I tuoi ritagli preferiti

Tutti i ritagli

Indice alfabetico dei temi

Invia il tuo ritaglio

Hai cercato non vedere tra i ritagli lunghi

Hai trovato 123 ritagli

Ricerca avanzata
tipo
parole
tema
fonte/autore

Pagina 2 di 7  

RACCONTO

21. Ascolta l'eco della tua vita!

C'era una volta un ragazzo che viveva in un piccolo villaggio sulle montagne e ogni mattina conduceva al pascolo il suo gregge di capre.

Un mattino, mentre era su un sentiero nuovo in una valle stretta, gli sembrò di udire rumore di passi e belati di altri animali. Il ragazzo pensò che ci doveva essere nelle vicinanze un pastore come lui e ne fu felice: gli sarebbe tanto piaciuto avere un amico. Facendo imbuto con le mani davanti alla bocca, gridò: «Chi è là?». Udì una voce che gli rispondeva: «Chi è là? Chi è là? Chi è là?». Le grida venivano da più parti. C'erano tanti pastori sulla montagna? Allora gridò più forte: «Fatevi vedere!». Le voci risposero: «fatevi vedere! Fatevi vedere! Fatevi vedere!». Ma non apparve nessuno. Il ragazzo gridò ancora: «Perché non venite fuori?». Da tutte le direzioni le voci risposero «Venite fuori! Venite fuori!». Il giovane pastore pensò che volessero prenderlo in giro e si rattristò. Allora urlò in tono arrabbiato: «Chi fa così è proprio scemo!». Per tutta la montagna rimbombò: «Scemo! Scemo! Scemo!». Allora il povero pastore tornò in fretta al villaggio. Ora aveva paura a tornare sulla montagna: magari quei pastori avrebbe potuto tendergli un tranello e fargli del male!

Il giorno dopo la madre gli chiese: «Che cos'hai, figlio mio? Perché non vuoi portare le capre al pascolo?». Il ragazzo le raccontò tutto. La madre comprese che non c'era nessuno sulla montagna, soltanto l'eco rimandava al ragazzo le parole che lui stesso aveva gridato.

«Non ti preoccupare, figlio mio», gli disse «Quei pastori non ti vogliono fare alcun male. Hanno solo paura di te e vorrebbero amici. Domani, quando sarai tra le rocce, augura loro il buongiorno e aggiungi qualche frase amichevole! Sono sicura che te la ricambieranno».

Il giorno dopo, quando raggiunse la gola tra i monti, il ragazzo inspirò profondamente e gridò: «Buongiorno!». L'eco rispose: «Buongiorno! Buongiorno! Buongiorno!». Rassicurato, il giovane gridò ancora: «Vorrei essere vostro amico!». L'eco rimbalzo tra le rocce: «Amico! Amico! Amico!».

E' quasi una legge della vita.
Gli altri ti restituiscono sempre l'eco delle tue parole...

comunicazionecomportamentoparolepositivitànegativitàottimismopessimismorapporto con gli altrigentilezzavolgarità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 02/02/2016

ESPERIENZA

22. Voi non avrete il mio odio   5

Antoine Leiris

Antoine Leiris è un papà di un bambino di 17 mesi. Fino alle tragedie di Parigi accanto a sé aveva una donna che amava e, quel piccino, una mamma amorosa. Erano una famiglia. Ma non si piega al rancore questo papà francese e ai terroristi che hanno ucciso la moglie, una delle 129 vittime dell'altra sera, lui ha scritto una lettera, affidandola a facebook. Eccola:

Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l'amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardessi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L'ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d'attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo "petit garçon" vi farà l'affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio.

Clicca qui per vedere il post originale su Facebook
Clicca qui per vedere ed ascoltare il testo letto da Donato Intini

perdonoodioterrorismopaura

4.9/5 (9 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 19/11/2015

RACCONTO

23. Il più grande fabbro di spade del mondo   2

Efficacemente.com

Tanto, tanto tempo fa, in una terra lontana, viveva un fabbro di spade, conosciuto in tutto il mondo per la sua sublime capacità di forgiare il ferro e trasformarlo in spade eleganti e letali.

Un giorno, il racconto dell'incredibile abilità del fabbro di spade giunse a corte, ed il Re, affascinato da questa storia, volle incontrare quanto prima un suddito tanto dotato. I cavalieri del Re iniziarono a cercare il fabbro di spade in lungo ed in largo, setacciando l'intero regno, finché non lo trovarono in un piccolo villaggio vicino alle montagne. Di fronte all'invito del Re, il fabbro di spade non poté fare altro che accettare e, salutata la propria famiglia, seguì i cavalieri a corte.

Durante il loro primo incontro, il Re fu subito affascinato dall'umiltà e dalla gentilezza del fabbro di spade e decise di ricambiarla con altrettanta cortesia. Dopo una breve chiacchierata, il Re fece al fabbro di spade la domanda che poneva a tutti i grandi maestri ed esperti della sua corte: "Fabbro di spade, dimmi, qual è il tuo segreto? Come riesci a forgiare spade tanto belle?"

Il fabbro di spade, per nulla intimorito, rispose al proprio Re con reverenza, ma fermezza: "Sire, non esiste alcun segreto". Il Re sembrava perplesso, ma lasciò continuare il suo ospite. "Fin da quando ero bambino ho avuto l'opportunità di osservare, prima mio nonno e poi mio padre, lavorare il ferro."

Come catturato dall'estasi dei ricordi il fabbro di spade continuò il suo racconto. "Ben presto mi innamorai di questa arte che forgia elementi tanto potenti della natura: il ferro, il fuoco e l'acqua. Vedere nascere spade così eleganti dal ferro grezzo non solo affascinò la mia mente, ma catturò anche il mio cuore. Fu allora che, ancora bambino, decisi che sarei diventato il più grande fabbro di spade del mondo."

Il Re e tutta la corte continuarono ad ascoltare in silenzio l'umile artigiano. "Crescendo, lessi tutti il libri che furono scritti sull'arte della fabbricazione della spada ed imparai ogni tecnica sulla lavorazione del ferro. Non solo. Se un libro non conteneva la parola ‘spada', se una discussione non trattava della lavorazione del ferro, ed in generale, se un'attività non aveva nulla a che fare con le spade, semplicemente non sprecavo il mio tempo con essa. Credo che sia questo il segreto della mia eccellenza, Maestà."

impegnosuccessocostanzasacrificio

5.0/5 (2 voti)

inserito il 18/07/2015

TESTO

24. A coloro che non trovano pace

Tonino Bello

Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».

Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.

E mi sono ricordato dite, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.

L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.

Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.

Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.

Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.

Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.

Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».

E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.

Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.

A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.

A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.

Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.

O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.

Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

pacepace interioreinterioritàfelicitàgioiatristezzainquietudine

5.0/5 (6 voti)

inviato da Francesco De Luca, inserito il 16/06/2015

TESTO

25. Lavanda dei piedi, capovolgimento della vita (versione lunga)

don Primo Mazzolari, Scritti

«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)

Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire. «Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».

Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

«Gesù sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre»...

Per un cristiano non ci sono ore inconsapevoli; ogni ora segna il transito dal mondo al Padre, dal terrestre allo spirituale, dal parziale all'universale, dal temporale all'eterno.

Il distacco, che prepara il transito, non può avvenire che per un accrescimento d'amore, vale a dire nella luce della carità del Padre, che non conosce limiti. «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

Un «passaggio» o una «conversione» che diminuisse le affezioni naturali e ci sottraesse alle parziali emozioni che tali affetti giustamente ci comandano, non sarebbe un'ascensione.

Si sale verso il Padre, con cuore purificato, ma non separato. Il nostro vero patrimonio umano ce lo portiamo con noi per accrescerne il valore nella santità.

Niente ci deve impedire di portare «sino alla fine», nella pienezza della carità, i nostri vincoli umani: neanche la presenza del traditore, neanche la possibilità di piegare per altre vie le resistenze delle creature.

Proprio quando Gesù sa che «il diavolo aveva già messo in cuore» a Giuda Iscariota di tradirlo, quando ha la certezza che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che stava per ritornare a Dio «...si levò da tavola, depose le sue vesti e preso un asciugatoio, se ne cinse...».

Facendosi uomo aveva preso «la forma del servo». Ma nessuno se n'era accorto fino a quel momento, tanto era in alto il Maestro nella sua così comune umanità. Operava grandi miracoli, si trasfigurava sul monte, predicava con autorità mai vista, parlava come un profeta non aveva mai parlato.

Gli uomini avevano bisogno di vedere il servo, in una forma evidente, inequivocabile. L'amore ve l'avrebbe fissato per sempre e in un gesto che sfida le false grandezze e le false dignità create dal nostro orgoglio.

«Si levò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio se ne cinse. Poi mise dell'acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio».

Non ha cominciato né da Pietro né da Giovanni; forse da Giuda, per subito gustare l'estrema ripugnanza di servire l'inservibile, di amare l'inamabile.

Quando arriva a Pietro si sente dire: - Tu Signore, lavare i piedi a me? - Pietro misurava soltanto la propria miseria, e non poneva l'occhio sul mandato di carità che lo avrebbe impegnato come seguace di Cristo, per tutta la vita.

- Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo. Capiva il fatto dell'umiliazione, non capiva la lezione che il Maestro intendeva dargli attraverso il mistero dell'umiliazione. Pietro voleva aver parte con Cristo immaginando chi sa quali ricompense; per questo era disposto a farsi lavare anche le mani e il capo. Neanche il primo degli apostoli sapeva che l'unica condizione per aver parte con lui, è legata, più che a una lavanda materiale, alla continuazione di quella carità che il Cristo veniva istituendo con un atto quasi sacramentale.

