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TESTO
21. La croce di Cristo, nostra salvezza
S. Teodoro Studita, Discorso sull'adorazione della croce; PG 99, 691-694, 695, 698-699
O dono preziosissimo della croce! Quale splendore appare alla vista! Tutta bellezza e tutta magnificenza. Albero meraviglioso all'occhio e al gusto e non immagine parziale di bene e di male come quello dell'Eden.
E' un albero che dona la vita, non la morte, illumina e non ottenebra, apre l'udito al paradiso, non espelle da esso.
Su quel legno sale Cristo, come un re sul carro trionfale. Sconfigge il diavolo padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del tiranno. Su quel legno sale il Signore, come un valoroso combattente. Viene ferito in battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato. Ma con quel sangue guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso.
Prima venimmo uccisi dal legno, ora invece per il legno recuperiamo la vita. Prima fummo ingannati dal legno, ora invece con il legno scacciamo l'astuto serpente. Nuovi e straordinari mutamenti! Al posto della morte ci viene data la vita, invece della corruzione l'immortalità, invece del disonore la gloria.
Perciò non senza ragione esclama il santo Apostolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14).
Quella somma sapienza che fiorì dalla croce rese vana la superba sapienza del mondo e la sua arrogante stoltezza. I beni di ogni genere, che ci vennero dalla croce, hanno eliminato i germi della cattiveria e della malizia. All'inizio del mondo solo figure e segni premonitori di questo legno notificavano ed indicavano i grandi eventi del mondo. Stai attento, infatti tu, chiunque tu sia, che hai grande brama di conoscere. Noè non ha forse evitato per sé, per tutti i suoi familiari ed anche per il bestiame, la catastrofe del diluvio, decretata da Dio, in virtù di un piccolo legno? Pensa alla verga di Mosè. Non fu forse un simbolo della croce? Cambiò l'acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi, percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse poi le acque del mare al loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece coloro che erano il popolo legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne, simbolo della croce, che fiorì in un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo. Anche Abramo prefigurò la croce quando legò il figlio sulla catasta di legna.
La morte fu uccisa dalla croce e Adamo fu restituito alla vita. Della croce tutti gli apostoli si sono gloriati, ogni martire ne venne coronato, e ogni santo santificato. Con la croce abbiamo rivestito Cristo e ci siamo spogliati dell'uomo vecchio. Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore.
inviato da Anna Barbi, inserito il 02/10/2005
TESTO
Autori vari
Credo che l'uomo più grande esistito finora sulla terra sia Gesù Cristo, e che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto di più nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di lui, sia stato detto in contrasto con lui.
Elio Vittorini, scrittore
Gesù è la non violenza allo stato puro; è quella parte di noi che fa dono di sé e che si scontra con il negativo della vita. (...) Gesù evoca istantaneamente un' idea di fratellanza disarmata, di protesta pacifica contro ogni autoritarismo e volontà di sopraffazione. Forse per questo molti giovani oggi nel mondo sono portati a vedere in Gesù il fratello...
Nelo Risi, regista
Onestamente, non vi so dire chi sia per me Cristo, oggi. Per me è quello che era ieri, il più sublime caso di estremismo che io conosca.
Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista
Invece di cercare libri e pitture sul Nuovo Testamento, ho aperto il Vangelo e vi ho trovato non già la storia di una persona con i capelli divisi sulla fronte e con le mani congiunte in atto di preghiera, bensì un essere straordinario, dalle labbra tonanti e dai gesti bruschi e decisi che rovesciava tavole, cacciava demoni e passava col selvaggio mistero del vento dal mistero della montagna ad una paurosa demagogia. (...) La letteratura su Cristo è stata, e forse saggiamente, dolce e remissiva. Ma la parola di Gesù è stranamente gigantesca: piena di cammelli che saltano attraverso le crune degli aghi e di montagne scaraventate in mare.
G.K. Chesterton, scrittore
«L'immediatezza con la quale Gesù insegna, non ha paralleli nel giudaismo contemporaneo. ed essa è tale che egli osa perfino opporre alla lettura della legge la diretta e presente volontà di Dio».
«Ognuna delle scene narrate nei Vangeli descrive la straordinaria padronanza di Gesù nell'affrontare le diverse situazioni, a seconda dei tipi di persone che incontra».
«Il suo modo di comportarsi e il suo metodo vengono a trovarsi ogni volta in contrasto con quello che gli uomini si aspettano da lui e con ciò che dal loro punto di vista sperano per sé».
«Bisognerebbe una buona volta mettere vicini tutti i passi dei vangeli nei quali si parla di questo discernimento di Gesù, senza lasciarsi prendere dal timore che si tratti di un impegno meramente sentimentale».
«I vangeli chiamano questa manifesta immediatezza del potere sovrano di Gesù la sua "autorità"».
«L'aiuto che Gesù dà ha il carattere di una partecipazione genuina, che prende in mano con passione la situazione...».
«Essenziale è l'indissolubile connessione fra quanto è stato qui detto e il messaggio di Gesù intorno alla realtà di Dio, del suo Regno e della sua volontà... Rendere presente la realtà di Dio: ecco il mistero essenziale di Gesù».
G. Bornkamm, Gesù di Nazareth
inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004
RACCONTO
Bruno Ferrero, Nuove Storie, Ed. Elle Di Ci
Lontano, lontano da qui, in un mare dal nome strano, c'era una piccola isola, con le spiagge bianche e le colline verdi. Sull'isola c'era un castello e nel castello viveva un piccolo re. Era un re abbastanza strano, perché non aveva sudditi. Nemmeno uno.
