e le spargeva nella fredda terra. Era arrivato il tempo della semina.
"Non voglio, non voglio finire nella terra, in quel solco tanto freddo dove mi toccherà stare da solo!", gridava a squarciagola il nostro Chicco.
Il contadino sentì i lamenti, e disse: "Se tu non vuoi essere seminato, nemmeno potrai diventare una bella spiga, piena di tanti chicchi, che macinati, diventeranno buon pane per sfamare tante persone". Chicco capì e si lasciò seminare senza più brontolare.
Arrivò intanto l'autunno e infine l'inverno. Per il nostro Chicco fu davvero difficile. Nel solco del campo, era freddo e buio. Frequentemente arrivava la pioggia, che faceva ancor più intirizzire Chicco. Si faceva forza, pensando alla bella spiga, gonfia di chicchi, che da lui sarebbe nata.
Una bella mattina di fine inverno, rallegrata da un solicchio che con i suoi raggi arrivava fino a fargli il solletico al naso, Chicco sentì che la buccia che lo avvolgeva si stava aprendo e da lui cominciava a germogliare una piccola piantina. Concentrò tutta la sua attenzione su quel germoglio, che ogni giorno di più si faceva posto fra la terra, finché un giorno arrivò a vedere la superficie: che spettacolo meraviglioso! Il campo era pieno di centinaia e centinaia di piantine che facevano capolino, vestite di un verdolino luminoso. Era spuntato il grano!
I giorni e le settimane passavano in fretta. Chicco e le altre piantine di grano crescevano quasi a vista d' occhio. Un giorno, in cima alla piantina ormai diventata grande, spuntò una piccola, meravigliosa spiga di grano, tenera e verdolina. Col passare del tempo, la spiga divenne sempre più robusta e gialla, piena di numerosi chicchi. Era pronta per essere mietuta.
Il grano fu raccolto, i chicchi separati dalla spiga, deposti a loro volta nei sacchi, portati al mulino e macinati. La farina era pronta per essere usata!
Un bravo fornaio ne acquistò vari sacchi, la impasto con l'acqua e il lievito, ne fece belle pagnotte, che una volta cotte nel forno, diventarono pane fragrante, pronto ad essere mangiato.
Si, i sacrifici di Chicco, erano serviti davvero a qualcosa: era diventato pane per saziare chi ha fame. Pane da condividere con tutti, come ogni altro bene che abbiamo ricevuto da Dio.
granopanesacrificioeucaristiadisponibilità
inviato da Don Ernesto Testi, inserito il 20/03/2017
RACCONTO
Ho capito esattamente come avrei voluto il mondo
quella volta in cui da piccolino
mia madre mi scrisse sulla mano
pane
e mi disse:
- Esci e torna solo quando avrai trovato quello che ti ho scritto sulla mano.
Facile, pensai. Vado fino al forno che è all'angolo della via e torno
Mentre camminavo vidi due vecchietti litigare tra loro
ma non mi fermai perché avevo troppa fretta di prendere il pane e tornare a casa
Arrivai nel negozio e chiesi del pane
la commessa abbastanza disturbata mi chiese che tipo e quanto
- Mica puoi venire fin qui ragazzì se non mi sai dire nemmeno quello che vuoi.
Tornai a casa quel primo giorno senza pane e molto triste
Mia madre sorrideva e io non capii.
Il secondo giorno mi disse:
- Adesso ci riproviamo
e mi scrisse di nuovo
pane
Inquieto nel voler risolvere la pratica, le stavo per chiedere cosa, quanto
Ma lei con voce amorevole aggiunse
- decidi tu -
Corsi al panificio e non mi accorsi della bella ragazza con i capelli biondi che piangeva triste all'angolo della via.
Quel giorno presi del pane a caso
Era decisamente troppo e non del tipo che mangiavamo noi di solito.
Così decisi di prendermi un giorno e fare il furbetto. La sera avrei osservato che tipo di pane mamma aveva preso e in che quantità, così finalmente sarei riuscito a portare a tavola il pane giusto.
