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TESTO

1. Mia mamma chiede il sale ai vicini

Ho sentito mia mamma chiedere ai vicini il sale. Ma noi avevamo sale in casa. Le ho chiesto perché chiedesse del sale ai vicini.

«Perché i nostri vicini non hanno molti soldi e spesso ci chiedono qualcosa. Ogni tanto anch'io chiedo loro qualcosa di piccolo e non costoso, in modo tale che sentano che anche noi abbiamo bisogno di loro. Così si sentiranno più a loro agio e sarà per loro più semplice continuare a chiederci tutto quello di cui hanno bisogno.»

chiederedarebisognonecessitàsolidarietàamare

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

2. La persecuzione più astuta

S. Ilario di Poitiers, Contro l'imperatore Costanzo, 5

Oggi ci troviamo a lottare contro un persecutore subdolo, un nemico seducente. Un tentatore che non flagella il dorso, ma liscia il ventre; non esilia a vita, ma condanna a morte coprendo di ricchezze; non ci chiude in carcere, dandoci la vera libertà, ma ci accoglie nei suoi palazzi, e così ci rende schiavi; non ci tormenta i fianchi, ma si impossessa del nostro cuore; non decapita con il ferro della spada, ma uccide l'anima con l'oro; non ci minaccia apertamente del rogo, ma in segreto attira su di noi il fuoco della Geènna. Non ci sfida, per non essere sconfitto, ma prevale su di noi con l'adulazione. Professa il nome di Cristo per poi sconfessarlo; si adopera per la conciliazione e ci toglie la pace; opprime gli eretici per fare sparire i cristiani; copre di onori i sacerdoti perché non vi siano più pastori; costruisce chiese e distrugge la fede.

persecuzionefedemaletentazione

inserito il 11/02/2022

TESTO

3. Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile

Don Luca Murdaca, ilbuongiorno.wordpress.com

Le mani di un bambino devono afferrare quelle dei genitori per accompagnarlo nella vita.
Le mani di un bambino devono afferrare le matite colorate per disegnare i propri sogni.
Le mani di un bambino devono accarezzare la barba di papà.
Le mani di un bambino devono accarezzare i capelli di mamma per addormentarsi.
Le mani di un bambino devono fare “ciao”.
Le mani di un bambino devono essere sporche di terra per aver giocato con gli amici.
Le mani di un bambino devono afferrare gli orecchini della nonna.
Le mani di un bambino devono accarezzare il bau.

Le mani di un bambino non devono produrre soldi, ma solo tenerezza e amore.

vitalavoro minorilegiustiziatenerezzaamorebambinidiritti

inviato da Don Luca Murdaca, inserito il 11/02/2022

TESTO

4. Hanno sloggiato Gesù

Chiara Lubich, Hanno sloggiato Gesù

S'avvicina Natale e le vie della città s'ammantano di luci.
Una fila interminabile di negozi, una ricchezza senza fine, ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e babbo-Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane burattine e nani rossi. Tutto si muove con garbo.
Ah! Ecco gli angioletti... Macché! Sono fatine, inventate di recente, quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino coi genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l'incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è "accalappiato" il Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù!
Ama del Natale la poesia, l'ambiente, l'amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.
Punta sul Natale per il guadagno migliore dell'anno.
Ma a Gesù non pensa.
"Venne fra i suoi e non lo ricevettero..."
"Non c'era posto per lui nell'albergo"... nemmeno a Natale.

Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l'Opera di Maria, ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll'arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo "mistero d'amore", stenderei canovacci per rappresentazioni e film.
Non so quel che farei...
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.
Quando sono stata, venticinque anni fa, in una terra in cui dominava l'ateismo, un sacerdote scolpiva statue d'angeli per ricordare il Cielo alla gente. Oggi lo capisco di più. Lo esige l'ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualche cosa che addolora.
Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendoGli festa come non mai.

nataleconsumismoGesù

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

5. Natale non è Babbo Natale?   1

Giuseppe Impastato S.I.

Non è un telegramma di auguri (Buon Natale e Buone Feste).
Non è una dichiarazione che siamo perdonati (vabbè, scurdàmuci o passato e arrivederci a tutti in paradiso).
Natale non è una promessa elettorale che ci sarà un condono tombale per tutti (tranquilli, non preoccupatevi più) e che tutti i guai che abbiamo combinati sono con un solo tocco magicamente scomparsi (pim pum pam, tutto a posto).
Natale non è una vaporosa o fantasmagorica apparizione in un sogno dove tutto il mondo (abracadabra) è divenuto meraviglioso.
Natale non è una visita di cortesia o di obbligo (toccata e fuga e chi s'è visto s'è visto).

Natale è una presenza,
una presenza povera per distruggere il fascino della ricchezza,
una presenza inerme per distruggere il mito della potenza,
una presenza mite per svilire la tentazione della prepotenza.
una presenza costante, definitiva, di un Dio che amerà senza pretese, senza ripensamenti e senza rimpianti.

Natale è una incarnazione, cioè: il Figlio di Dio è venuto tra noi,
e ormai è uno di noi, uno come tutti gli altri,
che abita come noi in questo sporco fastidioso mondo,
che viene per noi,
per essere cammino di luce e indicarci una via,
per essere energia e forza per cambiare il mondo,
per essere vittoria su ciò che è morte e donare amore.

Nessuno può dirgli: ma tu chi sei? che ci fai qui?
Che ci vieni a raccontare? che ne sai dei nostri guai?
che cosa rappresenti per noi? chi ti ha chiesto di venire?

Avevamo un progetto e un sogno: essere come Dio.
Ma non siamo riusciti a realizzarli.
Ora con Lui progetto e sogno sono realizzabili.

Ma Dio ora realizza il suo progetto e il suo sogno: diventare Uomo!
Ma se ha scelto la nostra vita, vuol dire che è bella!
Coraggio! La vera rivoluzione è iniziata; scegliamo Gesù!

NataleDio con noipresenzaincarnazione

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 29/12/2018

TESTO

6. Zaccheo sul sicomoro

Giuseppe Impastato S.I.

Ora tocca a lui, a Gesù.
Sento una indicibile nostalgia.
Stamattina mi ha preso un colpo
quando un amico mi disse:
"Sai, c'è Gesù, il Maestro, a Gerico.
E tra poco passerà da queste parti,
per andare a Gerusalemme".
Mi ha preso un colpo, e non so come,
mi è venuta una gran voglia di vederti!
Ma che? sto parlando come se fosse qui!

Mi sono messo a correre. Una spinta,
non so come sia successo.
Ti volevo vedere. E, come dicevo,
mi son messo a correre,
come quando ero bambino.
Che figuraccia, correre come i ragazzini!
Avresti dovuto vedere le facce
di clienti e conoscenti.
Ma io ho continuato, perché non m'interessa
quello che può dire la gente.

Ce l'ho fatta ad arrampicarmi.
Ho sete di te, e mi brucia questa sete
di vederti. Mi basterà vederti?
Non so.
Ho paura di ciò che potrà capitarmi.
Me ne starò qui, abbastanza nascosto,
per vederlo senza farmi vedere.
Ora tocca a te, Gesù.

Il cuore mi dice che oggi
sarà un giorno indimenticabile.
Perché sono stanco,
stanco di maneggiare denaro,
di rendere la gente più arrabbiata,
di vedermi l'odio di tutti in faccia.

Mi son fatto una posizione, sì.
Tutti mi rispettano, mi temono.
Ma io non ce la faccio più a rubare,
a esigere, a fare i conti, a controllare,
ad arricchirmi. Sono diventato anche io
spietato, come i romani. Gentaglia!

Certe volte mi sono vergognato
vedendo piangere i miei fratelli ebrei.
Già, fratelli. Sono stato un carnefice.
Ho fatto disperare. Io, sì, disperare.
Quanti mi hanno implorato,
quanti mi hanno maledetto.
Qualche volta avrei voluto restituire i soldi,
fare la spesa per le famiglie sfortunate.
Ma c'era sempre qualche sodato romano
accanto, a controllarmi.
Ma ora non ce la faccio più.

Eccolo!!! Arriva. E' proprio lui.
Che occhi attenti, che occhi buoni.
Non guarda come guardo io.
Guarda dentro, guarda con amore.
Ora capisco come la gente gli vada dietro.
Mi avevano detto che la gente ascolta,
lo segue, cambia vita. E' proprio vero.
Che faccio ora? Scendo dall'albero?
Mi piacerebbe invitarlo a casa mia.

"Zaccheo, scendi. Subito".
Dice a me? Conosce il mio nome!
Come se sappia tutto di me!
“Scendi subito! Oggi devo fermarmi da te”
Ma certo! Era quello che sognavo.
Ho fatto bene a venire qui.
"Gesù, sono onorato di averti a casa mia".

Ora sono contento. Finalmente.
Contento come quand'ero bambino.
Ora posso cambiare. Potrò guardare tutti negli occhi.
Mi guardano tutti, sorpresi.
"Subito! Devo... fermarmi... A casa tua!"
E' un sogno!
Zaccheo, corri.

incontrare Gesùzaccheoattesamisericordia

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 29/12/2018

TESTO

7. Betlemme città del pane... Pane nostro

Gianni Fanzolato

Pane nostro, né tuo, né mio, ma nostro, è di tutti.
Nasci in cielo, perché seminato nel cuore di Dio,
ma fiorisci nei prati del mondo dove tutti possono sfamarsi.

Il tuo nome sacro e fragrante sarà onorato e santificato,
se verrà moltiplicato e presente in tutte le mense del mondo.
Se anche un bambino dell'Africa, che non ha neanche acqua
per bere, potrà assaporare la delizia del tuo caldo sapore di pane.

Quando la tua presenza onorerà il desco del povero e del ricco,
e sarai pane di vita in tutti gli altari del mondo per lenire la nostra
fame di Dio, che è grande, allora il tuo regno è una splendida realtà.

E' volontà di Dio che ti condividiamo, che ti spezziamo, rinnovando
il miracolo che un giorno Cristo ha fatto con cinquemila affamati.
Continua a seminare nel tuo cuore questo seme di vita, così in Asia,
Africa, America ed Europa ogni giorno ci darai la pianta con pane per tutti.

Gesù, se imparassimo una buona volta ad essere generosi, a pensare
a chi non ha niente, ci sarebbero perdonati molti peccati, perché
molto abbiamo amato. Il mondo sarebbe una foresta verde piena di vita.

Scuotici, svegliaci, Signore per non lasciarci nella tentazione
dell'egoismo e della chiusura, e liberaci dal male che distrugge
l'umanità. Se il pane ci sarà per tutti, la vita fiorirà come un campo
appena arato e seminato e ci sarà festa per tutti i tuoi figli, che ami.

Loreto, S. Natale 2018, P. Gianni Fanzolato

paneeucaristianatalecondivisioneegoismopadre nostrogenerosità

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 29/12/2018

TESTO

8. Lettera a Rut

don Tonino Bello, www.mosaicodipace.it

Carissima Rut, avrei voluto scriverti in ben altra circostanza.
Per approfondire ad esempio le ragioni di quell'universalismo della salvezza che hanno indotto Dio a includere anche te, unica straniera nell'albero della genealogia ebraica di Gesù.
Non ti nascondo infatti che quando nella messa viene proclamata la lista degli antenati di Cristo tramandataci da Matteo, mi sorprende e mi commuove sentir pronunciare il tuo nome di donna fugace come un fremito d'ala. Sembra un nome abbreviato per pudore. O intimidito di comparire in mezzo al ferrigno scrosciare dei nomi di tanti maschioni.

Ti scrivo, invece, perché voglio sfogare con qualcuno la tristezza che mi devasta l'anima in questi giorni, alla vista di tanti stranieri che hanno invaso l'Italia, e verso i quali la nostra civiltà, che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, multietnica, multireligiosa e multinonsoché non riesce ancora a dare accoglienze che abbiano sapore di umanità.
So bene che il problema dell'immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le «buone ragioni» dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stenti a capire le «buone ragioni» dei poveri allo sbando e che in questo esodo biblico non si riesca ancora a scorgere l'inquietante malessere di un mondo oppresso dall'ingiustizia e dalla miseria.
Tu mi sembri, allora, l'interlocutrice più adatta delle mie confidenze, dal momento che, avendo coniugato il verbo accogliere non solo nella forma attiva ma anche nella forma passiva, hai sperimentato la durezza dell'emigrazione nella duplice fase: l'esilio in patria e la ghettizzazione in terra straniera.
Non tutti conoscono la tua storia. Perciò mi scuserai se, nel rievocarne alcuni particolari, sfiorerò la discrezione e farò violenza al tuo riserbo.

Vivevi spensierata sulle alture di Moab, al di là del mar Morto, cullando sogni e parlando d'amore con le tue compagne, quando un giorno arrivò nel tuo paese una famiglia di spiantati. Erano stranieri, provenienti dalla terra di Canaan, colpita in quegli anni da una terribile carestia.
Ti impressionò subito la carnagione bruna dei due figli. Uno dei quali si accorse di te.
Ma tu eri ancora ragazzina. Tanto ragazzina, che il cuore si mise a battere di paura quando egli, con i gesti più che con le parole, venne dai tuoi genitori a chiederti come sposa.
Non so se in casa quel giorno accaddero scenate. Ma c'è da supporre che ti rinfacciarono tutta la loro disapprovazione. Che eri il disonore della famiglia. Che non ti avrebbero più riconosciuta come figlia. E che era un infamia girar le spalle tutt'una volta alla propria tradizione, alla propria lingua, alle proprie divinità, per correr dietro a una maledetto sconosciuto. E che, comunque, non avrebbero tollerato mai e poi mai, dopo averti cresciuta come un fiore, di doverti consegnare a uno di quei morti di fame. Accidenti a lui e a tutti quelli della sua razza!
Furono giorni amarissimi, ma alla fine la spuntasti tu, pur pagando caramente il prezzo della tua caparbietà.
Ti vedesti così tagliare tutti i ponti, e alla fine rimanesti sola. Al punto che, quando dopo dieci anni di tribolazione tuo marito morì e morirono anche il fratello e il padre di lui, decidesti di seguire Noemi, la suocera addolorata, che, non avendo più nessuno anche lei in quella amarissima terra straniera, volle rimpatriare.
«Dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu morirò anch'io e vi sarò sepolta».

Varcasti così la frontiera, e cominciò per te la seconda fase della tua esperienza di “diversità”.
Un vero e proprio mestiere non ce l'avevi. Insieme con la qualifica professionale, ti mancava anche il libretto di lavoro, e a Betlemme, dove andasti ad abitare con Noemi, non ti vollero iscrivere nelle liste di collocamento. Sicché, per camparti la vita, essendo il tempo in cui si cominciava a mietere l'orzo, andasti a spigolare furtivamente nelle campagne.
O Dio, non era proprio lavoro nero, ma era certo un lavoro umiliante, perché scartato da tutti ed esposto alle molestie del mietitori.
Meno male che trovasti grazia presso un ricco massaro, un certo signor Booz, il quale ti prese a ben volere e ordinò ai suoi dipendenti: «Lasciatela spigolare anche tra i covoni e non le fate affronto; anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgridatela».
Ti andò veramente bene. Anzi meglio di così la sorte non poteva arriderti, dal momento che il massaro cominciò ad avere del tenero per te e addirittura ti volle sposare, tra la meraviglia di tutte le donne di Betlemme che creparono d'invidia. E brava la Moabita!

Carissima Rut, qualcuno potrebbe dire che, a proposito di immigrati, la tua vicenda non fa testo, perché, essendosi conclusa con la fatidica frase «e vissero felici e contenti», sembra appartenere più al genere delle telenovele che ai resoconti del telegiornale o ai servizi di Samarcanda, laddove le storie degli extracomunitari si intridono spesso di lacrime e di morte.
Io, invece, penso che nelle pieghe della tua avventura possiamo leggere il giudizio di Dio su questa impressionante transumanza di gente alla deriva.
La tua storia, insomma, ci interpella non solo con la forza esemplare del paradigma, ma anche con la sollecitazione di risposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza degli stranieri nel nostro territorio.
Anzitutto, ci dice che la fusione di etnie diverse è possibile: anzi, appartiene a quel pacco di progetti che costituiscono la sfida più drammatica per la sopravvivenza della nostra civiltà. La comunicazione con le culture altre, insomma non è un'utopia, né uno sterile sospiro di sognatori.

Quando alle porte della città si celebrarono le tue nozze col massaro di Betlemme, gli anziani rivolsero a Booz tuo marito uno splendido augurio, che vale tutto un trattato sulla integrazione al razziale: «Il Signore renda la donna, che entra in casa tua, come Rachele e Lia, le due donne che fondarono la casa di Israele».
In secondo luogo, la tua storia ci provoca a vincere gli istinti xenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano di ragioni patriottiche. Che scatenano all'interno delle nostre raffinatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle istituzioni con martellante coralità, rigorosi provvedimenti di forza.
Siamo vittime di una insopportabile prudenza, e scorgiamo sempre angoscianti minacce dietro l'angolo.
Perché lo straniero mette in crisi sostanzialmente due cose: la nostra sicurezza e la nostra identità.
Da una parte, infatti, ci toglie il lavoro, ci contende la casa, ci riduce gli spazi, entra in competizione con noi, decostruisce l'articolazione dei nostri interessi economici. Dall'altra, sembra attentare ai nostri connotati, sfida la compattezza del nostro mondo spirituale, relativizza i nostri altari, sfibra il deposito delle nostre tradizioni.

Ebbene, la tua storia ci fa capire che la segregazione è la risposta più sbagliata al problema razziale, così come rappresenta una iattura simmetrica il tentativo di voler assorbire nelle stratificazioni della nostra cultura i tratti emergenti della «diversità» altrui, senza lasciarne neppure la traccia. Solo la progressiva intersezione di aree di valori sarà capace di creare il terreno, calcando il quale nessuno debba sentirsi in esilio.

Grazie, dolcissima Rut, per questo tuo incredibile messaggio di universalità che lasci cadere dai tuoi covoni.
Dietro i quali, alla ricerca dei tratti di un mondo più solidale, siamo venuti anche noi a spigolare.

Luglio 1991

stranierimigrantimigrazionidiversitàaccoglienzaintegrazionemulticulturalità

inviato da Qumran2, inserito il 29/12/2018

TESTO

9. Auguri di Natale non in serie

don Tonino Bello

Carissimi,
formulare gli auguri di Natale dovrebbe essere la cosa più semplice di questo mondo. Invece, quest'anno sto provando tanta difficoltà. Ho scritto e riscritto cento volte l'attacco di questa lettera, ma mi è parso di dire sempre delle cose estremamente banali. Come sono banali certi presepi bell'e confezionati che si acquistano ai grandi magazzini. Saranno anche attraenti con i loro svolazzi di angeli e con i loro muschi di plastica. Ma sono freddi. Perché fatti in serie.
Ecco: è proprio la «serialità» che mi mette in crisi. Ho l'impressione, cioè, di esporre anch'io la mia merce preconfezionata, e poi lasciare che ognuno si serva da solo, come nei self-service di certi ristoranti.
È qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.

Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immobilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto diverso che dire Buon Natale a te, Franco, che hai fatto spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura sciistica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, dove hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella Notte Santa, anzi, ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti accanto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella cometa non la vedi perché non hai tempo per pensare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani dove consumi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce sufficiente a dar senso alla tua vita.

Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha firmato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nuziale suprema di Dio che prende in sposa l'umanità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'incarnazione. A te, Rosaria, invece, che per la prima volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, occorrerà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria. E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bambino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.

Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia ma anche tanto lontano con l'ateismo che professi, è molto diverso che dire buon Natale a te, don Donato, che le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'asino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve essere pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi davanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio forzare la tua coscienza: ma sei proprio sicuro che, quel bambino non abbia nulla da dirti, e che questo mistero (che tu vorresti confinare tra le favole) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlemme la sua sorgente e il suo estuario.

Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di percorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il momento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli auguri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti dicono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai neppure. Buon Natale, Antonietta. Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da sola davanti alla culla, e in quel pianto tu possa sperimentare le stesse emozioni di quando la semplice carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.

Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Piero, che in carcere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai combinate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi restituisca la salute del corpo e quella dello spirito.

Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta vedova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profughi albanesi che vivono insieme nella casa di accoglienza. A te, Sahid, che guardi alla televisioni gli spettacoli dell'Unicef sui bambini irakeni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi figli che hai lasciato in Tunisia.

Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divine, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessuno tirerà indietro la sua.

Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno avverte, chi sa per quale mistero, che di quel bambino «avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia», una volta che l'ha conosciuto, non può più fare a meno.

nataleincarnazionesofferenzadisperazionesperanzasolidarietàsolitudinericercaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inserito il 19/02/2018

TESTO

10. Voglio sapere (L'invito)   1

Oriah, The Invitation, ed. HarperONE, San Francisco, 1999

Non mi interessa cosa fai per vivere,
voglio sapere per cosa sospiri,
e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.

Non mi interessa quanti anni hai,
voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l'amore,
per i sogni, per l'avventura di essere vivo.

Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna,
voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore,
se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita,
o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.

Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo,
se puoi ballare pazzamente e lasciare l'estasi riempirti fino alla punta delle dita,
senza cautela, senza realismo e senza pensare alle limitazioni degli esseri umani.

Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera,
voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso,
se puoi subire l'accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.

Voglio sapere se sei fedele e quindi di fiducia.

Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni,
se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza.

Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, il tuo o il mio,
e continuare a gridare all'argento di una luna piena.

Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai,
mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due,
e fare quel che si deve fare per i bambini.

Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare fin qui,
voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco senza retrocedere.

Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove,
voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto.

Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso,
e se veramente ti piace la compagnia che hai in quei momenti vuoti.

senso della vitavitainterioritàesterioritàesistenzasolitudinericercaessenzialitàsacrificidoveridifficoltà

inviato da Qumran, inserito il 01/12/2017

TESTO

11. La preghiera contemplativa

Carlo Carretto, Deserto in città

Quando partii per il deserto avevo lasciato tutto com'è l'invito di Gesù: situazione, famiglia, denaro, casa. Tutto avevo lasciato meno... le mie idee che avevo su Dio e tenevo ben strette riassunte in qualche grosso libro di teologia che avevo trascinato con me laggiù.

E là sulla sabbia continuavo a leggerle, a rileggerle, come se Dio fosse contenuto in un'idea e avendo belle idee su di Lui potessi comunicare con Lui.

Il mio maestro di noviziato continuava a dirmi: "Fratel Carlo, lascia stare quei libri. Mettiti povero e nudo davanti all'Eucarestia. Svuotati, disintellettualizzati, cerca di amare...contempla...". Ma io non capivo un bel nulla di ciò che volesse dirmi. Restavo ben ancorato alle mie idee.

Per farmi capire, per aiutarmi nello svuotamento mi mandava a lavorare. Mamma mia! Lavorare nell'oasi con un caldo infernale non è facile! Mi sentivo distrutto. Quando tornavo in fraternità non ne potevo più.

Mi buttavo sulla stuoia nella cappella davanti al Sacramento con la schiena spezzata e la testa che mi faceva male. Le idee si volatilizzavano come uccelli fuggiti dalla gabbia aperta. Non sapevo più come cominciare a pregare. Arido, vuoto, sfinito: dalla bocca usciva solo qualche lamento.

L'unica cosa positiva che provavo e che cominciavo a capire era la solidarietà con i poveri, i veri poveri. Mi sentivo con chi era alla catena di montaggio o schiacciato dal peso del giogo quotidiano. Pensavo alla preghiera di mia madre con cinque figli tra i piedi e ai contadini obbligati a lavorare dodici ore al giorno d'estate.

Se per pregare era necessario un po' di riposo, quei poveri non avrebbero mai potuto pregare. La preghiera, quindi, quella preghiera che avevo con abbondanza praticato fino ad allora, era la preghiera dei ricchi, della gente comoda e ben pasciuta, che è padrona del suo tempo, che può disporre del suo orario.

Non capivo più niente, o meglio, incominciavo a capire le cose vere. Piangevo!

E fu proprio in quello stato di autentica povertà che io dovevo fare la scoperta più importante della mia vita di preghiera. Volete conoscerla?
La preghiera passa per il cuore, non per la testa.

Sentii come se una vena si aprisse nel cuore e per la prima volta sperimentai una dimensione nuova dell'unione con Dio. Che avventura straordinaria mi stava capitando. Non dimenticherò mai quell'istante. Ero come un'oliva schiacciata dal torchio. Al di là della "sofferenza", che dolcezza indicibile mi inondava tutta la realtà in cui vivevo.

La pace era totale. Il dolore accettato per amore era come una porta che mi aveva fatto transitare al di là delle cose. Ho intuito la stabilità di Dio.

Ho sempre pensato, dopo di allora, che quella era la preghiera contemplativa.

preghieracontemplazionepoveripovertàrapporto con Diolavoro

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

TESTO

12. Per il mattino di Pasqua   1

David Maria Turoldo, O sensi miei…Poesie 1948-1988, Rizzoli, 1996 pagg 364-366

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!
E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.
E a chiunque venga
anche al ricco dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Tutto è suo dono
eccetto il nostro peccato.
Ecco, gli darò un'icona
dove lui bambino guarda
agli occhi di sua madre:
così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato
una goccia di rugiada
è già primavera
ancora primavera
una cosa insperata
non meritata
una cosa che non ha parole;
e poi gli dirò d'indovinare
se sia una lacrima
o una perla di sole
o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle mie lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell'usignolo,
quell'usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all'alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all'alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: pace!
e poi cospargerò la terra
d'acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell'universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell'altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.

pasquarisortoresurrezionepaceannunciogioia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Sara Baroni, inserito il 08/05/2017

TESTO

13. Francesco, va' e ripara la mia casa!

Avevo il cuore in subbuglio, non sapevo cosa fare della mia vita, qual era il progetto di Dio per me. Quelle settimane passeggiavo tanto e la mia meta preferita era la chiesetta diroccata di San Damiano, poco fuori delle mura di Assisi.

Chissà da quando non si celebrava la Messa in quella chiesetta, quando ci andavo vedevo qualche contadino che, dopo il lavoro, entrava e pregava, qualche bambino portava talvolta qualche fiori di campo.