Ogni mattina il piccolo re, dopo aver sbadigliato ed essersi stiracchiato, si lavava le orecchie e si spazzolava i denti; poi si calcava in testa la corona e cominciava la sua giornata. Se splendeva il sole, il piccolo re correva sulla spiaggia a fare sport. Era un grande sportivo. Deteneva infatti tutti i record del regno: da quello dei cento metri di corsa sulla sabbia, al lancio della pietra, a tutte le specialità di nuoto, eccetto lo sci acquatico, perché non trovava nessuno che guidasse il reale motoscafo. E dopo ogni gara, il re si premiava con la medaglia d'oro. Ne aveva ormai tre stanze piene.
Ogni volta che si appuntava la medaglia sul petto, si rispondeva con garbo: "Grazie, maestà!".
Nel castello c'era una biblioteca, e gli scaffali erano pieni di libri. Al re piacevano molto i fumetti d'avventure. Un po' meno le fiabe, perché nelle fiabe tutti i re avevano dei sudditi. "E io neanche uno!" si diceva il re. "Ma come dice il proverbio: è meglio essere soli che male accompagnati".
E quando faceva i compiti, si dava sempre dei bellissimi voti. "Con i complimenti di sua maestà", si dichiarava.
Una sera, però, sentì un certo nonsoché che lo rendeva malinconico; camminò fino alla spiaggia, deciso a cercare qualche suddito, e pensava: "Se solo avessi cento sudditi".
Allora proseguì sulla spiaggia verso destra, ma la riva era completamente deserta.
"Se solo avessi cinquanta sudditi", disse il re; tornò indietro e camminò sulla spiaggia verso sinistra fino a che poté, ma la riva era ugualmente deserta. Il re si sedette su uno scoglio ed era un po' triste; e di conseguenza non si accorse nemmeno che quella sera c'era un magnifico tramonto.
"Se solo avessi dieci sudditi, probabilmente sarei più felice".
Notò lontano sul mare alcuni pescatori sulle loro barche e si rallegrò.
"Sudditi", gridò il re; "sudditi, da questa parte, ecco il re, urrà!".
Ma i pescatori non lo sentirono, e tutto quel gridare rese rauco il re. Tornò a casa e scivolò sotto la sua bella trapunta colorata; si addormentò e sognò un milione di sudditi che gridavano "urrà" nel momento in cui lo vedevano.
Non dormì a lungo. Un vociare forte e disordinato lo svegliò. Il piccolo re non aveva sudditi, ma aveva dei nemici accaniti. Erano i pirati del terribile Barbarossa.
Sembravano sbucare dall'orizzonte, con la loro nave irta di cannoni, con i loro baffi spioventi e il ghigno feroce, e i coltellacci fra i denti.
"All'arrembaggio!", gridava Barbarossa, il più feroce di tutti. E i trentotto pirati entravano urlando nel castello e facevano man bassa di tutto quello che trovavano. A forza di scorrerie, nel castello era rimasto ben poco di asportabile, così i pirati avevano preso l'abitudine di riportare qualcosa ogni volta per poterlo rubare nella scorreria successiva.
Il piccolo re aveva una paura tremenda dei pirati e soprattutto del crudele Barbarossa che ogni volta sbraitava: "Se prendo il re, lo appendo all'albero della nave!".
Così, quando sentiva arrivare i pirati, si nascondeva in uno dei tanti nascondigli segreti del castello. Dentro, rannicchiato nel buio, aspettava la partenza dei pirati. Era così da tanto tempo ormai, e il piccolo re non si sentiva affatto un fifone. "Se avessi un esercito", pensava, "Barbarossa e la sua ciurma non la passerebbero liscia".
Un mattino, il re si svegliò a un suono completamente nuovo. Lo ascoltò e si rese conto che non aveva mai udito un suono simile. "Forse sono arrivati i miei sudditi", pensò il re, e andò ad aprire la porta. Sul gradino della porta sedeva un enorme gatto arancione.
"Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono il gatto", disse il gatto.
"Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il gatto; "ho fame e ho freddo".
Il re lasciò entrare il gatto nella sua casa, e il gatto fece un giro intorno e vide quanto era grande e confortevole.
"Che bellissima casa hai".
"Sì, non è male", disse il re; e improvvisamente si accorse di tutte le cose che non aveva mai visto in molti anni.
"E' perché io sono il re", disse il re; ed era molto soddisfatto.
"Io resterò qui", decise il gatto, e si sistemò nella casa per vivere con il re; e il re fu felice perché ora aveva finalmente un suddito.
"Dammi del cibo", disse il gatto, e il re corse via immediatamente per andare a prendere cibo per il gatto.
"Fammi un letto", disse il gatto; e il re corse alla ricerca di una trapunta e di un cuscino.
"Ho freddo", disse il gatto; e il re accese un fuoco affinché il gatto potesse scaldarsi.
"Ecco fatto, signor Suddito", disse il re al gatto.
E il gatto rispose: "Grazie, signor Re".
E il re non notò neppure che, sebbene fosse il re, serviva il gatto.
Il tempo passava e il re era felice in compagnia del gatto, e il gatto mostrava al re ogni cosa che il re nella sua solitudine era riuscito a dimenticare: il tramonto, la rugiada del mattino, le conchiglie colorate e la luna che scivolava attraverso il cielo come la barca dei pescatori sul mare.
Qualche volta accadeva al re di passare davanti a uno specchio, e quando vedeva la sua immagine diceva: "Il re, urrà". E si salutava. Non era più il campione assoluto dell'isola. Il gatto lo batteva nel salto in alto, in lungo e nell'arrampicata sugli alberi; ma il re continuava a eccellere nel nuoto e nel lancio della pietra.
Un mattino, il re sentì bussare alla porta del castello. Corse ad aprire, pensando: "Arrivano i sudditi". Si trovò davanti un piccoletto con la faccia allegra. Era un pinguino, con la camicia bianca e il frac di un bel nero lucente.
"Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono un pinguino", disse il pinguino.
"Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il pinguino; "ho fame e ho i piedi congelati. Sono stufo di abitare su un iceberg".
