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RACCONTO

221. Date l'esempio!   2

C'era una volta un uomo che viveva una vita normale. Pensava di non essere stato cattivo, ma neppure di essere stato un santo. Un giorno Gesù toccò il suo cuore e quest'uomo lo accettò come suo Signore e Salvatore. Sentì tanta gioia che promise al Signore di parlare di Lui a tutte le persone che avrebbe incontrato e che avrebbe portato almeno 100 persone a questa cosa grande che aveva trovato. Ma quest'uomo subito si accorse che portare persone a Cristo non era una cosa facile da fare. La maggior parte dei suoi amici pensava che fosse impazzito e si allontanava da lui.

A volte voleva ritirarsi dalla sua promessa ma continuò a raccontare a chi gli era possibile della buona novella del vangelo e come lo aveva cambiato riempiendolo di tanta pace e gioia.

Poi un giorno quest'uomo morì e si trovò in una stanza, con tutte le cose che aveva fatto e detto durante la sua vita: tutte le cose cattive che aveva fatto, tutti i brutti pensieri che aveva avuto, ritornati a lui come un lampo in un momento di tempo. Poi vide una visione di sé, nel giorno in cui la salvezza l'aveva toccato, quando aveva promesso a Gesù che avrebbe portato a Lui almeno 100 persone. L'uomo cadde in ginocchio piangendo.

Allora Gesù si avvicinò a lui e gli disse: "Alzati figliolo e dimmi: perché piangi?". L'uomo rispose: "Signore ho commesso tutte queste cose terribili nella mia vita, e ti ho detto perfino bugie!". Il Signore lo guardò chiedendogli: "Quando mi hai detto bugie?". "Ti avevo promesso di portare 100 persone a te Signore. E anche se ho provato non sono riuscito a portarne nemmeno una alla salvezza! Non ho mantenuto la mia promessa e ho detto bugie a Te".

Allora Gesù gli sorrise, gli asciugò le lacrime sul viso, e gli disse: "Figliuolo, tu non hai rotto la tua promessa con me". "Ma Signore, non ho portato neanche una persona a te!!!". Gesù rispose: "Mio figliuolo, ti ricordi quel giorno quando ti sei seduto al ristorante e hai mangiato ringraziando il Padre per il cibo? C'era una donna seduta in quel ristorante, era malata di peccato. Anche se ho provato tante volte a toccare il suo cuore, lei mi aveva sempre ignorato. Pensava di ritornare a casa per togliere la vita a sé stessa e a quella dei suoi figliuoli. Ma questa signora ti ha visto pregare e le si è aperto il cuore. Una porta si aprì nel suo cuore e mi lasciò entrare. La signora andò a casa e invece di togliersi la vita accettò me chiedendomi di diventare il Signore della sua vita. Uno dei suoi bambini diventò un presbitero santo e guidò molte anime a me. Quindi mio figliuolo sii felice, tu hai mantenuto la tua promessa. Il tuo piccolo consistente atto di fede guidò non 100 ma 100.000 persone a me!".

L'uomo prese coraggio, ma ancora si sentiva colpevole: "Mio Dio, e tutte le altre cose brutte che ho fatto?". Gesù sorrise dicendo: "Ho pagato il prezzo io per te: vedi le mie mani e i miei piedi trafitti, il mio costato perforato, il mio capo grondante sangue per te, tutto il mio corpo flagellato? Tutti e due abbiamo mantenuto la promessa!".

Ricordiamoci che un nostro piccolo atto insignificante può toccare il cuore di altri fratelli, anche quando non ce ne accorgiamo.

Un sorriso, una dolce parola, una preghiera in pubblico, sono vie che portano luce e possono cambiare una vita.

quotidianitàtestimonianzaesempioconversionemissione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 02/06/2002

TESTO

222. Un buongiorno un po' speciale...   2

Buongiorno....

Quando ti sei svegliato questa mattina ti ho osservato e ho sperato che tu mi rivolgessi la parola anche solo poche parole, chiedendo la mia opinione o ringraziandomi per qualcosa di buono che era accaduto ieri.

Però ho notato che eri molto occupato a cercare il vestito giusto da metterti per andare a lavorare. Ho continuato ad aspettare ancora mentre correvi per la casa per vestirti e sistemarti e io sapevo che avresti avuto del tempo anche solo per fermarti qualche minuto e dirmi: "Ciao". Però eri troppo occupato.

Per questo ho acceso il cielo per te, l'ho riempito di colori e di dolci canti di uccelli per vedere se così mi ascoltavi però nemmeno di questo ti sei reso conto.

Ti ho osservato mentre ti dirigevi al lavoro e ti ho aspettato pazientemente tutto il giorno. Con tutte le cose che avevi da fare, suppongo che tu sia stato troppo occupato per dirmi qualcosa.

Al tuo rientro ho visto la tua stanchezza e ho pensato di farti bagnare un po' perché l'acqua si portasse via il tuo stress. Pensavo di farti un piacere perché così tu avresti pensato a me ma ti sei infuriato e hai offeso il mio nome, io desideravo tanto che tu mi parlassi, c'era ancora tanto tempo.

Dopo hai acceso il televisore, io ho aspettato pazientemente, mentre guardavi la TV, hai cenato, però ti sei dimenticato nuovamente di parlare con me, non mi hai rivolto la parola.

Ho notato che eri stanco e ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho oscurato lo splendore del cielo, ho acceso una candela, in verità era bellissimo, ma tu non eri interessato a vederlo.

Al momento di dormire credo che fossi distrutto. Dopo aver dato la buona notte alla famiglia sei caduto sul letto e quasi immediatamente ti sei addormentato. Ho accompagnato il tuo sogno con una musica, i miei animali notturni si sono illuminati, ma non importa, perché forse nemmeno ti rendi conto che io sono sempre lì per te.

Ho più pazienza di quanto immagini. Mi piacerebbe pure insegnarti ad avere pazienza con gli altri, ti amo tanto che aspetto tutti i giorni una preghiera, il paesaggio che faccio è solo per te.

Bene, ti stai svegliando di nuovo e ancora una volta io sono qui e aspetto senza niente altro che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa dedicarmi un po' di tempo.

Buona giornata...

Tuo papà Dio.

preghieraDioamore di Diorapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 02/06/2002

RACCONTO

223. Il bambù

C'era una volta un bellissimo e meraviglioso giardino. Era situato ad ovest del paese, in mezzo al grande regno. Il Signore di questo giardino aveva l'abitudine di farvi una passeggiata ogni giorno, quando il caldo della giornata era più forte.

C'era in questo giardino un bambù di aspetto nobile. Era il più bello di tutti gli alberi del giardino e il Signore amava questo bambù più di tutte le altre piante.

Anno dopo anno, questo bambù cresceva e diventava sempre più bello e più grazioso. Il bambù sapeva che il Signore lo amava e ne godeva.

Un bel giorno, il Signore, molto in pensiero, si avvicinò al suo albero amato e l'albero, in grande venerazione, chinò la testa. Il Signore gli disse: "Caro bambù, ho bisogno di te". Sembrò al bambù che fosse venuto il giorno di tutti i giorni, il giorno per cui era nato. Con grande gioia, ma a bassa voce, il bambù rispose: "O Signore, sono pronto. Fa' di me l'uso che vuoi".

"Bambù", la voce del Signore era seria, "per usarti devo abbatterti". Il bambù fu spaventato, molto spaventato: "Abbattermi, Signore, me che hai fatto diventare il più bel albero del tuo giardino? No, per favore, no! Fa' uso di me per la tua gioia, Signore, ma per favore, non abbattermi".

"Mio caro bambù," disse il Signore e la sua voce era più seria, "se non posso abbatterti, non posso usarti".

Nel giardino ci fu allora un grande silenzio. Il vento non tirava più, gli uccelli non cantavano più. Lentamente, molto lentamente, il bambù chinò ancora di più la sua testa meravigliosa poi sussurrò: "Signore, se non puoi usarmi senza abbattermi, fa' di me quello che vuoi e abbattimi".

"Mio caro bambù," disse di nuovo il Signore "non devo solo abbatterti, ma anche tagliarti le foglie e i rami. Se non posso tagliarli, non posso usarti".

Allora il sole si nascose e gli uccelli ansiosi volarono via. Il bambù tremò e disse appena udibile: "Signore, tagliali!".

"Mio caro bambù, devo farti ancora di più. Devo spaccarti in due e strapparti il cuore. Se non posso farti questo, non posso usarti". Il bambù non poté più parlare. Si chinò fino a terra.

Così il Signore del giardino abbatté il bambù, tagliò i rami, levò le foglie, lo spaccò in due e ne estirpò il cuore. Poi portò il bambù alla fonte di acqua fresca vicino ai suoi campi inariditi. Là, delicatamente, il Signore dispose l'amato bambù a terra: un'estremità del tronco la collegò alla fonte, l'altra la diresse verso il suo campo arido.