I temporali avevano rovinato le mura e il tetto, che ormai era crollato del tutto, il pavimento non c'era più, c'erano pietre tutto intorno. Quel giorno c'era tanto silenzio, tanta pace e tranquillità. Era una bellissima giornata di sole che ormai volgeva al tramonto.
Sono entrato, come al solito nella chiesetta, mi sono avvicinato al grande Crocifisso e ho iniziato a pregare. Ho pensato al mio animo tanto turbato, alla ricchezza che possedevo, ma anche a quella chiesetta diroccata e alle persone povere che incontravo ogni giorno per le vie di Assisi.

Immerso nei miei pensieri ho alzato gli occhi verso il Cristo in croce e ho sentito una voce molto chiara nel mio cuore: "Va' Francesco, ripara la mia casa, che come vedi, va in rovina!".

Sono rimasto ammutolito e senza parole, ma sentivo già la risposta nascere dentro di me: "Sì, Signore... dimmi cosa devo fare".

Alla fine della mia vita ho capito che Gesù voleva che io riparassi la sua casa, ma anche che mi donassi ai poveri e a tutti gli uomini e costruissi così una Chiesa più vera e più bella, come la voleva lui!

san francescovocazionechiesaimpegnodisponibilità

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2017

TESTO

14. Beati noi, poveri nello spirito

Paolo VI, Visita alla Basilica dell'Annunciazione in Nazareth (5 gennaio 1964)

Beati noi, se, poveri nello spirito,
sappiamo liberarci
dalla fallace fiducia nei beni economici
e collocare i nostri primi desideri
nei beni spirituali e religiosi;
e abbiamo per i poveri riverenza ed amore,
come fratelli e immagini viventi del Cristo.

Beati noi, se, formati alla dolcezza dei forti,
sappiamo rinunciare alla potenza funesta
dell'odio e della vendetta
e abbiamo la sapienza di preferire
al timore che incutono le armi
la generosità e il perdono,
l'accordo nella libertà e nel lavoro,
la conquista della bontà e della pace.

Tratto da "La vita in Cristo e nella Chiesa, maggio 2014, pag. 53"

beatitudinipovertàricchezzaforzadebolezzaperdonovendetta

inviato da Giuseppe Impastato, inserito il 20/02/2017

TESTO

15. Testamento di Raoul Follereau

Raoul Follereau

Giovani di tutto il mondo, o la guerra o la pace sono per voi. Scrivevo, venticinque anni fa: "O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l'uomo vivrà per l'uomo, o gli uomini moriranno". Tutti e tutti insieme.
Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre. Ieri, l'allarme. Domani, l'inferno.
I Grandi - questi giganti che hanno cessato di essere uomini - possiedono, nelle loro turpi collezioni di morte, 20.000 bombe all'idrogeno, di cui una sola è sufficiente a trasformare un'intera Metropoli in un immenso cimitero. Ed essi continuano la loro mostruosa industria producendo tre bombe ogni 24 ore. L'Apocalisse è all'angolo della strada.
Ragazzi, Ragazze di tutto il mondo, sarete voi a dire "no" al suicidio dell'umanità.
"Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere". Questa fu la mia preghiera di adolescente.
Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele...
Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta.
Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l'ultima ambizione della mia vita, e l'oggetto di questo "testamento".

Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa!
Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C'è un solo cielo per tutto il mondo.
Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l'umanità.
E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.
Amarsi o scomparire.
Ma non è sufficiente inneggiare a: "la pace, la pace", perché la Pace cessi di disertare la terra.
Occorre agire. A forza di amore. A colpi di amore.
I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce.
Allontanatevi dai mascalzoni dell'intelligenza, come dai venditori di fumo: vi condurranno su strade senza fiori e che terminano nel nulla.
Diffidate di queste "tecniche divinizzate" che già San Paolo denunciava.
Sappiate distinguere ciò che serve da ciò che sottomette.
Rinunciate alle parole che sono tanto più vuote quanto sonore.
Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi.
Ciò che occorre è liberarlo da certi "progressi" e dalle loro malattie, dal denaro e dalla sua maledizione.
Allontanatevi da coloro per i quali tutto si risolve, si spiega e si apprezza in rapporto ai biglietti di banca.
Anche se sono intelligenti essi sono i più stupidi di tutti gli uomini.
Non si fa un trampolino con una cassaforte.
Bisognerà che dominiate il potere del denaro, altrimenti quasi nulla di umano è possibile, ma con il quale tutto marcisce.
Esso, Corruttore, diventi Servitore.
Siate ricchi della felicità degli altri.
Rimanete voi stessi. E non un altro. Non importa chi. Fuggite le facili vigliaccherie dell'anonimato.
Ogni essere umano ha un suo destino. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali.
Niente diminuisce mai la dimensione dell'uomo. Se vi manca qualcosa nella vita è perché non avete guardato abbastanza in alto.
Tutti simili? No.
Ma tutti uguali e tutti insieme!
Allora sarete degli uomini. Degli uomini liberi.
Ma attenzione! La libertà non è una cameriera tuttofare che si può sfruttare impunemente. Né un paravento sbalorditivo dietro il quale si gonfiano fetide ambizioni.
La libertà è il patrimonio comune di tutta l'Umanità. Chi è incapace di trasmetterla agli altri è indegno di possederla.
Non trasformate il vostro cuore in un ripostiglio; diventerebbe presto una pattumiera.
Lavorate. Una delle disgrazie del nostro tempo è che si considera il lavoro come una maledizione. Mentre è redenzione.
Meritate la felicità di amare il vostro dovere.
E poi, credete nella bontà, nell'umile e sublime bontà.
Nel cuore di ogni uomo ci sono tesori d'amore.
Spetta a voi, scoprirli.
La sola verità è amarsi.
Amarsi gli uni con gli altri, amarsi tutti. Non a orari fissi, ma per tutta la vita.
Amare la povera gente, amare le persone infelici (che molto spesso sono dei poveri esseri), amare lo sconosciuto, amare il prossimo che è ai margini della società, amare lo straniero che vive vicino a voi.
Amare.
Voi pacificherete gli uomini solamente arricchendo il loro cuore.

Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un "progresso" folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido "ho fame!" che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli.
Allora... domani?
Domani, siete voi.

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inviato da Fra Roberto Brunelli, inserito il 28/12/2016

TESTO

16. Le gambe del grillo   2

Proverbio nigeriano

Anche le gambe di un grillo sfamano chi si vuol bene, ma per chi è egoista non basta un elefante.

povertàricchezzafamegiustiziaingiustizia

4.0/5 (1 voto)

inserito il 03/10/2016

TESTO

17. Un delitto perfetto   1

Josuè de Castro, Uomini e granchi

Chiesi agli uomini: "Che cosa state portando avvolto in quella coperta, fratelli?". Mi risposero: "Portiamo un corpo morto, fratello". Chiesi: "E' stato ucciso o è morto di morte naturale?". "E' una domanda difficile, fratello! Ha tutta l'aria di essere stato un assassinio", mi risposero. "Com'è stato ucciso quest'uomo! Con un coltello o una pallottola, fratelli?", chiesi. "Non è stato né un coltello né una pallottola. Si è trattato di un delitto perfetto, un delitto che non lascia tracce". "Ma allora come è stato ucciso quest'uomo?", insistetti, ed essi mi risposero con calma: "Quest'uomo è stato ucciso dalla fame, fratello".

denutrizionefamepovertàricchezzaingiustizia

inviato da Qumran2, inserito il 05/09/2016

TESTO

18. Amore e ricchezza

Abba Evagrio il monaco

Non è possibile che l'amore possa coesistere con la ricchezza. L'amore cristiano non solo distrugge l'avidità del possesso, ma la stessa nostra vita legata al tempo. Rimanendo attaccati a qualche bene esteriore, il nemico è sempre in vantaggio e su di noi getta i suoi lacci per provocare in noi risentimento, dove sa che il nostro cuore è ancora attaccato.

Abba Evagrio il monaco, monaco della Chiesa Orientale del IV secolo

ricchezzadenaroaviditàesterioritàinteriorità

inviato da Qumran2, inserito il 05/09/2016

TESTO

19. La felicità non ha prezzo

Papa Francesco, Omelia 24 aprile 2016, Giubileo dei Ragazzi e delle Ragazze

Non fidatevi di chi vi distrae dalla vera ricchezza, che siete voi, dicendovi che la vita è bella solo se si hanno molte cose; diffidate di chi vuol farvi credere che valete quando vi mascherate da forti, come gli eroi dei film, o quando portate abiti all'ultima moda. La vostra felicità non ha prezzo e non si commercia; non è una "app" che si scarica sul telefonino: nemmeno la versione più aggiornata potrà aiutarvi a diventare liberi e grandi nell'amore.

felicitàricchezzainterioritàesteriorità

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

20. Beati i ragazzi   2

Valerio Bocci, Insegnare Religione, Elledici, n. 5 Maggio-giugno 2013

Beati i ragazzi che non pensano solo ai soldi
ma si spendono gratuitamente in nome di Dio:
Lui li accoglie a braccia aperte nella sua famiglia.

Beati i ragazzi che si accorgono di chi soffre
e donano sorrisi e mani calorose:
quando piangeranno Dio sarà con loro.

Beati i ragazzi teneri di cuore
che non fanno i bulli e i prepotenti:
sono "forti" agli occhi di Dio.

Beati i ragazzi che sono "troppo giusti"
e non scendono a facili compromessi:
grazie a loro Dio risanerà le ingiustizie del mondo.

Beati i ragazzi dal cuore grande
che sanno perdonare non una ma cento volte:
in loro si riflette la bontà di Dio.

Beati i ragazzi che sono limpidi
e trasparenti come l'acqua:
riflettono sempre il volto di Dio.

Beati i ragazzi che fanno spuntare fiori di pace
in casa, a scuola, sui campi da gioco:
tutti li riconosceranno come veri figli di Dio.

Beati i ragazzi che sanno essere fedeli
nelle piccole cose di ogni giorno:
ad essi Dio regala la sua infinita amicizia.

beatitudiniragazzifortezza

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

21. Silenzio, silenzio, per favore   1

Paolo Curtaz, Commento per il Sabato Santo 2003

Silenzio, silenzio, per favore. Gesù giace, rigido, il volto tumefatto e sfigurato, avvolto da un telo di lino tessuto apposta. La tomba di Giuseppe di Arimatea, che non ha potuto salvare il Maestro malgrado la sua influenza nel Sinedrio e il suo denaro, ora accoglie il rabbì. L'aveva fatta scavare per sé, quella tomba, ora, ultimo gesto di un amico, la cede al Signore. E' tutto finito, tutto tace. Gli apostoli, sconvolti da quanto accaduto, vagano sotto gli ulivi nei pressi della città, alcuni si sono nascosti per paura di finire come il Signore. La gente guarda sconsolata i pali delle croci macchiate del sangue raggrumato alla porte della città, già si parla d'altro nei mercati. Il profeta di Nazareth ha osato troppo, come poteva immaginare di passarla liscia? Belle parole, le sue, ma la realtà è un'altra cosa...

Nelle nostre chiese, spoglie, non si celebra più la messa, la Chiesa è in lutto, attende, aspetta. La notte sta per arrivare, la notte più lunga dell'anno, la madre di tutte le notti, la notte dell'annuncio, la notte dell'attesa...

sabato santonotte di Pasquasilenzioattesa

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/03/2016

TESTO

22. Sulla strada per cercare, partire, arrivare e ancora ripartire   2

Giorgio Basadonna, Spiritualità della strada, Editrice Ancora Milano

Mettersi per strada per toccare con mano cosa significa cercare, cioè sapere e non ancora vedere, sentire la mancanza di qualcosa che preme e di cui si ha bisogno, avvertire un vuoto che non può restare ed esige di essere colmato. Il coraggio di uscire, di abbandonare ripari e difese troppo spesso limitanti, di rinunciare a quanto già si ha per ottenere ciò di cui si avverte il bisogno: questo è mettersi per strada.

C'è sempre qualche motivo per restare dove si è, per continuare come si è, per non partire. Ma è paura, perché vero invece è il nostro estremo bisogno di cambiare, di crescere, di conoscere, di rispondere agli interrogativi più urgenti che battono dentro di noi. Ci si mette per strada: un senso di sgomento e di ansia ci assale. Si avverte subito la propria piccolezza e tutto sembra così difficile. Ma poi, appena si comincia, appena la strada si snoda sotto i nostri passi, ci si accorge che, come le nebbie del mattino, la paura si dilegua e adagio adagio sorge il sole.

Caratteristica della strada è il suo continuare: ogni route comporta un susseguirsi di tappe. Arrivare e partire, piantare la tenda e disfarla il giorno dopo, fermarsi a dormire per riprendere la strada. Così si apprende il valore di un sacrificio, la nobiltà e l'importanza di spendersi per qualcosa, la liberazione che nasce da una decisione coraggiosa portata fino in fondo. Il piacere di arrivare, di porsi una meta e raggiungerla, il piacere di vedere crescere dentro di sé qualcosa che si è intravisto come necessario alla propria pienezza umana, è il piacere del vivere, il piacere dell'essere libero e del sentirsi realmente costruttori di se stessi.

Ma non si arriva se non per ripartire. Quando fa giorno si riparte. La tenda viene ripiegata, si cancella ogni traccia, e si va, portando nel cuore quella ricchezza di cose e di persone che si è vissuta. Poi, un'altra tappa, un altro incontro con altre persone e altre cose; ma le stelle saranno ancora quelle, ancora quelle le nuvole, l'acqua, il fuoco, ancora quella la gioia dell'arrivare. Non si sta fermi: siamo fatti per camminare, per crescere, per divenire. La verità del nostro essere liberi e intelligenti ci fa capire che là dove siamo ora non è che una tappa e che la strada è ancora lunga.

"C'è una lunga lunga traccia..." che si perde nel cielo, che scavalca il tempo e approda all'eterno: ma intanto si cammina. Se fin qui si è goduto nella ricerca, nell'incontro, nello stupore dei paesaggi e delle esperienze interiori, quanto ancora c'è da godere, continuando con un bagaglio che si fa sempre più ricco! Arrivare e partire. Il senso del nuovo che ogni giorno si apre ai nostri occhi e al nostro cuore. C'è sempre un "ancora", un "più", un "domani": "già" e "non ancora", per tutto quello che si è e per quello che domani saremo, per noi e per il mondo intero.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Franco Naldi Ofm, inserito il 06/02/2016

TESTO

23. Dio ci vuole leggeri come i bambini

Luigi Pozzoli, Elogio della piccolezza, Edizioni Paoline, Milano 2002

Dio non vuole gente che abbia delle virtù, ma fanciulli che egli possa prendere come si solleva un bambino, in un momento, perché è leggero e ha grandi occhi; non è una santità a basso prezzo, ma una «piccola via», per collegare la santità allo spirito d'infanzia evangelico, che è spirito di semplicità, di fiducia, di abbandono incondizionato alle iniziative di Dio. C'è un complotto dei «grandi» contro l'infanzia forse? Basta leggere il vangelo per rendersene conto. Leggeri, come quella lunga schiera di piccoli che attraversano la storia senza che la storia parli di essi: sono uomini e donne che hanno nel cuore le parole della leggerezza, che sono capaci di solitudine e silenzio, che sono guariti da ogni smania di apparire e da ogni pretesa di sapere. Ancora la domanda: perché Dio si è convertito al fascino della piccolezza? Perché la piccolezza è libertà. Chi è evangelicamente piccolo, non solo è leggero, ma anche libero. È il bambino che può dire tutto quello che vuole, non l'adulto. Potremmo dire: i bambini sono «pericolosi» perché non hanno il buon senso di tenersi per sé la verità. Allo stesso modo i piccoli del vangelo sono le persone più libere. E si potrebbe facilmente dimostrare che le persone grandi e «pesanti», attaccate al potere e alle cose, non sono libere. Nessuno è più libero di Gesù, perché nessuno è più povero di lui. È povero di beni, è povero di legami familiari, è povero di successi umani. Per questo, non avendo nulla da difendere è libero anche di fronte alla morte.

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inviato da Padre Franco Naldi Ofm, inserito il 06/02/2016

TESTO

24. Ateismo pratico   1

Oscar Arnulfo Romero, Omelia 29 luglio 1979

A cosa servono belle strade e aeroporti, begli edifici di tanti piani, se vengono costruiti con il sangue dei poveri, che non ne beneficeranno?

Ateo non è solo il marxismo, ateo pratico è anche il capitalismo. Questo divinizzare il denaro, questo idolatrare il potere, questo porre falsi idoli da sostituire al vero Dio. Viviamo tristemente in una società atea.

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inviato da Paola Berrettini, inserito il 16/06/2015

TESTO

25. È nato un bambino

Valentino Salvoldi

"È nato un bambino".
Questa la frase che, identica, risuona sotto diversi cieli.
Non si dice: "È nato un cristiano, un musulmano,
un ricco, un povero o un americano".
No! Ma semplicemente: "Un bambino".
Un essere umano bisognoso d'amare e di essere amato.
Un figlio di Dio e dell'uomo.
Un miracolo: un nuovo continuo "natale".

Scarica la raccolta completa di preghiere e testi di don Valentino Savoldi.

nascitabambinovitaessere umanoumanità

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inviato da Don Valentino Salvoldi, inserito il 16/06/2015

TESTO

26. Tutti possono pregare   1

San Serafino di Sarov, Detti

Tutti possono pregare! Il ricco e il povero, il forte e il debole, il sano e il malato, il santo e il peccatore. La preghiera è sempre a nostra disposizione, più di ogni altra cosa.

preghiera

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inviato da Qumran2, inserito il 21/01/2015

TESTO

27. Vivere le beatitudini   2

Beata te che, povera in spirito,
non ti affanni per le cose di questa terra.
Dio sarà la tua ricchezza

Beata te che, soffrendo per il male che c'è nel mondo,
ti lasci raggiungere dal dolore degli altri.
Dio ti darà la sua consolazione.

Beata te che, avendo un cuore mite,
al male rispondi con il bene.
Dio ti darà la comunione con lui.

Beata te che, avendo fame e sete di santità,
non ti senti mai sazia di Dio.
Dio ti darà la pienezza della vita.

Beata te che sei misericordiosa
pronta a perdonare e a fare il primo passo.
Dio sarà generoso nel perdonarti.

Beata te che hai un cuore sincero e trasparente
incapace di doppiezza.
Dio ti farà dono della sua presenza.

Beata te che diffondi la pace
e costruisci un ambiente fraterno
Dio ti considererà a pieno titolo sua figlia.

Beata te che consideri la sofferenza come normale compagna di viaggio
e non ti meravigli delle calunnie, fraintesi e persecuzioni.
Dio è con te, ti protegge e difende.

Parafrasi delle beatitudini, composta in una comunità femminile

beatitudini

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 21/06/2014

TESTO

28. Vuoi onorare il corpo di Cristo? (versione breve)   4

San Giovanni Crisostomo, Omelie

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri. Non onorare Cristo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre. Colui che ha detto: "Questo è il mio Corpo", ha detto anche: "Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare".

Clicca qui per la versione lunga.

caritàamoresolidarietàgiustiziaricchezzapovertàcultoeucaristia

5.0/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 07/10/2013

TESTO

29. Quanto guadagni in un'ora?   8

Figlio: "Papà, posso farti una domanda?"
Papà: "Certo, di cosa si tratta?"
Figlio: "Papà, quanti soldi guadagni in un ora?"
Papà: "Non sono affari tuoi. Perché mi fai una domanda del genere?"
Figlio: "Volevo solo saperlo. Per favore dimmelo, quanti soldi guadagni in un ora?"
Papà: "Se proprio lo vuoi sapere, guadagno 100 dollari in un ora"
Figlio: "Oh! (con la testa rivolta verso il basso)
Figlio: "Papà, mi presteresti 50 dollari?"
Il padre si infuriò.
Papà: "La sola ragione per cui me lo hai chiesto era per chiedermi in prestito dei soldi per comprare uno stupido giocattolo o qualche altra cosa senza senso, adesso tu fili dritto per la tua stanza e vai a letto. Pensa al perché stai diventando così egoista. Io lavoro duro ogni giorno per questo atteggiamento infantile."

Il piccolo bambino andrò in silenzio nella sua stanza e chiuse la porta.
L'uomo si sedette e diventò ancora più arrabbiato pensando alla domanda della ragazzo. Come ha avuto il coraggio di farmi una domanda simile solo per avere dei soldi?
Dopo un ora o poco più, l'uomo si calmò, e cominciò a pensare:
Forse c'era qualcosa di cui aveva davvero bisogno di comprare con 50 dollari, non chiede dei soldi molto spesso.
L'uomo andò nella stanza del piccolo bambino e aprì la porta.
Papà: "Stai dormendo, figlio?"
Figlio: "No papà, sono sveglio".
Papà: "Stavo pensando, forse sono stato troppo duro con te prima. È stato un giorno faticoso per me oggi e mi sono scaricato su di te. Questi sono i 50 dollari che mi hai chiesto".

Il piccolo bambino si sedette subito e cominciò a sorridere.
Figlio: "Oh, grazie papà!"
Dopo, da sotto il suo cuscino ha tirato via delle banconote stropicciate. L'uomo vide che il bambino aveva già dei soldi, e inizio ad infuriarsi di nuovo. Il piccolo bambino iniziò lentamente a contare i suoi soldi, e dopo guardò il padre.

Papà: "Perché vuoi altri soldi se ne hai già"?
Figlio: "Perché non ne avevo abbastanza, ma adesso si".
"Papà, ho 100 dollari adesso. Posso comprare un ora del tuo tempo? Per favore vieni prima domani. Mi piacerebbe cenare con te."

Il padre rimase impietrito. Mise le sue braccio attorno al suo bambino e lo implorò di perdonarlo.

Questa è solamente una storia per ricordare a tutti noi che non bisogna sempre lavorare così duramente nella vita. Non ci rendiamo conto che il tempo ci scivola via tra le dita senza averne speso un po' con le persone più importanti della nostra vita, quelle vicino ai nostri cuori.
Ti ricorderai che 100 dollari valgono il tuo tempo con la persona che ami? Se noi morissimo domani, la società per cui lavoriamo ci potrà facilmente sostituire in qualche giorno. Ma la famiglia e gli amici che ci lasciamo dietro sentiranno la mancanza per il resto delle loro vite. E iniziamo a pensarci, noi mettiamo tutto ciò che abbiamo sul lavoro piuttosto che sulla nostra famiglia.
Alcune cose sono più importanti.

Vedi il video del racconto.

tempovalore del tempopadrefigligenitoriprioritàlavorointerioritàesteriorità

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inviato da Qumran2, inserito il 16/05/2013

TESTO

30. Se tu credi   2

P. Gilbert

Se tu credi,
che un sorriso è più forte di una lacrima,
se tu credi alla potenza di una mano offerta,
se tu credi che quello che unisce gli uomini
è più forte di quello che divide,
se tu credi che l'essere diversi
costituisce una ricchezza e non un pericolo,
se tu preferisci la speranza al sospetto,
se credi che devi fare il primo passo anziché gli altri,
allora la pace verrà.

Se lo sguardo di un bambino riesce ancora
a disarmare il tuo cuore,
se l'ingiustizia fatta agli altri ti suscita ribellione
come se l'avessi subita tu stesso,
se per te l'estraneo è un fratello che ti viene presentato,
se sai donare gratuitamente un po' del tuo tempo per amore,
se sai accettare che un altro ti renda un servizio,
se dividi il tuo pane e sai aggiungere un po' del tuo cuore,
se credi che il perdono va più lontano della vendetta,
allora la pace verrà.

Se puoi ascoltare gli infelici che ti fanno perdere tempo
e conservare il sorriso,
se sai accettare la critica ed approfittarne
senza respingerla e difenderti,
se sai accogliere un consiglio diverso dal tuo e adottarlo,
se ti rifiuti di versare sul petto altrui la tua colpa,
se per te la collera è una debolezza e non una prova di forza,
se tu preferisci essere abbandonato
anziché fare torto a qualcuno,
se tu rifiuti che dopo di te venga il diluvio,
se ti schieri dalla parte del povero e dell'oppresso
senza pretendere di essere un eroe,
se tu credi che l'amore è la sola forza della discussione,
se tu credi che la pace sia possibile,
allora la pace verrà.

pacesperanzafiduciaottimismo

4.8/5 (5 voti)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 06/03/2013

TESTO

31. Potenti?   1

Roger Schutz

Una certa mentalità unisce volentieri cristianesimo e potenza. Ma se il Signore, con la sua venuta, ha innalzato gli umili e abbassato i potenti, possiamo noi cercare ancora un'alleanza con i forti?

umiltàpotereesterioritàricchezzapovertàchiesacristianesimodebolezza

4.3/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 04/01/2013

TESTO

32. Pensa agli altri   1

Mahmoud Darwish, Kazahri al-Lawzi aw Ab'ad (come il fiore di mandorlo o più lontano)

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell'acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

caritàamorealtruismosolidarietàingiustiziagiustiziaaltripacepovertàricchezza

4.0/5 (2 voti)

inviato da Letizia Mariotti, inserito il 12/08/2012

TESTO

33. Fa' il mio cuore ricco di amore

Karl Rahner, Tu sei il silenzio, ed. Queriniana

Fa' il mio cuore come il cuore del Figlio tuo; così largo e così ricco di amore; che i miei fratelli... che uno almeno, nella mia vita, venga per questa via, a comprendere che tu lo ami. Dio del mio Signore Gesù Cristo, che io ti possa trovare nel suo cuore.

amore fraternofratellicuore di Gesùcuoreamore di Diotestimonianza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 05/08/2012

TESTO

34. Amore e comunione   1

Mariano Magrassi, Afferrati da Cristo

Dedichiamo brevemente attenzione ai gesti quotidiani che esprimono l'agàpe (amore) e costruiscono la koinonia (comunione). Al primo posto metterei una capacità infinita di comprensione e perdono. Non sta insieme una comunità dove i componenti non sono pronti a perdonarsi.

Bisogna anzitutto capire gli altri e accettarli come sono. Prendere i fratelli come Dio ce li manda e poi entrare in ciascuno, a partire da un gesto, da una parola, con una forte carica di simpatia, in modo da uscirne con la sua immagine, vera e non deformata. Spesso i pregiudizi fanno da schermo, si interpongono tra noi e i fratelli. Un filosofo ha definito la carità «l'attenzione prestata all'esistenza altrui».