Il re lasciò entrare il pinguino nella sua casa e gli presentò il gatto, che fu molto felice di fare conoscenza con il pinguino.
"Penso che mi fermerò qui con voi", disse il pinguino.
Il re ne fu felicissimo. Adesso aveva due sudditi. Corse a preparare una buona cenetta per il pinguino, mentre il gatto portava al nuovo ospite due soffici pantofole.
"Io farò il maggiordomo. Mi ci sento portato", dichiarò il pinguino. "Terrò in ordine il castello e servirò gli aperitivi in terrazza".
Così furono in tre a guardare i tramonti. Ed era ancora meglio che in due. Il re non vinceva più molte gare sportive, perché il pinguino lo batteva a nuoto e nei tuffi. Scoprì, sorprendentemente, che si può essere contenti anche se non si vince sempre.
Ma una sera, lontano all'orizzonte, apparve la nave del pirata Barbarossa.
"Presto scappiamo a nasconderci", gridò il re.
"Neanche per sogno", disse il gatto. "Siamo in tre e possiamo battere quei prepotenti".
"Certo", ribatté il pinguino. "Basta avere un piano".
"Nell'armeria del castello c'è l'armatura del gigante Latus", disse il re.
"Bene", disse il gatto. "Ci infileremo nell'armatura e affronteremo i pirati".
"Il gatto si metterà sulle mie spalle, e il re sul gatto, così potrà brandire la spada", continuò il pinguino.
"Approvo il piano", concluse il re.
Così fecero. Quando approdarono alla spiaggia, i pirati rimasero paralizzati dalla sorpresa. Verso di loro, a grandi passi ondeggianti, avanzava un gigante che brandiva un enorme e minaccioso spadone. "E' tornato il gigante Latus!", gridarono. "Si salvi chi può!". E si buttarono in acqua per raggiungere la nave. Da allora nessuno li vide mai più.
Sulla spiaggia dell'isola il piccolo re, il gatto e il pinguino si abbracciarono ridendo. Poi il gatto e il pinguino sollevarono il re e lo gettarono in aria gridando: "Re è il migliore amico che c'è, urrà!".
inviato da Suor Lucia Brasca FMA, inserito il 27/07/2004
RACCONTO
C'era una volta un pesciolino che viveva in un piccolo laghetto. Lì era nato e lì si era svolta da sempre la sua vita di pesciolino. Conosceva benissimo quel laghetto. C'erano i suoi amichetti pesciolini, i suoi genitori, i suoi parenti. Era un po' come una piccola famiglia. Conosceva benissimo quel laghetto, i suoi confini, l'esatta profondità dell'acqua in ogni suo punto, le rocce, il fondo scuro e melmoso tipico di ogni laghetto. Riusciva a nuotare persino ad occhi chiusi. C'era una cosa sola che non conosceva, perché i suoi gli avevano sempre impedito di avvicinasi: una piccola fessura, stretta e buia. Chissà perché gli avevano sempre impedito di avvicinarsi, chissà perché tutti si tenevano a debita distanza da questa fessura.
Il nostro amico pesciolino cresceva e, piano piano, diventava grande, proprio come i suoi genitori. Con lui cresceva anche la sua voglia di nuotare, di guizzare da una parte all'altra, di saltare fuori dall'acqua... ma purtroppo in quel laghetto non c'era tanto spazio per fare tutto questo, si rischiava di urtarsi uno con l'altro, di dare fastidio ai piccolini, di smuovere troppo il fondo melmoso. Con lui cresceva anche la curiosità per quella fessura misteriosa, della quale mai nessuno gli aveva fornito spiegazioni.
Preso da un'irrefrenabile curiosità il nostro amico pesciolino ci si volle avvicinare. Vista da vicino non era poi così stretta, e poi in fondo ad essa si intravedeva qualcosa di misterioso, che non si riusciva ad identificare precisamente. Fu così che decise di passarvi in mezzo. "Mi butto", pensò, e così fece. Iniziò a nuotare velocemente, perché aveva paura e tutt'intorno il buio si era fatto più pesto. Le pareti sembravano circondarlo, era proprio difficile nuotare in quelle condizioni. Fu preso dallo sconforto e dalla paura, ora sì rimpiangeva il piccolo laghetto nel quale, sebbene con qualche difficoltà, riusciva a nuotare più liberamente. La fatica era diventata davvero tanta e il nostro amico pesciolino era quasi sul punto di tornare indietro. Ma non appena fece per girare le pinne, un piccolo bagliore azzurro gli apparve dal fondo del canale. Era un azzurro fortissimo, che non aveva mai visto prima di allora. Allora ritrovò le energie che sembrava aver perduto e ricominciò a nuotare deciso. L'azzurro si faceva via via più forte e la distanza diminuiva sempre più. "Un altro piccolo sforzo ed è fatta", pensò. Alla fine, quasi accecato da un azzurro intensissimo, il nostro amico pesciolino arrivò alla fine del canale che sfociava nel mare. Lì era tutto meraviglioso, neanche nei libri di scuola aveva mai visto una cosa così. Poteva nuotare quanto voleva da una parte all'altra senza mai trovare un confine, il colore dell'acqua era bellissimo e il fondo molto limpido. E poi c'erano dei pescioni giganteschi, enormi, e degli altri piccoli, piccoli, piccoli ma con dei colori stupefacenti. E poi c'erano un sacco di piante strane, animali bizzarri con le chele, conchiglie enormi, pesci lunghi e stretti, larghi e piatti, alcune cose strane che sembravano volare nell'acqua.. "E' troppo bello - pensò - devo assolutamente convincere tutti a venire qui! Altro che il nostro laghetto".
Così si buttò nuovamente nel canale e con una gran forza ed entusiasmo riuscì a tornare nel laghetto. Che strano, questa volta il tragitto gli era sembrato molto più facile.