La fonte dava acqua, l'acqua si riversava sul campo che aveva tanto aspettato. Poi fu piantato il riso, i giorni passarono, la semente crebbe e il tempo della raccolta venne. Così il meraviglioso bambù divenne realmente una grande benedizione in tutta la sua povertà e umiltà.

Quando era ancora grande e bello e grazioso, viveva e cresceva solo per se stesso e amava la propria bellezza. Al contrario nel suo stato povero e distrutto, era diventato un canale che il Signore usava per rendere fecondo il suo regno.

sacrificiocrocedoloresofferenzafeconditàcrescita

5.0/5 (1 voto)

inviato da Suor Irina Mandro, inserito il 02/06/2002

PREGHIERA

224. Signore, liberami da me stesso!   1

Michel Quoist

Signore, mi senti?
Soffro tremendamente. Asserragliato in me stesso,
prigioniero di me stesso. Non sento che la mia voce,
non vedo che me stesso, e dietro di me non v'è che sofferenza.

Signore, mi senti?
Liberami dal mio corpo, che è tutto brama,
e tutto quello che tocca con i suoi innumerevoli grandi occhi,
con le sue mille mani tese, è solo per coglierlo e cercare di calmare la sua insaziabile fame.

Signore, mi senti?
Liberami dal mio cuore, tutto gonfio di amore,
ma, mentre credo di amare pazzamente, intravvedo rabbioso che ancora amo me stesso nell'altro.

Signore, mi senti?
Liberami dal mio spirito, pieno di se stesso, delle sue idee,
dei suoi giudizi; non sa dialogare, perché non lo colpisce altra parola fuorché la sua.

Solo, mi annoio, mi detesto, mi disgusto,
e mi rigiro nella mia sudicia pelle come il malato nel suo letto bruciante da cui vorrebbe scappare.
Tutto mi sembra brutto, mostruoso, senza luce,
...perché non posso veder nulla se non attraverso me.
Mi sento disposto ad odiare gli uomini ed il mondo intero,
...per dispetto, perché non li posso amare.
Vorrei uscire,
Vorrei camminare, correre verso un altro paese.
So che esiste la gioia, l'ho vista raggiare sui volti.
So che brilla la luce, l'ho vista illuminare gli sguardi.
Ma Signore, non posso uscire,
insieme amo e odio la mia prigione,
perché la mia prigione sono io
ed io mi amo,
mi amo, o Signore, e mi faccio ribrezzo.

Signore, non trovo neppure più la porta di casa mia.
Mi trascino tastoni, accecato,
urto nelle mie stesse pareti, nei miei propri limiti,
mi ferisco.
Ho male, ho troppo male, e nessuno lo sa, perché nessuno è entrato in casa mia.
Sono solo, solo.

Signore, Signore, mi senti?
Signore, indicami la mia porta,
prendi la mia mano, apri,
indicami la Via,
la via della gioia, della luce.

...Ma...
Ma, o Signore, mi senti Tu?

Figliuolo, Io ti ho sentito.
Mi fai compassione.
Da tanto tempo spio le tue imposte chiuse, aprile,
la Mia luce ti rischiarerà.
Da tanto tempo Io sono davanti al tuo uscio sprangato, aprilo,
mi troverai sulla soglia.
Io ti attendo, gli altri ti attendono,
ma bisogna aprire,
ma bisogna uscire da te.

Perché rimanere prigioniero di te stesso?
Sei libero.
Non ho chiuso Io la tua porta,
non posso riaprirla Io,
...perché sei tu dall'interno a tenerla solidamente sprangata.

peccatoconversionelibertàrapporto con Dio

inviato da Mariangela Molari, inserito il 01/06/2002

PREGHIERA

225. Preghiera di un uomo che ha sofferto molto

Lucien Jerphagnon

Signore, è ormai molto tempo che mi è stato inflitto l'ultimo colpo. Veniva dopo tanti altri...

Non ho più niente da perdere, o, per lo meno, ben poca cosa. Forse, verrà finalmente la pace?
Vorrei che venisse; dolcemente, come il sonno.

Fa', Signore, che non infastidisca mai gli altri con le mie pene. Dopo tutto, che importanza hanno, per loro, i miei dolori? Concedimi di non indignarmi mai, per il fatto che nulla di quanto mi ha ferito li commuove. E' normale. Come potrebbero comprendere?

Fa' che dopo tutto quello che ho sofferto, non trovi strano che nel mondo vi siano ancora fiori e raggi di sole. E delle famiglie unite e degli amori felici e delle convivenze serene. E dei fanciulli che vivono.
Salvami dall'imporre le mie miserie.

Signore, salvami dal frugare nel passato, e dal voler rivivere le ore dolorose di una vita ormai finita...

Salvami dal contemplare continuamente nel fondo di me stesso quei volti amati, quei sorrisi perduti, e tutta quella antica felicità, che ha durato una sola stagione.
Salvami dallo scrutare le mie miserie.

Signore, proteggimi anche dalla tenebrosa gioia della disperazione.

Fa' che non assomigli mai a quel vecchio re doloroso, nella tragedia di Shakespeare, che si incantava senza fine alla tempesta e al vento e a tutte le sventure che piombavano nella vita.
La mia sofferenza non ha un bel titolo di gloria.
Salvami dal cantare le mie pene.

Signore, rendimi calmo e staccato da tutto, ma senza indifferenza. Che io sia aperto e buono, maturato dalla sofferenza, pronto a dare agli altri quello che non ho avuto.

Non mi resta niente. A che cosa ancora mi potrei aggrappare? Eppure io vorrei che la gioia di ogni uomo trovasse come un'eco nel mio cuore purificato.

Piuttosto che soffrire senza utilità per nessuno e aggravare ulteriormente le tristezze del mondo, vorrei che da tutte le lacrime che ho versato, mi venisse il potere di comprendere gli altri, fino nell'intimo del loro essere, là dove sono veramente se stessi, là dove aspettano l'amore.

Vorrei che il mio dolore servisse a qualcosa.

E quando niente vi avrà consolato...
...dite:
«Padre nostro che sei nei cieli;
Sia santificato il tuo nome
Venga il tuo regno.
Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Rimetti a noi i nostri debiti,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Amen».

solitudinesofferenzacrocedoloresolidarietàcompassione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 01/06/2002

RACCONTO

226. Il sogno dei tre cedri del Libano   1

Racconta una vecchia leggenda che nelle belle foreste dei Libano nacquero tre cedri. Come tutti sappiamo, i cedri impiegano molto tempo a crescere e questi alberi trascorsero interi secoli riflettendo sulla vita la morte, la natura e gli uomini.

Assistettero all'arrivo di una spedizione da Israele inviata da Salomone e, più tardi, videro la terra ricoprirsi di sangue durante la guerra con gli Assiri. Conobbero Gezabele e il profeta Elia, mortali nemici. Assistettero all'invenzione dell'alfabeto e s'incantarono, a guardare le carovane che passavano, piene di stoffe colorate.
Un bel giorno, si misero a conversare sul futuro.

"Dopo tutto quello che ho visto - disse il primo albero - vorrei essere trasformato nel trono dei Re più potente della terra".

"A me piacerebbe far parte di qualcosa che trasformasse per sempre il Male in Bene", spiegò il secondo.

"Per parte mia, vorrei che gli uomini, tutte le volte che mi guardano, pensassero a Dio", fu la risposta del terzo.

Ma dopo un po' di tempo apparvero dei boscaioli e i cedri furono abbattuti e caricati su una nave per essere trasportati lontano. Ciascuno di quegli alberi aveva un suo desiderio ma la realtà non chiede mai che cosa fare dei sogni.

Il primo albero servì per costruire un ricovero per gli animali e il legno avanzato fu usato per contenere il fieno. Il secondo albero diventò un tavolo molto semplice che fu venduto ad un commerciante di mobili. E poiché il legno del terzo albero non trovò acquirenti, fu tagliato e depositato nel magazzino di una grande città.

Infelici, gli alberi si lamentavano: "Il nostro legno era buono ma nessuno ha trovato il modo di usarlo per costruire qualcosa di bello!".

Passò il tempo e, in una notte piena di stelle, una coppia di sposi che non riusciva a trovare un rifugio dovette passare la notte nella stalla costruita con il primo albero. La moglie gemeva in preda ai dolori del parto e finì per dare alla luce lì stesso suo figlio, che adagiò tra il fieno, nella mangiatoia di legno. In quel momento il primo albero capì che il suo sogno era stato esaudito: il bambino che era nato lì era il più grande di tutti i re mai apparsi sulla Terra.

Anni più tardi, in uno casa modesta, alcuni uomini si sedettero attorno al tavolo costruito con il legno del secondo albero. Uno di loro, prima che tutti incominciassero a mangiare, disse alcune parole sul pane e sul vino che aveva davanti a sé. E il secondo albero comprese che, in quel momento, non sosteneva solo un calice e un pezzo di pane ma l'alleanza tra l'Uomo e Dio.