Un altro elemento, importante per la comunione, è la prontezza a donarsi sulla linea del servizio. Un servizio che anzitutto deve afferrare tutto il mio essere, cioè devo fare di me quello che viene bene per gli altri. Aggiusto me stesso per essere gradito agli altri. È una carità che si fa con l'essere, prima che con l'azione.

Amare senza misura, né di intensità né di estensione. Quindi fraterna apertura a tutti. I fratelli non si scelgono, si accolgono senza discriminazione; basta escluderne uno per uccidere la carità. E dopo che l'ho accettato, il fratello, superando l'egoismo che è chiusura in me stesso, devo aprirmi a lui con una immensa speranza. Quando l'io si chiude in se stesso, intristisce. Quando invece diventa capace di rapporto, di comunione, allora si apre e fiorisce, come certi fiori che si schiudono quando sorge il sole.

Altro gesto di comunione è la correzione fraterna. Che sia un gesto cristiano non c'è alcun dubbio, perché si trova nel discorso ecclesiale di Matteo (18, 15-17). Ma è un'arte molto, molto difficile! Occorre intervenire nel momento giusto e col tono giusto. Deve nascere da un bisogno di amicizia che porge fraternamente all'altro una mano per risollevarsi. A sua volta, la correzione spinge chi la compie a togliere la trave dal proprio occhio.

Ma occorre pure sopportare se stessi, cioè accattare con serenità i propri limiti. Questo non lo riferisco ai peccati che dobbiamo cercare di eliminare, tutti; ma ai limiti che ci sono in ogni persona umana. Bisogna diventare scomplessati al riguardo; occorre saperci accettare come siamo, con lo sforzo quotidiano per renderci migliori. Allora si diventa uomini felici di vivere. È una cosa molto importante questa, perché l'uomo felice di vivere è capace di buoni rapporti con gli altri.

Accettare le diversità e saperle comporre nella comunione è un'altra cosa indispensabile. La diversità è voluta da Dio. La diversità è una ricchezza, purché non diventi contrasto. L'immagine più bella mi pare che l'abbia trovata Ignazio di Antiochia quando ha detto che siamo come una cetra, cha ha parecchie corde, e ogni corda suona la sua nota, ma ogni corda è armonizzata con l'altra. Se avessimo nella Chiesa un po' più di capacità di comporre queste differenze nella comunione! Si tratta di diversità a livello personale, non delle diversità sulle verità di fede; è chiaro che lì ci deve essere la perfetta comunione.

Da ultimo occorre da parte di tutti una fraterna cooperazione al bene di tutto il corpo ecclesiale. La salute e la vitalità di un organismo risultano dall'apporto di tutti gli organi che lo compongono. La Chiesa è un corpo che ha bisogno di tutti: ognuno l'arricchisce col suo dono.

Il Signore ci renda capaci di moltiplicare ogni giorno i gesti di bontà intorno a noi. Questa comprensione verso gli altri non è per il cristiano pura filantropia, ma un modo di andare incontro al Cristo, perché il fratello è "sacramento di Gesù". Gesù mette sul suo conto quello che abbiamo fatto al più piccolo dei nostri - e suoi - fratelli.

amorecomunionecomunitàfratelloserviziocorrezione fraterna

inviato da Marco Sciddurlo, inserito il 06/05/2012

TESTO

35. Si lavò le mani

Amici della Zizzi, Commento al Vangelo

"Si lavò le mani".
Quante volte davanti alle ingiustizie ci siamo lavati le mani come ha fatto Ponzio Pilato?
Quante volte abbiamo visto un barbone per la strada dormire sotto i cartoni ed abbiamo detto: "Qualcuno ci penserà, non è affar mio".
Quante volte abbiamo saputo di un bambino in una brutta situazione ed abbiamo detto: "Lo prenda un'altra famiglia, non la mia".
Quante volte abbiamo visto qualcuno soffrire e non lo abbiamo aiutato dicendo che non è affar nostro?

Basterebbe che ognuno di noi si preoccupasse di una sola persona povera o abbandonata per cambiare la sua vita ed il mondo che ci circonda.
"Non è affar mio", ed allora chi si dovrebbe occupare dei bambini abbandonati, dei poveri, degli emarginati?
Lo stato? Ma chi è lo stato se non noi? Ok, allora che se ne occupino le istituzioni, ma con quali soldi se già a stento funzionano ospedali, scuole ed uffici pubblici? Disposti a raddoppiare le tasse per aiutare chi soffre? Ma non è una questione di soldi, è una questione di cuore, di amore. Un bambino che è stato picchiato dalla sua mamma, violentato dal suo papà, denutrito da quando è nato, un bambino che ha visto la sorella prostituirsi nel letto vicino al suo tutte le sere, che ha visto i drogati entrare in casa sua per comprare una dose... secondo voi ha bisogno dei vostri soldi o di quelli dello stato? Ha bisogno di una struttura che lo accolga, diventi un numero ed una volta raggiunta una certa età (spesso 13/14 anni) venga mandato via, che viva sempre con il pensiero che possa essere mandato via, che non abbia punti di riferimento perché gli educatori che nella struttura interagiscono con lui lo fanno per lavoro e come ogni mestiere hanno orari, ferie, licenziamenti, opportunità migliori per le quali andarsene?
Ma secondo voi come può crescere un bambino in tal modo?
Di cosa hanno bisogno i vostri figli? Li mandereste in una struttura del genere? Le comunità educative devono esserci perché ci sono ragazzi troppo difficili da poter essere inseriti in una famiglia, ma ci sono migliaia di bambini (un milione e trecentomila è la stima dei bambini che necessitano di aiuto nella nostra bella Italia) che hanno bisogno del cuore di una mamma e di un papà "puliti". Due genitori che amino quel bimbo come loro stessi. A noi è andata così. Noi ci hanno amato, ci hanno accudito, ci hanno educato. Ma se fossimo nati per la strada? Se fossimo nati in una famiglia disgraziata quale sarebbe stato il nostro desiderio più grande? Quale il nostro sogno? Avere una famiglia che ci amasse.
Ecco, questo è il loro sogno, il loro desiderio. Aprite il vostro cuore ad un bambino in affido, date loro quell'amore che vi è stato donato da piccoli, offritegli quel calore che vorreste fosse elargito ai vostri figli se per qualche motivo voi non poteste più dare.
E' Pasqua, un periodo in cui si dovrebbe pensare riflettere di più, un momento in cui ci si scambia gli auguri di pace.
Il mio augurio è che possiate sporcarvi le mani per aiutare qualcuno, ma non dandogli un euro per tacitare la vostra coscienza, ma dandogli il vostro amore, ascoltando le loro pene.
Prendere un bambino in affidamento, accogliere un fanciullo nella propria casa non è difficile.
Noi siamo a vostra disposizione e scommettiamo su di voi. Chi dice "non ho le capacità" è un bischero. Tutti noi abbiamo la capacità di fare qualsiasi cosa, basta volerlo, basta non aver paura della strada spesso in salita.
Chi si incamminerà verso l'aiuto per il prossimo, specie per un bambino, avrà l'appoggio del Signore e riceverà tanto di quell'amore da quel ragazzo che il cuore vi scoppierà dalla gioia e direte a voi stessi "...lo avessi fatto prima!".

Non lavatevi le mani anche voi come fanno in tanti.
Lasciatevi coinvolgere dall'amore e ne riceverete in cambio molto più di quello che mai avreste potuto sperare.

genitorifigliadozioneaffidodisponibilitàaffettocalore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Riccardo Ripoli, inserito il 28/04/2012

TESTO

36. Natale, si accende una grande luce   1

Giuseppe Impastato S.I.

"Ciascun credente è un Cristo iniziale e incompiuto." (Ermes Ronchi)
"Io non sono / ancora e mai / il Cristo / ma io sono questa / infinita possibilità." (Davide M. Turoldo).

La nascita di Dio fatto carne è una provocazione, è una sfida, è un invito, è un farsi vicino all'uomo, perché finalmente il sogno dell'uomo si possa realizzare: crescere smisuratamente, diventare come Dio!
Prima l'uomo non conosceva la strada: nella sua illusione ne aveva tentate (e ancora tenta di percorrerne) tante, per realizzare finalmente la grande scalata al vertice supremo, alla felicità assicurata, alla pienezza della autorealizzazione.
Con il Natale è Dio stesso a scendere sulla strada e a suggerire il percorso. E ha indicato proprio quel cammino che l'uomo aveva rifiutato e continua ad escludere.
Perché l'uomo ha sempre pensato che la strada fosse dal basso verso l'alto, dalla piccolezza alla grandezza, dalla povertà alla ricchezza, dalla sottomissione alla potenza, dal dover subire alla prepotenza, dall'oscurità alla notorietà, dalla miseria al lusso, dal non contare alla riconoscibilità e al prestigio, dall'essere inerme alla violenza, dal dover subire all'oppressione, dalla dipendenza all'autonomia, dallo schiacciamento alla potenza, dal nascondimento forzato alla fama e all'esibizionismo...
Ed ecco l'uomo proiettato verso le conquiste per evadere da quel le strettoie e da quei vicoletti in cui si è cacciato e dove è stato costretto a vivere. L'uomo si lancia nella ricerca spasmodica di conti in banca, record mondiali, oggetti che sono o si vogliono far diventare status symbol, premi Oscar, premi Nobel, recensioni, riconoscimenti negli articoli su riviste e giornali, citazioni nelle riviste scientifiche, entrare e raggiungere record mondiali, guinness dei primati,...

Finito il tempo delle illusioni, è tempo di guardare una grotta, a Betlehem. Sognavamo di uscire dalla morsa della massa, di passare dalla insignificanza all'indispensabilità, dal tran tran alla grande festa, dalla periferia alla metropoli.
La storia conosce una marea di illusioni e di delusioni. Appena si pensa di aver raggiunto il traguardo, si fa bruciante la consapevolezza di avere in mano un pugno di mosche. Ed ecco l'uomo costretto alla fatica di Sisifo. E si ricomincia individuando altre strade, costruendo altri progetti, imbarcandosi in altre avventure, afferrandosi ad altre illusioni.

E l'umanità ha pagato gli enormi e ripetuti errori. A Natale sentiamo parlare di Gesù. A chi l'ha accettato ha dato la possibilità di diventare figlio di Dio.
Figlio di Dio! Toh! Ma non volevamo la stessa cosa?
Ora sì che si apre uno spiraglio di cielo, e viene illuminato un traguardo, e appare concretamente alla nostra portata il sogno irraggiungibile...
L'Eterno si è immerso nel tempo,
l'Infinito si è chiuso nello spazio,
l'Onnisciente è diventato un bambino che apprende,
il Signore un suddito,
il Creatore dei mondi un bisognoso di cibo, di calore, di amore.

Accènditi, accogli, incamminati. Sii tu dono, regalo, albero, luce, famiglia, festa, cibo.

nataleincarnazioneumiltàpiccolezzapovertàorgoglio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 09/04/2012

TESTO

37. L'esperienza del deserto   1

Klaus Berger, Gesù, pp. 134-137

Nel deserto non c'è altro che sabbia e vento, nuvole e sole.
E' il paesaggio della Bibbia e lì si possono fare esperienze bibliche.
Il deserto, infatti, ha a che fare con noi e con Dio, perché li esistiamo soltanto noi e la vastità.
Fino a che punto un essere umano deve fare silenzio per sentire davvero parlare di Dio?
Nel deserto è questione di vita o di morte, della prima domanda della filosofia, come sia possibile che esista qualcosa e non piuttosto il nulla.
Grazie a Gesù sappiamo che dove inizia il silenzio non c'è soltanto Dio, ma anche il diavolo, che rappresenta la pura disperazione e la meschina assurdità.
E chi percepisce soltanto la sabbia sotto di sé e il cielo sopra di sé comprende la frase apocrifa di Gesù, secondo cui egli avrebbe detto: Chi vuole entrare in contatto con Dio ha bisogno di dieci cose, nove parti di silenzio e una di solitudine.
Il silenzio è indispensabile per non confondere la parola di Dio con la propria.
Nella preghiera solitaria, infatti, Gesù non tiene una comizio a Dio, ma tace, finché non lo sente parlare.
Con i misteri del deserto, infatti, è così: chi si avventura nel deserto è già diventato un altro.
Il deserto e le esperienze che si fanno in esso vivono di contrasti estremi.
Il freddo della notte si trova in contrasto stridente con il calore del giorno.
Il silenzio del paesaggio rimbomba come un tuono.
E dato che le cose esterne sono sempre uguali, quanto è decisivo avviene nell'interno, nell'intimo dell'essere umano.
Proprio per questo qui la monotonia è estremamente emozionante, perché il nostro cuore popola la vastità, in essa, innanzitutto, riesce finalmente a riconoscersi.
E così attraverso i contrasti del deserto, impariamo a capire in modo nuovo che cosa sia la vita.
Il fascino del deserto sta nella tensione tra ciò che ci si è portati dietro e la vastità, tra la nostra piccolezza e l'immensità esterna.
Chi prega in solitudine sta direttamente davanti a Dio, nulla lo distrae, niente si frappone, così come si è direttamente messi a confronto con la morte.
Lì impara a riflettere nel tempo sull'eternità e a non essere triste nel fare questo, ma molto più ricco di quanto sia la maggior parte degli altri.

desertosolitudineinterioritàpreghieraascoltosilenzio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 14/03/2012

TESTO

38. Il Sacerdote   3

don Novello Pederzini

Vive ed opera nel mondo,
ma non appartiene al mondo.
È figlio di uomini,
ma ha l'autorità di renderli figli di Dio.
È povero,
ma ha il potere di comunicare ai fratelli ricchezze infinite.
È debole,
ma rende forti i deboli col pane della vita.
È servitore,
ma davanti a lui si inginocchiano gli Angeli.
È mortale,
ma ha il compito di trasmettere l'immortalità.
Cammina sulla terra,
ma i suoi occhi sono rivolti al cielo.
Collabora al benessere degli uomini,
ma non li distoglie dalla meta finale che è il Paradiso.
Può fare cose che neppure Maria e gli Angeli possono compiere:
celebra la S. Messa e perdona i peccati.
Quando celebra ci sovrasta di qualche gradino,
ma la sua azione tocca il cielo.
Quando assolve rivela la potenza di Dio
che perdona i peccati e ridona la vita.
Quando insegna propone la Parola di Gesù:
«Io sono la Via, la Verità e la Vita».
Quando prega per noi il Signore lo ascolta,
perché lo ha costituito "Pontefice", cioè ponte di collegamento fra Dio e i fratelli.
Quando lo accogliamo
diventa l'amico più sincero e fedele.
È l'uomo più amato e più incompreso;
il più cercato e il più rifiutato.
È la persona più criticata,
perché deve confermare con il suo esempio l'autenticità del messaggio.
È il fratello universale,
il cui mandato è solo quello di servire, senza nulla pretendere.
Se è santo, lo ignoriamo;
se è mediocre, lo disprezziamo.
Se è generoso, lo sfruttiamo;
se è "interessato", lo critichiamo.
Se siamo nel bisogno, lo assilliamo;
se vengono meno le necessità, lo dimentichiamo.
E solo quando ci sarà sottratto comprenderemo
quanto ci fosse indispensabile e caro.

sacerdotesacerdoziopreteanno sacerdotalepresbitero

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 30/01/2012

TESTO

39. Voglio adottarvi come genitori   3

Michel Quoist

Ascoltami ancora, si dice infatti che dalla bocca dei bambini viene la verità; se sono un bambino sfuggito dal carnaio notturno, trattenuto da un filo d'amore lanciato da chissà dove.

Se sono un bambino caduto dal nido, abbandonato da padre e madre, rapiti o mortalmente feriti alle sbarre della loro gabbia.

Se sono un bambino nudo, senza panni d'amore o con panni imprestati, ma col diritto di vivere, perché sono vivo.

E se nello stesso istante persone innamorate piangono davanti a una culla vuota, consumati nel desiderio di accarezzare un bambino.

Se sono ricchi d'amore che ritengono sprecato, e vogliono gratuitamente donarlo, perché cresca e fiorisca ciò che non hanno piantato.

Allora voglio che vengano silenziosamente a chiedermi se desidero adottarli come miei genitori. Ma non voglio dei fanatici del bambino, come collezionisti d'arte che cercano il pezzo raro che manca alla loro vetrina. Non voglio clienti che hanno fatto l'ordinazione e, pagata la fattura reclamano il loro bebè prefabbricato. Perché non sono fatto per salvare genitori dalle membra amputate, ma loro sono stati fatti, misterioso percorso, magnifico progetto, per salvare dei bambini dal cuore malato, forse anche condannato. E sarà come addormentarci l'un l'altro.

Io berrò il latte di cui ignoravo il sapore, ascolterò musiche sconosciute, imparerò nuove canzoni, sulle vostre dita, sulle vostre labbra genitori adottati, decifrerò lentamente l'alfabeto della tenerezza.

E l'amore sconosciuto per me prenderà il volo alla luce dei vostri occhi. Voi innesterete le vostre vite sulla mia crescita e grazie a voi io rinascerò una seconda volta.

Così sarò ricco di quattro genitori, due lo saranno della mia carne e due del mio cuore e della mia carne cresciuta. Voi non giudicherete i miei genitori sconosciuti, li ringrazierete e mi aiuterete a rispettarli. Perché dovrò riuscire lo so, ad amarli nell'ombra, se un giorno vorrò poterli amare nella luce.

E se in una sera di tempesta, adolescente focoso, impacciato di me stesso, io vi rimprovererò di avermi accolto, non vi addolorate, ma amatemi ancor di più: lo sapete, perché un innesto prenda ci vuole una ferita e, chiusa la ferita, rimane la cicatrice.

Ma io sogno. Io sogno perché non sono che un bambino in viaggio, lontano dalla terra ferma, la mia parola è muta e il canto senza musica.

Ciò che vi dico piano non potrò urlarlo, se non il giorno in cui, avendomi voi adottato, mi avreste messo in cuore tanto amore e autentica libertà, sulle mie labbra parole sufficienti, perché possa dire: papà, mamma, io vi scelgo e vi adotto allora saprete che il vostro amore è dono, e che è riuscito.

adozionefigligenitoriamoregratuitàdonazione

5.0/5 (4 voti)

inviato da Emanuela Pandini, inserito il 11/01/2012

TESTO

40. Natale: prezzi pieni e prezzi scontati   1

Giuseppe Impastato S.I.

Natale: prezzi pieni

Preparate la via del Signore,
raddrizzate i vostri sentieri!
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio

Una voce grida nel deserto:
"Preparate la via al Signore.
Ogni valle sia colmata,
ogni monte e colle siano abbassati".

Non temere, io ti vengo in aiuto.
Il Signore è vicino a chi lo cerca.
Il Signore è vicino:
ascoltiamo oggi la sua voce.

Chi ha due tuniche,
ne dia una a chi non ne ha;
chi ha da mangiare,
faccia altrettanto.
Non esigete nulla di più.

Non maltrattate
e non estorcete niente a nessuno,
contentatevi delle vostre paghe.

Vieni, Signore,
a visitarci con la tua pace:
la tua presenza ci riempirà di gioia.

Egli dà forza allo stanco
e moltiplica il vigore allo spossato.
Quanti sperano nel Signore
riacquistano forza,
mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi.

Gioisci, esulta, rallegrati con tutto il cuore.
Il Signore ha revocato la tua condanna.
Il Signore è in mezzo a te.
Rallegratevi nel Signore sempre.


E prezzi scontati

Preparate i soldi, i bancomat per spendere.
Buttate i soldi in regalini inutili!
Viaggiate e divertitevi.

La TV ripete e la pubblicità consiglia:
preparate l'albero di Natale e luci.
Ogni posto vuoto sia riempito
di stelline, fiocchetti, candeline, ecc.

Contenti: è arrivata la tredicesima.
Cercate zampone spumante panettoni.
Natale si avvicina: per gli acquisti
guardate come fanno tutti gli altri.

Mangia e sbafa tranquillamente
e butta tanta roba nei cassonetti.
Chi non brinda e non spara
è un morto di fame.
Dimostra sicurezza e quanto vali.

Sii furbo e approfitta, quando puoi.
Incassa bustarelle mazzette e tangenti,
pretendi il pizzo e i fondi neri.

Venite a casa nostra, staremo insieme,
giochiamo a tombola e a poker.
Brindiamo e così tutto andrà bene.

Dimostrati in forma smagliante
e frequenta palestre e piscine,
usa vestiti firmati e pellicce
e dimostra lusso e ricchezza.
Chi ha appoggi e buone amicizie
può andare tranquillo.
I soldi aprono tutte le porte.

Pim pum pam allegria, allegria!
Via l'anno vecchio e tutto andrà bene.
Continuiamo a vivere come prima
e tutto cambierà in meglio.

nataleregaliconsumismointerioritàesteriorità

4.5/5 (2 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 13/12/2011

TESTO

41. Dio è qui   1

Don Angelo Saporiti, Commento al Natale

Dio è qui.
Tra noi.
Piange, vagisce, sorride con una voce flebile.
Come un cucciolo appena nato.
Gli occhi socchiusi, le mani piccolissime, serrate in un pugno.
Il faccino grinzoso che si appoggia al seno di Maria.
Dio è qui.
Tra noi.
Ecco com'è veramente.
È un bambino inerme, fragile, debole.
Ti viene voglia di prenderlo in braccio, di accarezzarlo, di baciarlo...
Lui è qui.
Per i perdenti, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza,
per i senza scampo, i senza tregua, i senza luce.
Dio è qui per i bestemmiatori, i falliti,
per tutti quelli che non contano niente, per tutti gli "zeri" del mondo...
Dio è qui per i sazi di denaro, per quelli che si credono pieni di cultura,
per quelli che pensano di avere tutto, per i curiosi che si interrogano e cercano.
Dio è qui.
Per i sacerdoti ministri del culto, per quelli che praticano per abitudine,
per quelli che credono di credere, per quelli che pianificano tutto, anche la loro fede in Dio.
Dio è qui.
È qui per Erode e per i pastori, per gli angeli e per i re magi.
Dio è qui.
Per te.
Adesso.
E non vuole essere un ricordo.
Lui è l'imprevedibile.
Ti chiede solo di nascere.
È un Dio che ti somiglia.
Che puoi prendere tra le braccia.
Che sorride e che respira.
È un Dio che non si è mai stancato di cercarti.
Dio è qui.
Lasciati trovare da lui.
E anche per te sarà Natale!

nataleincarnazione

5.0/5 (5 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 09/12/2011

TESTO

42. Sia la nostra vita santa

beato don Luigi Monza

Far ritornare la società attuale alla carità dei primi cristiani non sarà mai possibile se i membri della conquista non siano essi stessi l'esempio pratico. Si legge nelle prime storie del cristianesimo che i pagani si convertivano non tanto per i miracoli, quanto piuttosto per il disprezzo che i primi cristiani avevano della gloria e del denaro.

Allora, se i miracoli non sono bastati per convertire il mondo pagano, occorrerà trovare i mezzi più adatti. E il mezzo più adatto, anzi il più efficace, credo sia la santità della nostra vita.

Sia dunque la nostra vita santa, ma di quella santità che si presenta come modello da imitare.

conversionemiracolisantità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Simona Fontanesi, inserito il 08/11/2011

TESTO

43. Ghiaccio pericoloso

Don Luciano, web

Qualche anno fa ci fu un incidente aereo all'aeroporto "Catullo" di Verona. Lo ricordo ancora adesso, a distanza di tempo, per la causa che provocò il disastro. L'aereo apparteneva alla compagnia di bandiera rumena ed era diretto a Bucarest, ma precipitò subito dopo il decollo. La causa? Ghiaccio sulle ali. Era inverno e la ripulitura delle ali dal ghiaccio è parte della procedura ordinaria di manutenzione dell'aereo a terra prima del decollo. Ma, per tagliare le spese, la compagnia aerea si era rifiutata di pagare per questo servizio. Per quanto possa essere sorprendente, uno strato di ghiaccio sulle ali aggiunge quel tanto di peso che basta per impedire all'aereo di volare. Interrompe il flusso d'aria che mantiene l'aereo in volo, e comincia a perdere quota. Per risparmiare un po' di soldi non si è fatta un'operazione di sicurezza indispensabile, lasciando che si formasse del ghiaccio sulle ali - sapendo che si andava facilmente incontro a un disastro!

Non c'è bisogno che ci sia davvero molto ghiaccio sulle ali per provocare la perdita di quota di un aereo. Non c'è bisogno che ci sia molto ghiaccio sulla tua anima perché tu cominci a perdere quota - cominci a precipitare spiritualmente.

La Parola di Dio ci indica chiaramente alcuni comportamenti e reazioni che provocano uno strato di ghiaccio sul tuo cuore. In Efesini 4, 26 e seguenti, l'apostolo Paolo dice: «Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira». Basta che si accumuli un po' di ira, di risentimento sul tuo cuore - problemi con gli altri che non si vogliono affrontare e risolvere immediatamente - e scatta il pericolo. Quanto pericolo? Tanto quanto uno strato di ghiaccio sulle ali di un aeroplano. Fa precipitare il tuo rapporto con Dio e con gli altri. Senti come Dio continua: «E non date occasione al diavolo». Una rabbia che non si vuole risolvere, basta che duri anche solo un giorno, è sufficiente per aprire la porta al diavolo e farti precipitare!

Poi Dio ti parla della manutenzione, ossia ti dice che azioni radicali devi prendere per sconfiggere quei sentimenti distruttivi: «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano... Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità». In altre parole, Dio ti dice di farla finita con quel gelo spirituale che si è addensato sulla tua vita! Spazzali via - il risentimento che hai permesso che crescesse dentro di te... la gelosia... la mancanza di perdono... l'invidia... la rabbia.

Ma Dio sa bene che non puoi rimuovere il ghiaccio dalla tua anima senza rimpiazzarlo con qualcosa che dà calore. Così lui ti dice di trattare le persone che ti fanno arrabbiare o ti feriscono, esattamente nella maniera opposta con cui ti verrebbe spontaneo trattarle. Dio ti dice: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo».

Le ultime parole sono la chiave di tutto: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo». Devi prendere la convinta decisione di rimuovere tutti i muri fra te e gli altri, trattandoli non come loro hanno trattato te - ma con pazienza e misericordia. Fino a quando non chiedi intensamente a Dio la grazia di perdonare quella persona... di trattarla con compassione e gentilezza - continuerai a perdere quota. E alla fine il peso del ghiaccio sul tuo cuore ti farà precipitare.