"Presto! Presto! Statemi tutti a sentire! Ho attraversato il canale e ho scoperto dove porta!".
"Impossibile! - disse il pesce più vecchio - quella fessura porta alla morte. Nessuno ci deve entrare! Quei pochi che l'hanno oltrepassata non sono mai tornati indietro. Lo dicevo io che tu eri un pesce un po' troppo esuberante! Tornate ai vostri lavori e non dategli retta."
"Ma no! Fidatevi! Io ci sono già passato, il canale porta al mare. Con tutta la fantasia che avete non riuscireste mai ad immaginare di quale colore meraviglioso è l'acqua e quanti pesci ci sono, grandi, piccoli, colorati, e poi il mare è vasto, sconfinato, si può nuotare in ogni direzione senza darsi fastidio, il fondo è limpido e molto profondo, e poi c'è un profumo meraviglioso!".
Ma gli altri pesci, forti delle loro comode certezze, insicuri e paurosi, non vollero dargli retta. "Io sto bene qui", "In fondo non ci è mai mancato niente", dicevano e, ad uno ad uno, si allontanavano.
Fu così che il nostro amico pesciolino, amareggiato e deluso, ma non per questo sconfortato, decise di fare ritorno da solo al mare. "Quando tornerò qui - pensava tra sé e sé, insieme ai pesci del mare mi crederanno!". Arrivato al mare cominciò a fare un sacco di nuove amicizie e a raccontare a tutti la sua storia. Gli rimanevano solo alcuni interrogativi ai quali non riusciva a dare risposta: dov'erano finiti i pesci che si erano avventurati precedentemente per il canale? da quali altri laghetti provenivano i pesci del mare? e perché adesso le sue squame, che nel laghetto gli erano sembrate sempre grigie e opache, sembravano brillare di una luce nuova?
realizzazionecoraggioabbandonoabbandono in Dio
inviato da Emanuele Meconcelli, inserito il 12/08/2003
TESTO
Solo lo sciocco percorre correndo il cammino della vita,
senza soffermarsi ad osservare le bellezze del creato.
Senza soffermarsi a gustare la grandezza del creato.
Sto cercando Dio,
e non lo riesco a trovare in chiese o moschee;
in libri scritti da uomini;
in religioni codificate e, pertanto, mediate da uomini.
Come posso accettare di credere
nella maniera in cui qualcuno mi sta dicendo,
se quel qualcuno è indeciso come me,
è un essere finito come me?
Come può un essere finito come me
pretendere d'aver capito l'infinità di Dio
cercando di spiegarmela in modo finito?
Dio si manifesta nell'infinità di ciò che ha creato.
infinità che ha poi farcito con cose ed esseri finiti.
Ed è così per l'uccello.
Per tutta la lunghezza della sua vita
potrà cercare di volare sempre più in alto,
ma non troverà mai il tetto .
Potrà spingersi sempre più in là,
ma non troverà mai il muro della fine.
Potrà trovare un ostacolo nell'alta montagna,
ma se riesce ad alzarsi di più,
potrà continuare a volare libero fino alla fine dei suoi giorni.
Ed è così per il pesce.
Per tutta la durata della sua vita
potrà continuare a nuotare senza trovare la secca .
Potrà finire nella secca, ma non è il limite del mondo.
E' solo il limite della sua vita.
Potrà trovare acque a lui meno congeniali.
Più calde, più fredde, più dolci, più salate,
ma, se riesce ad adattarsi,
potrà nuotare libero fino alla fine dei suoi giorni.
potrà nuotare libero fino alla fine dei suoi giorni.
Ed è così per qualsiasi altro animale della terra.
Se non viene costretto dall'uomo in recinti o steccati,
può scorrazzare in lungo ed in largo
per tutta la durata della sua vita. Senza limiti.
Ma il pesce, l'uccello e gli altri animali,
non si pongono il problema dell'infinità di Dio.
Non cercano di capirla.
Non cercano di spiegarla.
L'accettano naturalmente.
E questo è il loro modo di ringraziare Dio.
L'uomo no!
L'uomo, a cui è stata data intelligenza
per conservare e sviluppare in modo finito
le bellezze dell'infinità create,
non si adatta.
Pretende di capire e spiegare l'infinità
attraverso la sua intelligenza limitata, finita.
E allora ha cominciato a cercare dove il mondo finisce.
Ma, pur continuando a camminare,
vedeva sempre davanti a sé la stessa distanza
che il suo occhio gli consentiva di vedere.
E ha trovato l'acqua.
Ma, pur accorgendosi di poter galleggiare,
non riusciva ad andare troppo lontano.
E si convinse che la fine era dove finiva l'acqua.
E costruì zattere, piroghe, barche, navi.
Ma, per quanto costruisse imbarcazioni sempre più attrezzate,
sempre più adatte ad affrontare ogni insidia e difficoltà,
si accorse che alla fine del fiume c'era il mare.
E poi l'oceano immenso.
Ma, per quanto navigasse,
riusciva a vedere intorno a sé solo acqua.
E poi qualcuno trovò terre lontanissime.
Ma l'uomo scoprì amaramente che non erano la fine del mondo.
Il mondo continuava ancora.
E l'uomo vedeva sempre davanti a sé la stessa distanza
che i suoi occhi gli consentivano di vedere.
E allora l'uomo disse:
E' chiaro che la fine del mondo non può essere sulla terra dove vivo.
Certamente Dio l'ha messa dove io non posso arrivare. In alto! "
E allora si ingegnò.
Studiò gli uccelli
e cominciò a costruire qualcosa che si alzasse da terra.
E lo continuò a perfezionare.
Volò sempre più velocemente,
sempre più lontano, sempre più alto.
Raggiunse altri mondi e tanti altri ne raggiungerà.
Ma ogni volta s'accorgerà che, per quanto voli alto e lontano,
vedrà sempre davanti a sé la stessa distanza
che i suoi occhi gli consentiranno di vedere.