«Come dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe riprese le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: - Capite quel che vi ho fatto?».

E poiché gli apostoli non capivano l'istituzione della carità, che doveva precedere di poco l'istituzione del sacramento della carità, il Maestro è costretto a continuare la lezione.

«Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io che sono il Signore e Maestro v'ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v'ho fatto io».

L'istituzione dell'eucaristia si chiude con parole quasi eguali: - Fate questo in memoria di me.

I cristiani di tutti i tempi hanno trovato più facile ripetere la presenza eucaristica della presenza della carità, dimenticando che non si può capire una mensa dalla quale, almeno uno, dietro l'esempio del Maestro, non si alzi per continuare nel mondo quella carità che è il fermento celeste del pane del mistero.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.

Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.

I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

Clicca qui per la versione breve.

lavanda dei piediservizioeucaristiagiovedì santo

inviato da Qumran, inserito il 09/06/2015

PREGHIERA

26. Preghiera di chi compie cinquant'anni

Se ci domandiamo come stiamo vivendo la vita non sempre il bilancio è dei migliori.
Per non lasciarsi fiaccare il cuore dal pensiero di ciò che non si è vissuto bene
è meglio dire: Grazie, Signore, per la vita.

Grazie per chi ce l'ha donata:
da quando siamo diventati genitori abbiamo imparato a scoprire con occhi nuovi l'umanità di nostro padre, di nostra madre.

Grazie per gli amici che la vita ci ha donato;
con alcuni ci siamo persi per strada, con tanti altri, invece, abbiamo imparato a donare, a chiedere e a gustare ciò che davvero conta.
Ti affidiamo quelli che sono già tornati da te: il loro ricordo è gratitudine di vita.

Grazie per la capacità di amare che hai posto nel nostro cuore:
ora che abbiamo cinquant'anni ci pare di capire con più consapevolezza cosa vuol dire amare una donna, un uomo.
Ti ringraziamo di cuore, per chi ci hai messo accanto:
i ragazzi che sono diventato nostri mariti, le ragazze che sono diventate nostre mogli.
Per quelli che tra noi sono stati feriti nell'amore, o che, nel tentativo di amare, hanno ferito qualcuno:
ti chiediamo il dono della consolazione, del perdono e della fiducia nella vita.

Grazie per il dono dei figli:
non li abbiamo scelti, ci sono arrivati così come sono.
Tu ci hai affidato a loro perché imparassimo a diventare genitori, a scoprire cosa vuol dire amare sul serio; ti li hai affidati a noi perché li aiutassimo a vivere in questo mondo da persone vere, libere, buone.
Manda nel nostro cuore il tuo amore così che in questa e in tutte le età della vita possiamo essere per loro una porta aperta, un incoraggiamento: il nostro esempio, più che le parole, li aiutino a stare con coraggio e verità nella vita quotidiana.

Grazie per il dono della fede e della comunità cristiana.
Perdona le incoerenza e le falsità; fa' che viviamo l'età della maturità senza l'orgoglio di chi crede di bastare a se stesso.
Donaci di vivere la fede nel modo dei tuoi amici che si avvicinavano a te per chiederti spiegazioni:
stando vicino a te le cose diventano più chiare, gli animi più trasparenti, i ricordi più sereni, le parole più vere, il presente un dono, gli incontri più significativi.

Grazie per il dono del nostro corpo e del grado di salute di cui godiamo:
aiutaci a stare dentro alla bellezza dei cinquant'anni senza la smania di apparire ciò che non siamo.
Donaci l'entusiasmo di chi sa vedere in ciò che è nuovo, diverso, inaspettato, in ogni giorno nuovo un'opportunità.
Togli da noi ogni paura, ciò che invecchia il cuore e ci rende pedanti.

Grazie, Signore per questa vita:
per questa e per tutte le età che vivremo donaci di saper sorridere, di non prenderci troppo sul serio ma aiutaci a trovare il senso buono di ciò che viviamo.

Benedici i nostri giorni, quanti portiamo nel cuore, le nostre famiglie, le nostre comunità.
Amen.

ringraziamentomaturitàvita

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Massimo De Francesci, inserito il 18/09/2014

PREGHIERA

27. Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete   1

Anna Maria Cànopi, Sergio Stevan, Oggi vengo a casa tua, Milano, Paoline, 2000, pagg.8-10

Che io sappia
di essere piccolo come Zaccheo,
Signore Gesù,
- piccolo di statura morale -
ma dammi un po' di fantasia
per trovare il modo
di alzarmi un poco da terra
spinto dal desiderio di vederti passare,
di conoscerti e di sapere chi sei tu per me.

Signore Gesù,
fa' che io mi riconosca
nel primo dei pubblicani, dei peccatori,
quanto al disonesto accumulare
tante cose di mio gusto,
tante false sicurezze;
fa' che io mi riconosca fra i pubblicani,
ma mettimi in cuore una sana inquietudine,
almeno un po' di curiosità
per cercare te!

Signore Gesù,
so che devi passare dalle mie parti,
dove sono io,
tu devi passare di qui: sei venuto apposta!
Ti prego, fammi trovare un albero,
fammi trovare qualcuno
che io ritenga più alto,
migliore di me,
per valermi della sua statura
e cercare di vedere te,
soprattutto per farmi vedere da te,
e sentirmi da te chiamare per nome.

Che stupore!
Come mi conosci? Chi ti ha parlato di me?
Signore Gesù, ti prego, dimmi che oggi
ti vuoi fermare da me in casa mia,
come ospite, come amico che non parte più.

Vieni, Signore Gesù,
a riempire di gioia la mia vita
liberandomi dal peso ingombrante
di ciò che sono
e di ciò che possiedo da solo.
Sì, soprattutto liberandomi
dal peso ingombrante
di ciò che sono - o che ritengo di essere -
e di ciò che egoisticamente possiedo.

Vieni a darmi l'entusiasmo di essere povero
nel cuore e ricco soltanto di te.
Io sono sicuro che mi ascolti,
perché sei già venuto a cercarmi,
e mi hai trovato come tesoro che era perduto;
mi hai riacquistato a prezzo di te stesso...
Tu per me hai fatto questo,
per me che nemmeno ti conoscevo.
Sono piccolo, meschino.

Signore Gesù, pastore grande, pastore buono,
sollevami sulle tue spalle per farmi vedere
anche il volto del Padre.
Che io sappia innalzarmi
soltanto facendomi sollevare da te
che per questo sei venuto:
per i piccoli che ti desiderano
e che ti protendono le braccia
per farsi sollevare da te
fino al cuore dell'eterno Padre
da cui sei venuto a rivelare l'infinito amore.

Allora ogni giorno vivrò con gioia
Il mio incontro con te
- la mia Pasqua - e sarò un continuo grazie,
un "amen-alleluia" senza fine.

GesùZaccheorapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 14/04/2014

RACCONTO

28. I due sassi   10

C'erano una volta due sassi di montagna, due fratelli che si erano staccati dalla parrete rocciosa e si erano trovati a terra insieme, vicino ad un ruscello. Un giorno decisero di seguire il corso del ruscello per scendere a valle e vedere la grande città. Così si misero di buon sasso... cioè, di buon passo, e rotola oggi, rotola domani, pian piano si dirigevano verso la città. Uno dei due sassi (il più furbo dei due) di tanto in tanto si tuffava nelle acque del ruscello, si fermava un po' a farsi carezzare dall'acqua, e poi riprendeva il cammino.

"Sbrigati!" gli gridava l'altro, il più sciocco dei due, "Non vedi che resti indietro? E poi, cosa ti fermi a fare nell'acqua?"

"Mi levo un po' di polvere di dosso!", rispondeva quello. "Che stupido che sei! Quando esci di qui, e hai fatto due rotolate sulla terra, sei di nuovo sporco come prima! A che ti serve lavarti, se poi ti sporchi ancora?".

Ma il sasso furbo non gli dava retta. Rotolava un po', poi si fermava, entrava nel ruscello e si faceva lavare. Po tornava sul prato e ricominciava a rotolare. E la cosa bella è che non rimaneva mai indietro! Sì, perché mentre il sasso sciocco, tutto spigoloso e appuntito, faceva una gran fatica a rotolare, e faceva pochi metri per volta, il sasso furbo diventava più rotondo ogni volta che entrava in acqua! Sapete perché? Perché l'acqua, scorrendoli tutta intorno, lo levigava, cioè gli levava ogni volta un po' di pietra di dosso, e lo consumava, così da renderlo liscio e tondo. Così, quando usciva dall'acqua, con poca fatica raggiungeva l'amico sciocco.

Andarono avanti così per un bel pezzo. E ogni volta che il sasso furbo usciva dall'acqua, si accorgeva di essere diventato un po' più piccolo. Entra oggi, entra domani, il sasso furbo stava rimpicciolendo. Il sasso sciocco, che non capiva, lo scherzava ancora di più: "Ecco che cosa ci guadagni a fare il bagno ogni giorno! Se vai avanti di questo passo, fra un po' non ci sarai più! Quell'acqua ti sta uccidendo, ti toglie le forze, e non sei più tu! Ma guardati! Siamo fratelli, figli della stessa montagna! Eravamo uguali, e ora? Tu non sei che un piccolo ciottolo di fiume! Io sì che assomiglio alla grande montagna! Guarda come sono forte!"

Ma un bel giorno, uscendo dall'acqua, il sasso furbo si accorse che ora risplendeva su di lui una strana luce. Era un puntino piccolo piccolo, ma luminoso come il sole. E ogni volta che riemergeva dall'acqua, il puntino luminoso era sempre più grande. Finché, adagio adagio, tutto il suo corpo aveva perduto il colore grigio ed era diventato completamente luminoso e dorato.