Sii vigilante in modo che non si formi ghiaccio sul tuo cuore, come è successo sulle ali di quell'aereo a Verona. Non permettere nemmeno per un solo giorno che se ne formi uno strato! Se lo fai, alla fine quella pellicola di gelo farà precipitare il rapporto che hai con qualcuno, il tuo matrimonio, la famiglia, le attività, un servizio che stai facendo. Farà precipitare il tuo rapporto con Dio. Ed è un prezzo troppo alto da pagare per un sottile strato di ghiaccio!

pace

inviato da Lisa, inserito il 06/07/2011

TESTO

44. Con o senza amore   1

La povertà senza amore, ti rende orgoglioso.
L'intelligenza senza amore, ti rende perverso.
La giustizia senza amore, ti rende implacabile.
La diplomazia senza amore, ti rende ipocrita.
Il successo senza amore, ti rende arrogante.
La ricchezza senza amore, ti rende avaro.
La docilità senza amore, ti rende servile.
La bellezza senza amore, ti rende ridicolo.
L'autorità senza amore, ti rende tiranno.
Il lavoro senza amore, ti rende schiavo.
La semplicità senza amore, ti sminuisce.
La preghiera senza amore, ti rende introverso.
La legge senza amore, ti schiavizza.
La politica senza amore, ti rende egoista.
La fede senza amore, ti trasforma in fanatico.
La croce senza amore, diventa una tortura.
La vita senza amore, è priva di gioia.

fedeamoresenso della vita

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inviato da Padre Pier Luca Bancale, inserito il 27/06/2011

TESTO

45. L'amore è tutto   7

S. Agostino

Se tacete, tacete per amore.
Se parlate, parlate per amore.
Se correggete, correggete per amore.
Se perdonate, perdonate per amore.
Sia sempre in voi la radice dell'amore, perché solo da questa radice può scaturire l'amore.
Amate, e fate ciò che volete.

L'amore nelle avversità sopporta, nelle prosperità si modera, nelle sofferenze è forte, nelle opere buone è ilare, nelle tentazioni è sicuro, nell'ospitalità generoso, tra i veri fratelli lieto, tra i falsi paziente.

È l'anima dei libri sacri, è virtù della profezia, è salvezza dei misteri, è forza della scienza, è frutto della fede, è ricchezza dei poveri, è vita di chi muore.

L'amore è tutto.

Tratto dalla miniserie tv su S. Agostino.



amoreperdonocoppiamatrimoniosposifamigliasopportazionefortezzaletizia

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 18/02/2011

TESTO

46. Il rovescio della medaglia

Agata Fernandez Motzo

La strada di un bimbo:
un selciato
con un tappeto di sole.
Ogni pietra è baciata di luce
e non conosce ombra.
Ma la vita è come una medaglia
e se vai in altri paesi,
cambiando le coordinate, vedi il suo rovescio:
un piccino scheletrito, con pancione enorme
e lo sguardo smarrito.
E' un bimbo denutrito.
La sua flebile voce implorante
ormai è solo un lamento,
sulla strada non vede più il sole.
E' un bimbo che muore.
Ma ognuno ha fretta e non si cura
di una piccola, infelice creatura.
Con coraggio sfrontato si ostenta poi il vanto
di una ipocrita civiltà.
E, senza coerenza, si fa tacere la coscienza
con obbrobriosa assenza di pietà,
in un mondo corrotto, dove crede
di essere più accorto chi pensa soltanto a sé
e dove con accanimento infame
ogni giorno si spende per la guerra
e si massacra chi già muore di fame.
Per tutti i bimbi splenderebbe il sole
se un brivido scuotesse il cuore
di chi, vedendo languire un bimbo
nel freddo della morte,
sostituisse il proprio egoismo
con l'amore e in sé proiettasse
l'altrui sventurata sorte.

povertàricchezzagiustiziaingiustiziamondofame nel mondomondialitàcaritàamore

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inviato da Agata Fernandez Motzo, inserito il 26/08/2010

TESTO

47. Il pane che a voi sopravanza   2

San Basilio Magno, Omelia VI in Luca, XII, 18: PG XXXI, col. 275

Il pane che a voi sopravanza è il pane dell'affamato;
la tunica appesa al vostro armadio è la tunica di colui che è nudo;
le scarpe che voi non portate sono le scarpe di chi è scalzo;
il denaro che voi tenete nascosto è il denaro del povero;
le opere di carità che voi non compite sono altrettante ingiustizie che voi compite.

caritàamoresolidarietàricchezzapovertàgiustiziaingiustizia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Igor Marco Garofalo, inserito il 13/12/2009

TESTO

48. Dio è nostro Padre   1

Madre Speranza di Gesù, Come un Padre e una tenera Madre

Dio è nostro Padre.
Credo che per elevare il nostro cuore a Dio non siano necessari tanti argomenti: ci può bastare la convinzione che Dio è nostro Padre.
Questa considerazione muove teneramente il cuore a un amore intenso, capace di penetrare tutta l'anima per molto tempo, disponendola a grandi cose.
Fra tutti i sentimenti, quello che può rimanere più a lungo nel cuore e nella mente, fino al punto di diventare un'idea fissa, è il poter chiamare Padre Dio stesso!

Padre è il titolo che conviene a Dio perché a lui dobbiamo quanto è in noi nell'ordine della natura e in quello soprannaturale della grazia, che ci fa suoi figli adottivi.
Vuole che lo chiamiamo Padre, perché come figli lo amiamo, gli obbediamo e lo veneriamo, e per destare in noi gli affetti di amore e di fiducia per i quali otterremo quanto gli domandiamo.
Nostro perché non avendo Dio che un Figlio naturale, nella sua infinita carità, ne volle avere molti adottivi, per poter comunicare ad essi le sue ricchezze; e perché, avendo tutti lo stesso Padre ed essendo fratelli, ci amassimo tra di noi scambievolmente.

Dio si è chinato verso di noi come il Padre più amoroso verso suo figlio e ci invita ad amarlo e a donargli il nostro cuore.
Questo amore egli potrebbe esigerlo per diritto e per forza.
Invece preferisce chiederlo affettuosamente, con dolcezza, perché la nostra risposta sia più spontanea e perché ricorriamo a lui con amore filiale.

Che gli uomini conoscano Dio come un Padre buono che si adopera con tutti i mezzi e in ogni modo per confortare, aiutare e far felici i suoi figli e che li segue e li cerca con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di loro.

Dio Padrepaternità di Diorapporto con Diomisericordia di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da M. Lucia Lisci, inserito il 10/12/2009

TESTO

49. Impara a saperti fermare   1

Aldo Aluffi, Nell'iniziativa di Dio, ed. Pro Sanctitate

Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". (Mt 8,20)

Un segno abituale della ricchezza è di essere, o di apparire molto occupato. Il ricco, o colui che mira ad esserlo, conta i minuti che gli sfuggono, come altrettanti guadagni che sfumano. Lui, Gesù, non si mostrava, mai preso dall'impazienza o dalla fretta di finire. Segno della sua padronanza su se stesso, segno soprattutto della sua totale dedizione agli altri. Il suo tempo non è più prezioso di quello degli infelici che lo assediano; il suo tempo, in realtà, non è suo, ma di tutti coloro che hanno bisogno di lui.

Impara da Gesù a saperti fermare, a dedicare il tuo tempo a chi ti chiede ascolto o compagnia, a combattere la fretta, la superficialità, la distrazione.

tempovalore del tempofrettacalmaascoltopovertàricchezzadisponibilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da D'Augelli Mariagrazia, inserito il 08/12/2009

TESTO

50. Essere giovani

Domenico Sigalini

Essere giovani è avere un'età che ti permette di essere al massimo della salute, al massimo della voglia di vivere, al massimo dei sogni.
Essere giovani è sentirsi liberi da ricordi.
Essere giovani è alzarti una mattina deciso a conquistare il mondo e il giorno dopo stare a letto fino a quando vuoi, perché tanto c'è qualcuno che lo farà per te.
Essere giovani è sapere di stare a cuore a qualcuno, magari anche solo papà e mamma, che ti rimproverano continuamente, ma che alla fine ti lasciano fare quel che vuoi e di fronte agli altri ti difendono sempre.
Essere giovani è sballare e sapere di avere energie per uscirne sempre anche se un po' acciaccati.
Essere giovani è sbagliare e far pagare agli altri.
Essere giovani è trovare pronti i calzini, le camicie ben stirate e i jeans lavati.
Essere giovani è parlare coi vestiti, perché ti mancano parole per dire chi sei.
Essere giovani è passare per fuori di testa e accorgerti che gli adulti forse sono più fuori di te.
Essere giovani è portare i pantaloni bassi e vedere tua madre che ti imita e fa pietà.
Essere giovani è sognare che oggi ci divertiremo al massimo, anche se qualche volta quando torni e chiudi la porta dietro le spalle ti sale una noia insopportabile.
Essere giovani è trovare sempre in piazza qualcuno con cui stare a tirare sera sparando stupidate, senza problemi.
Essere giovani è sgommare e sorpassare sperando che ti vada sempre bene.
Essere giovani è avere il cuore a mille perché ti ha guardato negli occhi e ti senti desiderata.
Essere giovani è avere un bel corpo, anche se qualche volta non hai il coraggio di guardarti allo specchio e stai col fiato sospeso a sentire come ti dipingono gli altri.
Essere giovani è il desiderio di vita piena che il giovane ricco ha espresso a Gesù e la sua debolezza nel non riuscire a distaccarsi da sé.
Essere giovani è sentirsi fatti per cose grandi e trovarsi a fare una vita da polli.
Essere giovani è sentirsi precari: oggi qui, domani là, ma sempre scaricato.
Essere giovani è aprire la mente, incuriosirsi delle cose belle del mondo, della scienza, della poesia, della bellezza.
Essere giovani è affrontare la vita giocando, sicuri che c'è sempre una qualche rete di protezione.
Essere giovani è sentirsi addosso un corpo di cui si vuol fare quel che si vuole, perché è tuo e nessuno deve dirti niente.
Essere giovani è sentirsi dalla parte fortunata della vita, e avere un papà che tutte le volte che ti vede, gli ricordi che lui non è mai stato così spensierato, si commuove e stacca un assegno.
Essere giovani è sentire che nel pieno dello star bene ti assale un voglia di oltre, di completezza, di pienezza che non riesci a sperimentare. Hai un cuore che si allarga sempre più, le esperienze fatte non sono capaci di colmarlo.
Essere giovani è sentire dentro un desiderio di altro cui non riesci a dare un volto, anche il ragazzo più bello che sognavi, ti comincia a deludere e la ragazza del cuore ti accorgi che ti sta usando.
Essere giovani è alzarsi un giorno e domandarsi ma dove sto andando, che faccio della mia vita, chi mi può riempire il cuore? Posso realizzare questi quattro sogni che ho dentro? Che futuro ho davanti?
Essere giovani è capire che divertirmi oggi per raccontare domani agli amici non mi basta più. È avere una sete che non mi passa con la birra, aver rotto tutti i tabù di ogni tipo: spinello, coca, ragazzo, ma sentire ancora un vuoto.

In quali di queste affermazioni ti riconosci?

giovanigioventù

inviato da Marco Malatesta, inserito il 07/12/2009

TESTO

51. La famiglia   1

Chiara Lubich

Natale è la festa della famiglia.

Ma dov'è nata la più straordinaria famiglia se non nella grotta di Betlemme? E' lì, con la nascita del Bambino, che essa ha avuto origine. E' lì che si è sprigionato per la prima volta nel cuore di Maria e di Giuseppe l'amore per un terzo membro: il Dio fatto bambino.

La famiglia: ecco una parola che contiene un immenso significato, ricco, profondo, sublime e semplice, soprattutto reale. La famiglia o c'è o non c'è.

Atmosfera di famiglia è atmosfera di comprensione, di distensione serena; atmosfera di sicurezza, di unità, di amore reciproco, di pace che prende i suoi membri in tutto il loro essere.

Vorrei che questo Natale incidesse a caratteri di fuoco nei nostri animi questa parola: famiglia.

Una famiglia i cui membri, partendo dalla visione soprannaturale, e cioè vedendo Gesù gli uni negli altri, arrivano fino alle espressioni più concrete e semplici, caratteristiche di una famiglia. Una famiglia i cui fratelli non hanno un cuore di pietra ma di carne, come Gesù, come Maria, come Giuseppe.

Vi sono fra essi coloro che soffrono per prove spirituali? Occorre comprenderli come e più di una madre. Illuminarli con la parola o con l'esempio. Non lasciar mancare, anzi accrescere attorno a loro il calore della famiglia.

Vi sono tra essi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. Bisogna patire con loro. Cercare di comprendere fino in fondo i loro dolori.

Vi sono coloro che muoiono? Immaginate di essere al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all'ultimo istante.

C'è qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo? Godete con lui, perché la sua consolazione non sia contristata e l'animo non si chiuda, ma la gioia sia di tutti.

C'è qualcuno che parte? Non lasciarlo andare senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti con sé.

E dove si va per portare l'Ideale di Cristo, nulla si potrà fare di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma con decisione, lo spirito di famiglia.

Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia....è la carità vera, completa.

Insomma, se io dovessi partire da voi, lascerei che Gesù in me vi ripetesse: "Amatevi a vicenda... affinché tutti siano uno".

famiglianataleGesùMariaGiuseppegenitorifiglicondivisionesanta famiglia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Franco Canzian, inserito il 24/11/2009

TESTO

52. Uno per uno fa sempre uno. Verso la Pasqua, casa della Trinità   1

Tonino Bello, Omelie e scritti quaresimali, vol.II, Ediz. Archivio Diocesano Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e Luce e vita, Molfetta, 1994, pagg.336-338

Carissimi fratelli,

l'espressione me l'ha suggerita don Vincenzo, un prete mio amico che lavora tra gli zingari, e mi è parsa tutt'altro che banale.

Venne a trovarmi una sera nel mio studio e mi chiese che cosa stessi scrivendo. Gli dissi che ero in difficoltà perché volevo spiegare alla gente (ma in modo semplice, così che tutti capissero) un particolare del mistero della Santissima Trinità: e cioè che le tre Persone divine sono, come dicono i teologi con una frase difficile, tre relazioni sussistenti.

Don Vincenzo sorrise, come per compatire la mia pretesa e comunque, per dirmi che mi cacciavo in una foresta inestricabile di problemi teologici. Io, però, aggiunsi che mi sembrava molto importante far capire queste cose ai poveri, perché, se il Signore ci insegnato che, stringi stringi, il nucleo di ogni Persona divina consiste in una relazione, qualcosa ci deve essere sotto.

E questo qualcosa è che anche ognuno di noi, in quanto persona, stringi stringi, deve essere essenzialmente una relazione. Un io che si rapporta con un tu. Un incontro con l'altro. Al punto che, se dovesse venir meno questa apertura verso l'altro, non ci sarebbe neppure la persona. Un volto, cioè, che non sia rivolto verso qualcuno non è disegnabile...

Colsi l'occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto. Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: "Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c'è una Persona che si aggiunge all'altra e poi all'altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l'altra.

E sai come concludo? Dicendo che questo è uno specie di marchio di famiglia. Una forma di ‘carattere ereditario' così dominante in ‘casa Trinità' che, anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l'uomo per gli altri".

Quando don Vincenzo ebbe finito di parlare, di fronte a così disarmante semplicità, ho lacerato i miei appunti.

Peccato: perché, tra l'altro, avevo scritto delle cose interessanti. Per esempio: che l'uomo è icona della Trinità ("facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza") e che pertanto, per quel che riguarda l'amore, è chiamato a riprodurre la sorgività pura del Padre, l'accoglienza radicale del Figlio, la libertà diffusiva dello Spirito.

Ero ricorso anche a ingegnose immagini, come quella del pozzo di campagna la cui acqua sorgiva viene accolta in una grande vasca di pietra e di qui, in mille rigagnoli, va a irrigare le zolle.

Ma forse don Vincenzo aveva ragione: avrei dovuto spiegare molte cose. Sicché ho preferito trattenere questa sola idea: che, come le tre Persone divine, anche ogni persona umana è un essere per, un rapporto o, se è più chiaro, una realtà dialogica. Più che interessante, cioè, deve essere inter-essente.

* * *

Cari fratelli, lo so che la Trinità è molto più che una formula esemplare per noi, e che non è lecito comprimerne la ricchezza alla semplice funzione di analogia. Ma se oggi c'è un insegnamento che dobbiamo apprendere con urgenza da questo mistero, è proprio quello della revisione dei nostri rapporti interpersonali.

Altro che "relazioni". L'acidità ci inquina. Stiamo diventando corazze. Più che luoghi d'incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L'isola sperduta, più dell'arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. Sperimentiamo la persona più come solitario auto-possesso, che come momento di apertura al prossimo. E l'altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come soglia dove cominciamo a esistere veramente.

Coraggio.

Irrompe la Pasqua!

E' il giorno dei macigni che rotolano via dall'imboccatura dei sepolcri. E' l'intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull'erba. E' l'incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa. E' il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E' la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. E' la festa degli ex-delusi della vita, nel cui cuore all'improvviso dilaga la speranza.

Che sia anche la festa in cui il traboccamento della comunione venga a lambire le sponde della nostra isola solitaria.

Vostro

+ don Tonino, Vescovo

trinitàamore fraternorapporti interpersonalipadrefiglioSpirito santopasqua

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 18/07/2009

TESTO

53. La felicità è alla nostra portata

San Giovanni Maria Vianney

Coloro che vivono secondo il mondo ritengono sia troppo difficile salvarsi. Eppure non vi è nulla di più facile: basta osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa ed evitare i sette peccati capitali; oppure, se preferite, fare il bene ed evitare il male; tutto qua!

I buoni cristiani che si danno da fare per salvare la propria anima sono sempre felici e contenti: godono anticipatamente della felicità del cielo e saranno felici per l'eternità. I cattivi cristiani, invece, quelli che si dannano, sono da compatire: mormorano, sono tristi e lo saranno per l'eternità.

Un buon cristiano, un avaro del cielo, tiene in poco conto i beni terreni: egli pensa soltanto a render bella la propria anima, ad accumulare ciò che lo renderà felice in eterno, ciò che dura in eterno. Guardate i re, gli imperatori, i grandi della terra: sono molto ricchi, ma sono contenti? Se amano il buon Dio, sì; ma se non lo amano, no, non sono contenti. Personalmente trovo che non vi sia nulla di più triste dei ricchi, quando non amano il buon Dio.

Andate pure di continente in continente, di regno in regno, di ricchezza in ricchezza, di piacere in piacere: non troverete la felicità che cercate. La terra e quanto contiene non possono appagare un'anima immortale più di quanto un pizzico di farina, in bocca ad un affamato, possa saziarlo.

salvezzafelicità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

54. Lavorare per il cielo

San Giovanni Maria Vianney

Molti sono i cristiani, figli miei, che non sanno assolutamente perché sono al mondo... "Mio Dio, perché mi hai messo al mondo?". "Per salvarti". "E perché vuoi salvarmi?". "Perché ti amo".

Com'è bello conoscere, amare e servire Dio! Non abbiamo nient'altro da fare in questa vita. Tutto ciò che facciamo al di fuori di questo, è tempo perso. Bisogna agire soltanto per Dio, mettere le nostre opere nelle sue mani... Svegliandosi al mattino bisogna dire: "Oggi voglio lavorare per te, mio Dio! Accetterò tutto quello che vorrai inviarmi in quanto tuo dono. Offro me stesso in sacrificio. Tuttavia, mio Dio, io non posso nulla senza di te: aiutami!".

Oh! Come rimpiangeremo, in punto di morte, tutto il tempo che avremo dedicato ai piaceri, alle conversazioni inutili, al riposo anziché dedicarlo alla mortificazione, alla preghiera, alle buone opere, a pensare alla nostra miseria, a piangere sui nostri peccati! Allora ci renderemo conto di non aver fatto nulla per il cielo.

Che triste, figli miei! La maggior parte dei cristiani non fa altro che lavorare per soddisfare questo "cadavere" che presto marcirà sotto terra, senza alcun riguardo per la povera anima, che è destinata ad essere felice o infelice per l'eternità. La loro mancanza di spirito e di buon senso fa accapponare la pelle!

Vedete, figli miei, non bisogna dimenticare che abbiamo un'anima da salvare ed un'eternità che ci aspetta. Il mondo, le ricchezze, i piaceri, gli onori passeranno; il cielo e l'inferno non passeranno mai. Stiamo quindi attenti!

I santi non hanno cominciato tutti bene, ma hanno finito tutti bene. Noi abbiamo cominciato male: finiamo bene, e potremo un giorno congiungerci a loro in cielo.

salvezzascopo della vita

5.0/5 (1 voto)

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

55. La provvidenza

San Giovanni Maria Vianney, Omelia per la II Domenica dopo Pentecoste

Non temiamo mai che la santa Messa comporti ritardi nei nostri affari temporali; succede tutto il contrario: stiamo certi che tutto andrà meglio, e che anzi i nostri affari riusciranno meglio che se avessimo la disgrazia di non assistervi. Eccone un esempio ammirevole. Viene riferito di due artigiani, che esercitavano lo stesso mestiere e che dimoravano nel medesimo borgo, che uno di essi, carico di una grande quantità di bambini, non mancava mai di ascoltare ogni giorno la santa Messa e viveva assai agevolmente con il suo mestiere; mentre l'altro, che pure non aveva bambini, lavorava parte della notte e tutto il giorno, e spesso il santo giorno della domenica, e a mala pena riusciva a vivere. Costui, che vedeva gli affari dell'altro riuscirgli così bene, gli chiese, un giorno che lo incontrò, dove poteva prendere di che mantenere così bene una famiglia tanto grande come la sua, mentre lui, che non aveva che sé e sua moglie, e lavorava senza posa, era spesso sprovvisto di ogni cosa.

L'altro gli rispose che, se voleva, l'indomani gli avrebbe mostrato da dove gli proveniva tutto il suo guadagno. L'altro, molto contento di una così buona notizia, non vedeva l'ora di arrivare all'indomani che doveva insegnargli a fare la sua fortuna. Infatti, l'altro non mancò di andare a prenderlo. Eccolo che parte di buon animo e lo segue con molta fedeltà. L'altro lo condusse fino alla chiesa, dove ascoltarono la santa Messa. Dopo che furono tornati: "Amico, gli disse colui che stava bene a suo agio, torni pure al suo lavoro". Fece altrettanto l'indomani; ma, essendo andato a prenderlo una terza volta per la stessa cosa: «Come? - gli disse l'altro. Se voglio andare alla Messa, conosco la strada, senza che lei si prenda la pena di venirmi a prendere; non è questo che volevo sapere, bensì il luogo dove trova tutto questo bene che la fa vivere così agiatamente; volevo vedere se, facendo come lei, posso trovarvi il mio tornaconto». «Amico, gli rispose l'altro, non conosco altro luogo oltre la chiesa, e nessun altro mezzo fuorché l'ascoltare ogni giorno la santa Messa; e quanto a me, le assicuro che non ho adoperato altri mezzi per avere tutto il bene che la stupisce. Ma lei non ha letto ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo, di cercare anzitutto il regno dei cieli, e che tutto il resto ci sarà dato in soprappiù?».

Forse vi stupisce, fratelli? Me, no. È ciò che vediamo ogni giorno nelle case dove c'è devozione: coloro che vengono spesso alla santa Messa fanno i loro affari molto meglio di quelli ai quali la loro poca fede fa pensare che non ne hanno mai il tempo. Ahimé!, se avessimo riposto tutta la nostra fiducia in Dio, e non contassimo affatto sul nostro lavoro, quanto saremmo più felici di quanto lo siamo!

- Ma, mi direte, se non abbiamo niente, non si dà niente.

- Cosa volete che vi dia il buon Dio, quando non contate che sul vostro lavoro e per niente su di lui? Visto che non vi concedete neanche il tempo per fare le vostre preghiere al mattino né alla sera, e vi accontentate di venire alla santa Messa una volta alla settimana.

Ahimé!, non conoscete le ricchezze della provvidenza del buon Dio per colui che si fida in Lui. Volete una prova evidente? Essa sta dinanzi ai vostri occhi; guardate il vostro pastore e considerate questo. dinanzi al buon Dio.

- Oh!, mi direte, è perché a lei viene dato.

- Ma chi mi dà se non la provvidenza del buon Dio? Ecco dove sono i miei tesori, e non altrove.

provvidenzarapporto con Diointerioritàpreghiera

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney, Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

56. Se sapessi che è l'ultima volta   2

Vittorio Peri, Pregare è dire Amen

Se sapessi che è l'ultima volta
ti guarderei mentre ti addormenti,
ti rimboccherei le coperte più strettamente,
e ringrazierei il Signore per la tua vita preziosa.

Se sapessi che è l'ultima volta
ti accompagnerei fino alla porta quando esci;
ti darei un bacio e un abbraccio,
e ti chiamerei indietro per un altro ancora.

Se sapessi che è l'ultima volta
spegnerei il televisore per udire la tua voce,
per ricordarne il tono e l'accento.

Se sapessi che è l'ultima volta
che stiamo insieme, vorrei regalarti
ogni istante per renderti felice.

Se sapessi, o Signore,
che questo è l'ultimo mio giorno
distribuirei ogni mio avere
per presentarmi a te
ricco soltanto di amore.

riconoscenzagratitudineattenzioneamoreaffettomortesenso della vitavita

4.0/5 (2 voti)

inviato da Paola Ferrazzani, inserito il 17/06/2009

TESTO

57. Povertà è libertà

Armido Rizzi, Scandalo e beatitudine della povertà

L'uomo evangelico, davanti ai beni che ha, sta vigilante perché non nasca in lui il "mio".

povertàvangelopossessoricchezza

inviato da Enrico Avveduto, inserito il 17/06/2009

TESTO

58. La legge del dare e del ricevere   1

Farò un regalo, un complimento, un fiore, una preghiera a chiunque incontri, ovunque vada. Oggi regalerò qualcosa a tutte le persone con le quali entrerò in contatto e avvierò così il processo che fa fluire la gioia, la ricchezza e l'abbondanza nella mia vita e in quella altrui.