Il giorno seguente prelevarono dal magazzino due pezzi dei terzo cedro e li unirono a forma di croce. Lasciarono la croce buttata in un angolo e alcune ore dopo portarono un uomo barbaramente ferito e lo inchiodarono al suo legno. Preso dall'orrore, il cedro pianse la barbara eredità che la vita gli aveva lasciato. Prima che fossero trascorsi tre giorni, tuttavia, il terzo albero capì il suo destino: l'uomo che era stato inchiodato al suo legno era ora la Luce che illuminava ogni cosa. La croce che era stata costruita con il suo legno non era più il simbolo di una tortura ma si era trasformata in un simbolo di vittoria.

Come sempre avviene nel sogni, i tre cedri dei Libano avevano visto compiersi il destino in cui speravano anche se in modo diverso da come avevano immaginato.

Clicca qui per una versione simile.

desideriprogetto di Diocroce

inviato da Giuliana Babini, inserito il 29/05/2002

RACCONTO

227. Lo straniero

Jules Beaulac, (liberamente tradotto)

Arrivava da non si sa dove; lui stesso non se lo ricordava. Aveva camminato tanto e per tanto tempo, a giudicare dal suo sguardo fisso, dalle sue labbra secche e dalla sua barba lunga di più giorni. I suoi vestiti erano neri di polvere e la sua pelle ancor più sporca. Non camminava più, ma ondeggiava di qua e di là. Non aveva più sembianze. Solo lui conosceva il bruciore che gli torceva lo stomaco, tanto aveva fame... i crampi che gli mordevano i polpacci, tanto aveva camminato... il dolore che gli rompeva la testa, tanto il sole gliela aveva picchiata. Non aveva dormito da giorni e notti ormai, aveva mangiato qualcosa a malapena, bevuto un po'...
Ora, davanti a lui un paese: si augurava di trovare un cuore compassionevole. Entrò nel negozio di un fruttivendolo e domandò la "carità" di una arancia o di una mela.
- Hai i soldi?
- No, signore, ma sto morendo di fame...
- Niente soldi, niente frutta! Qui, non si fa credito. Vai a cercare altrove!
Bussò alla porta di una casa privata. La proprietaria, vedendo quella specie di accattone, non aprì la porta... tantomeno il cuore!

Si stava facendo notte, anche per la sua speranza. Come ultimo tentativo andò a suonare all'ufficio parrocchiale... più e più volte. Finalmente, una donna aprì prudentemente la porta e, senza lasciar tempo a parole, gli disse:
- Mi dispiace, signore, non riceviamo più nessuno, l'ora d'ufficio è passata. Se volete qualcosa ripassate domani all'ora indicata sulla targhetta.
Non ebbe il tempo di rispondere che la porta era di già sbarrata.
- Possibile che la carità sia programmata?... - si disse tra sé e sé.

Proprio vicino alla casa parrocchiale c'era una villa con un grande portico ombreggiato e una signora che si dondolava beatamente al fresco:
- Signora, avreste qualcosa da mangiare e un angolo in casa vostra per dormire?
Non aveva ancora finito di domandare, che si sentì folgorare dallo sguardo:
- Sappiate, signore, che io non faccio la carità a tipi come voi! Andate via a lavarvi! E poi andate a lavorare come fan tutti! A parte questo, io ho già le mie buone opere da fare, i miei poveri. Sono una donna buona, io, e una buona cristiana!
Capì che anche lì non avrebbe ottenuto niente. Ma il cervello si arrovellava: ma che razza di cristiani fabbrica questo paese...

Riprese la sua strada trascinando i piedi: era troppo affaticato e... scoraggiato. Non ci sarebbe stato proprio nessuno su questa terra a dargli vitto e alloggio?
Avanzava lentamente, sentiva il cuore stringersi, e le lacrime tiepide rigargli le gote...
All'improvviso si sentì chiamare:
- Ehi, tu! Come sei conciato! Si direbbe che hai camminato per tutta la terra, senza mangiare, senza lavarti e senza riposarti! Mi fai un po' pena! Dai, fermati, entra da me e lasciati vedere!

Non credeva alle sue orecchie. La speranza gli diede la forza di alzare gli occhi e guardare chi lo aveva apostrofato: Dio mio, chi poteva essere? E adesso, che fare?...

Capelli neri, ricci come il mantello di un montone, maschera di cipria, trucco pesante, mascara agli occhi... labbra laccate di rosso, una camicetta abbondantemente scollata e una mini-minigonna!

Capì subito che aveva a che fare con la "maddalena" del villaggio. Senza nemmeno rendersi conto, si ritrovò a tavola, davanti ad una minestra e ad una bistecca saporita mentre dalla stanza gli arrivavano effluvi di incenso e chissà quanti altri profumi e unguenti: come era bello mangiare dopo così tanto tempo! Appena finito, si ritrovò sapone e asciugamano in mano e sentì gorgogliare l'acqua tiepida nella vasca da bagno. Ah! che bello sentirsi finalmente pulito!
Lei gli infilò una camiciola uscita da chissà dove e lo mandò a dormire dopo avergli preparato una tisana. Sprofondò in un sonno di piombo.

Mentre dormiva, la "Maddalena" si accese la ventesima sigaretta e vuotò il sesto bicchiere di cognac... In lei, pensieri diversi la paralizzavano per la sorpresa:
- Poveretto, faceva davvero pena! Non lo potevo lasciar passare, bisognava che facessi qualcosa... Ho dato quello che potevo. Tu, Gesù, che dall'alto del tuo paradiso sai tutto, hai visto quello che è successo questa sera. Spero che te lo ricorderai quando alla fine della vita, sarò davanti a te... Certo, io non vado alla Messa: i devoti si scandalizzerebbero. Le mie "buone opere" non sono nel catalogo delle "signore perbene"! I benpensanti non passano davanti alla mia casa, molti entrano da dietro! Però tu sai che in fondo in fondo ti voglio bene, e io so che tu mi ami, come hai amato una come me che ti ha asciugato i piedi tanto tempo fa. So che un giorno tu mi cambierai cuore e vita. Questa sera ho fatto solo della carità ad un poveruomo: l'ho nutrito, lavato, ospitato ed ascoltato; ebbene, buon Gesù è a te e per te che l'ho fatto!

Tirò l'ultimo sbuffo di fumo di sigaretta dalle narici, scolò il bicchiere già vuoto e si alzò per andare a letto: l'animo era tranquillo come non mai. Si addormentò del sonno dei giusti.

La sua era stata veramente una buona giornata!

Mt 25,35: "Ero forestiero e mi avete ospitato".

Eb 13,2: "Non chiudere la tua porta allo straniero perché rischi di chiuderla all'Angelo del Signore".

Gv 21,7: "Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!»".

caritàtestimonianzaessere cristiani

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 28/05/2002

RACCONTO

228. L'albero e gli occhiali

C'era una volta un giovane ramo di un grande albero. Era nato in primavera, tra il tepore dell'aria e il canto degli uccelli. In mezzo all'aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti, trascorse i suoi primi mesi di vita. Era felice: aveva foglie bellissime, e, poi, erano sopraggiunti fiori colorati ad adornano e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti gli uccelli del cielo potevano nutrirsi.

Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era settembre... I frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore divenivano sempre più pallide... Addirittura, di tanto in tanto il vento se ne portava via qualcuna. Venne la pioggia e poi l'aria fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio: non capiva cosa stesse succedendo. In pochi giorni e in poche notti si trovò spoglio, infreddolito, completamente solo.

Rimase così qualche tempo fin quando non capì che non poteva far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per poter di nuovo stare insieme a loro. "Devo darmi da fare", disse risoluto tra sé e sé.

Cominciò allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici. Si rivolse dapprima al Mattino: "Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sai dove le posso trovare?". Il Mattino rispose "Ci sono alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro".

Si rivolse a quegli alberi: "Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sapete dirmi dove le posso trovare?". Gli alberi risposero: "Noi le abbiamo sempre avute, prova a chiedere agli alberi uguali a te". Si rivolse ai rami spogli come lui. "Abbiamo tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti...", gli risposero.

Queste parole lo fecero sentire meno solo. Si disse che, se avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il luogo in cui si trovavano. Continuò la sua ricerca e chiese al Vento. "Io le foglie le porto solo via è la pioggia che le fa crescere", disse il Vento a gran voce. Si rivolse alla Pioggia. "Le farò crescere a suo tempo", gli disse la pioggia tintinnando. Si rivolse allora al Tempo. "Io so tante cose", gli disse con voce profonda. "Il Tempo aggiusta tutto, non ti preoccupare occorrono tanti giorni e tante notti".

Si rivolse alla Notte, ma la Notte tacque e lo invitò a riposare. Si sentiva infatti molto stanco.