Erano ormai giunti in città; il sasso sciocco era identico a quando era partito. Anzi, era ancora più incrostato di polvere e di terra. Il sasso furbo era molto più piccolo, ma tondo e luminoso. Il sasso sciocco si lamentava:" Non capisco proprio che cosa ti abbia ridotto così! Sei mio fratello e quasi non ti riconosco! Ma cosa sei diventato?" (Però era invidioso di quel luccichìo...).

In quell'istante passò accanto a loro un signore con una valigetta in mano. Quando vide i due sassi, si fermò di colpo, si inginocchiò a terra, prese il sasso luminoso, aprì la valigetta e ne estrasse una lente. Osservò attraverso la lente quel piccolo ciottolo, e poi esclamò pieno di gioia: "Ma è una pepita d'oro!". Subito lo avvolse con cura in un panno morbido, lo mise nella valigetta e si incamminò verso il suo negozio in città. Era infatti un gioielliere..
...E... l'altro sasso?...

Rimase solo, vicino al fiume, e finalmente capì: "Che sciocco, sono stato... Ma sono ancora in tempo: mi tufferò nel fiume e mi lascerò levigare fino a che tutto il sasso e le incrostazioni si saranno consumate, e sarò anch'io una pepita d'oro...".

Domande per la comprensione e la catechesi:
1. Anche il sasso sciocco era una pepita? (Sì)
2. Perché il gioielliere ha preso solo il piccolo ciottolo? (Perché era dorato)
3. Perché l'altra pepita era ancora ricoperta di incrostazioni? (Perché non si era mai lavata)
4. Come ha fatto il primo sasso a diventare pepita? (Era entrato tante volte nell'acqua)
5. Cosa rappresenta il fiume? (La misericordia di Dio e il sacramento della Riconciliazione)

confessionericonciliazionecrescitacambiamentomiglioramento

4.5/5 (4 voti)

inviato da Maria Cristina Cattaneo, inserito il 14/04/2014

RACCONTO

29. La vecchia zia Ada   2

Gianni Rodari, Favole al telefono

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.

- Brava, così verranno le formiche, - dissero le altre due vecchine, stizzite.

Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.

- Ecco, - borbottarono le vecchine, - che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.

La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l'uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.

Dopo qualche tempo l'uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.

- Ci sono i vostri uccellini, - dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po' d'invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all'anice e intanto diceva:

- Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.

- Eh, - mormoravano le altre vecchine, - se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?

La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro: - Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.

E quando avevano finito di beccare il biscotto: - Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare.

Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po' matta, perché vecchia e povera com'era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.

Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva piú la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

vecchiaiagenitorifigligratuità

4.7/5 (12 voti)

inserito il 16/12/2012

RACCONTO

30. La strada che non andava da nessuna parte   5

Gianni Rodari

All'uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perché lo aveva chiesto un po' a tutti e da tutti aveva ricevuto la stessa risposta:
"Quella strada lì? Non va in nessun posto. E' inutile camminarci".
"E fin dove arriva?". "Non arriva da nessuna parte".
"Ma allora perché l'hanno fatta?". "Non l'ha fatta nessuno, è sempre stata lì".
"Ma nessuno è mai andato a vedere?". "Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c'è niente da vedere...".
"Non potete saperlo se non ci siete mai stati".

Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino-Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto. Quando fu abbastanza grande, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce e ben presto cominciarono i boschi.

Cammina cammina la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane. Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre Martino vide un castello e a un balcone una bellissima signora che salutava con la mano.

Spinse il cancello, attraversò il parco e sulla porta trovò la bellissima signora. Era bella, vestita come una principessa e in più era allegra e rideva: "Allora non ci hai creduto".
"A che cosa?". "Alla storia della strada che non andava da nessuna parte".
"Era troppo stupida e secondo me ci sono più posti che strade". "Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni ti farò vedere il castello".

C'erano più di cento saloni zeppi di tesori. C'erano diamanti, pietre preziose, oro, argento e ad ogni momento la bella signora diceva: "Prendi, prendi quello che vuoi... Ti presterò un carretto per portare il peso". Martino non si fece pregare e ripartì col carretto pieno.

In paese, dove l'avevano già dato per morto, Martino fu accolto con grande sorpresa.

Scaricato il tesoro il carro ripartì. Martino fece tanti regali a tutti e dovette raccontare cento volte la sua storia. Ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere cavallo e carretto e si precipitava giù per la strada che non andava da nessuna parte.

Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l'altro, con la faccia lunga per il dispetto: la strada per loro finiva in mezzo al bosco in un mare di spine. Non c'era né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova.

attesaricercasperanzaintraprendenzadisillusionecamminostrada

4.7/5 (7 voti)

inserito il 08/11/2012

RACCONTO

31. Le tre case   2

Bingo davvero, ed. Paoline

C'era una volta un uomo piccolo come la punta di un ago. Anzi, più piccolo ancora. Era piccolo, ma aveva una voglia matta di crescere! Pensa: dopo appena 15 giorni da quando aveva incominciato a vivere, era già 125 mila volte più grande. Incredibile!! Eppure proprio vero.

L'uomo abitava in una strana casa che girava per la città, correva, si piegava fino a terra; di notte, poi, si coricava e al mattino si alzava. La casa era interessante e tiepida, ma aveva un grande difetto: era tutta buia come un sacco chiuso. Là dentro non si poteva vedere niente: né formiche, né cavalli, né automobili.

"Basta, disse finalmente un giorno l'uomo, dopo nove mesi; basta: voglio uscire, voglio uscire...". Si mise a spingere...ed eccolo fuori! "Oh, finalmente posso correre, giocare, fare il bagno, nuotare...Altro che la casa di prima! Questa sì che è stupenda: qui c'è il sole, ci sono le piante, i fiori, la neve...".

Per ottant'anni l'uomo, tutte le mattine, alzava le braccia e diceva: "Che bella questa terra!". Era felice e contento. Però un giorno incominciò a diventare triste.

Vedeva che il sole tramontava e veniva la notte; le piante perdevano le foglie e diventavano brutte; i fiori diventavano fieno e la neve, fango. Allora si mise a sognare un'altra casa dove vi fossero tanti alberi verdi, i fiori rossi, la neve bianca e il sole splendente. Mentre pensava, morì. Tutti si misero a piangere..

Lui, invece, rideva! Vien da non credere, eppure lui rideva, rideva...

Sfido io! Appena morto, gli si spalancarono le porte di una casa dove c'erano cose che non ti puoi immaginare. Un Papà buono - un vero Amore! - lo abbracciò; una Mamma bella - una vera meraviglia! - lo baciò. Lo baciò e lo prese per mano: "Vieni a giocare con noi! Vedi, qui tutto è nuovo: la terra è nuova, le stelle sono nuove. Vieni!".

L'uomo non capiva più niente. "Ma non sono morto, io?". "No, no, gli gridarono milioni e milioni di voci: sei vivo, vivo per sempre!". Pazzo di gioia, l'uomo si mise a correre, a far capriole nei prati che non finivano mai, in mezzo ai fiori che non appassivano mai. "Qui son proprio a casa mia - gridava - a casa mia!".

Così finisce la storia delle tre case. Storia vera: storia mia e storia tua. Storia di tutti gli uomini che camminano su questa terra e, di tanto in tanto, guardano al cielo dove invece di piangere, tutti sono nella gioia accanto a Gesù, Maria e tutti i santi.

vitamortesantieternitàvita eternaparadisorinascerenascita

4.8/5 (6 voti)

inviato da Milena Pavan, inserito il 21/09/2012

TESTO

32. Lezione di vita   4

Francisco Candido Xavier

Che Dio non mi permetta di perdere il romanticismo,
anche sapendo che le rose non parlano...

Che Dio non mi permetta di perdere l'ottimismo,
anche sapendo che il futuro che ci aspetta non è tanto allegro...

Che io non perda la voglia di vivere,
anche sapendo che la vita è, in molti momenti, dolorosa...

Che io non perda la voglia di avere grandi amici,
anche sapendo che, con il giro del mondo, anche loro vanno via dalle nostre vite...

Che io non perda la voglia di aiutare le persone,
anche sapendo che molte di loro sono incapaci di vivere, di vedere, riconoscere e compensare questo aiuto...

Che io non perda la voglia di amare,
anche sapendo che la persona che io più amo può non provare lo stesso sentimento verso di me...

Che io non perda la luce e la lucentezza degli occhi,
anche sapendo che molte cose che vedrò nel mondo oscureranno i miei occhi...

Che io non perda la forza,
anche sapendo che la sconfitta e la perdita sono due avversari estremamente pericolosi...

Che io non perda la ragione,
anche sapendo che le tentazioni della vita sono molte e attraenti...

Che io non perda il sentimento di giustizia,
pur sapendo che il pregiudicato possa essere io stesso...

Che io non perda il mio abbraccio forte,
anche sapendo che un giorno le mie braccia saranno fiacche...

Che io non perda la bellezza e la gioia di vedere,
anche sapendo che molte lacrime scorreranno dai miei occhi e finiranno nella mia anima...

Che io non perda l'amore per la mia famiglia,
anche sapendo che molte volte essa mi chiederà degli sforzi incredibili per mantenere la sua armonia...

Che io non perda la voglia di essere grande,
anche sapendo che il mondo è piccolo...

E soprattutto...
Che io non dimentichi mai che Dio mi ama infinitamente,
che un piccolo grano di allegria e di speranza dentro ciascuno è capace di cambiare e trasformare qualsiasi cosa, poi...