Ed ogni volta che costruirà qualcosa per guardare sempre più lontano,
s'accorgerà che, dietro, c'è un'immensità sempre più grande.
E per quanto cercherà di conoscere cose,
si renderà conto di quante altre non conosce.
Perché qualsiasi cosa l'uomo costruisca,
case, strade, macchine,
sono sempre cose finite, con confini ben precisi.
E qualsiasi tipo di computer riuscirà a costruire,
e di qualsiasi sofisticata memoria riuscirà a dotarlo
per scoprire ed immagazzinare notizie e conoscenze
che la mente umana, da sola, mai sarebbe in grado di fare,
s'accorgerà di quante ne esistano ancora.
Perché, per quanto sofisticato, quel computer avrà sempre dei limiti.
E così facendo,
utilizzando la sua intelligenza
nella sciocca ed inutile corsa verso la conoscenza dell'infinito ,
l'uomo avrà solo accelerato
la distruzione della sua vita terrena.
Se solo si soffermasse a pensare
che solo un essere infinito
poteva creare l'infinità dell'universo;
per andarci, magari, a passeggiare.
Se solo si soffermasse a godere
delle bellezze che lo circondano:
un prato, un fiore, il mare, l'oceano, una montagna,
il deserto, il cielo, le stelle,
gli occhi di un bambino...
Ma l'uomo corre, corre, corre sempre più forte
per tentare di raggiungere i confini del mondo.
Per tentare di spiegare l'infinità di Dio.
Sto cercando Dio.
Ma non lo riesco a trovare in chiese, moschee, libri,
ed in ciò che l'uomo mi dice.
Sto cercando Dio.
E lo ritrovo in ogni istante.
In ogni cosa che mi circonda.
Dionaturaricercafedecreatocreazioneinfinitouomomondoricerca di senso
inviato da Barbara, inserito il 11/12/2002
RACCONTO
26. Ciò che il mare racconta di Dio
Dio è un mistero. Noi possiamo solo cercare di farcene un'immagine. Giovanni di Ruysbroek, quando pensava a Dio, pensava al mare.
Giovanni vive in Olanda, un paese piatto, piatto. Uomini pacifici coltivano i campi. Giovanni, però, vuole vivere solo per Dio e perciò abbandona la compagnia degli uomini e cerca la solitudine.
Per essere soli bisogna abitare vicino al mare, perché nessuno vuole vivere accanto alle dighe. Lì soffia sempre un forte vento e a volte onde alte scavalcano le barriere delle dighe. Proprio lì Giovanni si è ritirato per abitare in una semplicissima capanna.
La gente si meraviglia. A volte qualcuno viene a visitarlo e gli chiede: "Giovanni, ma che cosa fai da queste parti?". "Io cerco Dio e qui gli sono molto vicino, qui mi riesce facile pensare a lui" risponde.
"Noi pensiamo a Dio quando siamo in chiesa, lì abbiamo delle immagini di lui".
"Anch'io ho un'immagine di lui" dice Giovanni.
"Dov'è? Faccela vedere!".
Giovanni li conduce sulla diga. Il mare è calmo e si stende senza confine.
"Guardate, questa è la mia immagine di Dio: così è il Padre, infinitamente grande come questo mare!".
La gente rimane per molto tempo in silenzio. "Certo, lo vediamo - dice uno -, ma noi abbiamo anche immagini di Gesù; un artista le ha dipinte da poco sulla parete della nostra chiesa". "Se vi fermate fino a stasera, vi farò vedere la mia immagine di Gesù".
Dopo queste parole Giovanni si ritira nella sua capanna. I bambini giocano sulla spiaggia, gli adulti chiacchierano tra di loro. Però i loro sguardi si rivolgono continuamente verso il mare, verso il grande oceano.
La sera tutti vogliono entrare nella capanna di Giovanni. "Dov'è l'immagine di Gesù?".
Giovanni li porta di nuovo con sé allo stesso posto. Il mare è cambiato, è diventato irrequieto. È l'ora dell'alta marea e le onde salgono sempre di più. Una dopo l'altra, battono contro la diga, si accavallano, si infrangono e ritornano formando una bianca schiuma. Le dighe non sono chiuse completamente e l'acqua può entrare dappertutto e inondare la terra. Presto all'intorno tutto è coperto d'acqua.
Giovanni dice: "Adesso il mare non è più lontano. L'immenso oceano ha mandato le sue onde e l'acqua è entrata dappertutto. Anche Dio è così. Il Padre manda il Figlio. Questi bussa dappertutto e va alla ricerca di tutti".
Questa è un'immagine che la gente capisce. Sì, è proprio così; Gesù ha trovato la strada per venire incontro a ciascuno. Un grande silenzio si diffonde tra la folla.
Solo uno vuole porre un'ultima domanda: "Giovanni, possiedi anche un'immagine dello Spirito Santo?".
Giovanni sorride, perché proprio in quel momento l'acqua ha cominciato a muoversi di nuovo. I flutti che inondano la spiaggia cominciano a ritirarsi pian piano.
"Guardate che cosa succede adesso! Il mare torna indietro. E guardate, esso porta con sé foglie, legna, erba. Tutto viene afferrato dal mare e portato via, riportato nell'immenso mare. E questa è l'opera dello Spirito Santo. Ci afferra, ci porta con sé, ci riporta al Padre".
Tutto ritorna a Dio. Anche le persone che sono morte sono con lui.
inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002
RACCONTO
Bruno Ferrero, C'è qualcuno lassù
Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina. In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di «Cristo delle grazie». Arrivava gente da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.
Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiedere anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all'immagine, pregò: «Signore, voglio soffrire con te. Lasciami prendere il tuo posto. Voglio stare io sulla croce».
Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.
Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse: «Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione: qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio».
«Te lo prometto, Signore».
Avvenne lo scambio.
Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c'era Sebastiano inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell'eremita. I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva. Finché un giorno...
Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenticò sul gradino la sua borsa piena di monete d'oro. Sebastiano vide, ma conservò il silenzio. Non parlò neppure un'ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne andò. Né aprì bocca quando davanti a lui si inginocchiò un giovane che chiedeva la sua protezione prima di intraprendere un lungo viaggio per mare. Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l'uomo ricco che, credendo che fosse stato il giovane a derubarlo della borsa di monete d'oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido: «Fermi!».
Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare. Sebastiano spiegò come erano andate le cose. Il ricco corse allora a cercare il povero. Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio. Quando nel santuario non rimase più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò.
«Scendi dalla croce. Non sei degno di occupare il mio posto. Non hai saputo stare zitto».
«Ma, Signore» protestò, confuso, Sebastiano. «Dovevo permettere quell'ingiustizia?».
«Tu non sai» rispose il Signore, «che al ricco conveniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un'ingiustizia. Il povero, al contrario, aveva un gran bisogno di quel denaro. Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l'imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare».
Lo scrittore Piero Chiara, poco religioso, era molto amico dello scultore Francesco Messina, che era invece profondamente credente.
Quando Chiara era prossimo alla morte, Messina si recò al suo capezzale e, prendendogli la mano, gli chiese: «Dimmi, Piero, come stai a fede?».
Chiara lo fissò con gli occhi dolenti e rispose: «lo mi fido di te».
Sono le parole più belle che possiamo dire ad un amico: «lo mi fido di te».
È la preghiera più bella che possiamo rivolgere a Dio: «lo mi fido di Te».
provvidenzafiduciafedeabbandonovolontà di Dioprogetto di Dio
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 14/06/2002
RACCONTO
In principio i colori non esistevano, Dio aveva già creato il mondo, il cielo, il mare, le, montagne, le piante, i fiori e gli animali. Era tutto a posto, ma tutto in bianco e nero. La fantasia del Creatore però non poteva accontentarsi di un mondo così monotono e triste, e dal suo Amore fece esplodere la brillantezza del verde, lo splendore del giallo, la profondità del blu, il calore del rosso e tutti gli altri colori così belli e diversi che è impossibile descriverli.
Appena nati i colori erano pieni di entusiasmo e scorrazzavano felici a prendere posesso del creato, ma le cose non erano per niente semplici: l'azzurro riempì subito il cielo e il giallo colorò il sole, ma presto arrivò il grigio e li scacciò, portando un sacco di nuvole, poi cadde la notte e venne il blu e poi il nero. Il verde andò sulle foglie e sulle piante ma quando arrivò l'autunno dovette cedere il posto al giallo, al marrone, al rosso...
I colori cominciarono a litigare tra di loro, perché non erano capaci di stare insieme, ognuno voleva tutto per sé e non accettava le presenza degli altri: anche gli animali si trovavano a cambiare il colore della pelliccia o delle piume, con strani accostamenti oppure macchie e striature a causa della guerra tra i colori.
Poco alla volta la situazione peggiorò fino a diventare insostenibile: tutto cambiava di colore vorticosamente e non si poteva fissare gli occhi un attimo su qualcosa che subito cambiava di colore. I colori stessi, in origine così vivi e brillanti, avevano perso la loro bellezza e procuravano nausea.
"Ora basta! - disse il Padreterno - non posso lasciare il mondo in questo stato!", e con tutto l'impegno di cui era capace creò l'arcobaleno. Era più bello di qualunque cosa si potesse mai immaginare, e subito i colori smisero la loro folle giostra per fermarsi a contemplare la nuova creatura... poi tutti vollero farne parte, e con immensa meraviglia scoprirono che c'era un posto preciso per ciascuno: il rosso accanto al giallo, in mezzo l'arancione, poi il verde, l'azzurro il blu... con mille altre nuove sfumature una più bella dell'altra!
Era incredibile, ma i colori avevano fatto pace. Dopo la tempesta che aveva sconvolto il creato ora andavano tutti d'accordo, con gioia si cedevano il passo l'un l'altro, si prendevano per mano in accostamenti da sogno, si abbracciavano contenti per creare nuove tinte; il mondo era colorato dall'armonia dell'Amore.
Anche oggi i colori vivono in pace ed armonia; talvolta per ricordare l'origine della loro concordia (o per insegnarla ad altri) si riuniscono festanti nell'arcobaleno: la gioia dei nostri occhi e del nostro cuore, magico ponte che unisce il cielo e la terra, l'anima e il corpo, il passato e il futuro.
armoniapaceconviverecomunitàmulticulturalità
inviato da Mariangela Molari, inserito il 28/05/2002
RACCONTO
Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi
Una mattina, al Polo Nord, l'orso bianco fiutò nell'aria un odore insolito e lo fece notare all'orsa maggiore (la minore era sua figlia):
- Che sia arrivata qualche spedizione?
Furono invece gli orsacchiotti a trovare la viola. Era una piccola violetta mammola e tremava. di freddo, ma continuava coraggiosamente a profumare l'aria perché quello era il suo dovere.
- Mamma, papà - gridarono gli orsacchiotti.
- Io l'avevo detto subito che c'era qualcosa di strano - fece osservare per prima cosa l'orso bianco alla famiglia. - E secondo me non è un pesce.
- No di sicuro - disse l'orsa maggiore -, ma non è nemmeno un uccello.
- Hai ragione anche tu - disse l'orso, dopo averci pensato su un bel pezzo.
Prima di sera si sparse per tutto il Polo la notizia: un piccolo, strano essere profumato, di colore violetto, era apparso nel deserto di ghiaccio, si reggeva su una sola zampa e non si muoveva. A vedere la viola vennero foche e trichechi, vennero dalla Siberia le renne, dall'America i buoi muschiati, e più di lontano ancora volpi bianche, lupi e gazze marine. Tutti ammiravano il fiore sconosciuto, il suo stelo tremante, tutti aspiravano il suo profumo, ma ne restava sempre abbastanza per quelli che arrivavano ultimi ad annusare, ne restava sempre come prima.