Mentre stava per addormentarsi uno gnomo passò di là. Al vedere quel ramo così spoglio e infreddolito, dal freddo e dalle intemperie si fermò e un po' preoccupato, gli chiese cosa stesse succedendo. Il ramo gli raccontò tutta la sua storia. Lo gnomo stette con lui, si fermò nel suo silenzio, lo ascoltò, sentì il suo dolore. Allora il ramo parlò ancora e disse: "Mi è sembrato di chiudere gli occhi e dopo averli riaperti non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle".

Lo gnomo pensò a lungo, poi capì: si tolse gli occhiali e li posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per guardare dentro di sè. Il ramo, allora, apri bene gli occhi e... meraviglia...

Vide che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa circolare provò ad ascoltare, guardò a fondo: era linfa, linfa viva che si muoveva in lui.

Incredulo disse allo gnomo ciò che vedeva. Lo gnomo gli spiegò che le foglie, i fiori, e i frutti, nascono grazie alla linfa oltre che al caldo sole, all'aria di primavera e alla pioggia.

"Se hai linfa dentro di te hai tutto", gli disse, "Non occorre chiedere più nulla a nessuno ma insieme all'acqua, alla luce, all'aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro".

Il ramo, immediatamente si sentì più forte, rinvigorì: aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere la linfa' che circolava in lui.

La linfa da cui un giorno, sarebbero rinate le amiche foglie.

speranzasofferenzacrocedolore

inviato da Luana Minto, inserito il 26/05/2002

RACCONTO

229. La storia di Mark

Mark Eklund era in terza elementare e io insegnavo al Saint Mary's School a Morris, Minnesota. Ero affezionata a tutti e 34 i miei studenti, ma Mark era uno su un milione. Molto ordinato e preciso in apparenza, ma aveva quell'atteggiamento di essere-felice-di-vivere (happy-to-be-alive attitude) che faceva perfino la sua occasionale birbanteria deliziosa.

Mark parlava incessantemente. Dovevo ricordargli sempre che parlare senza permesso non era accettabile. Ciò che mi impressionava tanto, però, era la sua sincera risposta ogni volta che io dovevo correggerlo per cattivo comportamento: "Grazie per avermi corretto, Sorella!". All'inizio non sapevo cosa fare, ma dopo poco mi abituai a sentirlo molte volte al giorno.

Una mattina la mia pazienza era diventata sottile quando Mark parlò una volta di troppo, ed io commisi un errore da insegnante principiante. Guardai Mark e dissi, "Se dici ancora una parola, ti chiuderò le labbra con il nastro"! Passarono dieci secondi quando Chuck rivelò: "Mark sta parlando ancora." Io non avevo chiesto a nessuno degli studenti di aiutarmi a guardare Mark, ma dovetti punirlo davanti alla classe.

Ricordo la scena come se fosse successa questa mattina. Camminai verso la mia scrivania, aprii intenzionalmente il mio cassetto e tirai fuori un rotolo di nastro adesivo. Senza dire una parola, mi avvicinai al banco di Mark, strappai due pezzi di nastro e feci con essi una grande X sulle sue labbra. Poi tornai all'inizio della stanza. Mentre lanciai un'occhiata per vedere cosa stava facendo, lui mi strizzò l'occhio. Ciò fece! Io iniziai a ridere. La classe si rallegrò e applaudì. Tornai al banco di Mark, tolsi il nastro, e feci spallucce. Le sue prime parole furono: "Grazie per avermi corretto, Sorella."

Alla fine dell'anno, fui richiesta per insegnare alla classe di matematica della scuola media. Gli anni volarono, e presto seppi che Mark era ancora nella mia classe. Era più carino che mai e cosi educato. Poiché lui doveva mettere in lista attentamente le mie istruzioni sulla "nuova matematica", non parlò cosi tanto come aveva fatto in terza. Un venerdì le cose non andavano molto bene. Avevamo lavorato duramente su un nuovo concetto tutta la settimana e avevo la sensazione che gli studenti fossero accigliati, frustrati con se stessi e nervosi gli uni con gli altri. Dovevo fermare questo prima che mi sfuggisse di mano.

Così chiesi a loro di fare una lista con i nomi degli altri studenti nella stanza su due fogli di carta, lasciando uno spazio tra ogni nome. Poi dissi loro di pensare alla cosa più simpatica che potessero dire riguardo ad ognuno dei loro compagni di classe e di scriverla. Per finire il compito, la classe prese il resto del tempo e quando gli studenti lasciarono la stanza, ognuno mi passò il foglio. Charlie sorrise. Mark disse: "Grazie per avermi insegnato, Sorella. Buon fine settimana". Quel sabato annotai il nome di ogni studente su un foglio di carta separato, e misi in lista ciò che ognuno aveva detto di quella persona. Il lunedì diedi ad ogni studente il suo o la sua lista.
Dopo poco, l'intera classe stava sorridendo.
"Davvero?", sentii bisbigliato.
"Non sapevo di significare qualcosa per qualcuno!".
"Non sapevo di piacere cosi tanto agli altri".
Nessuno menzionò mai quei fogli ancora in classe.
Non sapevo se loro li avessero discussi dopo la classe o con i loro genitori, ma ciò non importava.
L'esercizio aveva raggiunto il suo scopo. Gli studenti erano ancora felici con se stessi e gli uni con gli altri. Il gruppo di studenti si era rimesso in marcia.

Diversi anni più tardi, dopo che tornai dalle mie vacanze, i miei genitori mi vennero incontro all'aeroporto. Quando stavamo guidando verso casa, mia Madre mi chiese le solite domande sulla gita, sul tempo, le mie esperienze in generale. Ci fu una pausa nella conversazione. Mia madre diede a mio padre un'occhiata di lato e disse semplicemente: "Papà?". Mio padre si schiarì la gola come faceva di solito prima di qualcosa importante. "Gli Eklunds hanno chiamato la notte scorsa", iniziò. "Davvero?" dissi. "Non li avevo sentiti per anni. Mark come sta?". Mio Padre rispose in modo sommesso: "Mark è stato ucciso in Vietnam", disse. "I funerali sono domani, e i suoi genitori vorrebbero che tu fossi presente". Da quel giorno posso ancora indicare il punto esatto sulla I-494 dove mio Padre mi disse di Mark.

Non avevo mai visto prima un militare in una bara militare. Mark appariva così carino, così maturo. Tutto ciò che potevo pensare in quel momento era: "Mark, darei tutto il nastro adesivo del mondo se solo tu potessi parlarmi". La chiesa era affollata di amici di Mark. La sorella di Chuck canto "L'inno di Guerra della Repubblica". Perché doveva piovere nel giorno dei funerali? Era già difficile così! Il pastore disse le solite preghiere e il trombettiere suonò i colpi. Uno dopo l'altro quelli che amavano Mark si misero in cammino verso la bara e la bagnarono con l'acqua santa. Io fui l'ultima a benedire la bara.
Mentre stavo in piedi, uno dei soldati che avevano portato la bara salì verso di me.
"Era lei l'insegnante di matematica di Mark?" mi chiese.
Io feci cenno di sì con il capo mentre continuavo a fissare la bara.
"Mark ha parlato molto di lei", lui disse.
Dopo il funerale, quasi tutti i vecchi compagni di classe di Mark si diressero alla fattoria di Chuck per il pranzo. La madre e il padre di Mark erano lì; ovviamente mi aspettavano.
"Vogliamo mostrarle qualcosa", suo padre disse, estraendo un portafoglio dalla sua tasca. "Hanno trovato questo su Mark quando fu ucciso. Pensiamo che lei possa riconoscerlo".

Aprendo il portafoglio, con attenzione tolse due pezzi logori di carta di taccuini che erano stati evidentemente legati, piegati e ripiegati molte volte. Sapevo senza guardare che i fogli erano quelli sui quali avevo messo in lista tutte le cose buone che ogni compagno di classe di Mark aveva detto su di lui.

"Grazie tanto per aver fatto ciò", disse la madre di Mark. "Come può vedere, Mark lo ha apprezzato molto".

I compagni di classe di Mark iniziarono a radunarsi intorno a noi.
Charlie sorrise in modo piuttosto imbarazzato e disse: "Io ho ancora la mia lista. E' nel primo cassetto della mia scrivania a casa".
La moglie di Chuck disse: "Chuck mi ha chiesto di mettere la sua nell'album del matrimonio".
"Anch'io ho la mia", disse Marilyn. "E' nel mio diario."
Poi Vicki, un'altra compagna di classe, raggiunse la sua borsetta, prese il suo portafogli e mostrò la sua consumata e logora lista del gruppo. "Io porto questa con me sempre", disse Vicki senza battere ciglio.
"Penso che tutti noi abbiamo salvato la nostra lista".
Qui fu quando alla fine mi sedetti e piansi.
Piansi per Mark e per tutti i suoi amici che non lo avrebbero mai più visto.