Quel pomeriggio uscii e camminando per la solita strada vidi i due signori del primo giorno che mi fermarono e dissero che avevano fatto la pace dopo che mi avevano visto passare qualche giorno prima perché gli avevo ricordato il loro figlio da piccolino.
- Sai, ora è in missione di pace. Ma noi la chiamiamo guerra.
Poi vidi quella splendida ragazzina. Le sorrisi Lei sorrise a me. E ci fermammo a parlare
- Piangevo perché i miei nonni si stavano facendo la guerra.
- Non facevano la guerra, litigavano. - Le dissi
- Si comincia non capendo le piccole cose dell'altro che ti è tanto vicino e si continua facendo la guerra a chi non conosci solo perché non lo conosci ed è diverso da te.
Mi sembrò così grande in quel momento. Le chiesi se le andava di venire a cena da noi.
Lei mi disse.... sì.
La sera intorno alla mia tavola, apparecchiata in giardino come tutte le nostre sere d'estate, con la mia bellissima nuova amica e con il pane caldo che mamma aveva comprato mi sentivo finalmente felice.
Mamma mi sorrise e mi disse
- Finalmente sei tornato con quello che ti avevo chiesto -
Mi guardai la mano.
C'era scritto
Pace
non pane!
Sì. Ho capito esattamente come avrei voluto il mondo, quella sera d'estate.
inviato da Giulia Bella, inserito il 05/09/2016
ESPERIENZA
Tempo fa', sul far della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l'erba e i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente. Davanti al cancello, all'improvviso, appare la figura di una ragazzina. Chiaramente una Rom, una zingara: il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.
Con un italiano piuttosto stentato mi chiama e mi dice: "Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?".
Le rispondo:
- "Dove abiti?" (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso).
- "Là, vicino fiume Mella".
- "E di cosa vivi?".
- "Quello che mi danno".
- "Non vai a scuola?".
- "No, mai andata".
- "E i tuoi genitori cosa dicono?".
- "Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice: andare prendere qualcosa da mangiare. Mi dai pane vecchio?".
- "Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio. Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello", le dico mentre mi giro e faccio per entrare in casa.
- "Buono hai già dato".
Sono rimasto impietrito, come fulminato. Mi sono rigirato lentamente e l'ho guardata: stava sorridendo. Non so, non ho mai voluto pensare che quella frase fosse stata solo il frutto di un malriuscito tentativo di traduzione dal rumeno all'italiano di chissà quale espressione.
Nemmeno che quel suo sorriso fosse solo un modo, forse l'unico che conosceva, per dirmi la sua gioia nel vedere che il pane glielo avrei dato davvero. No. Ho pensato che quel parlare con lei, ascoltarla, sorriderle, fosse per lei, davvero, come spezzare insieme del pane fresco, del pane buono. "Me l'hai già dato, il pane buono: mi hai accolto, mi hai parlato, mi hai sorriso. Non ti sei girato dall'altra parte, non mi hai ignorato, né schernito, né evitato, né maltrattato, né violentato. Mi hai parlato".
Pane che nutre, non denti che divorano. Basta davvero così poco per sentirsi amati? E per essere fratelli, per essere cristiani? Sì. Ed Egle, mia sposa, mentre - entrato in casa - le racconto la vicenda, dice serenamente, quasi fosse la cosa più semplice e scontata di questo mondo: "Pane dei gesti che accolgono, pane delle parole che accarezzano. Pane di Gesù: è questo".
Pane fresco e buono, che non diventa mai vecchio perché prodotto nel cuore di chi crede in Colui che dice: "Io sono il pane della vita", e ci lascia un comandamento nuovo: "Amatevi come io vi ho amato".
Amare quella ragazzina cenciosa, spezzare il pane con lei e con tutti i cenci del mondo. Vivendo una vita nella solidarietà e nella comunione con tutti.