- Per mandare tanto profumo - disse una foca - deve avere una riserva sotto il ghiaccio.
- Io l'avevo detto subito - esclamò l'orso bianco - che c'era sotto qualcosa.
Non aveva detto proprio così, ma nessuno se ne ricordava. Un gabbiano, spedito al Sud per raccogliere informazioni, tornò con la notizia che il piccolo essere profumato si chiamava viola e che in certi paesi, laggiù, ce n'erano milioni.
- Ne sappiamo quanto prima - osservò la foca. - Com'è che proprio questa viola è arrivata proprio qui! Vi dirò tutto il mio pensiero: mi sento alquanto perplessa.
- Come ha detto che si sente? - domandò l'orso bianco a sua moglie.
- Perplessa. Cioè, non sa che pesci pigliare.
- Ecco - esclamò l'orso bianco - proprio quello che penso anch'io.
Quella notte corse per tutto il Polo un pauroso scricchiolio. I ghiacci eterni tremavano come vetri e in più punti si spaccarono. La violetta mandò un profumo più intenso, come se avesse deciso di sciogliere in una sola volta l'immenso deserto gelato, per trasformarlo in un mare azzurro e caldo, o in un prato di velluto verde. Lo sforzo la esaurì. All'alba fu vista appassire, piegarsi sul suo stelo, perdere il colore e la vita.
Tradotto nelle nostre parole e nella nostra lingua il suo ultimo pensiero dev'essere stato pressappoco questo:
- Ecco, io muoio... Ma bisognava pure che qualcuno cominciasse... Un giorno le viole giungeranno qui a milioni. I ghiacci si scioglieranno, e qui ci saranno isole case e bambini.
responsabilitàimportanza del singolo
inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002
PREGHIERA
30. Parlami d'Amore (versione 1) 2
L'Amore supera l'amore, mio caro.
L'amore è volo d'uccello nel cielo infinito.
Ma il volo dell'uccello
è più che il volteggiare in aria di un esserino di carne,
più che le sue ali innamorate, corteggiate dal vento,
è più che l'indicibile gioia quando muoiono i battiti delle ali
e il corpo in pace plana nella luce.
L'amore è canto di violino che canta il canto del mondo.
Ma il canto del violino
è più che il legno e l'archetto, inerti e solitari,
più che le note in abito da sera che danzano sulla partitura,
e più che le dita dell'artista che corrono sulle corde.
L'amore è luce, per le strade umane.
Ma la luce che si dà
è più che carezza mattutina che apre gli occhi notturni,
più che raggi di fuoco che riscaldano i corpi,
e più che mille pennelli d seta che colorano i volti.
L'amore è fiume d'argento che scorre verso il mare.
Ma il fiume vivo, che indugia o che si affretta,
è più che il suo letto accogliente, scrigno che non trattiene,
più che l'acqua che si arrossa allo sguardo del tramonto,
e più che l'uomo sulla riva che getta l'esca e ne estrae i frutti.
L'amore è veliero che sulle acque fende le onde.
Ma la corsa del veliero
è più che la prora sedotta che penetra il mare, che si offre o i dibatte,
più che le vele frementi sotto il tocco della brezza o gli schiaffi del vento,
è più che le mani del marinaio afferrate al timone,
mentre instancabile insegue la sua selvaggina.
...l'Amore supera l'amore.
L'Amore è soffio infinito, che viene da un altrove e vola verso l'altrove.
L'amore è mente d'uomo che conosce e riconosce il soffio,
è libertà d'uomo che tutto si volge verso di Lui.
L'amore è consenso dell'uomo al soffio che invita,
è cuore dell'uomo che si apre per accoglierlo e donarLo,
è corpo dell'uomo che si raccoglie, disponibile,
perché da Lui abitato, da Lui invaso
prenda il volo verso gli altri,
verso... l'altro,
e perché infine
ciò che era lontano si ricongiunga e si accordi
ciò che era separato diventi uno
e che dall'uno sgorghi una nuova vita.
Clicca qui per un altro testo di Michel Quoist sullo stesso tema.
amoreinnamoramentoamaredonarsigratuitàlibertàcrescerematurità
inviato da Mariangela Molari, inserito il 08/05/2002
PREGHIERA
David Maria Turoldo, Il sesto angelo, Mondadori, 1976
Tempo del primo avvento
tempo del secondo avvento
sempre tempo d'avvento:
esistenza, condizione
d'esilio e di rimpianto.
Anche il grano attende
anche l'albero attende
attendono anche le pietre
tutta la creazione attende.
Tempo del concepimento
di un Dio che ha sempre da nascere.
(Quando per la donna è giunta la sua ora
è in grande pressura
ma poi tutta la sua tristezza
si muterà in gaudio
perché è nato al mondo un uomo.)
Questo è il vero lungo inverno del mondo:
Avvento, tempo del desiderio
tempo di nostalgia e ricordi
(paradiso lontano e impossibile!)
Avvento, tempo di solitudine
e tenerezza e speranza.