La densità delle persone nella società è cosi spessa che dimentichiamo che la vita finirà un giorno. E non sappiamo quando quel giorno sarà. Così per favore, dì alle persone che ami e a cui vuoi bene che sono molto speciali ed importanti. Diglielo, prima che sia troppo tardi.

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La storia dà anche l'idea per un'attività molto carina che si può fare con ragazzi ed adolescenti: come ha fatto l'insegnante di Mark, fate scrivere ad ognuno qualcosa di simpatico o di bello su ognuno degli altri componenti del gruppo, e poi date ad ognuno i suoi foglietti, oppure fateli leggere tutti ad alta voce.

E' un'attività che può andare molto bene sopratutto con gli adolescenti (ma può andare anche con i ragazzi) in quanto spesso hanno "crisi d'identità", o comunque non hanno una sufficiente autostima: il sentirsi dire cose simpatiche o comunque belle sul proprio conto può essere una buona iniezione di fiducia ed autostima.

Inoltre, aiuta tutti a guardare ad ognuno degli altri componenti del gruppo in modo positivo, e questo è ottimo per due motivi: innanzitutto fa fare lo sforzo di pensare a tutti gli altri, quando invece spesso qualcuno è messo da parte e non lo si considera mai; in secondo luogo, fa pensare agli altri in modo positivo, e anche questa è una cosa molto buona.

amiciziaamoreimportanza del singolocomplimentibontàconoscenzapositivopositività

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 24/05/2002

PREGHIERA

230. Signore, ho il tempo   1

Michel Quoist

Sono uscito, Signore,
fuori la gente usciva.
Camminavano e correvano tutti.
Correvano per non perdere tempo,
correvano dietro al tempo,
per riprendere il tempo,
per guadagnare tempo!...

"Arrivederci, signore, scusi,
non ho il tempo.
Ripasserò, non posso attendere,
non ho il tempo.
Termino questa lettera perché
non ho il tempo.
Avrei voluto aiutarla,
ma non ho il tempo.
Non posso accettare,
per mancanza di tempo.
Non posso riflettere, leggere,
sono sovraccarico,
non ho il tempo".

Vorrei pregare, ma non ho il tempo.
Tu comprendi, Signore,
non ho il tempo.
Lo studente, ha il suo studio
e tanto lavoro,
non ha tempo... più tardi...
Il giovane fa dello sport,
non ha tempo... più tardi...
Lo sposo novello
deve arredare la casa,
non ha tempo... più tardi...
I genitori hanno i bambini,
non hanno tempo... più tardi...
I nonni hanno i nipotini,
non hanno tempo... più tardi...
Sono malati! Hanno le loro cure,
non hanno tempo... più tardi...
Sono moribondi, non hanno...
troppo tardi!...
non hanno più tempo!...

Così gli uomini corrono tutti
dietro al tempo, o Signore,
passano sulla terra correndo,
frettolosi, precipitosi,
sovraccarichi, impetuosi, avventati...
e non arrivano mai a tutto,
manca loro il tempo,
nonostante ogni sforzo,
manca loro il tempo,
anzi manca loro molto tempo.

Signore, Tu hai dovuto fare
un errore di calcolo.
V'è un errore generale:
le ore sono troppo brevi,
i giorni sono troppo brevi,
le vite sono troppo brevi!

Tu, che sei fuori del tempo,
sorridi, o Signore,
nel vederci lottare con esso,
e Tu sai quello che fai!
Tu non Ti sbagli quando distribuisci
il tempo agli uomini:
doni a ciascuno il tempo di fare
quello che Tu vuoi che egli faccia.
Ma non bisogna perdere tempo,
sprecare tempo,
ammazzare il tempo.
Perché il tempo
è un regalo che Tu ci fai,
ma un regalo deteriorabile,
un regalo che non si conserva.

Signore, ho tempo,
ho tutto il tempo mio,
tutto il tempo che Tu mi dai:
gli anni della mia vita,
le giornate dei miei anni,
le ore delle mie giornate,
sono tutti miei.
A me spetta riempirli,
serenamente, con calma,
ma riempirli tutti, fino all'orlo,
per offrirTeli, in modo che
della loro acqua insipida
Tu faccia un vino generoso,
come facesti un tempo a Cana
per le nozze umane.

Non Ti chiedo, oggi, o Signore,
il tempo di fare questo
e poi ancora quello;
Ti chiedo la grazia
di fare coscienziosamente
nel tempo che Tu mi dai,
quello che Tu vuoi che io faccia.

tempovalore del tempo

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

TESTO

231. Amore   1

S. Biavaschi, Il profeta del vento

Nessuno è creato dalla Vita come sostegno per i vostri sogni, perché due occhi non sono fatti per guardare l'uno verso l'altro, ma entrambi verso la stessa direzione; diventando così ognuno luce per l'altro. Crescete comprendendo questo, e troverete, assieme a ciò che cercavate, anche ciò che non cercavate. Ma dopo questo, non dubitate più. Se dubitate che sia Amore, infatti, già non è Amore. E non calcolate. Se calcolate i vostri passi, infatti, già non è Amore.

Non appoggiatevi all'altro con tutto il vostro peso. Ma posatevi come un raggio di Sole su una foglia. E come una foglia accogliete l'altro raggio di Sole. Asciugate le vostre lacrime e senza timore concedete al vostro cuore questa luce e al vostro animo questo calore. Ma state attenti agli incanti! Perché i raggi di Sole non sono il Sole. Non riversate sull'altro tutta la vostra nostalgia di cielo: egli non è in grado di contenerlo, né mai voi potreste contenere il suo. Non valutate l'altro per ciò che non potrebbe mai avere, o finirete per svalutare voi. E tutto questo non è Amore. Non precipitate l'uno dentro l'altro, ma tenendovi per mano camminate insieme.

Portate l'amato non al centro del vostro cuore, ma del suo, perché lì troverà anche il vostro, e insieme troverete il cuore al centro del cosmo.

Sarete sottoposti a molte prove, e spesso l'orgoglio vi chiederà di scegliere sé al posto dell'Amore. Ma non ritiratevi da queste battaglie, perché altre non ve ne sono di più utili per voi. Se vincerete, avrete vinto. Se perderete combattendo e affilando il cuore, avrete vinto. E quando il tempo vi avrà condotto fino a farvi decidere di fondere per sempre le vostre due vite, conoscerete quote più alte, ma anche la durezza di cadute mai pensate. E vedrete spesso andare in frantumi tutti i vostri sogni. Ma sarà allora che potrete dischiudere davvero le vostre ali.

Non maledite gli eventi, perché siete voi che avete in mano il timone del vostro destino. E non sarà rompendo questo vostro vaso e dicendo addio all'amato, che le vostre radici troveranno nuova forza: questa gabbia di creta è in realtà ciò che le salva dall'essiccare.

Siete voi che dite, quando non vi sentite amati: l'Amore è finito. Quella è invece la stagione in cui comincia. Poiché il valore di chi governa la nave è nel condurla anche controvento.

Siete voi che dite, quando finiscono le sensazioni: Ma io non amo più. Non scambiate però l'Amore con le sue sole sensazioni. Poiché il valore di chi governa la nave è nel condurla talvolta anche a vele sgonfie, fino ad altre zone di Vento.

Pertanto siate fedeli, perché nell'infedeltà diventate doppi e quadrupli. E se vi è già difficile condurre una vita, come potreste condusse due o quattro? Dividendo in due un germoglio non si hanno due vite, ma nessuna. Pensando di incontrare nuove gioie incontrereste dolori maggiori di quelli cui voltate le spalle. Perciò tornate a guardare verso chi vi aspetta, ma non per dirgli: Tu non mi ami. Bensì: lo non so amarti. Questo è necessario per far scendere l'Amore sull'amato.

Alzate lo sguardo sulle virtù dell'altro, perché avete passato il tempo senza conoscervi.

Ma se poteste entrare, e a volerlo potreste, nella mente di chi vi ha accompagnato, per sfogliare insieme il libro della vostra vita, scoprireste quanto siano belle in realtà tutte quelle pagine già scritte, e quanto saranno belle tutte quelle ancora bianche.

Ricordate che il vostro cuore nasconde un Vento inesauribile che saprebbe amare, oltre al vostro amato, anche oltre il vostro amato. E attraverso di lui amare anche tutto quanto il mondo.

Ergetevi come gabbiani in queste possibilità di volo assieme. Non fatevi orfani di gioie grandi e di dolori grandi, accontentandovi di rischiare solo in parte. Ma alzate il capo e abbiate fiducia, poiché se di questo Amore amerete, sarete come due raggi che si incontrano al centro della ruota, ove poter cogliere assieme tutto il senso del nuotare della Vita.

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3.0/5 (2 voti)

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/05/2002

TESTO

232. Gli indizi per trovare l'amore vero   1

Turriseburnea.it

Esite un modo per verificare se un amore è Amore vero? Vi proponiamo sei domande a cui dare una risposta.