Oggi accoglierò con gratitudine tutti i doni che la vita mi offre. Accoglierò i doni della natura: il sole, il cinguettio degli uccelli o le piogge primaverili, o la prima neve dell'inverno. Inoltre sarò disponibile a ricevere anche i doni degli altri, che siano oggetti, complimenti, preghiere.

dareaccoglienzaapertura verso gli altridonarepositivitàottimismo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maria Carmela Moretti, inserito il 12/06/2009

TESTO

59. Il sacerdote e noi

Se predica per più di dieci minuti: "Non finisce mai!"
Se fa una predica breve: "Ha solo improvvisato qualcosa"
Se parla della contemplazione di Dio: "Sta delirando!"
Se abborda problemi terreni: "Si sta immischiando in politica!"
Se tratta temi sociali: "È di sinistra!"
Se tratta temi morali: "È di destra!"
Se rimane nella parrocchia: "Non s'impegna con la realtà!"
Se esce: "Non lo si trova mai in parrocchia!"
Se si lascia i capelli lunghi: "'Sti preti rivoluzionari!"
Se li mantiene corti: "Quanto è antiquato!"
Se battezza e sposa tutti quanti: "Spreca i sacramenti!"
Se chiede un minimo di preparazione: "Fa il difficile!"
Se non organizza incontri o pellegrinaggi: "In questa parrocchia non succede mai nulla!"
Se lo fa: "È un iperattivo incorreggibile!"
Se fa riparazioni nella Chiesa: "Butta via i soldi!"
Se non li fa: "Ha lasciato rovinare tutto!"
Se crea un Consiglio parrocchiale: "Si lascia dominare da chiunque!"
Se non lo fa: "È un individualista!"
Se è bello: "Che spreco!"
Se non lo è: "Non ha trovato nessuna da sposare!"
Se pratica sport: "È un vanitoso!"
Se non lo fa: "Dovrebbe rimettersi in forma!"
Se è amabile con la gente: "Ha problemi affettivi!"
Se è riservato: "È un represso!"
Se è giovane: "Non ha esperienza!"
Se è vecchio: "Dovrebbe andare in pensione!"
Ma se dovesse andarsene o morire: "Era davvero insostituibile!"

pretepresbiterosacerdoteparroco

inviato da P. Juan Pablo Esquivel, inserito il 11/06/2009

TESTO

60. Chi intralcia la strada a se stesso non è in grado di proseguire   1

Anselm Grun

Se per me la ricchezza è ciò che conta di più
calcolerò il tempo in termini di denaro
invece di donare
ciò che ho, ciò che sono.

Se per me il potere è ciò che conta di più
calcolerò il mio agire in termini di successo
invece di mettermi al servizio
di coloro che hanno bisogno di me.

Se per me la sicurezza è ciò che conta di più
calcolerò il desiderio in termini di comprensione
invece di lasciare spazio dentro di me
al buio e alla sofferenza.

Se per me la felicità è ciò che conta di più
calcolerò il desiderio in termini di rischio
invece di compiere il primo passo
laddove le strade sono bloccate.

Se per me il focolare domestico è ciò che conta di più
calcolerò l'invito a partire in termini di insicurezza
invece di affrontare l'ignoto
con atteggiamento vivace e curioso.

Se per me le relazioni sono ciò che conta di più
calcolerò l'addio in termini di tristezza
invece di andarmene
per lasciare spazio al nuovo.

Se per me le abitudini sono ciò che conta di più
calcolerò le richieste in termini di disagio
invece di provare con interesse il nuovo
e mettermi così alla prova.

Se per me sono io ciò che conta di più
allora mi sarò d'impiccio da solo
invece di partire pieno di vigore
per trovare me stesso.

Se per me è Dio ciò che conta di più
allora mi abbandono
mi dono
vivo.

valoriabbandonodonovita

inviato da Maria Cristina Valdinocci, inserito il 29/05/2009

TESTO

61. Ricchezza   2

La vera ricchezza sta nel cuore dell'uomo; l'amore è il suo tesoro.

amiciziaamore

4.0/5 (1 voto)

inviato da Graziella Laudani, inserito il 19/05/2009

TESTO

62. Quando manca l'amore   1

L'onestà di coscienza senza amore diventa intransigenza.
La forza di volontà senza amore diventa prepotenza.
La franchezza senza amore diventa insolenza.
L'amabilità senza amore diventa diplomazia.
La precisione senza amore diventa pedanteria.
La competenza senza amore diventa saccenza.
L'autorità senza amore diventa arbitrio.
Il potere senza amore diventa dittatura.
La dignità senza amore diventa disprezzo.
La ricchezza senza amore diventa cupidigia.
La religiosità senza amore diventa fanatismo.
La prudenza senza amore diventa scaltrezza.
La semplicità senza amore diventa imprudenza.
La vita senza amore diventa notte assurda.

amorevitasenso della vitaequilibrio

inviato da Elena Calvini, inserito il 03/05/2009

TESTO

63. La paura del silenzio

Pier Angelo Piai

Oggi qualsiasi evento è oggetto di discussione, dibattito, polemiche, confronto. Pare proprio che il silenzio non venga preso molto in considerazione. Ma cosa significa realmente fare silenzio?

La mentalità comune pensa che silenzio sia semplicemente la mancanza di parola. Ma ogni parola espressa è il nostro pensiero mediato dalla voce.

Essa è estremamente importante per la nostra società ma ha anche dei limiti: non arriverà mai ad esprimere perfettamente ciò che vorremmmo perché ogni fonema, per quanto sia molto utile, è sempre una cristallizzazione del nostro retaggio culturale.

Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio la ricchezza e la povertà di ogni parola.

Nel comunicare usiamo molti luoghi comuni che riecheggiano dall'ambiente esterno, dalle persone che frequentiamo e dai mass-media. Essi non sono in realtà il frutto del nostro pensiero più genuino, ma riflessi condizionati che si ripercuotono nei muscoli della lingua.

Siamo costantemente immersi nei luoghi comuni e per chi se ne accorge la frequentazione sociale è spesso pesante e monotona proprio per questo.

Bisogna considerare, allora, un altro tipo di silenzio che è molto più interiore di quello che si pensa.

Se nel silenzio siamo realmente attenti a come funziona la nostra mente ci accorgiamo di non saper osservare senza associare all'oggetto della nostra osservazione parole già pre-confezionate. Questo snatura la nostra coscienza originale perché ci serviamo di concetti già filtrati dalla mentalità comune e quindi la nostra riflessione non è realmente creativa e perde la sua originalità.

E' nel silenzio che noi riusciamo a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato. In esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci condizionare dalla mentalità corrente.

Ciò naturalmente richiede grande attenzione e spirito di osservazione.

Il vero silenzio interiore, quindi, consiste nel porre tra parentesi concetti, immagini, e persino fonemi acquisiti sin dall'infanzia. Ci vuole sagacia, avvedutezza e coraggio perché la nostra mente è avida di contenuti e teme il vuoto. Anticamente andare nel deserto significava rientrare in se stessi per fronteggiare meglio le situazioni sociali. I monasteri di clausura usano ancora l'espressione "fare deserto".

La mentalità comune naviga perfettamente al contrario e teme il silenzio. Si aderisce a ideologie, partiti, istituzioni ecc. anche perché si vuole delegare il pensiero ad altri. Scaltri oratori parlano molto per dire nulla in molti campi.

L'umanità oggi è ancora in pericolo perché non sa cosa significhi fare il vero silenzio interiore, il quale è il motore del vero progresso civile ed etico.

In esso si eviterebbero guerre e conflitti vari, ingiustizie sociali ed economiche, plagi e mistificazioni, errori madornali.

E qui calza a proposito un aforisma del grande poeta e scrittore francese Alfred de Vigny: "Solo il silenzio è grande; il resto è debolezza".

silenziointerioritàesterioritàlinguaggiocondizionamenticultura

inviato da Pier Angelo Piai, inserito il 03/05/2009

TESTO

64. Un pieno di gioia (Messaggio in occasione dell'inizio della Quaresima - 22 febbraio 1993)   1

Tonino Bello

Carissimi,

incomincia il periodo dell'anno più ricco di grazia, che dal Mercoledì delle Ceneri ci porta alla Pasqua della Resurrezione. Dovrebbe essere l'identikit del nostro itinerario cristiano.

Si parte con l'anima piena di rimorsi, di peccati e di stanchezza e si giunge nell'estuario della luce e della speranza. Perché tutti sappiamo che il dolore, la morte, la malattia non sono stagioni permanenti della vita, ma sono passaggi che ci introducono nella gioia che non ha tramonti.

La mia esortazione quindi, di amico e di vescovo, è che affrontiate sin dall'inizio, con animo deciso al cambiamento, questo tempo di salvezza.

Perché non progettate un po' di digiuno, un po' di preghiera in più, semplice e autentica che vi metta in rapporto vero con Dio? Gli altri atteggiamenti penitenziali propri della quaresima potrebbero esprimersi rinnovando i rapporti con le persone, riscoprendone il volto, facendo la pace. Tutto il resto è chiacchiera.

Un capitale grossissimo da investire sul versante della nostra crescita comunitaria è quello che ci viene offerto dai nostri sofferenti.

Sabato prossimo celebreremo la giornata Diocesana dell'ammalato. E io mi rivolgo a voi, protagonisti del mistero della sofferenza, perché facciate un grande offertorio della vostra povertà. Siamo in tanti. Stavolta ci sono in mezzo anch'io e guiderò il popolo della sofferenza davanti al Signore perché egli dia prosperità e pace alla nostra città.

E ora desidero rivolgermi ai giovani. Ogni anno in quaresima abbiamo vissuto nelle nostre cattedrali incontri carichi di forza e di entusiasmo. Anche quest'anno, nonostante la mia non presenza fisica, v'incontrerete ugualmente guidati da persone che hanno fatto esperienza di Cristo. Sono certo che il bisogno di vedere il volto di Dio e ascoltarne il messaggio, prevalga su tutte le altre gratificazioni di amicizia, d'incontro, di tenerezza, di festa che permeano questi nostri raduni settimanali. Comunque, cari giovani, un affettuosissimo saluto ed un augurio per tutte le cose belle, i progetti, gli affetti che coltivate nel cuore.

Per tutti voi, carissimi fedeli, il Signore faccia il pieno già in anticipo della gioia che si sprigionerà dagli otri della Pasqua.

quaresimamercoledì delle cenericonversione

inviato da Sandra Aral, inserito il 12/03/2009

TESTO

65. L'autentica preghiera   1

Adrienne von Speyr, Esperienza di preghiera

Se preghiamo in autentico abbandono e nella verità, allora la nostra preghiera sarà già compiuta nell'istante in cui la rivolgiamo, diversamente forse da come ce lo aspettavamo, ma tuttavia realmente. E noi ci stupiamo dell'infinita possibilità di compimento che Dio ha, della verità, della ricchezza. Mentre ci stupiamo, comprendiamo più profondamente, e sperimentiamo diversamente, siamo trascinati fuori dal nostro spazio nello spazio che Dio dona, siamo sollevati dalla nostra attesa all'attesa dell'eterna parola che parla.

preghieraveritàcontemplazioneabbandonostuporerapporto con Diofedefiducia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Peyron, inserito il 07/09/2008

TESTO

66. Il prete e i mille "se"

Il prete e la sua gente: una storia piena di "se...se....se.."

Se sta da solo in Chiesa, "si chiude nel suo intimismo".
Se esce, "va sempre in giro, e non si trova mai".
Se va a benedire le case (o meglio, le famiglie), "non è mai in Chiesa".
Se non va, "non fa nulla per conoscere i suoi parrocchiani".
Se qualche volta accetta di andare al bar "è uomo di mondo".
Se non accetta, "vive isolato".
Se si ferma in strada a parlare con la gente, è "pettegolo".
Se non si ferma "è scostante".
Se parla con le vecchiette, "perde il tempo".
Se dialoga con le giovani è "un donnaiolo".
Se sta insieme e gioca con i ragazzi "forse è di tendenze equivoche".
Se non li frequenta, "trascura di compiere il suo principale dovere".
Se accoglie in casa certe persone, "è imprudente".
Se non le accoglie, "non si comporta da cristiano sensibile".
Se in chiesa afferma verità scottanti, "fa politica".
Se tace è "menefreghista".
Se predica un minuto in più diventa "interminabile".
Se parla o predica poco "non ha autorità" o "è impreparato".
Se si occupa dei malati "dimentica i sani".
Se accetta inviti a pranzo o a cena "è un mangione e un beone".
Se rifiuta, "non sa vivere in società".
Se organizza incontri e riunioni "sta sempre a scocciare".
Se tace e ascolta, "si lascia sopraffare da quelli che comandano".
Se cerca di fare qualche aggiornamento, "butta via tutto quello che c'è da conservare".
Se ritiene valide alcune tradizioni, "non capisce i tempi attuali".
Se è d'accordo con il vescovo, "si lascia strumentalizzare e non ha personalità".
Se non condivide tutto quello che il vescovo propone, "è fuori della Chiesa".
Se chiede la collaborazione dei fedeli, "è lui che non vuol far niente".
Se agisce da solo, "non lascia spazio agli altri".
Se si occupa degli immigrati (o extracomunitari) "è imprudente".
Se non si interessa, "è un grande egoista che non vuole rogne".
Se organizza gite, pellegrinaggi, "pensa solo a far soldi".
Se non organizza, "è indolente e non ha iniziative".
Se fa il bollettino parrocchiale, "spreca tempo e soldi".
Se non lo fa', "non informa i fedeli sulle attività della parrocchia".
Se si ferma a casa, "non è mai reperibile in ufficio".
Se inizia la santa Messa in orario, "il suo orologio è sempre avanti".
Se comincia un attimo dopo, "fa quello che vuole e non rispetta gli altri".
Se a tutti ricorda e sottolinea il dovere della partecipazione e della solidarietà, "è sempre arrabbiato e nervoso; e, in ogni occasione, bussa a quattrini".
Se indossa la veste talare "è un sorpassato".
Se veste da borghese, "nasconde la sua identità".

Se... se... se...

Signore, dimmi tu: ma come dovrebbe essere il prete?
Risposta del Capo (alias Gesù Cristo):
"Un innamorato di Dio".
E non dovrebbe dimenticare che: "il discepolo non è da più del maestro
né un apostolo è più grande di chi l'ha mandato...".
Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi;
se hanno osservato la mia Parola, osserveranno anche la vostra" (Gv 15).
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28).

pretepresbiterosacerdoteparroco

inviato da Maria Caffagnini, inserito il 07/09/2008

TESTO

67. Beati voi, sposi!   2

Beati voi, sposi, che nel Signore vi amate con un cuore nuovo e puro,
poiché Dio vi ama per primi e voi lo vedrete.
Beati voi, sposi, che con trepidazione accogliete la missione misteriosa e responsabile di trasmettere e custodire la vita umana, poiché Dio vi fa collaboratori della sua onnipotenza a servizio dell'amore.
Beati voi, sposi e genitori, che con gioia e gratuità date il meglio di voi stessi ai figli e ai giovani, poiché Dio educa i suoi figli per mezzo di voi.
Beati voi, sposi che scegliete l'essenzialità poiché Dio e le persone sono la vostra inesauribile e salda ricchezza.
Beati voi, sposi, che sapete confortare chi è nel dolore, perché sarete consolati.
Beati voi, sposi nel dolore, beati voi, coniugi soli, poiché il Signore Gesù, il risorto che porta nel suo corpo glorioso i segni dei chiodi, fascia le vostre ferite e prepara i giorni del ricongiungimento.
Beati voi, sposi e famiglie, che ospitate Dio nei cuori e nella vostra casa; beati voi, sposi e famiglie, che amate la Chiesa come una sposa e una madre, poiché il Signore "si fermerà a cena con voi" e sarà la vostra pace.
Beati voi, sposi e famiglie, che sperimentate la debolezza e il peccato, poiché il Signore Gesù, morto per togliere i peccati, non vi condanna, ma sostiene i vostri passi e apre la vostra coscienza e i vostri occhi alla
speranza di una vita nuova.
Beati voi, sposi e famiglie che non avete paura di donare la vostra vita e di servire generosamente, poiché il Signore "vi invita a tavola e passa a servirvi".

sposiservizioamorefamigliacoppiamatrimoniogenitori

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inviato da Fr. Fabrizio Migliasso, inserito il 07/09/2008

TESTO

68. Il "Decalogo" della Domenica   2

Francesco Lambiasi

lo sono il giomo del Signore, Dio tuo. lo sono il Signore dei tuoi giorni.

1. Non avrai altri giorni uguali a me.
Non fare i giorni tutti uguali. La domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto per diventare il giorno libero per Dio e per tutti.

2. Non trascorrere la domenica invano,
drogandoti di televisione, alienandoti nell'evasione, caricandoti di altra tensione.

3. Ricordati di santificare la festa,
non disertando mai l'assemblea eucaristica: la domenica è la pasqua della tua settimana, il sole l'eucaristia e il cuore è Cristo risorto.

4. Onora tu, padre, e tu, madre, il grande giomo
con i tuoi figli! Ma non imporlo mai, neanche ai minori, e non ricattarli. Contagia loro la tua gioia di andare a messa: questo vale molto più di cento prediche.

5. Non ammazzare la domenica
con il doppio lavoro, soprattutto se remunerativo: non violarla né svenderla, ma vivila "gratis et amore Dei" e dei fratelli.

6. Considera il giorno del Signore "il momento di intimità
fra Cristo e la chiesa sua sposa", come ha detto il Papa; se sei sposato o sposata, coltiva la tua intimità con il tuo coniuge.

7. Non rubare la domenica a nessuno,
né alle colf, né alle badanti, né ai tuoi dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, né dal denaro, né dal culturismo, né dai tuoi datori di lavoro.

8. Non dire falsa testimonianza
contro il giorno del Signore. Non vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro in campagna o con loro allo stadio perché non puoi rinunciare alla messa.

9. Non desiderare la domenica degli "altri",
i ricchi, i gaudenti, i bontemponi. Desidera di condividere la domenica con gli ultimi, i poveri, i malati.

10. Non andare a messa solo perché è festa,
ma fa' festa perché vai a messa.

domenica

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 16/12/2006

TESTO

69. Cosa la Chiesa può sopportare e cosa non può sopportare   1

Primo Mazzolari, Risposta ad un aviatore, 1941, ora in La chiesa, il fascismo, la guerra, Vallecchi, Firenze 1966

Chi capisce come dev'essere presente la Chiesa in questa svolta della storia capisce anche ciò che la sua carità può sopportare e ciò che non può sopportare proprio in nome della stessa carità. Ripeto: in nome della carità, poiché la rivoluzione cristiana, l'unica che può essere giustificata anche davanti alla storia, più che da diritti conculcati o offesi nasce da doveri suggeriti e imposti al nostro cuore dalla carità che ci lega al nostro prossimo. Chi più ama è potenzialmente l'unico e vero rivoluzionario.

La Chiesa sopporta:
- il male che le fanno i suoi nemici, che, per quanto si allontanino e la rinneghino, portano sempre l'incancellabile volto di figli, e di figli tanto più cari quanto più cresce il loro perdimento;
- di essere spogliata di ogni bene materiale e di ogni privilegio concessole più o meno disinteressatamente dagli uomini;
- di vedere le sue basiliche e le sue chiese distrutte, chiusi i suoi conventi e le sue scuole, poiché è già "l'ora che né in Gerusalemme né su questo monte i veri adoratori adorano il Padre in spirito e in verità";
- le persecuzioni aperte e subdole, le calunnie e le blandizie, i vituperi e i panegirici menzogneri;
- gli erranti e in un certo senso perfino l'errore quando esso non può venire colpito senza offesa mortale all'anima dell'errante;
- di essere misconosciuta nella sua carità, colmata di obbrobrio per colpe non sue;
- il disonore che le viene dalla vita indegna dei suoi figlioli stessi, i loro rinnegamenti e i loro tradimenti;
- d'essere baciata da un Giuda, rinnegata da un Pietro.

La Chiesa non può sopportare:
- che vengano negate o diminuite o falsate le verità che essa ha il dovere di custodire e che costituiscono il patrimonio dell'umanità redenta;
- che sia cancellato dalla storia e dal cuore il senso della giustizia che è il patrimonio di tutti, ma in modo particolare dei poveri;
- la libertà e la dignità della persona e della coscienza, che sono il nostro divino respiro. Mentre sopporta senza aprir bocca di essere spogliata e tiranneggiata in qualsiasi modo, non può sopportare che vengano spogliati, conculcati, manomessi i diritti dei poveri e dei deboli, individui, città, nazioni e popoli, cristiani e non cristiani. E nella sua difesa materna e invitta è tanto più grande quanto più la sua tutela si estende alla plebs infedele, egualmente santa. Alcuni gesti di munifica protezione di Pio XII, in favore di ebrei perseguitati, hanno commosso e sollevato l'ammirazione del mondo;
- il potente che abusa della propria forza per opprimere i deboli;
- il sapiente che abusa della propria intelligenza per circuire e trarre in inganno l'ignorante;
- il ricco che abusa delle proprie ricchezze per angariare e affamare il popolo.

Vi sono quindi dei limiti nella sopportazione della Chiesa, e questi limiti vengono non dai raffreddamenti ma dai colmi della sua carità. Ciò che è abominevole per il Signore lo è pure per la sua Chiesa; la quale, senza parteggiare, non può trattare alla stessa stregua la vittima e il carnefice, l'oppressore e l'oppresso.

Chi fermerebbe la mano del malvagio, chi solleverebbe il cuore abbandonato dell'oppresso se un'egual voce raccogliesse il grido dell'uno e il gemito dell'altro?

Sarebbe un delitto il pensare, per il fatto che la Chiesa predica la pazienza ed esalta l'infinito valore del dolore, specialmente del dolore innocente, ch'essa accettasse le tristezze dei prepotenti come un mezzo provvidenziale per moltiplicare i meriti sovrannaturali dei buoni. Purtroppo il nostro linguaggio ascetico, sprovveduto di ampiezza e d'audacia mistica, può indurre un profano in apprezzamenti non solo sproporzionati ma contrari al buon senso.

La sofferenza ben sopportata mi redime e redime, ma non fa diventar buona l'ingiustizia di chi ha pesato su di me. E una bontà conseguente, che non ha nulla da spartire con la causa ingiusta che ha generato la mia sofferenza. Soffrendo bene l'ingiustizia, creo una corrente di bontà: ma non per questo gli uomini sono dispensati dal fermare con tutte le forze la sorgente di male che continua a generare l'errore.

Perché c'è uno che espia in modo edificante, io non sono scusato di lasciar fare e di lasciar passare. Il soffrire non è un bene in sé e se il Signore ci aiuta a cavare il bene dal male non vuole che noi chiamiamo bene il male, il quale va tolto di mezzo nei limiti della nostra responsabilità e della nostra carità. Il perdono stesso delle offese va all'uomo, non all'azione di lui, la quale rimane giudicata anche dopo il perdono, anzi giudicata veramente e irrevocabilmente solo dopo il perdono.

chiesagiustiziaingiustiziabenemaleredenzioneespiazione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Carlo Maria Cananzi, inserito il 03/05/2006

TESTO

70. Il Dare   2

Kahlil Gibran

Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare.
E lui rispose:
Date poca cosa se date le vostre ricchezze.
E' quando date voi stessi che date veramente.
Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani?
E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l'osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa?
E che cos'è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso?
Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo?
Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono.
E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno.
Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota.
Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa.
Vi sono quelli che danno con rimpianto e questo rimpianto è il loro sacramento.
E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito.
Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell'aria la sua fragranza.
Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
E' bene dare quando ci chiedono, ma meglio è comprendere e dare quando niente ci viene chiesto.
Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare.
E quale ricchezza vorreste serbare?
Tutto quanto possedete un giorno sarà dato.
Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni possa essere vostra e non dei vostri eredi.
Spesso dite: "Vorrei dare ma solo ai meritevoli".
Le piante del vostro frutteto non si esprimono così né le greggi del vostro pascolo.
Esse danno per vivere, perché serbare è perire.
Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi.
Chi merita di bere all'oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello.
E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere?
E chi siete voi perché gli uomini vi mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza?
Siate prima voi stessi degni di essere colui che dà e allo stesso tempo uno strumento del dare.
Poiché in verità è la vita che dà alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni.
E voi che ricevete - e tutti ricevete - non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato.
Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme.
Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.

daregenerositàgratuitàriconoscenza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Daniela Antonini, inserito il 25/02/2006

TESTO

71. Lettera a Massimo, ladro zingaro ammazzato

Tonino Bello

A Molfetta, durante una tentata rapina un metronotte, per legittima difesa, sparò e uccise il ladro, uno zingaro. Il Vescovo, Monsignor Tonino Bello, saputa la notizia si recò al cimitero e rimase contristato dalla solitudine del morto: non c'era nessuno alle sue esequie e scrisse una lettera ad un uomo che non l'avrebbe mai letta, a Massimo, il ladro zingaro ammazzato.

Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon'ora al cimitero a celebrare le esequie per te.

Ma non ho potuto pronunciare l'omelia. Perché alla mia messa non c'era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate.

Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana.

Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù, ricordati di me!...».

Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata nel fango con te!

Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome.

Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto.

Ma non per la tua morte. Perché, stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo.

No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita.

Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco!

Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l'icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.

Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch'io che, l'altro giorno, quando c'era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.

Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo.

Perdonaci per l'indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire.

Perdonaci se, ad appena otto giorni dall'inizio solenne del l'anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica.
Addio, fratello ladro.

Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada.

caritàsolidarietàamoresolitudinesofferenzaingiustiziapovertàipocrisiasocietà

5.0/5 (1 voto)

inserito il 07/02/2006

TESTO

72. La partenza di Francesco di Assisi

Christian Bobin, Francesco e l'Infinitamente piccolo

Tanta poca immaginazione fa veramente disperare dell'uomo.
Credono di maturare perché hanno dei figli.
Credono di amare perché non osano più tradire la moglie.
Non avranno fatto altro che invecchiare.
Non avranno fatto altro che essere vecchi.
Guardami, me ne vado per i cammini dell'infanzia.

Ti devo un po' di soldi, quelli che ti ho preso per lanciarli a Dio.

Tu che conosci il prezzo delle cose, tu che delle cose non conosci che il prezzo, guarda, mi tolgo i vestiti.

...posso dunque andarmene nudo come una pietra, nudo come un filo d'erba, nudo come la prima stella nel cielo buio.