Oh, se sperassimo tutti insieme
tutti la stessa speranza
e intensamente
ferocemente sperassimo
sperassimo con le pietre
e gli alberi e il grano sotto la neve
e gridessimo con la carne e il sangue
con gli occhi e le mani e il sangue;
sperassimo con tutte le viscere
con tutta la mente e il cuore
Lui solo sperassimo;
oh se sperassimo tutti insieme
con tutte le cose
sperassimo Lui solamente
desiderio dell'intera creazione;
e sperassimo con tutti i disperati
con tutti i carcerati
come i minatori quando escono
dalle viscere della terra,
sperassimo con la forza cieca
del morente che non vuol morire,
come l'innocente dopo il processo
in attesa della sentenza,
oppure con il condannato
avanti il plotone d'esecuzione
sicuro che i fucili non spareranno;
se sperassimo come l'amante
che ha l'amore lontano
e tutti insieme sperassimo,
a un punto solo
tutta la terra uomini
e ogni essere vivente
sperasse con noi
e foreste e fiumi e oceani,
la terra fosse un solo
oceano di speranza
e la speranza avesse una voce sola
un boato come quello del mare,
e tutti i fanciulli e quanti
non hanno favella
per prodigio
a un punto convenuto
tutti insieme
affamati malati disperati,
e quanti non hanno fede
ma ugualmente abbiano speranza
e con noi gridassero
astri e pietre,
purché di nuovo un silenzio altissimo
- il silenzio delle origini -
prima fasci la terra intera
e la notte sia al suo vertice;
quando ormai ogni motore riposi
e sia ucciso ogni rumore
ogni parola uccisa
- finito questo vaniloquio! -
e un silenzio mai prima udito
(anche il vento faccia silenzio
anche il mare abbia un attimo di silenzio,
un attimo che sarà la sospensione del mondo),
quando si farà questo
disperato silenzio
e stringerà il cuore della terra
e noi finalmente in quell'attimo dicessimo
quest'unica parola
perché delusi di ogni altra attesa
disperati di ogni altra speranza,
quando appunto così disperati
sperassimo e urlassimo
(ma tutti insieme
e a quel punto convenuti)
certi che non vale chiedere più nulla
ma solo quella cosa
allora appunto urlassimo
in nome di tutto il creato
(ma tutti insieme e a quel punto)
VIENI VIENI VIENI, Signore
vieni da qualunque parte del cielo
o degli abissi della terra
o dalle profondità di noi stessi
(ciò non importa) ma vieni,
urlassimo solo: VIENI!
Allora come il lam po guizza dall'oriente
fino all'occidente così sarà la sua venuta
e cavalcherà sulle nubi;
e il mare uscirà dai suoi confini
e il sole più non darà la sua luce
né la luna il suo chiarore
e le stelle cadranno fulminate
saranno scosse le potenze dei cieli.
E lo Spirito e la sposa dicano: Vieni!
e chi ascolta dica: vieni!
e chi ha sete venga
chi vuole attinga acqua di vita
per bagnarsi le labbra
e continuare a gridare: vieni!
Allora Egli non avrà neppure da dire
eccomi, vengo - perché già viene.
E così! Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra;
ma solo questa voce
quest'unica voce
questa sola voce si oda:
VIENI VIENI VIENI, Signore!
- Allora tutto si riaccenderà
alla sua luce
e il cielo di prima
e la terra di prima
son sono più
e non ci sarà più né lutto
né grido di dolore
perché le cose di prima passarono
e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi
perché anche la morte non sarà più.
E una nuova città scenderà dal cielo
bella come una sposa
per la notte d'amore
(non più questi termitai
non più catene dolomitiche
di grattacieli
non più urli di sirene
non più guardie
a presiedere le porte
non più selve di ciminiere).
- Allora il nostro stesso desiderio
avrà bruciato tutte le cose di prima
e la terra arderà dentro un unico incendio
e anche i cieli bruceranno
in quest'unico incendio
e anche noi, gli uomini,
saremo in quest'unico incendio
e invece di incenerire usciremo
nuovi come zaffiri
e avremo occhi di topazio:
quando appunto Egli dirà
"ecco, già nuove sono fatte tutte le cose"
allora canteremo
allora ameremo
allora allora...
MARANATHA', VIENI SIGNORE GESU'!
inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002
TESTO
Kahlil Gibran, il Profeta
Allora una sacerdotessa disse: Parlaci della preghiera.
Ed egli rispose, dicendo:
Voi pregate nelle angustie e nel bisogno; ma io vorrei che voi pregaste anche nella gioia piena e nei giorni dell'abbondanza.
Poiché che altro è la preghiera se non l'espansione di voi stessi nell'etere vivente?
Ed è a voi di conforto versare nello spazio la vostra oscurità, ed è anche per voi di diletto versare nell'esterno la gioia mattinale del vostro cuore.
E se non potete fare a meno di piangere quando l'anima vi spinge alla preghiera, essa dovrebbe spingervi, comunque, fino al punto che attraverso le lacrime spunti il sorriso.
Quando pregate voi vi innalzate a incontrare nell'aria tutti coloro che in quel medesimo istante sono in preghiera, che mai, se non nella preghiera, potreste incontrare.
Perciò non sia questa vostra visita a quell'invisibile tempio che estasi e dolce comunione.
Poiché se intendeste entrare nel tempio non per altro che per chiedere, non ricevereste nulla:
E se entrate per umiliarvi, non sareste innalzati:
E se anche voleste entrare per intercedere per il bene di qualcun'altra non sarete esauditi.
Basta già che voi entriate nell'invisibile tempio.
Io non posso insegnarvi parole di preghiere.
Dio non ascolta le vostre parole, a meno che non le pronunci attraverso le vostre labbra.
Ed io non posso insegnarvi la preghiera dei mari, delle foreste, delle montagne.
Ma voi, nati dai monti, dalle foreste e dal mare potete ritrovare nei vostri cuori la loro preghiera.
E se solo state in ascolto nella quiete delle notti udrete mormorare:
"Dio nostro, che sei la nostra ala, è la tua volontà che vuole in noi,
è il tuo desiderio che desidera in noi,
è il tuo impulso in noi che può trasformare le nostre notti, che sono anche le tue notti, in giorni che siano anche i tuoi giorni.
Nulla possiamo noi chiederti, poiché tu conosci le nostre necessità prima ancora che nascano in noi:
Sei tu la nostra necessità; e nel darci più di te stesso, tu ci dai tutto".
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 03/05/2002