1 - Prova dei criteri. Se i criteri di scelta del lui/lei si basano su: "mi piace" e "stiamo bene insieme" tutto può finire presto perché sono criteri non sufficienti. La prima domanda di prova è: ho fatto di me stesso/a un dono, lungamente preparato, anche con sacrificio? Ho un progetto di vita ben chiaro che ho scoperto coincide perfettamente con quello dell'altro/a? Ho alle spalle una maturità, non solo fisica, ma soprattutto psichica e una preparazione adeguata?

2 - Prova della partecipazione. L'amore vero vuole partecipare, condividere, dare, raggiungere. La seconda domanda di prova è: siamo capaci di partecipare, condividere? Voglio diventare felice o fare felice l'altro/a e gli altri (servizio... volontariato...)?

3 - Prova del rispetto. Non vi è vero amore senza rispetto, senza la capacità di rispettarsi reciprocamente. La terza domanda è: abbiamo veramente abbastanza rispetto reciproco, sia per il corpo che per le idee dell'altro/a? Sono orgoglioso del mio fidanzato/a?

4 - Prova delle abitudini. L'amore accetta l'altro con le sue abitudini. Non sposatevi sperando che le cose cambino con il tempo. Il pensiero: "Spero di cambiarlo/a" ha sempre fallito! Occorre accettare l'altro/a come è ora, incluse le sue abitudini ed i suoi difetti (non i vizi!) La quarta domanda è: oltre ad amarlo, vi piacciono le sue abitudini?

5 - Prova della disputa. E' importante aver veramente discusso, non tanto per la discussione in sé, quanto per l'essere poi riusciti a riconciliarsi, per aver cioè sperimentato la capacità di perdonarsi. La quinta domanda è: siamo capaci di perdonarci a vicenda e di cedere l'uno all'altro?

6 - Prova del tempo. Non sposatevi se, maturi e preparati, non avete passato almeno un'estate ed un inverno attraverso un cammino di conoscenza reciproca. Se per caso avete dei dubbi sui vostri sentimenti di amore, il tempo vi darà la risposta. Se i dubbi riguardano la sincerità dei sentimenti dell'altro/a allora il chiedere un lecito sacrificio può fugare i sospetti. La sesta ed ultima domanda di prova è: il nostro amore ha passato l'estate e l'inverno? Ci siamo conosciuti, dentro, sufficientemente?

amorematrimoniofidanzamentocoppiadialogofamiglia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Luca Peyron, inserito il 19/05/2002

RACCONTO

233. Diario sconcertante   2

Turriseburnea.it

5 ottobre: oggi la mia vita è incominciata. Il babbo e la mamma non lo sanno ancora. Io sono più piccolo di una capocchia di spillo, eppure sono già un essere indipendente. Tutte le mie caratteristiche fisiche e psicologiche sono già fissate. Ad esempio io avrò gli occhi del babbo e i capelli biondi e mossi della mamma. Ed anche un'altra cosa è già stabilita: io sarò una bambina.

19 ottobre: il mio primo sangue, le mie prime vene appaiono. Però i miei organi non sono ancora completamente formati ed allora la mia mamma mi deve sostenere con il suo sangue e con la sua energia vitale. Ma quando sarò nata mi basterà soltanto, e per qualche tempo, il suo latte.

23 ottobre: la mia bocca si apre verso l'esterno. Entro un anno già potrò ridere, quando i mie genitori si chineranno sul mio lettino. Ho deciso, la mia prima parola sarà: "mamma".

P.S. Chi è quel matto che dice che io non sono un essere umano del tutto autonomo, ma che sono invece una parte del corpo di mia madre?

25 ottobre: il mio cuore ha cominciato a battere. Non si fermerà più, senza riposare, fino alla fine della mia vita. Questo è proprio un grande miracolo!

2 novembre: le mie braccia e le mie gambe cominciano a crescere. E cresceranno fino a che non saranno completamente formate: ciò durerà per un certo tempo, anche dopo la mia nascita.

12 novembre: adesso nelle mie mani stanno spuntando le dita. Con esse mi impadronirò del mondo e parteciperò alle fatiche degli uomini.

20 novembre: oggi, per la prima volta, mia madre ha appreso dal suo cuore che mi portava in seno. Chissà quanto è grande la sua gioia!!

25 novembre: adesso già si potrebbe vedere che io sono una bambina. Certamente i miei genitori stanno già pensando a come mi dovrò chiamare. Potessi già saperlo!!!

28 novembre: tutti i miei organi sono già completamente formati. Io sono molto cresciuta.

12 dicembre: mi stanno crescendo i capelli e le ciglia. Chissà come sarà contenta la mamma della sua piccola!

13 dicembre: presto potrò vedere. Però i miei occhi sono ancora cuciti con un filo. Luce, colori, fiori... deve essere magnifico! Soprattutto mi riempie di gioia il pensiero che potrò vedere la mia mamma. Oh se non ci fosse tanto da aspettare. Ancora più di sei mesi!

24 dicembre: il mio cuore è ormai perfetto. Ci devono essere bambini che vengono al mondo con un cuore malato. In questo caso bisogna affrontare terribili pene per salvarli con una operazione. Grazie a Dio il mio cuore è sano, io sarò una bambina piena di forza e di vita. Tutti saranno felici della mia nascita. Domani è Natale...

28 dicembre: oggi mia madre mi ha assassinata!

abortovitamaternità

inviato da Luca Peyron, inserito il 11/05/2002

TESTO

234. Grande silenzio

Antica Omelia sul Sabato Santo

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.

Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.

Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.

Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effigie, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.

Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.

Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati.

Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.

Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.

Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli.»

redenzionesalvezzapasquasabato santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

235. L'uomo con le mani legate   1

C'era un uomo come tutti gli altri. Normale. Aveva qualità positive e negative. Non era diverso da noi.

Una volta bussarono all'improvviso alla sua porta. Quando uscì, si incontrò con certi suoi amici. Erano in molti ed erano arrivati insieme. I suoi amici gli legarono le mani.

Dopo gli spiegarono che così era meglio, che con le mani legate non poteva combinare nulla di male (si dimenticarono però di dirgli che in tal modo non poteva fare neanche qualcosa di buono). E se ne andarono, lasciando una guardia alla porta perché nessuno potesse slegargli le mani.

All'inizio si disperò e cercò di rompere i lacci. Quando si rese conto dell'inutilità dei suoi sforzi, cercò di adattarsi alla nuova situazione. A poco a poco fece in modo di arrangiarsi per sopravvivere con le mani legate. Dapprima gli costava molto anche togliersi le scarpe. Impiegò un giorno ad arrotolarsi una sigaretta. E cominciò a dimenticarsi che prima aveva le mani libere... Passarono molti anni. Quell'uomo arrivò ad adattarsi alle mani legate.

Durante questo tempo, la guardia alla porta gli raccontava, giorno dopo giorno, delle cose cattive che facevano di fuori gli uomini con le mani libere (ma si dimenticava di dirgli delle cose buone che facevano). Continuavano a trascorrere gli anni.

L'uomo con le mani legate si adattò sempre più. E quando il guardiano gli ripeteva che, grazie a quella notte in cui i suoi amici erano venuti per legargli le mani, egli non aveva più avuto la possibilità di fare del male (ma non gli diceva che non aveva più avuto anche la possibilità di fare del bene), quell'uomo cominciò a credere che era meglio, molto meglio, vivere con le mani legate. Erano così belle quelle legature, così tranquillizzanti!

Passarono molti, moltissimi anni. Un giorno i suoi amici sorpresero il guardiano nel sonno, entrarono in casa sua, gli sciolsero i nodi delle corde che gli legavano le mani. "Adesso sei libero", gli dissero.

Ma l'avevano slegato troppo tardi. Le sue mani erano completamente paralizzate.

peccatolibertàlibertà interiore

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

236. Ballata della speranza

David Maria Turoldo, Il sesto angelo, Mondadori, 1976

Tempo del primo avvento
tempo del secondo avvento
sempre tempo d'avvento:
esistenza, condizione
d'esilio e di rimpianto.

Anche il grano attende
anche l'albero attende
attendono anche le pietre
tutta la creazione attende.

Tempo del concepimento
di un Dio che ha sempre da nascere.

(Quando per la donna è giunta la sua ora
è in grande pressura
ma poi tutta la sua tristezza
si muterà in gaudio
perché è nato al mondo un uomo.)