La vita è costruita sui sogni
e realizzata nell'amore!

vitasenso della vitagratuitàgenerositàimpegnovitalitàsperanzaottimismoforzavoglia di vivere

4.3/5 (6 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 20/09/2012

ESPERIENZA

33. Aiutami a nascere   2

Tanino Minuta, Città nuova, n. 24, 2009

Gelida mattina d'inverno. Alla fermata attendo il bus 61. Dal cancello principale del cimitero che sta di fronte vedo uscire una vecchietta che cammina lentamente, appoggiandosi ricurva ad un malfermo bastoncino. Si avvicina alle strisce pedonali per attraversare. Ma una dopo l'altra le macchine le passano veloci davanti. Finalmente una macchina si ferma e la lascia camminare lentamente. Lei, giratasi, continua a guardare grata verso l'auto che l'ha lasciata passare.

Le vado incontro per aiutarla a salire il gradino del marciapiede. Dentro di me ribolle l'indignazione

per quanti non si sono fermati. Lei, offrendomi la mano per essere aiutata, guarda ancora la macchina, ormai lontana, che l'aveva fatta passare. Poi, con un sorriso di indicibile bellezza, mi chiede: «Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?».

Quando arriva il 61 l'aiuto a salire. In mezzo a tanti volti che sembrano delle casseforti sigillate, quella nonnina mi sembra sia il tesoro che il bus sta trasportando senza che nessuno lo sappia. La guardo ancora, sorpreso per la lezione che mi ha dato. Lei non ha tenuto conto di chi non si era fermato, ha visto soltanto chi le aveva permesso di passare. Non ha visto altro.

Le dico: «Come sarebbe diverso il mondo se vedessimo soltanto il bene e non il male». Interviene a questo punto un signore seduto vicino: «Allora sì che fallirebbero telegiornali e rotocalchi. Di cosa si nutrirebbe la politica? Veleno, veleno è l'unica risorsa di ogni potere. Soltanto la malvagità equilibra il mondo. Odio ci vuole, sempre di più. Sto andando a denunciare il mio vicino di casa che con le sue orge notturne non ci lascia dormire. Lui ci avvelena la vita e io l'unica cosa che posso fare è distruggerlo. E stavolta se la passerà male!».

La vecchietta lo guarda con materna comprensione; poi, fattasi seria: «Avevo un figlio, che ha vissuto forse come il suo vicino di casa. È morto a trentatrè anni per overdose. Tutte le mattine lo vado a salutare. Quando sono alla tomba mi sembra di rivederlo nella culla, piccolo, indifeso, bisognoso di tutta la mia protezione. Ormai nulla può fargli male, eppure è come se mi chiedesse di proteggerlo ancora. L'unica cosa che posso fare è continuare a difenderlo.

«L'unico figlio. Mio marito ed io abbiamo lavorato duramente per assicurargli una vita migliore della nostra. Ma è stato più infelice di noi. Amicizie sbagliate. Per un ragazzo buono e pulito come lui la scivolata è stata veloce. Per anni non abbiamo saputo dov'era. Poi, attraverso un suo vecchio amico, siamo venuti a sapere che gironzolava come un barbone alla periferia della città. Mio marito è riuscito a trovarlo. Era irriconoscibile. Sembrava più vecchio del padre. Ha accettato di essere curato. In ospedale si comportava come un animale ferito. Parlava poco, lui che era un brillante intrattenitore delle feste.

«Un giorno mi ha detto: "Non c'è cosa peggiore per un uomo che sapere di essere inutile. Niente è più soffocante dell'inutilità". Non serviva ripetergli che per noi era importante. Era come se in lui fosse bruciata la radice della vita.

«Uscito dall'ospedale è sparito, senza dirci niente, come la prima volta. Mio marito è morto di crepacuore. Io avevo speranza.

«Quando sono venuti a dirmi che l'avevano trovato morto, si è chiusa la speranza. Chissà da quanto tempo era morto. Non me l'hanno fatto mai vedere. Nella sua giacca, hanno trovato delle frasi scritte su carta da sigarette o droga, la grafia era la sua: "La vita non mantiene mai le sue promesse. Se tu esistessi, faresti giustizia. Il male ha tutti i poteri. Tu non sei mai nato su questa Terra. Se ci fossi, ti chiederei di ricrearmi".

«Povero figlio mio, chissà che dolori ha provato! Il nostro amore non è bastato! Si apriva davanti a me la strada della disperazione, oppure... rigenerare mio figlio. Per amore di lui ho cominciato a vivere per gli altri e non per me. Ciò mi ha aiutato a rinascere e a rigenerare mio figlio. In qualche modo era come se Dio mi avesse affidato il compito di possedere un amore che non avevo mai avuto. Certo che senza la fede non ce l'avrei fatta. La fede ha delle risorse di forza che, quando meno te lo aspetti, si mostrano in tutta la loro potenza. Ora mio figlio palpita in me».

Il signore che le siede accanto, nonostante la sua statura, sembra diventato piccolo e insicuro. Come disorientato. Poi le chiede, quasi balbettando, se può fare qualche cosa per lei. La vecchietta, come se attendesse la richiesta, risponde veloce: «Il suo vicino potrebbe essere suo figlio che vuole essere ricreato!».

Soltanto il rumore del motore vibra nell'aria. Quando lei si alza per dirigersi alla fermata, il signore l'accompagna. Mi salutano tutti e due. Scende anche lui. Il palazzo dove prima aveva detto di essere diretto non era da quelle parti. Mentre il bus si allontana vedo sul marciapiede quel grande uomo che offre il braccio alla vecchietta. L'atmosfera di Natale colora la città e abbraccia il bus, le macchine, la gente.

«Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?», echeggia in me la piccola voce di una fragile donna quasi piegata su un bastoncino instabile. Mi guardo in giro. La gente chiusa nei cappotti e nei cuori è fragile e indifesa. La commozione è forte.

È come se ogni sguardo spento mi stia implorando: «Aiutami a nascere, fammi da madre!».

amorevitabontàpositivitàrinasceresperanzasenso della vita

4.7/5 (6 voti)

inviato da Fernanda Plomitallo, inserito il 12/08/2012

TESTO

34. Introduzione alla Via Crucis

Don Angelo Saporiti, Riflessione sull'amore di Madre Teresa

Oggi fra la gente del mondo, Gesù vive la propria passione.
La Via Crucis si ripete oggi come duemila anni fa nei giovani, nei sofferenti, negli affamati, nelle persone malate e portatrici di handicap.
Noi oggi siamo qui per vivere la Via Crucis di Gesù.
La Via Crucis è fatta di stazioni.
Stazione significa "sosta" "fermata".
Significa per noi "esserci", stare lì vicino a quella situazione, a quella persona, a quella sofferenza...
Vivere la Via Crucis significa esserci.
E allora noi siamo lì?
Siamo lì in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame?
Siamo lì con quel bambino?
Siamo lì con quelle migliaia di persone che ogni giorno muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione, di giustizia...
Siamo lì?
Siamo lì quando i nostri giovani cadono, come Gesù è caduto più volte per noi?
Siamo lì come era lì Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la loro fatica, la loro delusione, la loro depressione?
Siamo lì con gli alcolizzati, i senzatetto, i senza lavoro, i senza famiglia, i vecchi, gli esclusi...
Queste sono alcune stazioni della Via Crucis.
Le altre sono dentro di noi. Le conosciamo bene:
sono il nostro rapporto difficile con il marito, la moglie,
i nostri conflitti con i figli adolescenti,
le nostre incomprensioni con i parenti,
le nostre liti con i vicini,
i nostri volti duri con gli amici,
i nostri preconcetti con i compagni,
il nostro disimpegno sociale e cristiano,
il nostro correre tutta la giornata senza avere un orientamento,
le nostre scuse per non trovare mai il tempo per pregare, per stare un po' in silenzio, per meditare, per conoscere meglio Gesù, per incontralo...
Non possiamo far finta di non vedere queste stazioni della nostra Via Crucis.
La Via Crucis è una via di consapevolezza del mio peccato personale e una presa di coscienza del nostro peccato sociale, come comunità civile e come Chiesa.
Iniziamo ad andare dietro a Gesù sulla via dolorosa.
Precorriamo la Via Crucis, passo dopo passo, con consapevolezza, con lucidità, con coscienza, con trasparenza. Lasciamoci andare all'amore di Dio.
Chiediamo a Gesù il dono delle lacrime e il dono del cambiamento della nostra vita.
Gesù è morto per noi per dirci che non c'è amore più grande di quello che dona la vita.
Lui ci darà la forza, perché Gesù è la nostra forza!

Via Crucissolidarietà

4.0/5 (2 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 05/08/2012

RACCONTO

35. Il cinghiale e la formica   2

Le grida si sentivano sino al limitare della foresta. C'era pure una musica assordante che infastidiva parecchio. Martina la formica decise che ne aveva abbastanza e chiese il permesso di smettere di lavorare per andare a vedere che cosa stava succedendo.

Non fu difficile per lei capire da dove proveniva tutto quel rumore e anche indovinare chi poteva esserne il responsabile. Grugno, il cinghiale nero più arrogante del Bosco, stava festeggiando il suo compleanno con altri animali di cui, stando a quanto riferiva la Talpa Cesira - nota ai più per essere sempre la prima a sapere tutte le novità - era meglio diffidare. Spiedini, avanzi di cibo e bottiglie di bibite erano rovesciati ovunque.