Sforzandoci di vivere così, di spezzare il pane così, allora Dio parla in noi; allora Dio parla con noi. Allora Dio spezza il pane e la parola tra noi: nei panni di una cenciosa ragazzina.
inviato da Ornella Zito, inserito il 24/06/2012
TESTO
Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, pagg. 34 e 36
Gli animali mangiano cibo crudo, senza prepararlo, ognuno per sé, ma noi uomini abbiamo inventato il mangiare insieme, la tavola, polo verso cui convergiamo ogni giorno. Ma cosa fa di un tavolo una tavola? Innanzi tutto il fatto di incontrarsi guardandosi in faccia, comunicando con il volto la gioia, la fatica, la sofferenza, la speranza che ciascuno porta dentro di se e desidera condividere. Sì, pranzare o cenare insieme non è mai anonimo: qualcosa dell'istante dell'evento si inscrive profondamente in noi e certi momenti pur effimeri assumono un profumo di eternità. Anche per questo nella tradizione cristiana antica prima di mangiare si diceva una preghiera, si pronunciava una benedizione. Questa tradizione serve all'uomo per dire grazie al Signore, per prendere consapevolezza di quello che sta davanti a noi sulla tavola e quindi respingere la tentazione di divorare quanto sta nel piatto.
Davvero la cucina e la tavola sono l'epifania dei rapporti e della comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità. Il cibo cucinato e condiviso - il pasto - è allora luogo di comunione, di incontro e di amicizia: se infatti mangiare significa conservare e incrementare la vita, preparare da mangiare per un altro significa testimoniargli il nostro desiderio che egli viva e condividere la mensa, testimonia la volontà di unire la propria vita a quella del commensale. Si, perché nella preparazione, nella condivisione e nell'assunzione del cibo si celebra il mistero della vita e chi ne è cosciente sa scorgere nel cibo approntato sulla tavola il culmine di una serie di atti di amore compiuti da parte di chi il cibo lo ha cucinato e offerto come dono all'amico. Far da mangiare per una persona amata, prepararle un pranzo o una cena è il modo più concreto e semplice per dirgli ti amo, perciò voglio che tu viva e viva bene, nella gioia!
inviato da La Perla Preziosa, inserito il 08/01/2011
RACCONTO
5. Il pane della fratellanza 3
Si racconta di una anziana contadina, di nome Giulia, che viveva in una fattoria con i suoi tre figli, Roberto, Michele e Francesco. Il marito le era morto durante la guerra. I tre figli, di cuore buono, erano però sempre pronti a litigare. Si volevano bene ma, bastava una parola in più ed erano litigi senza fine. A quel punto interveniva Mamma Giulia e ben presto i figli ritrovavano pace.
La mamma divento vecchia, allora i figli si preoccuparono: "Mamma, cerca di star sempre bene e di non morire, perché quando litighiamo chi rimetterà la pace fra noi?". "Ma io dovrò pur morire prima o poi", rispose la mamma. "Allora, chiesero i figli inventa qualcosa perché quando tu non ci sarai più noi potremo rifare pace e volerci bene".
Mamma Giulia pensò a lungo alla cosa e un giorno prese un foglio, vi scrisse come dovevano essere divisi i campi fra i tre figli e aggiunse alcune raccomandazioni perché andassero sempre d'accordo. La mamma un giorno si ammalò gravemente e dal suo letto chiamò i figli, consegnò loro il suo testamento, poi prese un pane, ne fece tre parti, ne diede una a ciascuno e raccomandò: "Mangiate e cercate di volervi bene". I figli, commossi, mangiarono il pane della mamma, bagnandolo con le loro lacrime. Di lì a pochi giorni Giulia morì.