Abramo si è levato. Gli era stato domandato infinitamente. Gli era stato richiesto di abbandonare la famiglia, il paese, gli amici.

Si domanda sempre infinitamente a chi desidera con un desiderio infinito.
E Abramo si è levato, è partito.

E Mosè, e Davide, e tutti si sono levati, e nel gesto del levarsi han perduto i loro abiti di lingua, i loro abiti d'amicizia, i loro abiti di saggezza, e tutti hanno ricevuto l'infinito nel cuore messo a nudo.

A sua madre che insisteva perché rientrasse a casa, vergognosa di vederlo girovagare con una dozzina di fannulloni, Cristo ha risposto: dov'è la mia vera famiglia, chi sono i miei cari?
E sua madre non ha capito. Allora come potresti capire tu?
Ritorno alla mia vera famiglia.

Ritorno fra quanti son partiti senza più sapere chi fossero, dove andassero.

Oh padre io commerciante, oh padre mio che vorresti impedirmi di crescere, sai quanta violenza occorre per gioire di vera dolcezza?
Non sposo una chimera.

Non è la purezza che voglio. La purezza lascia l'impuro al di fuori di lei, e io non voglio più un di fuori, non voglio più saperne di una chiesa coi suoi angeli nel coro e i suoi diavoli sulla strada, il viso schiacciato contro le vetrate come dei poveri a Natale alle finestre del fornaio.
Voglio solo la vita nuda e fraterna.

Oh padre io ragionevole, padre mio ragionatore, ti hanno insegnato che c'era un posto per ogni cosa, hai dunque creduto che ci fosse anche un rango per ciascuno, e io vengo a dirti che non è così: non saremo in un certo ordine che in paradiso.

Nell'attesa di quel giorno che verrà, che necessariamente verrà, che indubbiamente verrà, nell'attesa di quel giorno in cui saremo pigiati in grembo a Dio come soldi in fondo a una tasca, voglio entrare in tutti i giardini chiusi, scavalcare tutti i muri di pietra, andare ovunque, in disordine.
Ieri sognavo principesse e cavalieri.
Oggi ho trovato qualcosa che è più grande del mio sogno.
L'amore ha risvegliato la mia vita assopita.

Ho trovato la vita e parto incontro a lei, mi batterò per lei e servirò il suo nome.
Parto. Che puoi fare per impedirmelo?

Ti lascio fino all'ultimo dei miei vestiti. Si trattengono le persone con tutto ciò che si dona loro.
Ti ho reso quanto mi hai dato, tranne la vita.
Ma la vita mi viene da qualcosa di superiore a te.

La vita mi viene dalla vita stessa, ed è verso di lei che vado, verso la mia amica dagli occhi di neve, mia piccola fonte, mia sola sposa.
La vita, nient'altro che la vita.
La vita, tutta la vita.

vocazionepartenzastradacoraggiovitachiamata

inviato da Cristina Ardigò, inserito il 06/02/2006

TESTO

73. Il Cammino dei Magi

Kociss Fava

"Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme...".

Oro, incenso. Mirra anche. Furono tra le prime cose che vide, venendo alla luce. Non che gli importasse granché delle ricchezze: in seguito l'ebbe a dimostrare. Doveva comunque essere uno spettacolo da perderci gli occhi. Il luccichio dei doni traboccanti dalle consunte bisacce da viaggio, contrapposto all'estrema frugalità del ricovero ove era nato. Gli effluvi stordenti delle resine aromatiche, spandendosi, andavano a mescolarsi con l'odore secco e pronunciato dello stallatico. Non di meno l'omaggio più gradito e inatteso fu certo la devozione che quegli uomini ricchi e distinti dimostrarono per il Neonato. Chissà lo sgomento provato da Maria e Giuseppe. Abituati com'erano all'unica compagnia dei pastori, si trovarono quei signori sontuosamente vestiti, chini in adorazione del Bambino.

Si dice fossero sapienti venuti da oriente: stranieri dunque. Scrutando il cielo, o forse dentro se stessi, videro una stella che tracciò loro la via. A noi, che sperimentiamo tempi di soluzioni facili e di frastuoni diffusi, piace pensare fosse una stella grande. Enorme, con la coda pure. Dimentichi che il rapporto autentico con Dio può instaurarsi e maturare solo nel silenzio di un cuore disposto a sentirne il potente sussurro. Nel deserto, luogo privo di inutili echi, radunò il Signore il popolo eletto per manifestare la Sua volontà. Sempre in luoghi solitari si sarebbe ritirato Gesù, per pregare il Padre.

Con o senza l'aiuto degli astri, ma sicuramente con la promessa di Dio nel cuore, i Magi intrapresero il lungo e faticoso cammino. Solo chi lo desidera con passione, giunge a vedere il volto di Cristo.

re magiepifaniaricercarapporto con Dio

inviato da Kociss Fava, inserito il 05/02/2006

TESTO

74. L'ultima lettera di Baden Powell   1

Baden Powell

Cari Scout,

se avete visto la commedia di Peter Pan vi ricorderete che il capo dei pirati ripeteva ad ogni occasione il suo ultimo discorso, per paura di non avere il tempo di farlo quando fosse giunto per lui il momento di morire davvero. Succede press'a poco lo stesso anche a me, e per quanto non sia ancora in punto di morte quel momento verrà, un giorno o l'altro; così desidero mandarvi un ultimo saluto, prima che ci separiamo per sempre. Ricordate che sono le ultime parole che udrete da me: meditatele.

Io ho trascorso una vita felicissima e desidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice. Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo meraviglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo, né dalla carriera, né dal cedere alle nostre voglie. Un passo verso la felicità lo farete conquistandovi salute e robustezza finché siete ragazzi, per poter essere utili e godere la vita pienamente una volta fatti uomini. Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità. Contentatevi di quello che avete e cercate di trarne tutto il profitto che potete. Guardate al lato bello delle cose e non al lato brutto.

Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Preoccupatevi di lasciare questo mondo un po' migliore di come lo avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto "del vostro meglio". "Siate preparati" così, a vivere felici e a morire felici: mantenete la vostra promessa di esploratori, anche quando non sarete più ragazzi, e Dio vi aiuti in questo.

Il vostro amico

Baden Powell

impegnoresponsabilitàvitasenso della vitafelicità

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 05/02/2006

TESTO

75. A te che soffri   2

A te che in questo momento stai soffrendo: ti chiedo di essere forte, di scoprire la luce che brilla nella tua anima. Sentiti avvolto dalla mia grazia che mai ti abbandona, il mio sguardo è su di te e ti amo infinitamente. Dalla croce pesante del tuo dolore grida il tuo amore verso di me, non perderti d'animo, colora la tua esistenza con i pastelli più incisivi, sappi scoprire la bellezza di essere un vero prodigio e non temere mai nulla, Io ti sono sempre vicino, ti sostengo e guido i tuoi passi dovunque tu andrai... a volte comprendo che ti senti solo e perso tra le mura di un ospedale o della tua casa, ma sappi che io sono seduto accanto a te, ti sussurro all'orecchio dolci parole, ti parlo come ad un amico, a un fratello, a un bimbo... sei una persona splendida per me e mai ti dimenticherò... sei nel mio cuore, ricco di amore e di tenerezza, a volte pensi che sia io a farti soffrire ma come potrei? ti ho fatto di poco inferiore agli angeli, di gloria e di onore ti ho coronato, come potrei farti tutto questo e come mi potrei dimenticare di te?

Figlio mio carissimo, da tempo ho fissato i miei occhi su di te, sei amabile e ricco di tenerezza, soffro con te e per te, vivo con te il dolore che ti consuma e ti stringe dentro l'anima, ma tu sii forte, sii tenace nella tua impresa e a tutti devi saper donare un sorriso, anche quando ti costa... vedo anche come vivi la terapia, il disagio per le tante prestazioni che devi subire, ma abbandonati a me e non temere mai nulla, come un bimbo stretto tra le braccia della sua tenerissima madre, tale sei tu, stretto nell'abbraccio del mio amore e mai ti abbandonerò, perché so che tu mi sai ascoltare, mi sai amare...figlio mio tenerissimo, ho un amore speciale per te, credimi, come la pupilla dei miei occhi, così voglio proteggerti e stringerti a me...

Consegnami il tuo cuore, la tua anima, la tua persona e lasciati abitare dalla mia grazia, solo così potrai essere la mia dimora, abiterò in te e farò di te un raggio della mia presenza..

Grazie di quanto ogni giorno mi regali, grazie di ogni sorriso nella sofferenza e grazie perché nonostante tanto dolore, sai guardare a me con grande amore e speranza...

Tuo Padre Dio

sofferenzaabbandono in Diodolorecroce

inviato da Don Gianni Mattia, inserito il 08/12/2005

TESTO

76. Non credo

Dorothee Solle

Non credo
al diritto dei più forti,
al linguaggio delle armi,
alla potenza dei potenti.

Voglio credere
ai diritti dell'uomo,
alla mano aperta,
alla potenza dei non-violenti.

Non credo alla razza o alla ricchezza,
ai privilegi, all'ordine della forza e dell'ingiustizia:
è un disordine.
Non credo di potermi disinteressare
a ciò che accade lontano da qui.

Voglio credere che il mondo intero
è la mia casa e il campo nel quale semino,
e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato.

Non credo
di poter combattere altrove l'oppressione,
se tollero l'ingiustizia qui.

Voglio credere che il diritto è uno,
tanto qui che altrove,
che non sono libero finché un solo uomo è schiavo.

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili
e la pace irraggiungibile.

Voglio credere all'azione semplice,
all'amore a mani nude,
alla pace sulla terra.

Non credo che ogni sofferenza sia vana.
Non credo che il sogno degli uomini resterà un sogno
e che la morte sarà la fine.

Oso credere invece, sempre e nonostante tutto,
all'uomo nuovo.
Oso credere al tuo sogno, o Dio,
un cielo nuovo, una terra nuova dove abiterà la giustizia.

giustiziasperanzaimpegnoresponsabilità

inviato da Giovanni Vacca, inserito il 21/06/2005

TESTO

77. Il denaro

Non tutto quello che desideriamo
Può comprarci il denaro.
Per esempio si può comprare:
il letto, ma non il sono;
il cibo, ma non l'appetito;
il libro, ma non l'intelligenza;
la cultura, ma non la sapienza;
una casa, ma non la famiglia;
la medicina, ma non la salute;
lo svago, ma non la felicità;
la tranquillità, ma non la pace;
la sicurezza materiale, ma non la spirituale;
il crocifisso, ma non la fede;
un posto nel cimitero, ma non nel cielo;
compagnia, piacere, risate, ma non veri amici.


Altra versione

I soldi possono comperare una casa, ma non un focolare.
I soldi possono comperare un letto, ma non sonno.
I soldi possono comperare un orologio, ma non il tempo.
I soldi possono comperare una posizione, ma non il rispetto.
I soldi possono pagare le medicine, ma non la salute.
I soldi possono comperare del sangue, ma non la vita.
I soldi possono comperare il sesso, ma non l'amore.

ricchezzasoldifelicitàdenaro

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 21/06/2005

TESTO

78. C'era una volta l'Amore...

Poesia brasiliana

C'era una volta l'Amore... L'Amore abitava in una casa pavimentata di stelle e adornata di sole. Un giorno l'Amore pensò a una casa più bella. Che strana idea quella dell'Amore! E fece la terra, e sulla terra, ecco fece la carne e nella carne ispirò la vita e, nella vita, impresse l'immagine della sua somiglianza.

E la chiamò uomo! E dentro l'uomo, nel suo cuore, l'Amore costruì la sua casa: piccola ma palpitante, inquieta, insoddisfatta come l'Amore. E l'Amore andò ad abitare nel cuore dell'uomoe ci entrò tutto là dentro, perché il cuore dell'uomo è fatto di infinito.

Ma un giorno... l'uomo ebbe invidia dell'Amore. Voleva impossessarsi della casa dell'Amore, la voleva soltanto e tutta per sé, voleva per sé la felicità dell'Amore come se l'Amore potesse vivere da solo. E l'Amore fu scacciato dal cuore dell'uomo. L'uomo allora cominciò a riempire il suo cuore, lo riempì di tutte le ricchezze della terra, ma era ancora vuoto. L'uomo, triste, si procurò il cibo col sudore della fronte, ma era sempre affamato e restava con il cuore terribilmente vuoto. Un giorno l'uomo... decise di condividere il cuore con tutte le creature della terra. L'Amore venne a saperlo... Si rivestì di carne e venne anche lui a ricevere il cuore dell'uomo. Ma l'uomo riconobbe l'Amore e lo inchiodò sulla croce. E continuò a sudare per procurarsi il cibo. L'Amore allora ebbe un'idea: si rivestì di cibo, si travestì di pane e attese silenzioso. Quando l'uomo affamato lo mangiò, l'Amore ritornò nella sua casa... nel cuore dell'uomo. E il cuore dell'uomo fu riempito di vita, perché la vita è Amore.

incarnazioneamore di Dio

inviato da Anna Lollo, inserito il 19/06/2005

TESTO

79. Ama la tua parrocchia   2

Paolo VI, omelia inaugurazione parrocchia N.S. di Lourdes, Roma 23-2-1964

Collabora, prega e soffri per la tua parrocchia, perché devi considerarla come una madre a cui la Provvidenza ti ha affidato: chiedi a Dio che sia casa di famiglia fraterna e accogliente, casa aperta a tutti e al servizio di tutti. Da' il tuo contributo di azione perché questo si realizzi in pienezza. Collabora, prega, soffri perché la tua parrocchia sia vera comunità di fede: rispetta i preti della tua parrocchia anche se avessero mille difetti: sono i delegati di Cristo per te. Guardali con l'occhio della fede, non accentuare i loro difetti, non giudicare con troppa facilità le loro miserie perché Dio perdoni a te le tue miserie. Prenditi carico dei loro bisogni, prega ogni giorno per loro.

Collabora, prega, soffri perché la tua parrocchia sia una vera comunità eucaristica, che l'Eucaristia sia "radice viva del suo edificarsi", non una radice secca, senza vita. Partecipa all'Eucaristia, possibilmente nella tua parrocchia, con tutte le tue forze. Godi e sottolinea con tutti tutte le cose belle della tua parrocchia. Non macchiarti mai la lingua accanendoti contro l'inerzia della tua parrocchia: invece rimboccati le maniche per fare tutto quello che ti viene richiesto. Ricordati: i pettegolezzi, le ambizioni, la voglia di primeggiare, le rivalità sono parassiti della vita parrocchiale: detestali, combattili, non tollerarli mai!

La legge fondamentale del servizio è l'umiltà: non imporre le tue idee, non avere ambizioni, servi nell'umiltà. E accetta anche di essere messo da parte, se il bene di tutti, ad un certo momento, lo richiede. Solo, non incrociare le braccia, buttati invece nel lavoro più antipatico e più schivato da tutti, e non ti salti in mente di fondare un partito di opposizione!

Se il tuo parroco è possessivo e non lascia fare, non farne un dramma: la parrocchia non va a fondo per questo. Ci sono sempre settori dove qualunque parroco ti lascia piena libertà di azione: la preghiera, i poveri, i malati, le persone sole ed emarginate. Basterebbe fossero vivi questi settori e la parrocchia diventerebbe viva. La preghiera, poi, nessuno te la condiziona e te la può togliere.

Ricordati bene che, con l'umiltà e la carità, si può dire qualunque verità in parrocchia. Spesso è l'arroganza e la presunzione che ferma ogni passo ed alza i muri. La mancanza di pazienza, qualche volta, crea il rigetto delle migliori iniziative.

Quando le cose non vanno, prova a puntare il dito contro te stesso, invece che contro il parroco o contro i tuoi preti o contro le situazioni. Hai le tue responsabilità, hai i tuoi precisi doveri: se hai il coraggio di un'autocritica, severa e schietta, forse avrai una luce maggiore sui limiti degli altri.

Se la tua parrocchia fa pietà la colpa è anche tua: basta un pugno di gente volenterosa a fare una rivoluzione, basta un gruppo di gente decisa a tutto a dare un volto nuovo ad una parrocchia. E prega incessantemente per la santità dei tuoi preti: sono i preti santi la ricchezza più straordinaria delle nostre parrocchie, sono i preti santi la salvezza dei nostri giovani.

Alcuni nostri utenti hanno messo in dubbio che la frase sia attibuibile al Papa Paolo VI, infatti sul sito vaticano viene riportata l'omelia indicata ma senza questa parte: e a quel tempo l'intervento a braccio non sembra pensabile.

parrocchiaimpegnolaicipretiserviziocollaborazionecorresponsabilitàpastorale

inviato da Anna Barbi, inserito il 06/06/2005

TESTO

80. Dio è Padre

Gianni Fanzolato

Anche se lo chiami Dio,
o se preferisci Allah,
chiamalo pure col nome
che più t'aggrada,
ma quello che li riassume tutti
e che non puoi dimenticare mai
è Padre
che significa amore, vita, misericordia...

E quando ti prende la tentazione
di accaparrarlo per te,
ricordati che è nostro,
vuol dire di tutti,
nessuno, nessuno escluso.

Sta nei cieli,
ma preferisce il cuore dell'uomo.
Lo trovi facilmente nel volto di quel bimbo,
in quella donna che soffre,
nell'uomo della strada,
nei fatti e avvenimenti della storia.
Ama vivere con noi,
e quando lui è qui,
la terra si trasforma in cielo.

Il suo nome viene santificato
quando tu vivi con dignità
la tua figliolanza con lui
e sei il riflesso luminoso del suo amore.
Solo se tu fai spazio nel tuo cuore
perché il Padre entri con la sua grazia,
allora il suo regno è una travolgente realtà.
Permettere che Dio faccia irruzione
nella tua storia,
è desiderare che si compia il suo disegno,
che si realizzi il suo piano d'amore,
che si faccia la sua volontà.

Il pane che devi chiedergli sempre
è quello che tu hai impedito
fosse presente nella mensa del povero.
Pensare all'Altro e agli altri
ti aumenterà la fame di quel pane
che appaga la la sete e la fame più struggente,
quella dello spirito.

Se è Padre è misericordia,
ci ama per quello che siamo,
è il suo amore che ci perdona e trasforma.

Ma il miracolo del perdono
avviene solo in chi ha imparato da lui
a perdonare di cuore il fratello che sbaglia.

Già che ci ama
ci salva dalla tentazione
di allontanarci da lui,
ci fa sentire la nostalgia
della casa paterna,
e il nostro cuore sarà libero dal male
e ricco solo di bene.

Padre nostro

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 07/01/2005

TESTO

81. La fiera del giorno dei morti   2

Tonino Lasconi, Popotus, 30/10/2004

La visita al cimitero, pensieri, preghiere e fiori per i nostri cari che non ci sono più: un incontro che non si esaurisce il 2 novembre.

Amo i cimiteri. Ci vado spesso. Non solo in quelli dove riposano i miei cari ma anche in quelli che incontro viaggiando. Sono un luogo dove mi piace riflettere, meditare, pregare. Questo perché amo la vita. Il pensiero dei defunti mi ricorda, senza ombra di dubbio, che la vita è un passaggio, spesso, purtroppo, breve. Per questo va vissuta senza sprecarne un solo istante con la noia, con la banalità, con la volgarità, con ciò che può rattristarla, impoverirla, metterla in pericolo.

Quando sono lì, penso: «Se ci ricordassimo sempre che non vivremo cinquemila anni, saremmo più saggi. Adopereremmo meglio le nostre capacità, i nostri sentimenti, il nostro tempo, i nostri soldi, i nostri giorni». Metto dei fiori nelle tombe dei miei cari e in quelle abbandonate dai parenti. I fiori - lo so - non servono ai defunti, ma a me. A noi. Sono un segno bellissimo che dice: «Da questa morte rinasce una vita nuova, più bella e profumata di prima». E prego. La preghiera serve ai defunti e a noi. Ci ricorda che, tra noi e loro, gli affetti, la compagnia, l'amicizia continuano, perché davanti a Dio siamo tutti contemporanei, ci abbraccia tutti con un unico sguardo.

E noi camminiamo tutti insieme verso di lui, aiutandoci l'un l'altro. Volete che una madre non cammini ancora accanto ai suoi figli rimasti quaggiù? Che un amico non ti rimanga accanto? Nemmeno a pensarci! Quando esco dal cimitero, mi sento ricaricato, stimolato a vivere con più grinta e intensità. Non però negli ultimi giorni di ottobre e nei primi di novembre. In questi giorni non vado più al cimitero, perché l'ultima volta che l'ho fatto ho creduto di trovarmi in una fiera: chiacchiericcio, confusione, risate, paragoni sciocchi tra le tombe e i fiori più belli, curiosità stupide, telefonini che squillano dappertutto, commento sul costo dei fiori... Uno spettacolo triste! Sapete cosa farei? Chiuderei i cimiteri dal 25 ottobre all'8 di novembre. Perché quelli che ci vanno per amore dei defunti e di se stessi ci andrebbero comunque durante l'anno, ogni volta che possono. Quelli «della fiera» se ne starebbero a casa loro. Meglio così! Tanto, andare in un cimitero per non pensare, per non pregare, per non meditare non serve né ai defunti né tanto meno ai vivi.

mortedefunticomunione dei santiparadisoeternitàvita eterna

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 06/11/2004

TESTO

82. Accetta   2

Siamo convinti che la nostra vita sarà migliore quando saremo sposati, quando avremo un primo figlio o un secondo. Poi ci sentiamo frustrati perché i nostri figli sono troppo piccoli per questo o per quello e pensiamo che le cose andranno meglio quando saranno cresciuti.
In seguito siamo esasperati per il loro comportamento da adolescenti.
Siamo convinti che saremo più felici quando avranno superato quest'età.
Pensiamo di sentirci meglio quando il nostro partner avrà risolto i suoi problemi, quando cambieremo l'auto, quando faremo delle vacanze meravigliose, quando non saremo più costretti a lavorare.

Ma se non cominciamo una vita piena e felice ora, quando lo faremo?
Dovremo sempre affrontare delle difficoltà di qualsiasi genere.
Tanto vale accettare questa realtà e decidere d'essere felici, qualunque cosa accada.

Alfied Souza diceva: "Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la mia vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c'erano sempre ostacoli da superare strada facendo, qualcosa d'irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati. In seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli: erano la vita."

Questo modo di percepire le cose ci aiuta a capire che non c'è un mezzo per essere felici ma la felicità è il mezzo.
Di conseguenza gustate ogni istante della vostra vita e gustatelo ancora di più quando potete dividerlo con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita.
Ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno.

Allora smettete di aspettare di finire la scuola, di tornare da scuola, di perdere 5 kg, di avere dei figli, di vederli andare via di casa.
Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi.
Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova.
Smettete di aspettare la primavera, l'estate, l'autunno o l'inverno.
Smettete di aspettare di lasciare questa vita, e decidete che non c'è momento migliore per essere felici che il momento presente. Quello donato da Dio.

La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio.

Un pensiero per oggi:
Lavorate, come se non aveste bisogno di soldi.
Amate, come se non doveste soffrire mai.
Ballate, come se nessuno vi guardasse.

Ora rifletti bene e cerca di rispondere a queste domande:
Nomina le 5 persone più ricche del mondo.
Nomina le 5 ultime vincitrici del concorso Miss Universo.
Nomina 10 vincitori del premio Nobel.
Nomina i 5 ultimi vincitori del premio Oscar come migliore attore od attrice.
Come va? Male? Non preoccuparti.
Nessuno di noi ricorda i migliori di ieri.
E gli applausi se ne vanno! E i trofei si impolverano!
I vincitori sì dimenticano!

Adesso rispondi a queste altre:
Nomina 3 professori che ti hanno aiutato nella tua formazione.
Nomina 3 amici che ti hanno aiutato in tempi difficili.
Pensa ad alcune persone che ti hanno fatto sentire speciale.
Nomina 5 persone con cui passi volentieri il tuo tempo.

Come va? Meglio? Le persone che segnano la differenza nella tua vita non sono quelle con le migliori credenziali, con molti soldi, o i migliori premi... sono quelle che si preoccupano per te, che si prendono cura di te, quelle che ad ogni modo stanno con te.

Rifletti un momento. La vita è molto corta!
Tu, in che lista sei? Non lo sai?... Permettimi di darti un aiuto...
Non sei tra i famosi,... però sei tra quelli perché il Signore ha voluto che tu fossi mio fratello o mia sorella.

vitaviveresenso della vitaaccettazioneaccettazione di sépositivitàottimismo

5.0/5 (2 voti)

inviato da Claudio Fiorini, inserito il 28/07/2004

TESTO

83. Cristo nostro modello

S. Tommaso d'Aquino, Conferenze

Nessun esempio di virtù è assente dalla croce. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita.

Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.

Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non aprì la sua bocca (cfr. At 8, 32). Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.

Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte.

Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il Re dei re e il Signore dei signori. Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.

Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perché «si sono divise tra loro le mie vesti» (Gv 19, 24); non gli onori, perché ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr. Is 53, 4); non alle dignità, perché intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr. Mc 15, 17); non ai piaceri, perché «quando avevo sete, mi han dato da bere aceto» (Sal 68, 22).

GesùcrocesofferenzaumiltàpazienzaCrocifissoobbedienzainterioritàesteriorità

inviato da Pier Luca Bancale, inserito il 27/07/2004

TESTO

84. Mi piacerebbe essere un prete...

Mi piacerebbe essere un prete...

... Un prete così: un prete che ama il Signore, e che insieme a Lui ama la gente che gli sta attorno, le persone che, prima di ogni altra cosa, hanno bisogno di essere amate.

...Un prete che, abbia la caratteristica del pastore, di chi cerca chi si smarrisce; uno che si sforza di conoscere e di ascoltare.

...Un prete che è capace di farsi vicino alle gioie e alle sofferenze degli altri, vicini e lontani, credenti e non credenti; un prete che dice la Verità, che è sempre pronto a confessare per distribuire il perdono.

...Un prete che ha viva la consapevolezza che Dio ha fatto di lui un grande miracolo: lo ha ritenuto degno di fiducia chiamandolo nel ministero, nonostante egli sia un povero peccatore.

... Un prete "affettivamente libero", uno che non cerca a tutti i costi di essere amato; ma uno che, pur amando intensamente le altre persone, è capace di tirarsi in disparte quando gli viene richiesto.