Questo è il vero lungo inverno del mondo:
Avvento, tempo del desiderio
tempo di nostalgia e ricordi
(paradiso lontano e impossibile!)
Avvento, tempo di solitudine
e tenerezza e speranza.
Oh, se sperassimo tutti insieme
tutti la stessa speranza
e intensamente
ferocemente sperassimo
sperassimo con le pietre
e gli alberi e il grano sotto la neve
e gridessimo con la carne e il sangue
con gli occhi e le mani e il sangue;
sperassimo con tutte le viscere
con tutta la mente e il cuore
Lui solo sperassimo;
oh se sperassimo tutti insieme
con tutte le cose
sperassimo Lui solamente
desiderio dell'intera creazione;
e sperassimo con tutti i disperati
con tutti i carcerati
come i minatori quando escono
dalle viscere della terra,
sperassimo con la forza cieca
del morente che non vuol morire,
come l'innocente dopo il processo
in attesa della sentenza,
oppure con il condannato
avanti il plotone d'esecuzione
sicuro che i fucili non spareranno;
se sperassimo come l'amante
che ha l'amore lontano
e tutti insieme sperassimo,
a un punto solo
tutta la terra uomini
e ogni essere vivente
sperasse con noi
e foreste e fiumi e oceani,
la terra fosse un solo
oceano di speranza
e la speranza avesse una voce sola
un boato come quello del mare,
e tutti i fanciulli e quanti
non hanno favella
per prodigio
a un punto convenuto
tutti insieme
affamati malati disperati,
e quanti non hanno fede
ma ugualmente abbiano speranza
e con noi gridassero
astri e pietre,
purché di nuovo un silenzio altissimo
- il silenzio delle origini -
prima fasci la terra intera
e la notte sia al suo vertice;
quando ormai ogni motore riposi
e sia ucciso ogni rumore
ogni parola uccisa
- finito questo vaniloquio! -
e un silenzio mai prima udito
(anche il vento faccia silenzio
anche il mare abbia un attimo di silenzio,
un attimo che sarà la sospensione del mondo),
quando si farà questo
disperato silenzio
e stringerà il cuore della terra
e noi finalmente in quell'attimo dicessimo
quest'unica parola
perché delusi di ogni altra attesa
disperati di ogni altra speranza,
quando appunto così disperati
sperassimo e urlassimo
(ma tutti insieme
e a quel punto convenuti)
certi che non vale chiedere più nulla
ma solo quella cosa
allora appunto urlassimo
in nome di tutto il creato
(ma tutti insieme e a quel punto)
VIENI VIENI VIENI, Signore
vieni da qualunque parte del cielo
o degli abissi della terra
o dalle profondità di noi stessi
(ciò non importa) ma vieni,
urlassimo solo: VIENI!

Allora come il lam po guizza dall'oriente
fino all'occidente così sarà la sua venuta
e cavalcherà sulle nubi;
e il mare uscirà dai suoi confini
e il sole più non darà la sua luce
né la luna il suo chiarore
e le stelle cadranno fulminate
saranno scosse le potenze dei cieli.

E lo Spirito e la sposa dicano: Vieni!
e chi ascolta dica: vieni!
e chi ha sete venga
chi vuole attinga acqua di vita
per bagnarsi le labbra
e continuare a gridare: vieni!

Allora Egli non avrà neppure da dire
eccomi, vengo - perché già viene.

E così! Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra;
ma solo questa voce
quest'unica voce
questa sola voce si oda:

VIENI VIENI VIENI, Signore!
- Allora tutto si riaccenderà
alla sua luce
e il cielo di prima
e la terra di prima
son sono più
e non ci sarà più né lutto
né grido di dolore
perché le cose di prima passarono
e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi
perché anche la morte non sarà più.
E una nuova città scenderà dal cielo
bella come una sposa
per la notte d'amore
(non più questi termitai
non più catene dolomitiche
di grattacieli
non più urli di sirene
non più guardie
a presiedere le porte
non più selve di ciminiere).

- Allora il nostro stesso desiderio
avrà bruciato tutte le cose di prima
e la terra arderà dentro un unico incendio
e anche i cieli bruceranno
in quest'unico incendio
e anche noi, gli uomini,
saremo in quest'unico incendio
e invece di incenerire usciremo
nuovi come zaffiri
e avremo occhi di topazio:

quando appunto Egli dirà
"ecco, già nuove sono fatte tutte le cose"

allora canteremo
allora ameremo
allora allora...

MARANATHA', VIENI SIGNORE GESU'!

avventoattesa

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

237. Un lampo

Piero Gribaudi, Bimbi del Vangelo

Quando vide che il tramonto stava dipingendo di viola le nubi, Eleazar si accorse, come ridestandosi da un sogno, di averla fatta grossa. Che cosa avrebbe detto a casa? Gli avrebbero creduto? Ma soprattutto che cosa avrebbero mangiato, quella sera, il babbo e la mamma?

Fu quest'ultimo pensiero a spingerlo di corsa verso i 12 canestri allineati accanto a un pozzo abbandonato. Vuoti! Vuoti anch'essi come la sua bisaccia, che sentiva rendergli sul fianco floscia come un pensiero inutile.

La sua bisaccia che poche ore prima conteneva un tesoro: cinque pani e due grandi pesci essiccati.

Che cosa era successo? Perché si era prestato con tanta spontaneità, lui - l'unico che avesse con sé un po' di cibo - a quell'incredibile gioco cui aveva assistito con stupore, gioia, emozione, sino a dimenticare il correre del tempo?

Stentava ancora a raccapezzarsi, in quel susseguirsi di eventi: la richiesta del suo prezioso cibo da parte dei discepoli di Gesù, il suo sì immediato, e poi il movimento continuo della mano del Rabbi nell'estrarre dalla sua bisaccia quel che non poteva contenere: migliaia di pani, migliaia di pesci, a saziare le migliaia di persone tra le quali si era infilato anche lui quasi per caso, per curiosità, per udire parole che solo in parte aveva capite ma che gli erano scese nel cuore come il più squisito dei cibi.

E poi, quell'allegro desinare in gruppi a forma di aiuole di cinquanta, cento persone, rese un po' ebbre dell'abbondanza del cibo spirituale e di quello materiale; al punto che il Rabbi, vedendo lo spreco dei rifiuti nell'erba, aveva ordinato di raccoglierli in dodici cesti.

Tutto straordinario, incredibile, quasi magico. Ma la conclusione? Lui, che pure si era saziato, aveva completamente dimenticato i suoi cinque pani e i suoi due pesci.

Ce n'erano talmente tanti! Ce n'erano, appunto... Ma adesso, che tutti se n'erano andati, pure i cesti degli avanzi erano stati svuotati. E lui che era costretto a tornare a casa a raccontare cose dell'altro mondo, però a mani vuote.

A Eleazar venne un groppo in gola, un grosso nodo di pianto e rabbia. E diede un gran calcio all'ultimo cesto. Vide così, acceso dall'ultimo raggio dell'ultimo sole, un piccolissimo lampo. Gli si avvicinò.

Era un pesciolino non più lungo del suo mignolo, rimasto incastrato fra le maglie del cesto. Lo raccolse, e fu allora che notò una formica trascinare una mollica di pane dieci volte più grande di lei.

Raccolse anche la mollica. Forse, mostrando a casa quei minuscoli avanzi, avrebbe potuto illustrare meglio tutte le meraviglie cui aveva assistito. Ne era assai poco convinto, Eleazar, ma tentar non nuoce.

Fu così che lo avrete già capito, Eleazar trasse quella sera a casa, sul povero tavolo disadorno, di fronte alle ghirlande di occhi dei fratellini e di mamma e papà, non uno ma diecimila pesciolini piccini e diecimila briciole di pane.

Sinché il tavolo fu colmo sino al soffitto, e i pesciolini scivolavano a terra e ai piedi del tavolo si moltiplicavano pure i gatti e le galline facendo un gran chiasso.

Alla fine, smise di affondare la mano nella bisaccia, perché le dita gli dolevano, il sole era ormai alto, i fratellini dormivano per la grande abbuffata. Mamma e papà continuavano a chiedergli di quell'uomo, Gesù, e di quale magia avesse fatto lui, il loro figliolo generoso e distratto. E lui non sapeva che rispondere, se non con un sorriso.

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inviato da Stefania Raspo, inserito il 07/05/2002

RACCONTO

238. L'occhio del falegname   5

Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua

C'era una volta, tanto tempo fa, in un piccolo villaggio, la bottega di un falegname. Un giorno, durante l'assenza del padrone, tutti i suoi arnesi da lavoro tennero un gran consiglio.

La seduta fu lunga e animata, talvolta anche veemente. Si trattava di escludere dalla onorata comunità degli utensili un certo numero di membri.

Uno prese la parola: "Dobbiamo espellere nostra sorella Sega, perché morde e fa scricchiolare i denti. Ha il carattere più mordace della terra".

Un altro intervenne: "Non possiamo tenere fra noi sorella Pialla: ha un carattere tagliente e pignolo, da spelacchiare tutto quello che tocca".

"Fratel Martello - protestò un altro - ha un caratteraccio pesante e violento. Lo definirei un picchiatore. E' urtante il suo modo di ribattere continuamente e dà sui nervi a tutti. Escludiamolo!".