"Ma come ti permetti di fare tutto questo baccano!" urlò la piccola formica con tutto il fiato che aveva in gola. Grugno, infastidito da quella brusca interruzione, alzò un sopracciglio con fare superiore e ringhiò: "Piccolo, insignificante animale che non sei altro! Come osi interrompere la MIA festa! Non vedi che ho ospiti? Io non ho bisogno del permesso di nessuno per divertirmi", e così dicendo scagliò con una zampa una lattina vuota verso Martina. La formichina la scansò per un pelo e rispose "Tu non hai rispetto per niente e nessuno ma ricorda che un po' di umiltà sta bene anche in casa degli animali più grossi!" e così dicendo se ne andò imprecando a bassa voce.

Passò il tempo, Martina continuò a lavorare incessantemente con le sue colleghe per garantirsi un inverno abbondante di cibo. Un giorno venne a sapere (sempre dalla solita Cesira la Talpa) che Grugno, durante una delle sue scorribande, si era rotto una zampa. Il cinghiale si diceva fosse a letto, solo e impossibilitato a procurarsi il cibo, e data la scarsa simpatia che nutriva tra gli animali del Bosco, non c'era da meravigliarsi che nessuno fosse andato a trovarlo.

Martina pensò e ripensò, e infine decise di preparare una bella teglia di maccheroni e di portarla  a Grugno. Lo trovò mesto, dimesso e nei suoi occhi tutta la superbia era sparita. Non appena si accorse della formichina una lacrima scese silenziosa sulle sue ispide guance: "Io - cominciò - non sono cattivo. Volevo dimostrare a tutti di essere il più forte e il più importante fra gli animali del Bosco. Ho mancato di rispetto a te, Martina, e a tutti gli altri e ti chiedo scusa".

"Non solo ci hai deriso e trattato male - replicò la formica - ma durante tutte quelle feste che hai fatto hai sprecato un sacco di cibo che ti sarebbe potuto tornare utile in questo momento. Ora mangia, rimettiti in forma e spero che questa lezione ti sia servita a qualcosa". E così dicendo pensò di averlo redarguito abbastanza e con un mezzo sorriso gli porse la teglia, certa che a volte la vita insegna più di mille discorsi.

rispettoperdonoarroganzadebolezza

3.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 24/06/2012

ESPERIENZA

36. Il pane buono   2

Tempo fa', sul far della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l'erba e i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente. Davanti al cancello, all'improvviso, appare la figura di una ragazzina. Chiaramente una Rom, una zingara: il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.

Con un italiano piuttosto stentato mi chiama e mi dice: "Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?".
Le rispondo:
- "Dove abiti?" (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso).
- "Là, vicino fiume Mella".
- "E di cosa vivi?".
- "Quello che mi danno".
- "Non vai a scuola?".
- "No, mai andata".
- "E i tuoi genitori cosa dicono?".
- "Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice: andare prendere qualcosa da mangiare. Mi dai pane vecchio?".
- "Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio. Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello", le dico mentre mi giro e faccio per entrare in casa.
- "Buono hai già dato".

Sono rimasto impietrito, come fulminato. Mi sono rigirato lentamente e l'ho guardata: stava sorridendo. Non so, non ho mai voluto pensare che quella frase fosse stata solo il frutto di un malriuscito tentativo di traduzione dal rumeno all'italiano di chissà quale espressione.

Nemmeno che quel suo sorriso fosse solo un modo, forse l'unico che conosceva, per dirmi la sua gioia nel vedere che il pane glielo avrei dato davvero. No. Ho pensato che quel parlare con lei, ascoltarla, sorriderle, fosse per lei, davvero, come spezzare insieme del pane fresco, del pane buono. "Me l'hai già dato, il pane buono: mi hai accolto, mi hai parlato, mi hai sorriso. Non ti sei girato dall'altra parte, non mi hai ignorato, né schernito, né evitato, né maltrattato, né violentato. Mi hai parlato".

Pane che nutre, non denti che divorano. Basta davvero così poco per sentirsi amati? E per essere fratelli, per essere cristiani? Sì. Ed Egle, mia sposa, mentre - entrato in casa - le racconto la vicenda, dice serenamente, quasi fosse la cosa più semplice e scontata di questo mondo: "Pane dei gesti che accolgono, pane delle parole che accarezzano. Pane di Gesù: è questo".

Pane fresco e buono, che non diventa mai vecchio perché prodotto nel cuore di chi crede in Colui che dice: "Io sono il pane della vita", e ci lascia un comandamento nuovo: "Amatevi come io vi ho amato".

Amare quella ragazzina cenciosa, spezzare il pane con lei e con tutti i cenci del mondo. Vivendo una vita nella solidarietà e nella comunione con tutti.

Sforzandoci di vivere così, di spezzare il pane così, allora Dio parla in noi; allora Dio parla con noi. Allora Dio spezza il pane e la parola tra noi: nei panni di una cenciosa ragazzina.

condivisioneeucaristia

5.0/5 (6 voti)

inviato da Ornella Zito, inserito il 24/06/2012

TESTO

37. Ancora e ancora vita   5

Luisa Faillace, La mia vita e il Libro di Giobbe

Se il tempo quel giorno si fosse fermato io non avrei mai potuto vedere i miei migliori amici sposarsi: testimoniare di un amore che non ha confini umani.
Non avrei mai potuto scoprire che al mondo esistono uomini capaci di essere professionisti affermati e padri presenti per figli felici.
Non avrei mai potuto indossare quel tubino di raso turchese che a me piace tanto... con quelle scarpe così decisamente kitsch... e fare la smorfiosa felice per un giorno.
Non avrei mai potuto scoprire di essere capace di costruire per lavorare;
...capire che quando un figlio, un genitore, ma soprattutto un fratello ed un amico più ti allontana tanto più ha bisogno di te.
Se il tempo quel giorno si fosse fermato non avrei mai potuto far pace con me stessa e soprattutto con te...
...e pertanto non avrei mai scoperto com'è bello alzarsi e sentirsi leggeri e ascoltare ancora il battito del proprio cuore e sentirlo sorridere.
Se la morte quel giorno avesse preso il sopravvento sulla vita, sulla mia vita,
non avrei mai scoperto che possono esistere colleghi capaci di accoglierti senza remore e senza invidia,
aiutarti a formarti e "fare strada insieme" anche nella vita:
"Perché cosa rimarrebbe della Vita? E di noi?!".
...non avrei mai raccolto il frutto di speranze e preghiere taciute ma desiderate all'estremo.
Se quella macchina, la mia macchina, quel giorno fosse finita giù non avrei potuto abbracciare i nipotini dei miei migliori amici e constatare che davvero quando un bambino ti stringe tra le braccia diventi tu il suo mondo e loro il nostro.
...non avrei mai visto e sentito gridare forte con la rabbia, la disperazione il dolore, la devozione, la gioia, la felicità, la fede, l'Amore: W San Leone; affidarsi senza se e senza ma, ridere e sorridere con gente a me straniera ed amica per un giorno e... per la vita.
Non avrei goduto ancora delle meraviglie artistiche del mondo,
né di albe e tramonti che non torneranno più perché ognuno ha in sé quel ricordo.
Non avrei scoperto che la vita sa e può sorprenderti... per una nuova amicizia inaspettata, ritornata, costruita...
...per quelle debolezze di uomini e donne così apparentemente forti... e continuarli comunque senza remore ad amarli in silenzio perché soprattutto il silenzio è amore, è perdono, è speranza.
Era il 18 Febbraio di un anno fa', come due giorni fa...
...non sarei cresciuta, non sarei cambiata, non sarei rinata.
Se ti fermi a leggere queste parole allora ferma per un momento anche la tua vita:
perdona chi ti ha fatto del male,
chiedi perdono a chi tu hai fatto del male perché se non lo sai sei capace di perdonare e se lo sai che ne sei capace serve solo fare un passo più in là perché anche il perdono si costruisce;
sorridi ancora una volta, gioisci ancora una volta,
non passare indifferente tra la gente,
ascolta chi ti cerca e cerca chi ti evita,
domanda, chiedi, guarda negli occhi,
ama gratuitamente chi la vita ti fa incontrare per caso, per sbaglio,
ma sempre per un senso.
Ma soprattutto pensa costantemente che la vita può durare tanto
ma può durare anche solo un altro istante!
...e poi:
"Considera i cieli, e vedi!
Guarda le nuvole, come sono più in alto di te!".

vitasenso della vitainterioritàperdonoviverecogliere l'attimoimportanza delle piccole cose

3.0/5 (2 voti)

inviato da Luisa Faillace, inserito il 06/05/2012

TESTO

38. Davanti al cielo stellato   3

Antonietta Milella, Meditazione sul Salmo 8

Quando ti senti solo, quando ti senti abbandonato, quando ti senti messo da parte, quando pensi che nessuno si ricordi di te, affacciati alla finestra, alza gli occhi e guarda il cielo stellato. Quante luci riesci a vedere? Quante ne immagini nello spazio ristretto del tuo limitato orizzonte?

Pensa... ciò che vedi ha una profondità infinita, le luci che distingui sono nulla, gocce d'acqua nell'oceano del cielo profondo e sconfinato.

Pensa... ogni stella si muove secondo una legge per lei fissata dalla notte dei tempi, intorno a lei girano i pianeti, intorno ai pianeti i satelliti, ognuno con una precisione millimetrica, secondo un tempo che è stato dato ad ogni più piccolo essere come sua misura.

Moltiplica quelle luci, moltiplica quei movimenti, moltiplica il tuo piccolo quadro di cielo all'infinito, e... sei infinitamente distante dalla verità.

Pensa... dietro ad ognuna di quelle luci, dietro ad ogni impercettibile movimento, dietro ad ogni realtà percepita dall'uomo con i suoi strumenti imperfetti c'è qualcuno che quella realtà, quel movimento, la legge che lo regola li ha creati. Tanta perfezione, per cosa?