Roberto, Michele e Francesco si divisero serenamente i campi e ognuno si mise a lavorare il suo. Ma un giorno Roberto e Michele scoprirono che il confine fra i loro campi non era chiaro. Ben presto si misero a litigare. Stavano per fare a botte, quando arrivò Francesco. Egli si mise in mezzo a loro: "Non ricordate la mamma? Perché non facciamo come quel giorno che ci ha chiamati al suo capezzale?". Presero un pane, ne fecero tre parti, ne presero una per ciascuno e si misero a mangiare. Mentre mangiavano nella mente di Roberto e Michele si riaccese l'immagine della mamma; il suo volto e le sue parole scendevano nel loro cuore come una medicina.
Scoppiarono in un pianto dirotto e fecero pace.
La pace non durava molto, perché occasioni di litigio ne incontravano spesso. Però avevano imparato la soluzione: ogni volta che si creava un'occasione per litigare, i tre fratelli si sedevano attorno ad un tavolo, prendevano un pane, lo mangiavano insieme; ben presto scompariva la rabbia e tornava la pace.
eucaristiapacericonciliazionelitigifraternitàfratellanzacomunionegenitorifiglifratelli
inserito il 20/05/2009
RACCONTO
6. Storia di un pezzo di pane 1
Quando l'anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l'eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all'angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo. Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò:
Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando. Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?
Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi. E quando l'amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata. "La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo", pensò il dottore.
La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata.
La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo. "Se questo pane c'è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l'ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi", disse il dottore. "Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. È un pane santo!".
Chi lo sa quante volte l'anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!.
I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa. Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita. Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo, lo aveva spezzato per amore.
paneeucaristiacomunionedonocondivisionesolidarietà
inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 17/05/2009
PREGHIERA
7. Ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno 1
Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato .Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei. E' perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te. Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: "Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla".
Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.
Grazie, perché obbligandoci a prendere atto Dei nostri bilanci deficitari, ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori. E che, se tu non custodisci la città, invano veglia il custode. E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi tu. Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento. Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione. Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.
Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell'efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.
Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno, esigono il nostro rendimento di grazie. Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni. Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna. Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri. Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall'amore che ci porti, che non ti regge l'animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere reverendi. Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché, al tuo sguardo, non c'è bancarotta che tenga. Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell'anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti. Spogliaci, Signore, d'ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime.
preghierarapporto con Diomisericordia di Diomagnanimitàfine annonuovo annocapodannoapostolato
inviato da Don Giosuè Lombardo, inserito il 28/06/2003
RACCONTO
C'era una volta... al catechismo
Com'era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla terra. E come sempre, erano pochi quelli che lo riconoscevano. Quel giorno passò davanti a una capanna dove un bambino stava piangendo. Si fermò e bussò alle porta. Uscì una donna con la faccia sofferente e disse:
- Cosa desidera, signore?
- Vengo ad aiutarti - rispose Dio.
- Aiutarmi? È molto difficile. Nessuno lo ha fatto, finora. Solo Dio potrebbe aiutarmi. Il mio bambino piange perché ha fame. Mi resta soltanto un pezzo di pane nell'armadio. Quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi.
Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male. Il suo volto diventò sofferente come quello della donna. E alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le sue guance.
- Nessuno ha voluto aiutarti, donna? - domandò Dio.
- Nessuno, Signore. Tutti mi hanno voltato le spalle - rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto. A guardarlo, sembrava povero come lei. Lo vide così mal messo, con una faccia così pallida, che pensò che stesse per svenire. Allora andò all'armadio, dove conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glielo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente, e guardandola negli occhi le disse:
- No, no, grazie. Tu ne hai più bisogno di me. Conservalo e dallo a tuo figlio. Domani ti arriverà il mio aiuto. Non smettere di fare agli altri quello che oggi hai fatto con me.
Detto questo, se ne andò. La donna non capì nulla, ma fu molto colpita da quello sguardo. Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l'ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa. L'armadio era pieno di pane. Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani prendesse, non finivano mai. In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era colui che aveva bussato alla sua porta. E da quel giorno non cessò più di fare agli altri quello che aveva fatto con lui: condividere il pane con i bisognosi.
condivisionesolidarietàaltruismopovertà
inviato da Patrizia Traverso, inserito il 19/02/2003