"E i Chiodi? SI può vivere con gente così pungente? Che se ne vadano. E anche Lima e Raspa. A vivere con loro è un attrito continuo. E cacciamo anche Cartavetro, la cui unica ragion d'essere sembra quella di graffiare il prossimo!".

Così discutevano, sempre più animosamente, gli attrezzi del falegname. Parlavano tutti insieme. Il martello voleva espellere la lima e la pialla, questi volevano a loro volta l'espulsione di chiodi e martello, e così via. Alla fine della seduta tutti avevano espulso tutti.

La riunione fu bruscamente interrotta dall'arrivo del falegname. Tutti gli utensili tacquero quando lo videro avvicinarsi al bancone di lavoro. L'uomo prese un asse e lo segò con la Sega mordace. Lo piallò con la Pialla che spela tutto quello che tocca. Sorella Ascia che ferisce crudelmente, sorella Raspa che dalla lingua scabra, sorella Cartavetro che raschia e graffia, entrarono in azione subito dopo.

Il falegname prese poi i fratelli Chiodi dal carattere pungente e il Martello che picchia e batte.

Si servì di tutti i suoi attrezzi di brutto carattere per fabbricare una culla. Una bellissima culla per accogliere un bambino che stava per nascere. Per accogliere la Vita.

Dio ci guarda con l'occhio del falegname.

occhi di Dio su di noiamore di Diocorrezione fraternaconvivere

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inviato da Stefania Raspo, inserito il 05/05/2002

TESTO

239. Voi siete un miracolo   1

Leo Buscaglia, Vivere amare capirsi

Abbiamo paura di vivere la vita, e perciò non facciamo esperienze, non vediamo. Non sentiamo. Non rischiamo! Non prendiamo a cuore nulla! Non viviamo... perché la vita significa essere coinvolti attivamente. Vivere significa sporcarvi le mani. Vivere significa buttarvi con coraggio. Vivere significa cadere e sbattere il muso. Vivere significa andare al di là di voi stessi... tra le stelle!

Ma dovete decidere voi, per voi stessi. "Cosa significa per me la vita?" Sono convinto che se ogni giorno dedicassimo a pensare alla vita e a vivere e ad amare lo stesso tempo... no, un quarto del tempo che dedichiamo a preparare i pasti, saremmo incredibili!

Ma la vita ha un modo meraviglioso per risolvere questo problema. Per me è sempre affascinante perché, quando la vita non viene vissuta, esplode in noi. E' come cercare di bloccare il coperchio di una pentola che bolle. Succederà qualcosa, ne sono convinto. Finirete per piombare nella paura, nella sofferenza, nella solitudine, nella paranoia o nell'apatia. Tutti segni del fatto che non state vivendo! Quindi, se avvertite uno di questi sintomi, rimboccatevi le maniche e dite: "Ora devo vivere". Nell'attimo in cui incominciate a lasciarvi coinvolgere nella vita, il vapore fuoriesce, e siete salvi. Non è facile: ma la vita ci fa sapere che deve essere vissuta. Meraviglioso!

Perché c'è la morte? Io non so perché c'è la morte. Perché c'è la sofferenza? Vorrei che non ci fosse, ma non so perché c'è. Se passassi la vita a cercare le risposte a questi interrogativi, non vivrei mai.

Però a quelli che vengono da me dico che so qualcosa della vita. C'è una cosa chiamata gioia, perché io l'ho provata. E c'è una cosa chiamata follia meravigliosa, perché l'ho vissuta. E so che c'è una cosa chiamata amore perché ho amato. E so che c'è una cosa chiamata estasi perché ho conosciuto l'estasi. E so anche - perché ho conosciuto gente che ne ha fatto l'esperienza - che c'è una cosa chiamata rapimento. Oh, mi piace questa parola, "rapimento"! Cercate il rapimento! Mi rifiuto di morire fino a quando non avrò imparato che cos'è!

Perché uno si comporti così, bisogna che faccia molte scelte. Una delle più importanti è "scegliere se stesso".
Scegliete voi stessi.

Finitela di odiarvi. Finitela di buttarvi giù. Abbracciatevi e dite: "Sai, va bene così! Starai perdendo i capelli, ma sei tutto ciò che ho!".

Quando vi riconciliate con le vostre debolezze, ce l'avete fatta! Non sono enormi, sono soltanto una piccola parte di voi.

Dovete scegliere voi stessi. Sono sicuro che coloro che si tolgono la vita, che non vivono, sono soprattutto coloro che non hanno rispetto per se stessi. Non so quando è stata l'ultima volta che qualcuno ha detto questo, ma voglio sottolinearlo: Voi siete un miracolo.

senso della vitaricerca di sensosuicidiomortevitaprogettostuporeaccettazione di séottimismosperanza

inviato da Emilio Centomo, inserito il 05/05/2002

ESPERIENZA

240. Stupendo "Presepe vivente" non pubblicizzato a...

Fra Angelo De Padova

In questi giorni tutti i mezzi di comunicazione annunciano che le amministrazioni comunali, le parrocchie, le associazioni, hanno organizzato il: "Presepe vivente a..., nei giorni..., dalle ore... alle ore...; il 6 gennaio l'arrivo dei Magi con i doni...; comparse numero...; scenario suggestivo sul...; prenotarsi allo..., offerta libera" e noi annotiamo le date per poterli vedere tutti. Con questa mia lettera volevo fare anche io un po' di pubblicità ad un presepe reale...

La Società Consumista, Egoista, ha organizzato sulla Campi - Lecce, un presepe vivente, dal 1 gennaio al 31 dicembre (fin quando non ci diamo una mossa); dalle ore 00,00 alle ore 24,00; arrivano i doni (vestiti usati, pasta, olio, burro tutto aiuto CEE). I personaggi (non comparse) sono circa 300; le grotte sono fatte di roulotte bucate, senza finestre, freddissime d'inverno, bollenti in estate; le luminarie: poca luce di giorno (la notte salta sempre perché non avendo il bue e l'asino per riscaldarsi accendono tutti le stufe ed è normale che la piccola cabina elettrica non riesca a mantenere e quindi i vari bambinelli rimangono al freddo e al gelo, riscaldati dalla disperazione dei genitori che danno un po' di calore abbracciandoli, col rischio di soffocarli); gli animali: topi, scarafaggi; i servizi (se così si possono chiamare): una quindicina per 300 persone, acqua fredda; l'assistenza medica (solo le urgenze al pronto soccorso, se fanno in tempo; ma è meglio prevenire che curare). Il resto lo vedrete voi. Ah! Dimenticavo, non bisogna prenotarsi, né fare lunghe code, l'ingresso è gratuito, anzi uscendo da questo presepe vi accorgerete come loro vi avranno dato qualcosa: sì, capirete molte cose della vita. Uscendo non direte Che bello e poi tutto finisce lì. Non avrete parole, ma ve lo ricorderete per tutta la vita. Lo spazio Campo Sosta Panareo per realizzare questo presepe è stato messo a disposizione (e abbandonato) dal Comune di Lecce.

I personaggi di questo presepe mi fanno venire in mente i pastori al tempo di Gesù: non godevano di diritti civili ed erano considerati gli ultimi della società. Vivevano immersi nell'abiezione e dal punto di vista delle norme religiose nell'impurità totale, senza alcuna possibilità di riscatto. Venivano trattati alla stregua di bestie, con una differenza a favore delle bestie: si può tirare un animale caduto in un fosso, ma non un pastore. Proprio a costoro si rivolge l'angelo. Non parole di condanna, ma un annunzio di grande gioia, la nascita di colui che li libererà dall'emarginazione. Quelli che gli uomini avevano confinato nelle tenebre (in un campo sosta) sono i primi a rendersi conto della luce che risplende, mentre quanti vivono nello splendore (ricchezza) rimangono nelle tenebre. Quando Gesù si presenta nella storia, nessun sacerdote di Gerusalemme se ne accorge. I pastori sì, loro se ne andarono dalla grotta "glorificando e lodando Dio": questo era compito esclusivo degli angeli.

Correremo anche noi il rischio di non accorgerci della nascita di Gesù? Ci inginocchieremo davanti ad un bambino fatto di gesso che non soffre né il caldo né il gelo e ci dimenticheremo che nasce in carne ed ossa nel "Campo Sosta Panareo"?. E i musulmani del Campo quella notte ascolteranno gli angeli che canteranno "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama", e il giorno di Natale, stando ai semafori delle nostre città o davanti alle porte delle nostre chiese, ci annunceranno la grande gioia che Gesù è nato anche per loro. Ci vogliamo impegnare quanto prima a cambiare un po' lo scenario di questo presepe vivente (ci vuole qualche novità per l'anno prossimo)? Andate a vedere e decidete quale modifica apportare. Magari un prefabbricato andrebbe bene.
Santo Natale a tutti.

Natalepovertàsolidarietàcaritàamore

inviato da Fra Angelo De Padova, inserito il 30/04/2002

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