Guarda te ora... guarda i tuoi occhi capaci di comprendere e abbracciare ciò che è così tanto più grande di loro, guarda il tuo cuore, quel cuore che ora senti piagato e pensa...

Il tuo cuore ha in sé un'ansia infinita di amore, un desiderio infinito di assoluto, di Dio... ha un'ansia infinita di infinito. Eppure il cuore per quanto grande è piccolo rispetto al corpo che lo contiene! Eppure il cuore soffre più di qualsiasi altro organo, più di qualsiasi altra parte del corpo!

Pensa... le cose piccole capaci di cose grandi! Gli occhi, il cuore capaci di accogliere la più grande pena, ma anche la più grande manifestazione di amore, quella di Dio!

"Chi è l'uomo perché te ne curi, chi è l'uomo perché te ne ricordi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e onore lo hai coronato. Tutto hai messo ai suoi piedi".
Così recita un salmo.

Di fronte a quel cielo stellato ci sei tu, di fronte alla più grande meraviglia del Creato ci sei tu, piccolo, fragile, smarrito, turbato, ma ci sei.

Tu sei prezioso di più della più luminosa stella che riesci a vedere ad occhio nudo dalla tua finestra, sei prezioso perché Dio ha fatto tutto quello che ti sta davanti per te, perché potessi percepire un frammento della sua potenza, della sua grandezza, un frammento del suo amore.

Se ad ogni stella, ad ogni pianeta, ad ogni molecola, ad ogni atomo che sono inerti e senza vita ha dato il compito così grande di celebrare la sua gloria, quanto più grande è il progetto su di te, sull'uomo che si eleva su tutte le cose create e le domina con il suo pensiero!
Guarda lontano, guarda in alto; guarda ora dentro di te.

Scoprirai che quell'universo che ti sembra così irraggiungibile, così perfetto e misterioso, davanti ai tuoi occhi è dentro di te. E' un universo da esplorare, è un universo in cui troverai le risposte che cerchi, è l'universo delle emozioni e dei sentimenti che arricchiscono e illuminano il cielo sconfinato della tua anima.

Guarda, ma ad occhi chiusi: E vedrai dentro di te accendersi tante stelle luminose. Vedrai che nel buio più profondo, proprio come in quel cielo da cui tu ora hai distolto lo sguardo, spuntano fiori stupendi, che tu non ti eri accorto di avere piantato.

Fratello, nel tuo cuore Dio ha seminato ciò che vuole tu impari a guardare: vuole che tu nel tuo cuore riscopra l'amore con cui lui ti guarda, vuole che tu almeno una volta ti fidi di lui.

E' ansioso di manifestarti il suo progetto meraviglioso che ha in serbo per te, desidera che almeno una volta tu gli permetta di entrare per farsi conoscere più da vicino.

Vuole incontrarti non nel cielo infinito, ma nella tua pena, nella tua sofferenza, nella tua difficoltà di ogni giorno, nel tuo bisogno di amore non soddisfatto, per trasformarli in canto di gioia, in inno di lode a lui, che non ha smesso neanche un momento di occuparsi di te.

gratitudinericerca di sensoricercasenso della vitagrandezzapiccolezzaumanitàfiduciasperanza

3.5/5 (2 voti)

inviato da Antonietta Milella, inserito il 21/01/2012

ESPERIENZA

39. Grazie mamma e papà per non avermi abortito!   1

Elisa Bertoli, www.gingergeneration.it

Quando si discute di aborto, non ci si chiede mai cosa sceglierebbe il bimbo concepito. Intervistiamo Federica, 21 anni, venuta al mondo dopo che sua madre ha avuto il coraggio di non abortire.

Non ci si ricorda mai che, quando si discute di aborto, si parla prima di tutto di persone. Che magari sono talmente piccole da stare nel palmo di una mano, ma che, per citare il film "Juno", "hanno già le unghie". Loro in questi dibattiti non hanno voce, nonostante si discuta della loro vita e della loro morte. Ma provate a pensarci: cosa risponderebbe secondo voi un feto se gli si potesse chiedere di scegliere tra la venuta al mondo e la soppressione nel grembo della mamma? Secondo me vorrebbe nascere, nonostante tutto.
Tuttavia si sa che una mamma per il proprio bimbo desidera sempre il massimo, e il timore che egli non lo potrà avere, o la paura di non riuscire a portare avanti la gravidanza in una situazione che non è delle migliori, le impedisce di sentire una vocina che chiede semplicemente un po' di amore. E questo succede soprattutto se si sente sola e tutti, invece di aiutarla, le dicono che quella dell'aborto è "la soluzione più giusta, veloce e indolore" (non sanno queste persone che le donne in tanti casi ne portano il segno per tutta la vita). Ma ci sono anche mamme che, trovandosi in grandi difficoltà, riescono a chiedere aiuto e a vincere le proprie paure, perché si accorgono di non essere sole. E ci sono anche papà (già, perché dei papà non si parla mai!) che sono pronti a combattere con loro per avere la gioia di vedere finalmente quel bimbo. Sono grata a queste mamme (e a questi papà), perché, se una di loro non avesse avuto questo coraggio, anch'io non avrei mai potuto conoscere Federica!
Federica ha ventuno anni, abita sul Lago d'Orta. Studia informatica a Milano, svolge servizio civile presso la Croce Rossa Italiana, è animatrice in oratorio e per parecchie ore la settimana lavora in una pizzeria come cameriera. Ha due sorelle più grandi: Elena di ventisette anni e Maura di ventidue. Quando sua madre scoprì di essere in dolce attesa per la terza volta, non passava un momento facile: assieme al marito correva continuamente da un ospedale all'altro per far curare Elena, molto spesso malata, e al tempo stesso doveva accudire Maura, di soli otto mesi.

Come ha reagito tua madre alla notizia?
Aveva molta paura: Elena non stava ancora bene e Maura era molto piccola. Inoltre le condizioni economiche non erano delle migliori, lei aveva appena ripreso a lavorare dopo la seconda maternità... Insomma, una paura dietro l'altra!

Così ha pensato di abortire?
Sì, ha cominciato a tener presente la possibilità di abortire.

E come hanno reagito alla notizia invece tuo padre, i familiari, gli amici? Cosa le consigliavano?
Le persone esterne alla famiglia che le erano accanto le consigliavano di abortire, "tanto è solo una goccia di sangue". Mia madre nel frattempo macinava tutto questo dentro di sé senza parlarne con mio padre, senza sapere quindi cosa ne pensasse. Un giorno però il ginecologo le ha detto che era ora di prendere una decisione e così, capendo che non poteva decidere da sola, ha preso il coraggio tra le mani e ne ha parlato con lui. La risposta è stata decisa: le ha detto subito che non era proprio il caso di abortire. Anche perché erano cattolici praticanti e le ha chiesto con quale coraggio, commettendo un tale gesto, avrebbero poi potuto ancora andare in chiesa e ricevere l'Eucaristia.

Così il supporto di tuo padre è stato fondamentale per lei?
Sì, mio padre le ha assicurato che si sarebbero fatti forza a vicenda e che sarebbero andati avanti comunque. Mia madre ha capito allora che il sostegno del compagno nella coppia è fondamentale e che non sempre le persone che ci stanno vicino ci consigliano ciò che è meglio per noi... Ed eccomi qui!

E tu, quanto sei grata loro per aver avuto il coraggio di accogliere la tua vita, nonostante tutto?
Moltissimo! Ora posso dire di essere molto fortunata: sono cresciuta in una bella famiglia, mi sono stati insegnati valori importanti. E poi i miei genitori mi hanno fatto capire che la famiglia è il dono più grande e che bisogna rispettare la vita: essa non è "solo una goccia di sangue".

Quanto le difficoltà familiari si sono fatte sentire nella tua vita? Ti è mai mancato qualcosa?
Non mi hanno mai fatto mancare nulla. Certo, magari non avevo i pantaloni o la maglia firmati, ma l'amore e la gioia che mi donavano i miei genitori e che mi donano tuttora mi rendono molto più ricca. Non mi sono mai sentita una figlia non voluta: ho sempre ricevuto tanto amore sia dalle mie sorelle sia dai miei genitori.

Alla luce della tua esperienza, cosa ti senti di dire alle ragazze che si trovano ora in una situazione simile a quella vissuta da tua madre?
Alle ragazze che stanno pensando di abortire, vorrei dire che questa non è l'unica soluzione, che dentro di loro c'è una vita e che non hanno il diritto di buttarla via, perché è stata donata loro con amore, è stata generata da amore. Ragazze, oggi ci sono tante associazioni che aiutano le giovani mamme in difficoltà, ci sono tante persone che vogliono solo aiutarvi, provate ad ascoltarle! E poi ci sono anche molte famiglie che cercano un figlio con fatica senza riuscirci. Pensate a loro, e pensate se qualcuno decidesse della vostra vita senza chiedervi un parere, non credo vi piacerebbe!

abortocoraggiomaternitàpaternitàfamigliavita

4.5/5 (2 voti)

inviato da Elisa Bertoli, inserito il 10/07/2011

RACCONTO

40. Il principe felice   2

Oscar Wilde

Alta sopra la città, su una lunga, esile colonna sporgeva la statua del Principe Felice. Era tutto dorato di sottili foglie d'oro fino, i suoi occhi erano due lucenti zaffiri, e un grande rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada.