... Un prete che sappia indicare una "direzione spirituale", senza però voler fare da padrone sulla fede degli altri. Vorrei che la gente credesse in Gesù Cristo e non tanto nel prete che lo annuncia.

... Un prete che sappia "radunare" in autentica comunità cristiana. Uno di quelli che sanno giocare con i ragazzi, così come parlare e stare con gli adulti.

...Un prete che costruisce la comunità a partire dall'Eucarestia; che è capace di viverla bene; che non la vive come un'abitudine.

...Un prete che prega. Che ama Maria, il Papa, la Chiesa, figlio di una tradizione e con i piedi ben piantati nel presente

... Un prete che sappia vivere la povertà. Uno che non è attaccato al denaro; uno che sa donare ciò che è suo.

...Un prete con la predilezione versi gli ultimi, quelli che contano di meno agli occhi del mondo.

...Un prete capace di far uso "dell'intelligenza della fede", che sa operare "discernimento", che sa "leggere" le situazioni, che non usa solo il cuore e la volontà, ma anche la luce dell'intelligenza.

... Si, mi piacerebbe essere un prete così!

Signore, aiutami...

vocazionecomunitàparrocopretesacerdotesacerdozio

inviato da Marco Ferrari, inserito il 27/07/2004

TESTO

85. Fare spreco di generosità

Tonino Bello, Ti voglio bene, omelia pronunciata il 19 marzo 1993 durante il rito di Ammissione di due giovani seminaristi tra i candidati agli Ordini Sacri

... La cosa più importante che vi voglio dire è quello di fare veramente con il Signore spreco di generosità. Guardate, non impressionatevi per i problemi che ci sono nel mondo, per le difficoltà che dovete incontrare per arrivare alla meta del sacerdozio. È difficile che oggi dei giovani scelgano di seguire Gesù Cristo con totalità, con libertà, con amore, lusingati come sono da tante seduzioni: le seduzioni della strada, della piazza, del successo, non dico del denaro, perché forse, grazie a Dio, nonostante la promessa di povertà, di fame non morrete nella Chiesa. Però dovete rimanere poveri, nella condizione di dipendenza da Dio, sentirvi poveri davanti a lui.

Ci sono lusinghe, le lusinghe della ricchezza, che vi attraggono, che attraggono tanti giovani: voi resistete a queste lusinghe e andate avanti con gioia perché volete seguire il Signore. Ma è difficile, oggi.

Ci sono le lusinghe bellissime, dolcissime, nella cui trama di rugiada, carica di luce, che sa di cancelli che immettono nell'aldilà, nell'ulteriorità, è facile abbandonarsi: la lusinga dell'amore, dell'amore per una donna. Pure dentro di voi batte il cuore per queste cose sante, pure e nobili. Eppure voi con grazia, con garbo, accantonate e mettete da parte con la stessa delicatezza con cui accarezzate il volto di Gesù Cristo. Mettete da parte tutta questa potenziale esperienza che potete avere per dire: "Signore, io seguo Te più da vicino, in modo più stretto. Voglio vivere in un legame più forte per poter essere più pronto a darti una mano, più agile perché i miei piedi che annunciano la pace sui monti possano essere salutati con gioia da chi sta a valle".
"Beati i piedi di coloro che sui monti annunciano la pace".

Coraggio, non lasciatevi lusingare oppure tirar dietro: guardate avanti con grande fierezza, con grande gioia perché il Signore è vicino. Il Signore ha bisogno di voi.

Il tempo si è fatto breve. Tantissimi giovani hanno bisogno di Lui, hanno bisogno di sentir parlare di Lui. I figli chiedono il pane e non c'è chi lo spezza per loro - dice un salmo; voi fate questa prova di gettarvi a capofitto in questo abisso di luce che è Gesù Cristo. Egli poi vi dà la forza di andare avanti. Vi sostiene. Vi dà l'entusiasmo, il gusto di vivere in mezzo al popolo, non lontano, non astratti dal mondo.

Io vi auguro che non stiate mai in testa e neppure in coda, ma possiate stare in mezzo al popolo, come Gesù: "Gesù, allora si sedette in mezzo ai dottori, aprì la bocca e disse...". Si sedette in mezzo. Gesù che si siede in mezzo...

Anche voi, sedetevi in mezzo alla gente, sentite il sapore e il profumo del popolo, inebriatevi di questo grande ideale di annunciare Gesù Cristo.

È splendido: dà significato alla vostra vita. Parola di uomo. È così. Il Signore Gesù è in grado di renderci felici al punto tale che questa felicità sentite il bisogno di trasferirla agli altri, a tutti coloro che vi accostano.

...Chiedete ogni giorno a Dio che vi dia un cuore umano che batta secondo i suoi ritmi. Quanti saranno i battiti di Gesù Cristo?

Come vorrei che il mio cuore battesse come il suo, in sintonia col suo per poter trascinare tutti quanti in un vortice di amore, di tenerezza, di bontà!

Chiedete al Signore che vi dia un cuore umano perché possiate essere capaci di capire la povertà della gente, la tristezza della gente, il pianto della gente; nessuno legge più questi "audiovisivi". Sono degli audiovisivi il pianto, la sofferenza, il dolore.

Il Signore si prende gioco della morte. Cos'è la morte davanti a Lui? Cos'è la malattia davanti a Lui? Cos'è un tumore davanti a Lui? Cosa volete che sia! Come facciamo a non vivere nella gioia, nel gaudio, nella speranza del Signore? Della morte lui si prende gioco. Il Signore non ci abbandona mai.

Il Signore vi dà la mano stasera, e la tiene sempre inevitabilmente stretta. E a meno che non siate voi a dichiarare il divorzio, state tranquilli che Lui da voi non si allontanerà più. È l'augurio che vi faccio ed è anche l'offertorio che presentiamo al Signore.

generositàvocazionesacerdozioseminaristichiamata

inviato da Sandra Aral, inserito il 27/07/2004

TESTO

86. La diversità è ricchezza

Cliffor Geertz

Se vogliamo scoprire in che cosa consiste l'uomo possiamo trovarlo solo in ciò che sono gli uomini: e questi sono soprattutto differenti.

diversità

inviato da Sami, inserito il 16/12/2003

TESTO

87. Il sorriso di Dio

Gianni Fanzolato

Ogni volta nasce un bimbo,
non importa il colore,
ebreo, cristiano, indù o musulmano,
Dio sorride dall'alto di gioia nel cuore.

Sorride quando sulla terra
Due cuori si incontrano
E sfidando l'egoismo
Si giurano amore eterno
E diventano riflesso sulla terra
Del Dio che è trino, ma uno per l'amore.

Come sorride Dio quando quaggiù
C'è qualcuno che offre il suo dolore,
sorride a quella donna ammalata,
a quel figlio schiavo della droga,
a quel padre stanco e senza lavoro,
ma fiducioso che Dio è Provvidenza.

Ogni volta qualcuno si stringe la mano,
si perdona di cuore, si fa la pace vera,
c'è un uomo che porta speranza,
e un altro che semina la gioia,
Dio dall'alto acconsente e sorride.

Ma Dio sorride anche quando
ci vede troppo indaffarati,
sempre di corsa, con l'ansia nel cuore
eternamente insoddisfatti e alla ricerca.
Dio ci sussurra piano all'orecchio:
"Tranquilli" e stringendoci, ci sorride.

Come ride di gusto Dio
Sulle nostre manie,
sulla mode che passano,
sui cultori dell'effimero,
come sorride
sui soldi accumulati e i cuori ingombri,
sulle storie strappalacrime e inventate,
sui concorsi di bellezza e gli idoli e stravaganze.
Sorride perché sa che tutto si riduce in polvere.

Quante volte trattiene il sorriso
e scoppia in lacrime
sugli orrori, i massacri e le vendette,
sui bambini deturpati e gli anziani abbandonati,
sull'uomo che perde la dignità
e distrugge i valori.

Ma poi, guardando quaggiù
si ricorda che siamo suoi figli
e chiudendo un occhio per amore
continua a sorriderci e la vita non finisce,
perché in fondo è l'uomo il vero sorriso di Dio.

rapporto con Dioamore di Diosperanza

inviato da Padre Gianni Fanzolato, inserito il 27/10/2003

TESTO

88. Nuovi schiavi del mondo

Desmond Tutu, traduzione Guiomar Parada

Oggi la maggior parte del Terzo Mondo è tenuta in ostaggio da una schiavitù altrettanto orribile, nelle sue conseguenze devastanti, di quella del passato. La maggior parte del Terzo Mondo è stremato sotto il peso del più invalidante e stremante debito internazionale. Le statistiche sono impressionanti: in Etiopia 100.000 bambini muoiono ogni anno di malattie facili da prevenire, mentre il governo spende per ripagare il debito quattro volte quello che spende per la spesa sanitaria.

Spesso ci è difficile capire le statistiche e gli giriamo le spalle. E' tutto così impersonale. Proviamo a personalizzarlo un poco. Immaginate il vostro piccolo, non vaccinato contro il morbillo o la difterite, che lentamente si spegne davanti ai vostri occhi senza che voi possiate fare alcunché, perché non ci sono medicinali a disposizione.

I paesi poveri sono costretti alla povertà, all'ignoranza, alla malattia, alla fame e alla morte. Le risorse che dovrebbero essere impegnate per costruire strade e dighe, per le scuole e per pagare i maestri, per comperare libri e per l'assistenza sanitaria, sono deviate, con conseguenze disastrose, per ripagare debiti che non diminuiscono, ma anzi aumentano per via dei crescenti tassi d'interesse e della svalutazione delle valute di questi paesi poveri. Anche se economicamente fosse una cosa logica, e non lo è, certamente non è logico dal punto di vista morale.

I paesi poveri non sono in grado di spezzare le catene che li hanno schiavizzati in maniera così rovinosa. Noi che seguiamo il Falegname di Nazareth sappiamo che quando si dà da mangiare agli affamati e da vestire ai poveri, lo si fa per Lui ed Egli ci ha esortato a perdonare i nostri debitori per essere perdonati dal nostro Padre in cielo. Ma più chiaramente siamo vincolati dalla lezione del Capitolo 25 del Levitico, che decreta che ogni 50 anni gli schiavi siano messi in libertà, che i debiti siano cancellati e che la proprietà ipotecata ritorni ai proprietari legittimi senza vincoli, per dare una opportunità alle persone di ricominciare da capo, di iniziare nuovamente, nello spirito della nostra fede che è la fede di sempre nuovi inizi quando si è perdonati. Le cancellazioni del debito si sono già verificate nel passato; nei confronti della Germania dopo la guerra, e gli Usa hanno cancellato 7 miliardi di dollari all'Egitto a seguito dell'operazione Desert Storm.

I paesi poveri, sollevati dal vincolo del debito, potrebbero sviluppare economie robuste che potrebbero diventare anche vigorosi mercati di consumo. Siamo fatti per essere uniti. In Africa diciamo che "una persona è una persona attraverso altre persone". Siamo legati da una delicata rete di interdipendenza. Crediamo nell'ubuntu, la mia umanità è dentro alla tua umanità. Ubuntu parla di generosità, di compassione, di ospitalità, di condivisione. Io sono perché voi siete. Se io vi disumanizzo, allora, che lo voglia o no, mi disumanizzo anch'io. Liberare il Terzo Mondo da questa nuova forma di schiavitù vi permetterà di rendere migliore la vostra propria umanità e camminerete a testa alta, anche voi liberati.

(l'autore è premio Nobel per la pace)

povertàricchezzagiustiziaingiustiziafame nel mondomondialitàcaritàamoredebitosfruttamentoschiavitùlibertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

89. Il corpo di Cristo

San Giovanni Crisostomo

Il corpo di Cristo è contenuto in vasi splendidi e preziosi, e intanto le membra di Cristo rimangono nella miseria.

giustiziaingiustiziaricchezzapovertàcultoeucaristia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giovanni Palma, inserito il 12/08/2003

TESTO

90. Occhi nuovi   2

Tonino Bello

Nella preghiera eucaristica ricorre una frase che sembra mettere in crisi certi moduli di linguaggio entrati ormai nell'uso corrente, come ad esempio l'espressione "nuove povertà".

La frase è questa: "Signore, donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli...". Essa ci suggerisce tre cose.

Anzitutto che, a fare problema, più che le "nuove povertà", sono gli "occhi nuovi" che ci mancano. Molte povertà sono "provocate" proprio da questa carestia di occhi nuovi che sappiano vedere. Gli occhi che abbiamo sono troppo antichi. Fuori uso. Sofferenti di cataratte. Appesantiti dalle diottrie. Resi strabici dall'egoismo. Fatti miopi dal tornaconto. Si sono ormai abituati a scorrere indifferenti sui problemi della gente. Sono avvezzi a catturare più che a donare. Sono troppo lusingati da ciò che "rende" in termini di produttività. Sono così vittime di quel male oscuro dell'accaparramento, che selezionano ogni cosa sulla base dell'interesse personale. A stringere, ci accorgiamo che la colpa di tante nuove povertà sono questi occhi vecchi che ci portiamo addosso. Di qui, la necessità di implorare "occhi nuovi". Se il Signore ci favorirà questo trapianto, il malinconico elenco delle povertà si decurterà all'improvviso, e ci accorgeremo che, a rimanere in lista d'attesa, saranno quasi solo le povertà di sempre.

Ed ecco la seconda cosa che ci viene suggerita dalla preghiera della Messa. Oltre alle miserie nuove "provocate" dagli occhi antichi, ce ne sono delle altre che dagli occhi sono "tollerate". Miserie, cioè, che è arduo sconfiggere alla radice, ma che sono egualmente imputabili al nostro egoismo, se non ci si adopera perché vengano almeno tamponate lungo il loro percorso degenerativo. Sono nuove anch'esse, nel senso che oggi i mezzi di comunicazione ce le sbattono in prima pagina con una immediatezza crudele che prima non si sospettava neppure. Basterà pensare alle vittime dei cataclismi della storia e della geografia. Ai popoli che abitano in zone colpite sistematicamente dalla siccità. Agli scampati da quelle bibliche maledizioni della terra che ogni tanto si rivolta contro l'uomo. Alle turbe dei bambini denutriti. Ai cortei di gente mutilata per mancanza di medicine e di assistenza. Anche per queste povertà ci vogliono occhi nuovi. Che non spingano, cioè, la mano a voltar pagina o a cambiare canale, quando lo spettacolo inquietante di certe situazioni viene a rovinare il sonno o a disturbare la digestione.

E infine ci sono le nuove povertà che dai nostri occhi, pur lucidi di pianto, per pigrizia o per paura vengono "rimosse". Ci provocano a nobili sentimenti di commossa solidarietà, ma nella allucinante ed iniqua matrice che le partorisce non sappiamo ancora penetrare. La preghiera della Messa sembra pertanto voler implorare: "Donaci, Signore, occhi nuovi per vedere le cause ultime delle sofferenze di tanti nostri fratelli, perché possiamo esser capaci di aggredirle". Si tratta di quelle nuove povertà che sono frutto di combinazioni incrociate tra le leggi perverse del mercato, gli impianti idolatrici di certe rivoluzioni tecnologiche, e l'olocausto dei valori ambientali, sull'altare sacrilego della produzione. Ecco allora la folla dei nuovi poveri, dagli accenti casalinghi e planetari.

Sono, da una parte, i terzomondiali estromessi dalla loro terra. I popoli della fame uccisi dai detentori dell'opulenza. Le tribù decimate dai calcoli economici delle superpotenze. Le genti angariate dal debito estero. Ma sono anche i fratelli destinati a rimanere per sempre privi dell'essenziale: la salute, la casa, il lavoro, la partecipazione. Sono i pensionati con redditi bassissimi. Sono i lavoratori che, pur ammazzandosi di fatica, sono condannati a vivere sott'acqua e a non emergere mai a livelli di dignità. Di fronte a questa gente non basta più commuoversi. Non basta medicare le ustioni a chi ha gli abiti in fiamme. I soli sentimenti assistenziali potrebbero perfino ritardare la soluzione del problema. Occorre chiedere "occhi nuovi".

"Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli". Occhi nuovi, Signore. Non cataloghi esaustivi di miserie, per così dire, alla moda. Perché, fino a quando aggiorneremo i prontuari allestiti dalle nostre superficiali esuberanze elemosiniere e non aggiorneremo gli occhi, si troveranno sempre pretestuosi motivi per dare assoluzioni sommarie alla nostra imperdonabile inerzia. Donaci occhi nuovi, Signore.

povertàricchezzagiustiziaingiustiziafame nel mondomondialitàcaritàamoresolidarietàattenzione agli altrisofferenza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giosuè Lombardo, inserito il 12/08/2003

TESTO

91. Giovane, fermati un istante

A te giovane, che forse sei già stanco di vivere e di lottare, di credere e di amare,
a te che in questo momento ti senti solo e insicuro,
a te che sei deluso per come vanno le cose,
a te che soffri per la falsità degli uomini,
a te che sei senza lavoro,
a te che chiedi amore e ti viene dato sesso,
a te che hai cercato solo nel piacere il senso della vita,
a te che hai creduto invano nella violenza e nella droga,
a te che il divertimento e il denaro non bastano più,
a te che forse pensi di farla finita,
a te che non credi più a niente ma non smetti di cercare,
a te cui manca una ragione per vivere,
a te che non hai ancora deciso cosa fare della vita,
a te che hai provato tutto eccetto Cristo:
fermati e rifletti un po' perché forse tu cerchi le cose belle e buone della vita,
forse tu cerchi ancora Dio.

giovinezzaricercaricerca di sensosenso della vita

inviato da Anna Lianza, inserito il 27/06/2003

TESTO

92. Dare

Ogni uomo che ti cerca, viene per chiederti qualche cosa;
il ricco annoiato, la dolcezza della tua conversazione;
il povero, il tuo danaro; il triste, un po' di consolazione;
il debole, uno stimolo; colui che lotta, uno stimolo morale;
l'ammalato, un vero sollievo.
Ogni uomo viene per chiederti qualcosa.
E tu, ti permetti di perdere la pazienza!
Tu osi pensare: "Che fastidio!". Che infelice!
La legge nascosta che distribuisce misteriosamente
le cose eccelse si è degnata di donarti
il privilegio dei privilegi, il bene dei beni,
la prerogativa delle prerogative: dare!
Tu puoi dare! Per quante ore ha il giorno tu dai;
benché sia un sorriso, benché sia una stretta di mano,
benché sia una parola di sollievo.
Per quante ore ha il giorno, tu rassomigli a Lui,
che altro non è se non donazione perfetta,
diffusione perfetta e regalo perpetuo.
Dovresti inginocchiarti davanti al Padre e dirgli:
"Grazie perché posso dare, Padre mio!
Mai passerà sul mio volto l'ombra dell'impazienza!".
"In verità vi dico che vale più dare che ricevere!".

donaregratuitàamorecaritàsolidarietàaltruismoascoltodisponibilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 27/06/2003

TESTO

93. Risparmiarsi   1

Kahlil Gibran, Le parole non dette

Viveva un tempo
un ricco che andava fiero,
e con ragione, della sua cantina
e del vino che vi conservava.
E aveva un'anfora di vecchissima annata
tenuta in serbo per un'occasione speciale,
nota a lui solo.

Gli fece visita il governatore
e lui rifletté e si disse:
"Non aprirò l'anfora
per un semplice governatore".

E gli fece visita il vescovo della Diocesi,
ma lui si disse:
" No, non aprirò l'anfora.
Il vescovo non saprebbe stimarne il valore,
né le sue narici ne apprezzerebbero
l'aroma".

Venne il principe, e cenò da lui.
Ma l'uomo pensò:
"E' un vino troppo regale
per un principotto qualsiasi".
E persino il giorno
in cui si sposò suo nipote,
l'uomo disse tra sé:
"No, non a questi ospiti
sarà offerto quel vino".

E passarono gli anni, e l'uomo,
ormai vecchio, tornò alla terra.

E nel giorno della sepoltura
il vino d'annata fu preso e portato in tavola
insieme ad altri vini, e fu distribuito
tra i contadini dei dintorni.
E quanto fosse vecchio nessuno lo sapeva.

Per quella gente, tutto ciò che veniva
versato in un bicchiere era,
semplicemente, vino.

risparmiarsirisparmiareaviditàchiusura

3.0/5 (1 voto)

inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 26/03/2003

TESTO

94. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

TESTO

95. Vuoi onorare il corpo di Cristo?   2

San Giovanni Crisostomo

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto anche: "Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare" e "ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l'avete fatto neppure a me".

Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.

Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane. Gli offrirai una calice d'oro e non gli darai in bicchiere d'acqua? che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o piuttosto non s'infurierebbe contro di te? e se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?

Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offre, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò, mentre adorni l'ambiente per il culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questo è il tempio vivo più prezioso di quello.

Clicca qui per la versione breve.

caritàamoresolidarietàgiustiziaricchezzapovertàcultoeucaristia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 14/12/2002

TESTO

96. Solo l'amore dà certezza   1

Emmanuel Mounier

L'uomo esiste nella misura in cui esiste per gli altri.
Essere e amore coincidono.
Solo l'amore dà salda certezza e senso alla vita.
Il fare riferimento all'altro non è un limite, ma una possibilità di uscire dal circolo vizioso dell'io per entrare nella ricchezza del noi.

amorevitasenso della vitaapertura agli altri

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 14/12/2002

TESTO

97. Famiglia, sede della cultura dell'accoglienza

Norberto Galli

La famiglia è la prima sede dove si comprende il significato dell'esistenza. In un mondo in cui prevalgono i valori del profitto, della ricchezza, del piacere, la cultura dell'accoglienza mira a coltivare i valori del servizio e del dono.

famigliadonogratuitàdonare

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 12/12/2002

TESTO

98. Volevo un senso   1

Dal diario di un ragazzo

Volevo latte
ho ricevuto un biberon.
Volevo affetto
ho ricevuto giocattoli.
Volevo imparare
ho ricevuto una pagella.
Volevo parlare
ho ricevuto sapere.
Volevo essere libero
ho ricevuto disciplina.
Volevo amare
ho ricevuto una morale.
Volevo felicità
ho ricevuto denaro.
Volevo una professione
ho ricevuto un posto.
Volevo un senso
ho ricevuto una carriera.
Volevo speranza
ho ricevuto paura.
Volevo vivere...

genitorifiglifamigliaeducazionesenso della vitaeducare

inviato da Sr Irina Mandro, inserito il 11/12/2002

TESTO

99. Lettera al "fratello marocchino"   1

Tonino Bello

Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!

La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.

Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?

Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.

Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.

Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.

extracomunitaristranieriaccoglienzacaritàsolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

TESTO

100. Nabot possedeva una vigna

S. Ambrogio di Milano, De Nabuthae, 1.1

"Nabot possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab di Samaria..." (1 Re 21).
La storia di Nabot è antica per età, ma nel costume è quotidiana.
Quale ricco, infatti, non desidera ogni giorno avidamente i beni altrui?
Quale potente non pretende di cacciare via il povero dal suo piccolo podere e di togliere chi non ha mezzi dalla terra dei padri?
Chi è mai contento di quello che ha?
Quale ricco non sente accendersi l'animo dal desiderio di possedere i beni del vicino?
Sicché di Acab non ne è nato uno solo; e ciò che è peggio, Acab nasce ogni giorno e non muore mai a questo mondo.
Appena ne scompare uno, ne vengono fuori altri, in gran numero, e sono più quelli che rubano di quelli che accettano di rimetterci.
Ma neppure Nabot è l'unico povero che sia stato ucciso; ogni giorno un Nabot è prostrato, ogni giorno un povero viene ucciso.
Angosciata da questo timore la gente si ritira dalle sue terre e il povero, carico del suo pegno d'amore, emigra con i figli, mentre la moglie lo segue in lacrime, come se accompagnasse il marito al sepolcro.
Fin dove volete arrivare, o ricchi, con le vostre assurde cupidigie?
Pensate di rimanere soli ad abitare la terra?
Perché scacciate chi è compartecipe ai beni della natura e rivendicate per voi soli il possesso dei beni naturali?
La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché voi ricchi vi arrogate il diritto di proprietà del suolo?

ingiustiziaricchezzapovertà

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002

TESTO

101. Imparare la tristezza del Natale   1

Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi

Tre righe in tutto. Per raccontarci l'avvenimento più straordinario della storia del mondo, Luca impiega tre righe. Un Dio che viene a "piantare la propria tenda in mezzo a noi". E l'evangelista ce lo riferisce in tre righe. Probabilmente la sua penna deve aver lottato parecchio per resistere alla tentazione di dire di più.

Tre righe in cima alla pagina. Quindi tutto un foglio bianco. E noi ci precipitiamo a imbrattarlo con le nostre parole.

Può sembrare un'idea bizzarra quella di aprire la serie dei "Vangeli scomodi" con il racconto della natività, con una pagina che pare autorizzare esclusivamente la tenerezza, la dolcezza e i pensieri più consolanti.

Eppure proprio queste tre righe di Luca, se riusciamo a spazzare via le nebbie di un equivoco sentimentalismo, risultano terribilmente scomode. Infatti costituiscono una spietata condanna per il nostro Natale gonfio di retorica, per il nostro Natale zeppo di cattiva poesia, per il nostro Natale ricco di cianfrusaglie multicolori e commozione a buon mercato.

Tre righe. E noi, invece, abbiamo imbastito un copione mastodontico e interminabile, imbottito di pacchianerie.
Gli abbiamo rovesciato sopra tonnellate di sentimentalismi.

Il silenzio è l'elemento naturale per la discesa della Parola sulla terra.