Tutti lo ammiravano. "E' bello come una banderuola" osservò un giorno uno degli assessori di città che ambiva farsi una reputazione d'uomo di gusto; "però è meno utile" si affrettò a soggiungere, per timore che la gente lo giudicasse privo di senso pratico, cosa che egli non era affatto.
"Perché non sai comportarti come il Principe Felice?" chiese una madre piena di buon senso al suo bambino che piangeva perché voleva la luna. "Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nulla".
"Sono contento che a questo mondo ci sia qualcuno veramente felice" borbottò un uomo disilluso ammirando la splendida statua.
"Assomiglia a un angelo" dissero i Trovatelli uscendo dalla cattedrale nei loro lucenti mantelli scarlatti e nei loro lindi grembiulini candidi.
"Come fate a dire questo?" osservò il professore di matematica, "se non ne avete mai veduti!"
"Oh, si, che ne abbiamo visti, nei nostri sogni!" risposero i bambini, e il professore di matematica aggrottò la fronte e fece la faccia scura, perché non trovava giusto che i bambini sognassero.

Una sera volò sulla città un Rondinotto. I suoi amici se n'erano andati in Egitto sei settimane innanzi, ma egli era rimasto indietro perché si era innamorato di una bellissima Canna. L'aveva conosciuta al principio di primavera mentre volava giù per il fiume in caccia di una grossa falena gialla, ed era stato talmente attratto dalla sua vita sottile che si era fermato a parlarle.
"Vuoi che m'innamori di te?" le aveva chiesto il Rondinotto, cui piaceva venir subito al sodo, e la Canna gli aveva fatto un profondo inchino. Così egli le volò più volte intorno, sfiorando l'acqua con le ali, e increspandola di cerchi argentei. Questa fu la sua corte, e durò tutta l'estate.
"Proprio un attaccamento ridicolo," garrivano le altre Rondini, "E' senza un soldo, ma in compenso ha un sacco di parenti," e a dire il vero il fiume era zeppo di Canne.
Poi, non appena venne l'autunno, le Rondini volarono via tutte. Quando se ne furono andate il Rondinotto si sentì solo, e incominciò a stancarsi della sua bella.
"Non sa conversare" si disse, "e temo sia una civetta poiché seguita a frascheggiare col vento." E infatti, ogni volta che il vento spirava, la Canna si piegava con inchini graziosissimi.
"Riconosco che sei casalinga," prosegui il Rondinotto, "ma a me piace viaggiare e di conseguenza anche a mia moglie dovrebbero piacere i viaggi".
"Vuoi venir via con me?" le chiese infine, ma la Canna scosse la testa, era troppo affezionata alla sua casa. "Tu mi hai preso in giro!" gridò il Rondinotto. "Me ne vado alle Piramidi. Addio!" e volò via.
Volò tutto il giorno, e a sera giunse alla città.
"Dove alloggerò?" si disse. "Spero mi abbiano preparato dei festeggiamenti."
Ma poi notò la statua sull'alta colonna. "Andrò ad abitare lì," esclamò. "La posizione è bellissima, e ci si deve respirare dell'ottima aria fresca."

Così si posò proprio tra i piedi del Principe Felice.
"Ho una camera da letto tutta d'oro" mormorò sottovoce tra sé e sé, guardandosi attorno e preparandosi per la notte, ma giusto mentre stava mettendo la testa sotto l'ala gli cadde addosso una grossa goccia d'acqua.
"Che cosa strana!" esclamò. "In cielo non c'è neanche la più piccola nuvola, le stelle sono chiare e luminose, eppure piove. Il clima del Nord Europa è semplicemente spaventoso. Alla Canna la pioggia piaceva, ma questo era dovuto unicamente al suo egoismo".
In quella cadde un'altra goccia.
"A che serve una statua se non riesce a riparare dalla pioggia?" brontolò; "bisogna che mi cerchi un buon comignolo," e fece per volarsene via. Ma proprio mentre stava per aprire le ali una terza goccia cadde, ed egli allora alzò gli occhi e vide... ah, che cosa vide? Gli occhi del Principe Felice erano gonfi di lagrime, e lagrime rigavano le sue guance dorate. Il suo viso era così bello sotto la luce della luna che il piccolo Rondinotto si senti invadere da una profonda pietà.
"Chi sei?" chiese.
"Sono il Principe Felice".
"Perché piangi, allora? Mi hai inzuppato tutto."
"Quando ero vivo e avevo un cuore umano," rispose la statua, "non sapevo che cosa fossero le lagrime, perché abitavo nel Palazzo di Sans-Souci, dove al dolore non è permesso di entrare. Durante il giorno giocavo coi miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nella Grande Sala. Intorno al giardino correva un muro altissimo, ma mai io mi curai di sapere che cosa si stendesse al di là di esso, ogni cosa intorno a me era così bella! I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e se il piacere è felicità, io ero veramente felice. Così vissi, e così morii. E ora che sono morto mi hanno messo qui tanto in alto che adesso vedo tutta la bruttezza e tutta la miseria della mia città, e sebbene il mio cuore sia di piombo altro non mi resta che piangere".
"Come mai? Non è d'oro massiccio?" si chiese mentalmente il Rondinotto, perché era troppo educato per rivolgere ad alta voce domande di carattere personale.
"Lontano lontano," proseguì la statua con la sua dolce voce musicale, "lontano in una stradina c'è una povera casa. Una finestra di questa casa è aperta e attraverso vi vedo una donna seduta a un tavolo. Ha il viso magro e sciupato, e le sue mani sono rosse e ruvide e tutte bucherellate dall'ago, poiché fa la cucitrice. Sta ricamando passiflore su un abito di raso che la più bella tra le damigelle d'onore della Regina indosserà al prossimo ballo di Corte. In letto, in un angolo della stanza, il suo bambino giace ammalato. Ha la febbre e vorrebbe mangiare delle arance, ma sua madre non ha nulla da dargli, fuorché acqua di fiume, perciò il bambino piange. Rondinotto, piccolo Rondinotto, non gli porteresti il rubino che luccica sull'elsa della mia spada? I miei piedi sono attaccati a questo piedistallo e io non mi posso muovere".
"Sono aspettato in Egitto" rispose il Rondinotto. "I miei amici in questo momento volano sul Nilo, e discorrono con i grandi fiori di loto. Tra poco andranno a dormire nella tomba del gran Re, dove il Re stesso riposa nel suo sarcofago dipinto, avvolto in gialli lini e imbalsamato con aromi. Ha il collo adorno di una collana di giada verde pallida, e le sue mani assomigliano a foglie avvizzite".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me per una notte soltanto, ed essere il mio messaggero? Il bambino ha tanta sete, e la madre è così triste!"
"Non credo che mi piacciano i bambini" replicò il Rondinotto. "L'estate scorsa, quando stavo sul fiume, c'erano due ragazzi maleducati, i due figliuoli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Naturalmente non mi hanno mai preso, si capisce: noi rondini voliamo troppo bene per lasciarci colpire, e del resto io vengo da una famiglia famosa per la sua agilità; comunque però era una grave mancanza di rispetto".
Ma il Principe Felice aveva un viso così doloroso che il Rondinotto ne provò pena. "Qui fa molto freddo" disse, "ma per farti piacere resterò ancora una notte e sarò tuo messaggero".
"Grazie, piccolo Rondinotto" disse il Principe.

Così il Rondinotto colse il grande rubino che ornava la spada del Principe e volò sopra i tetti della città, tenendo stretto il gioiello nel becco appuntito. Passò accanto alla torre della cattedrale, su cui erano scolpiti i grandi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e udì un suono di danze.
Una fanciulla bellissima si affacciò al balcone col suo innamorato. "Guarda che stelle meravigliose" egli le disse, "e come è meraviglioso il potere dell'amore! "
"Spero che il mio vestito sarà pronto per quando ci sarà il ballo di Stato" rispose la fanciulla. "Ho ordinato che sia ricamato a passiflore, ma le cucitrici sono talmente pigre! "
Passò sopra il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Passò sul Ghetto, e vide i vecchi Ebrei che contrattavano tra di loro, e pesavano il danaro su bilance di rame. E finalmente giunse alla povera casa e vi guardò dentro. Il bambino si agitava febbrilmente sul letto, mentre la madre si era addormentata: era tanto stanca! Saltellò nella stanza e posò il grosso rubino sul tavolo, accanto al ditale della donna. Poi volò piano attorno al letto, e accarezzò con le sue ali la fronte del piccolo, facendogli vento dolcemente.
"Come mi sento fresco!" disse il bambino. "Forse incomincio a star meglio" e si addormentò di un sonno tranquillo.
Allora il Rondinotto rivolò dal Principe Felice e gli raccontò quello che aveva fatto. "E' strano" osservò, "ma benché faccia un freddo cane adesso ho caldo."
"Perché hai compiuta una buona azione" gli disse il Principe.
Il piccolo Rondinotto incominciò a pensare, ma subito si addormentò: il pensare gli metteva sempre addosso un gran sonno.
Quando il giorno spuntò, volò giù al fiume e prese un bagno.
"Che fenomeno straordinario!" esclamò il Professore di Ornitologia che passava in quel momento sul ponte. "Una Rondine d'inverno!" E mandò al giornale locale una lunga lettera in proposito. Tutti la citarono: era costellata di un sacco di vocaboli che nessuno capiva.
"Questa sera parto per l'Egitto" disse il Rondinotto, e questa previsione lo mise di ottimo umore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase a lungo seduto in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano e bispigliavano tra di loro: "Che forestiero distinto!" Cosicché il Rondinotto si divertì un mondo.
Quando la luna sorse rivolò dal Principe Felice. "Hai qualche commissione da darmi per l'Egitto?" disse. Sono di partenza.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me ancora una notte?"
"In Egitto mi aspettano" rispose il Rondinotto. "Domani i miei amici voleranno fino alla Seconda Cateratta. Laggiù, tra i giunchi, se ne sta accovacciato l'ippopotamo, e su un grande trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli contempla le stelle, e quando risplende la stella del mattino proferisce un unico grido di gioia, e poi tace. A mezzogiorno i leoni fulvi scendono a bere all'orlo dell'acqua. Hanno occhi simili a verdi berilli, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "lontano lontano, dall'altra parte della città, vedo un giovane in una soffitta, appoggiato a una scrivania ingombra di carte, e in un boccale accanto a lui c'è un mazzolino di viole appassite. Ha i capelli bruni e crespi, le sue labbra sono rosse come una melagrana, e i suoi occhi sono grandi e sognanti. Sta sforzandosi di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per poter seguitare a scrivere. Non c'è fuoco nel suo camino, e la fame lo ha fatto svenire".
"Va bene, aspetterò presso di te un'altra notte" disse il Rondinotto, che aveva proprio un cuore d'oro. "Devo portargli un altro rubino?"
"Ahimé, non ho più rubini, ormai" disse il Principe, "tutto ciò che mi è rimasto sono i miei occhi, ma sono fatti di zaffiri rari, e furono portati dall'India più di mille anni fa. Strappane uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà legna da ardere, e finirà la sua commedia".
"Caro Principe" disse il Rondinotto, "io non posso fare questo"
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, piangendo, "ubbidiscimi, ti prego".
Così il Rondinotto strappò l'occhio del Principe e volò fino alla soffitta dello studente. Era facile entrarvi, perché nel tetto c'era un buco. Il Rondinotto vi sfrecciò attraverso, e penetrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato tra le mani, perciò non avvertì il frullio d'ali dell'uccello, e quando alzò gli occhi vide il bellissimo zaffiro adagiato in mezzo alle viole appassite.
"Incominciano ad apprezzarmi!" gridò; "certo me lo manda qualche grande ammiratore. Adesso potrò finalmente terminare la mia commedia!" Ed era tutto felice.
Il giorno dopo il Rondinotto volò giù al porto. Si posò sull'albero di una grossa nave e stette a osservare i marinai che a forza di funi calavano su dalla stiva pesanti casse. "Issa-oh! " si gridavan l'un l'altro a mano a mano che le casse salivano.
"Io vado in Egitto!" garrì il Rondinotto, ma nessuno gli badò, e quando spuntò la luna volò ancora una volta dal Principe Felice.
"Sono venuto a salutarti" gli disse.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi rimanere con me ancora per questa notte?"

"E' inverno ormai" rispose il Rondinotto, "e fra poco arriverà la fredda neve. In Egitto il sole è caldo sulle verdi palme, e i coccodrilli riposano nel fango e si guardano attorno con occhi pigri. I miei compagni stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosee e bianche li guardano, e tubano tra loro. Caro Principe, debbo lasciarti, ma non ti dimenticherò mai, e la prossima primavera ti porterò due gemme bellissime, al posto di quelle che tu hai regalate. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il vasto mare".
"Nella piazza qua sotto" disse il Principe Felice, "ci sta una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nella cunetta del marciapiedi, e si sono tutti bagnati. Suo padre la picchierà se non porterà a casa un po' di danaro, e perciò la piccola piange. Non ha né calze né scarpe, e la sua testolina è nuda. Strappa l'altro mio occhio e portaglielo, così suo padre non la batterà".
"Resterò con te ancora per questa notte" disse il Rondinotto, "ma non posso strapparti l'altro occhio. Rimarresti completamente cieco".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "fa' come ti dico".
Così il Rondinotto strappò l'altro occhio del Principe e sfrecciò giù nella piazza. Passò roteando accanto alla piccola fiammiferaia e le fece scivolare il gioiello nel palmo della mano.
"Che bel pezzettino di vetro!" esclamò la bambina, e corse a casa ridendo.
Poi il Rondinotto ritornò dal Principe. "Adesso sei cieco" disse, "perciò io resterò con te per sempre".
"No, piccolo Rondinotto" mormorò il povero Principe, "tu devi andare in Egitto".
"Resterò con te per sempre" ripetè il Rondinotto, e dormì ai piedi del Principe. Poi tutto il giorno seguente se ne stette appollaiato sulla spalla del Principe, e gli raccontò quello che aveva veduto in paesi lontani. Gli parlò dei rossi ibis, che sostano in lunghe file sulle rive del Nilo e col becco acchiappano pesciolini dorati; gli parlò della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa; gli parlò dei mercanti che viaggiano piano al fianco dei loro cammelli e recano tra le mani rosari d'ambra; gli parlò del Re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora un enorme cristallo; gli parlò del grande serpente verde che dorme in un palmizio ed è nutrito da venti sacerdoti con focacce di miele; gli parlò infine dei pigmei che veleggiano su un grande lago sopra larghe foglie piatte e sono sempre in guerra con le farfalle.
"Caro Rondinotto" disse il Principe, "tu mi parli di cose meravigliose, ma più meraviglioso di qualsiasi cosa è il dolore degli uomini e delle donne. Non vi è Mistero più grande della Miseria. Vola sulla mia città, piccolo Rondinotto, e raccontami quello che vedi".

Così il Rondinotto volò sopra la grande città, e vide i ricchi gozzovigliare nelle loro splendide dimore, mentre i poveri sedevano fuori, ai cancelli. Volò in bui vicoli, e vide i visi bianchi dei bambini affamati che fissavano con occhi assenti le strade oscure.
Sotto l'arcata di un ponte due ragazzini si stringevano l'uno all'altro cercando di riscaldarsi a vicenda.
"Che fame, abbiamo!" dicevano.
"Non potete dormire laggiù" gridò la guardia, e i due bambini si allontanarono sotto la pioggia.
Allora il Rondinotto tornò indietro e raccontò al Principe quello che aveva veduto.
"Sono tutto ricoperto d'oro fino" disse il Principe, "tu devi togliermelo di dosso, foglia per foglia, e darlo ai miei poveri: i vivi credono che l'oro possa renderli felici".
Il Rondinotto piluccò via foglia dopo foglia del fine oro, finché il Principe Felice divenne tutto opaco e grigio. Foglia per foglia del fine oro egli portò ai poveri, e le facce dei bambini si fecero più rosate, ed essi risero e giocarono giochi infantili nelle strade.
"Abbiamo pane, adesso! " gridavano.
Poi venne la neve, e dopo la neve venne il gelo. Le strade sembravano pavimentate d'argento, tanto erano lucide e scintillanti; lunghi ghiaccioli, simili a lame di cristallo, pendevano dalle gronde delle case; tutti giravano impellicciati e i ragazzini indossavano cappucci scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
Il povero piccolo Rondinotto aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe; gli voleva troppo bene. Raccoglieva briciole fuor dell'uscio del fornaio quando questi aveva la schiena voltata, e cercava di scaldarsi battendo le ali.
Ma alla fine capì che era prossimo a morire. Ebbe giusto la forza di volare un'ultima volta sulla spalla del Principe.
"Addio, caro Principe" mormorò, "mi permetti che ti baci la mano? "
"Sono contento che tu vada in Egitto, finalmente, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "sei rimasto qui anche troppo tempo, ma tu devi baciarmi sulle labbra, perché io ti amo".
"Non è in Egitto che io vado" disse il Rondinotto, "vado alla Casa della Morte. La Morte non è forse la sorella del Sonno?" E baciò il Principe Felice sulle labbra, e cadde morto ai suoi piedi.
In quel momento si udì nell'interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il fatto è che il cuore di piombo si era spaccato netto in due.

Certo faceva un freddo cane. Il mattino seguente per tempo il Sindaco andò a passeggiare nella piazza sottostante in compagnia degli Assessori. Nel passare dinnanzi alla colonna alzò gli occhi verso la statua:
"Dio mio! Com'è conciato il Principe Felice! " esclamò.
"Davvero! Com'è conciato! " esclamarono gli Assessori che ripetevano sempre quel che diceva il Sindaco, e andarono tutti su per vedere meglio.
"Gli è caduto il rubino dall'elsa della spada, gli occhi non ci sono più, e la doratura è scomparsa" disse il Sindaco, "insomma, sembra poco meno che un accattone!"
"Poco meno che un accattone" ripeterono in coro gli Assessori civici.
"E qui, ai piedi della statua, c'è persino un uccello morto! " proseguì il Sindaco. "Dobbiamo assolutamente emanare un'ordinanza che agli uccelli non sia permesso di morire qui!"
E lo Scrivano Pubblico prese appunti per la stesura del decreto.
Così tirarono giù la statua del Principe Felice.
"Dal momento che non è più bello non è nemmeno più utile" osservò il Professore di Belle Arti dell'Università.
Quindi fusero la statua in una fornace e il Sindaco indisse un'adunanza della Corporazione per decidere quel che si doveva fare del metallo.
"Dobbiamo costruire un'altra statua" disse, "e sarà la mia statua".
"La mia" ripeté ciascuno degli Assessori, e litigarono. L'ultima volta che ebbi loro notizie stavano ancora litigando.
"Che cosa curiosa! " disse il sorvegliante degli operai della fonderia. "Questo rotto cuore di piombo non vuole fondersi nella fornace. Bisogna che lo gettiamo via".
E lo gettarono infatti su un mucchio di spazzatura dove avevano buttato anche il Rondinotto morto.

"Portami le due cose più preziose che trovi nella città" disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
"Hai scelto bene" gli disse Dio, "poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d'oro il Principe Felice mi loderà".

amoresacrificiodonazionedonareamicizia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 06/05/2011

Pagina 2 di 7