E noi abbiamo pensato di rompere quel silenzio che ci impacciava con gli scoppi di milioni di tappi champagne.

nataleincarnazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Foggi Silvana, inserito il 11/12/2002

TESTO

102. Se hai due pezzi di pane

Tradizione indù

Se hai due pezzi di pane, danne uno ai poveri, vendi l'altro e compera dei giacinti per nutrire la tua anima.

animainterioritàsolidarietàcondivisionericchezzapovertà

3.0/5 (1 voto)

inviato da Corradini Don Lorenzo, inserito il 10/12/2002

TESTO

103. Gratitudine   1

Kahlil Gibran

La gratitudine
è la timida ricchezza
di chi non possiede nulla.

gratitudinepovertàumiltàpiccolezza

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 03/12/2002

TESTO

104. Pregare con le parole

La preghiera è una sinfonia,
non si può fare una sinfonia con un solo strumento.
Non si può pregare chiedendo solo aiuto.
Pregare è...
Lodare Dio con l'entusiasmo dei pastori
che hanno visto Gesù nella mangiatoia.
Ringraziare Dio con la gioia del lebbroso
risanato da Gesù.
Raccontare a tutti le meraviglie
che Dio compie per noi, suo popolo.
Riconoscersi peccatore con la commozione del figlio
che abbraccia il padre che lo perdona.
Riconoscere con la fermezza di Pietro
che Gesù è il nostro salvatore.
Interrogare Gesù su che fare nella vita
come lo interroga il giovane ricco.
Dire di sì all'invito di Dio
Con Maria che si dichiara serva del Signore.
Invocare Dio e chiedergli aiuto
con la fede del lebbroso che supplica Gesù.

preghierarapporto con Dio

inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002

TESTO

105. Come vuoi vivere: felice o infelice?

Abbé Pierre

Voi sarete la generazione più disgraziata
che sia mai esistita
se stupidamente entrate nella vita
con il desiderio mostruoso
che noi abbiamo avuto prima di voi:
«Io, io, io, la mia carriera, la mia ricchezza.
Che mi importa degli altri?».
Sarete infelici,
se metterete il vostro benessere
a vostro esclusivo servizio, indifferenti degli altri.
Sarete invece la più felice generazione
che sia mai esisitita nel mondo,
se capirete che soltanto l'amore
è capace di mettere il benessere
al servizio di tutti.
Ma per far questo,
abbiate cura di non vivere neppure un giorno
nella prosperità, nella comodità,
nel benessere, nei piaceri,
senza che il dolore degli altri
sia venuto fino a voi.

giustiziaingiustiziacompassionesolidarietàamorecaritàcondivisionecompetitivitàricchezzapovertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002

TESTO

106. I dieci motivi per cui non mi lavo mai   2

In una parrocchia americana, il parroco, decisamente seccato dalle scuse addotte nel corso degli anni dai parrocchiani per non andare a messa, inserì "I dieci motivi per cui non mi lavo mai" nel bollettino domenicale:

1. Sono stato obbligato quando ero piccolo.
2. Le persone che si lavano sono ipocriti: pensano di essere più puliti degli altri.
3. Ci sono così tanti tipi di sapone, che non so decidere quale sia il migliore.
4. Ero abituato a lavarmi, poi ho cominciato ad annoiarmi ed ho smesso.
5. Mi lavo solo in occasioni particolari, come Natale e Pasqua.
6. Nessuno dei miei amici si lava.
7. Comincerò a lavarmi quando sarò più vecchio e più sporco.
8. Non riesco a trovare il tempo.
9. Il bagno non è mai caldo abbastanza in inverno o fresco a sufficienza in estate.
10. I produttori di sapone cercano solo i tuoi soldi.

messa

5.0/5 (2 voti)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 29/11/2002

TESTO

107. Cosa non devi possedere   1

Mahatma Gandhi

Chiunque possiede qualcosa di cui non ha bisogno, è un ladro.

ricchezzapovertàgiustiziaingiustiziapossedere

5.0/5 (1 voto)

inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 27/11/2002

TESTO

108. San Paolo, non un pazzo qualsiasi

Scout d'Europa, Foggia 2

Vi sono solo due notizie di dominio pubblico su san Paolo.
Uno: è caduto da cavallo.

Due: le sue lettere (tre volte su quattro la seconda lettura domenicale) sono incomprensibili. Beh, almeno difficili.

Fino a poco tempo fa anch'io la pensavo così: Paolo di Tarso? Pessimo cavallerizzo e criptico scrittore. Ora ho qualche notizia in più su costui. Per esempio so che era pazzo.

Non una comune follia, ma una follia lucida, rigorosamente logica e metodica. Era un ebreo. Colto. Ricco. Rispettato. Discendeva dall'elite d'Israele, aveva cultura e autorità: tutte le carte in regola per fare carriera. In effetti, la stava facendo. Stava sterminando una setta giudaica per conto della gerarchia di Gerusalemme, e questo era un ottimo trampolino di lancio. Poi Paolo di Tarso impazzisce. Molla tutto e si mette con quelli che stava catturando. Matto. Completamente andato.

Eppure Paolo ci credeva a quello che faceva. Ci credeva più di tutti gli altri ebrei. Forse ci credeva troppo. Insomma, non è molto simpatico quando inizi a incatenare tutti quelli che la pensano un po' diversamente da te. Il fatto che Paolo sia passato proprio alla fazione opposta ci dice una cosa importante: e cioè che Paolo non era un fossile. Certo, aveva delle idee, e ci teneva parecchio. Ma si lasciava interrogare dai fatti. E, a costo di venire apostrofato "traditore" e "voltabandiera" sapeva cambiare. Anche se questo andava contro il sistema. Era un tipo dinamico, e quando qualcuno gli ha aperto gli occhi sulla realtà non ha avuto paura di dire: "Ok, ragazzi, si cambia registro. Ho fatto qualche errore, ma non rinnego il mio passato. Io sono io, ma adesso che so ho il dovere di agire di conseguenza". Detto fatto.

Paolo ha o non ha avuto una visione sulla strada di Damasco? E' caduto da cavallo? Ha davvero sentito la voce di Gesù che gli parlava? O è solo un genere letterario, una metafora per dire che Paolo ha fatto il salto di qualità?
A dire il vero, non è molto importante.
L'importante sono i fatti.

Quali sono i fatti? Il primo fatto è la pazzia di Paolo: abbia visto o meno il Signore, è fuori discussione che con lui aveva un rapporto intimissimo. I loro pensieri coincidevano, e poiché Dio la pensa un po' diversamente dall'uomo, Paolo parve un pazzo agli occhi di moltissimi.

Paolo si faceva dei grandi viaggi. Materialmente, intendo dire. Per portare quell'annuncio sconvolgente che gli aveva scardinato la vita girò tutto il mondo conosciuto allora. Dall'Oriente all'Occidente, mai stanco, sempre avanti, sempre, attraverso tutte le difficoltà. Viaggiare non era una cosa di piacere, allora. Significava muoversi per lo più a piedi, a cavallo, con carovane, navi. Itinerari lunghi, difficili, sotto un cielo straniero, ma sempre con un motore spirituale a farlo andare avanti. "Non sono ancora giunto abbastanza lontano. C'è ancora gente afflitta ed oppressa che attende una parola di liberazione". San Paolo non va in vacanza, non si prende periodi di riposi, perché se lo facesse... ah! Guai a lui! Sa qual è il compito della sua vita.

Predica in tutti i modi possibili. Non si accontenta di andare di persona nelle città, come gli altri apostoli, ma scrive. Scrive lettere per le comunità che ha cresciuto, aiutato. Sono lettere bellissime, piene di fuoco, di passione, di fervore. Paolo si tiene sempre informato di come stanno i suoi, li sorregge, li conforta. Chiarisce i loro dubbi, li guida con dolcezza. Ma se c'è qualcosa che non funziona, va giù dritto. Ha le idee chiare. Dice sempre quello che pensa, senza guardare in faccia nessuno. Non si lascia zittire dalle minacce. Oh, perché di minacce ne ha avute: dava fastidio a troppa gente in alto. Ma la sua testardaggine non si piegava alle bastonate, ed il suo ardore non si spegneva nemmeno nelle carceri. Non scendeva a compromessi neppure a costo della propria vita.
Paolo è pazzo.
E' pazzo perché è un innovatore.

E' pazzo perché sfida tutte le mentalità del tempo. Paolo ha una mentalità aperta, ha viaggiato, conosce gli uomini. In un mondo di discriminazioni razziali e tra i sessi annuncia che non c'è differenza tra uomo e donna, tra schiavo e padrone, tra ebrei e pagani, che tutti sono uguali, tutti figli di Dio, tutti amati. Paolo fa saltare tutte le caste ed i sistemi di catalogazione degli uomini. Porta un messaggio di tolleranza, anzi di più: un messaggio di amore per tutti gli uomini. "Se non ho l'Amore non sono nulla". Avanti, sempre. Farsi tutto a tutti. Tendere la mano. Proporre e non imporre.

San Paolo è pazzo. Vive di ideali grandi, che sembrano quasi utopie. Sono utopie? Chissà. Ma sempre meglio che razzolare nella mediocrità. Le persone con la vista corta non arrivano lontano. Sopravvivono, ma non Vivono veramente.
Paolo è pazzo.

Ma sono questi pazzi che costruiscono il mondo nuovo.

San Paoloconversionecoerenzamissioneevangelizzazioneapostoli

inviato da Eleonora Polo, inserito il 27/11/2002

TESTO

109. Grazie a te, donna   2

Papa Giovanni Paolo II, Lettera di Giovanni Paolo II alle donne del 1995

Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.

Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.

Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.

Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del «mistero», alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.

Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta «sponsale», che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.

Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani.

donna

5.0/5 (1 voto)

inviato da Dario P., inserito il 26/11/2002

TESTO

110. Per una cattiva riuscita del proprio figlio   1

L'utopia che ha il potere di salvarti, Convento della Porziuncola

1. Fin dalla nascita date al bambino tutto quello che vuole: così crescerà convinto che il mondo ha l'obbligo di mantenerlo.

2. Se impara una parolaccia ridetene. Crederà di essere divertente.

3. Non accompagnatelo in Chiesa la domenica; non dategli un'educazione religiosa. Aspettate che abbia 18 anni e decida da sé.

4. Mettete in ordine tutto quello che lui lascia fuori posto. Fate voi quello che dovrebbe fare lui, in modo che si abitui a scaricare sugli altri tutte le proprie responsabilità.

5. Litigate sovente in sua presenza. Così non si stupirà se ad un certo punto vedrà disgregarsi la famiglia.

6. Dategli tutto il denaro che chiede e se lo spenda pure come vuole. Non lasciate mai che se lo guadagni! Perché mai dovrebbe faticare per guadagnare, come avete fatto voi da giovani? I tempi sono cambiati.

7. Soddisfate ogni suo desiderio per il mangiare, il bere, le comodità. Negargli qualcosa potrebbe scatenare in lui pericolosi complessi.

8. Prendete le sue parti verso i vicini di casa e gli insegnanti. Sono tutti prevenuti verso vostro figlio. Gli fanno continue ingiustizie. Lui è così intelligente e buono e loro non lo capiscono.

9. Quando si mette in un guaio serio, scusatevi con voi stessi dicendo: "Non sono mai riuscito a farlo rigare dritto".

10. Dopo di ciò, preparatevi ad una vita di amarezze: l'avete voluta e non vi mancherà.

educazionefigligenitorifamigliadecalogo

inviato da Federico Bernardi, inserito il 25/11/2002

TESTO

111. Gli amici sono le corde di una cetra   1

San Giovanni Crisostomo

Gli amici sono le corde di una cetra che, se tutte intonate tra di loro, producono al tocco una musica piacevolissima... Neppure le ricchezze più vistose si possono paragonare ad una salda amicizia. Le stelle irradiano la luce all'intorno; gli amici, dove giungono, portano gioia e bene. È meglio vivere nelle tenebre che mancare di amici... L'amicizia possiede anche la facoltà di ospitare nel nostro cuore la memoria degli assenti e ce li fa tanto desiderare da renderci vicini a loro e lontani da tutte le cose vicine.

amicizia

inviato da Immacolata Chetta, inserito il 22/11/2002

TESTO

112. Il cristianesimo

Paolo VI

Il Cristianesimo non è solo una ricchezza presente, è un tesoro di promesse, sorgente di speranza.

cristianesimosperanzaessere cristiani

inviato da Anna Barbi, inserito il 22/11/2002

TESTO

113. C'è sempre qualcosa da dire sui preti

Se il prete una volta parla dieci minuti più a lungo: è un parolaio.
Se durante una predica parla forte: allora urla.
Se non predica forte: non si capisce niente.
Se possiede un'auto personale: è capitalista, è mondano.
Se non ha un'auto personale: non è capace di adattarsi ai tempi.
Se visita i suoi fedeli fuori parrocchia: allora gironzola dappertutto.
Se frequenta le famiglie: non è mai in casa.
Se rimane in casa: non visita le famiglie.
Se parla di offerte e chiede qualcosa: non pensa ad altro che a far soldi.
Se non organizza feste, gite, incontri: nella parrocchia non c'è vita.
Se in confessionale si concede tempo: è interminabile.
Se fa in fretta: non è capace di ascoltare.
Se comincia la Messa puntualmente: il suo orologio è avanti.
Se ha un piccolo ritardo: fa perdere tempo a un sacco di gente.
Se abbellisce la Chiesa: getta via i soldi inutilmente.
Se non lo fa: lascia andare tutto alla malora.
Se parla da solo con una donna: c'è sotto qualcosa.
Se parla da solo con un uomo: eh!
Se prega in Chiesa: non è un uomo d'azione.
Se si vede poco in Chiesa: non è un uomo di Dio.
Se si interessa agli altri: è un impiccione.
Se non si interessa: è un egoista.
Se parla di giustizia sociale: fa della politica.
Se cerca di essere prudente: è di destra.
Se ha un po' di coraggio: è di sinistra.
Se è giovane: non ha esperienza.
Se è vecchio: non si adatta ai tempi.
Se muore: non c'è nessuno che lo sostituisce!

preteparrocosacerdotepresbitero

inviato da Anna Barbi, inserito il 22/11/2002

TESTO

114. Educazione alla povertà   1

Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.

Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.

Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi".

E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".

Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare.

Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.

Proviamo a delinearne sommariamente tre.

Povertà come annuncio

A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona.

I beni della terra non sono maledetti. Tutt'altro. Neppure i soldi sono maledetti.

Continuare a chiamarli sterco del diavolo significa perpetuare equivoci manichei che non giovano molto all'ascetica, visto che anche i santi, di questo sterco, non hanno disdegnato di insozzarsi le tasche.

I beni della terra non giacciono sotto il segno della condanna. Per ciascuno di essi, come per tutte le cose splendide che nei giorni della creazione uscivano dalle mani di Dio, si può mettere l'epigrafe: "ed ecco, era cosa molto buona".

Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema.

Un po' come rinunciare a sposarsi in vista del Regno non significa disprezzare il matrimonio, ma annunciare che c'è un amore più grande di quello che germoglia tra due creature. Anzi, dichiarare che questo piccolo amore è stato scelto da Dio come segno di quell'altro più grande. Sicché, chi non si sposa sembra dire ai coniugi: "Splendida la vostra esperienza. Ma non è tutto. Essa è solo un segno. Perché c'è un'esperienza di amore ancora più forte, di cui voi attualmente state vivendo solo un lontanissimo frammento, e che un giorno saremo tutti chiamati a vivere in pienezza".

Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità".

In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.

Povertà come rinuncia

E' la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi.

in realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica.

Questa interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole.

La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio.

Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere.

Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".

Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili.

Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri.

E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso.
La testimonianza, non l'ostentazione.

Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: "O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!".

Povertà come denuncia

Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.

Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.

Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.

Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!

Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.

E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.

La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.

Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti.

Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona.

Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento.

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.

Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.

povertàricchezzaingiustiziacelibatovita eternaparadisoserviziocaritàregno dei cieliregno di Diorinuncia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002

TESTO

115. Lettera alla Parrocchia

Centro di Orientamento Pastorale [COP], a conclusione della 52ma Settimana di aggiornamento pastorale a Bergamo; Settimana, luglio 2002

Cara parrocchia,

sappiamo che più o meno consapevolmente molti, anche tra i cristiani, non ti ritengono oggi un riferimento necessario per la loro vita e che in certe zone d'Italia non sei più il centro dell'esperienza di un popolo.

Sappiamo che, per molti, rischi di essere soltanto una stazione di servizio distributrice di sacramenti e di elemosine e che, per alcuni gruppi, sei poco più di una base logistica.

Sappiamo tuttavia che molte associazioni, gruppi e movimenti trovano in te non solo un luogo di accoglienza e di ospitalità, ma la casa e la scuola dove crescere nella fede, per essere missionari nella città degli uomini.

Sappiamo che la fatica del rinnovamento nella fedeltà al Vangelo può togliere anche a te un po' di respiro ed entusiasmo.

Sappiamo che vorresti essere una comunità di celebrazione, di carità e di annuncio, ma che, a volte, ti mancano persone, parole di incoraggiamento e gesti di sostegno.

Sappiamo, infine, che potresti essere una delle molte comunità che sono senza pastore, ma noi non ti molliamo, anzi scommettiamo sulla tua grande capacità di rigenerarti, come hai fatto tante volte nella storia.

Non siamo nostalgici, vogliamo - con te e per te - essere creativi.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nel tuo essere Chiesa tra le case, porzione di quella grande comunità che è la Chiesa universale, che noi apprendiamo a fare comunione; è tra le tue mura, chiese, cappelle, tessuti di relazione che incontriamo la comunità, sacramento cui è affidata la Parola che genera per tutti salvezza.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo compiere oggi il percorso necessario di Parola, rito e carità che ci unisce a Cristo.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nella celebrazione eucaristica che troviamo il sostegno decisivo per la nostra fede, la sorgente per la nostra sete di senso, la forza per una convivenza nella giustizia e nella pace.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo imparare, da laici, consacrati e da preti, come si fa a essere laici, consacrati e preti in mezzo alla gente.

Siamo convinti che ancora molte persone si accostano a te con domande semplici di umana comprensione, di pietà e di condivisione e tu hai ancora per ciascuno parole e gesti di speranza e di fiducia.

Siamo convinti che con te si viene ancora a misurare l'incredulità fragile di molti uomini e donne, la loro nostalgia di Dio, il loro stesso rancore per l'inganno e le trappole in cui sono caduti e tu hai sempre un percorso di fede da ricominciare.

Siamo convinti che il Vangelo che proponi (e come lo proponi) in fedeltà allo Spirito che guida la Chiesa è la risposta ultima alle grandi domande dell'uomo.

Ti vogliamo aiutare a farti cantiere di formazione nei tuoi gesti solenni e quotidiani, nella tua assemblea domenicale, nell'accompagnare con il sacramento la vita che nasce, muore, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella malattia.

Ti vogliamo aiutare a farti scuola di comunione anche nelle varie forme associative (pensiamo ad esempio, all'Azione Cattolica) generate da quella fantasia cristiana che tanta ricchezza di crescita spirituale, di fede e di apostolato ha portato alla vita delle nostre comunità. Ti vogliamo aiutare a farti punto di speranza nella capacità di incontrarti con le domande anche più petulanti e disperate, perché le sappia far diventare percorsi di vita e di fede.

Ti vogliamo aiutare a farti segno di quel "totalmente altro" che chiede di mescolarci nella società e di essere presenti nelle istituzioni abitandole da cristiani capaci di mostrare il Volto di Cristo, crocifisso e risorto, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che tu ci aiuti a contemplare.

Ti vogliamo aiutare a vivere pienamente, con responsabilità e con gioia la dimensione Diocesana, ad aprirti alla collaborazione con tutte le altre parrocchie, superando ogni autosufficienza.

Ti vogliamo aiutare a confrontarti con un territorio che cambia per l'arrivo di altre culture e altre religioni, a portare al tuo interno per offrirla sull'altare dell'Eucaristia la vita quotidiana dei tuoi fedeli vita di famiglia, vita di lavoro e di disoccupazione, vita di italiani e di stranieri, vita culturale, politica, apertura al mondo intero.

Ti vogliamo aiutare a osare nella verità il dialogo con ogni ricerca di Dio e per questo ti chiediamo di essere esigente con noi stessi perché l'accoglienza e l'ascolto siano il frutto di una fede pensata. Cara parrocchia chiedici di più, sapremo darti anche di più e soprattutto lascia sempre trasparire sul tuo volto l'immagine beatificante del Volto di Dio.

parrocchialaicicollaborazioneresponsabilitàcorresponsabilitànuova evangelizzazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/09/2002

TESTO

116. Le beatitudini del 2000   1

Paul Abela

Beati coloro
che hanno scelto
di vivere sobriamente
per condividere i loro beni
con i più poveri.
Beati coloro che rinunciano
a più offerte di lavoro
per risolvere
il problema dei disoccupati.
Beati i funzionari
che sveltiscono
gli iter burocratici
e tentano di risolvere i problemi
delle persone non informate.
Beati i banchieri,
i commercianti
e gli agenti di vendita
che non approfittano
delle situazioni
per aumentare i loro guadagni.
Beati i politici e i sindacalisti,
che si impegnano a trovare
soluzioni concrete
alla disoccupazione.
Beati noi
quando smetteremo di pensare:
"Che male c'è nel frodare,
tanto lo fan tutti".
Allora la vita sociale
sarà un'anticipazione
del Regno dei Cieli.

mondialitàcaritàamoreserviziopovertàricchezzaingiustiziapoliticasocietà

inviato da Anna Barbi, inserito il 16/09/2002

TESTO

117. Il pane quotidiano - Pane per tutti i gusti   1

Rivista missionaria

Noi, popoli supernutriti, abbiamo inventato:

Il pane insipido e il pane salato.
Il pane croccante e quello floscio.
Il pane a rosetta e quello a filone.
Il pane all'olio e quello col riso.
Il pane bianco e quello integrale.
Il pane magro e quello vitaminizzato.
Il pane a fuoco e quello a vapore.
Il pane diabetico e quello con patate.
Le fette rotonde e quelle quadrate.

I poveri cercano semplicemente il pane quotidiano.

Altra versione

Voi popoli del benessere avete pane per tutti i gusti: salato, insipido, pane bianco e integrale, magro e vitaminizzato, per diabetici e linfatici, cotto a legna o a vapore; pane di tutte le forme: a sfogliata, rotondo, quadrato, a filone o in grissini di varia grandezza; biscotti e focacce di ogni tipo.
Noi, popoli della fame, chiediamo solo pane e preghiamo Gesù: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano".

mondialitàcaritàamoreserviziopovertàricchezzaingiustiziafame nel mondo

inviato da Anna Barbi, inserito il 16/09/2002

TESTO

118. Un giorno..

William Arthur Ward

Un giorno ciascuno di noi verrà giudicato in base al nostro "standard di vita", non al livello sociale; dalla misura della nostra generosità, non delle nostre ricchezze; dalla nostra semplice bontà, non dalla presunta grandezza.

orgogliovitasenso della vita

inviato da Mariangela Molari, inserito il 14/06/2002

TESTO

119. Vivevo sul lato in ombra della strada

Rabindranath Tagore

Vivevo sul lato in ombra della strada
e osservavo i giardini dei vicini
al di là della strada, festanti
nella luce del sole.
Mi sentivo povero,
e andavo di porta in porta con la mia fame.
Più mi davano della loro incurante abbondanza,
più diventavo consapevole
della mia ciotola da mendicante.
Finché un mattino mi destai dal sonno
all'improvviso aprirsi della mia porta,
e tu entrasti a chiedermi la carità.
Disperato, ruppi il coperchio del mio scrigno,
e scoprii sorpreso la mia ricchezza.

interioritàesterioritàstima di sédarericeveredonarericchezzapovertà

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 14/06/2002

TESTO

120. Quello che un educatore...   1

Decidere di avere un figlio è contrarre con lui il debito più grande che mente umana possa immaginare. Tutti i piccoli vengono da noi con il biglietto d'invito per la vita e ci dicono: «Mi hai chiamato. Sono qui. Che cosa mi dai?». Qui comincia ogni compito educativo.

Un quindicenne la vede così:

Volevo latte
e ho ricevuto il biberon.
Volevo dei genitori
e ho ricevuto un giocattolo.
Volevo parlare
e ho ricevuto un televisore.
Volevo imparare
e ho ricevuto pagelle.
Volevo pensare
e ho ricevuto sapere.
Volevo una visione generale
e ho ricevuto un'ideuzza.
Volevo essere libero
e ho ricevuto la disciplina.
Volevo amore
e ho ricevuto la morale.
Volevo una professione
e ho ricevuto un posto.
Volevo felicità
e ho ricevuto denaro.
Volevo libertà
e ho ricevuto un'automobile.
Volevo un senso
e ho ricevuto una carriera.
Volevo speranza
e ho ricevuto paura.
Volevo cambiare
e ho ricevuto compassione.
Volevo vivere.

educareeducatorifigligenitorifamiglia

inviato da Don Angelo, inserito il 04/06/2002

TESTO

121. A te che vieni da fuori

Un Vescovo africano

Aiutaci ad apprezzare le nostre ricchezze
e non voler crederci poveri
solo perché non abbiamo quello che tu hai.
Aiutaci a scoprire le nostre catene e,
vedendo le tue,
non crederci schiavi.
Sii paziente con il nostro popolo,
e non crederci arretrati
perché non sappiamo scrivere la tua lingua.
Sii paziente con il nostro modo di camminare
e non crederci pigri
perché abbiamo un ritmo diverso dal tuo.
Accetta con pazienza i nostri simboli
e non crederci ignoranti
perché non sappiamo leggere le tue parole.
Resta con noi e canta la bellezza della vita
che con noi condividi.
Resta con noi ed accetta
che ti possiamo donare qualche cosa.
Accompagnaci nel cammino:
né davanti né dietro
cerca con noi di vivere e attendere Dio.

conviveremulticulturalitàdiversità

inviato da Mariangela Molari, inserito il 27/05/2002

TESTO

122. Carta dei Giovani

Sermig, Fraternità della Speranza

Voglio trovare il senso per la mia vita, che è unica ed irripetibile, per viverla senza guerra, violenza, paura e sperare nel futuro.
Mi impegno perché ogni uomo e donna possa valorizzare le proprie potenzialità e perché nessuno sia sfruttato.
Voglio capire cosa è il bene e cosa è il male, voglio vivere in un mondo dove esiste il perdono e dove la vendetta sia abolita.
Mi impegno a cambiare vita se ho sbagliato.
Voglio lottare contro quelle schiavitù che ci hanno proposto come libertà e che hanno ucciso troppi ragazzi e ragazze come me.
Mi impegno perché abbiano accesso agli strumenti per comunicare e l'informazione sia al servizio della persona.
Voglio amare e capire, nella libertà, che cos'è la verità.
Mi impegno perché il lavoro possa essere un bene per tutta l'umanità.
Voglio avere la libertà di credere o di non credere e di professare la mia fede in ogni parte del mondo.
Mi impegno perché tutte le ricchezze siano usate ed equamente distribuite per contribuire a costruire un mondo migliore e voglio che la terra sia rispettata.

impegnopacegiustiziaamoregiovani

inviato da Andrea Aversa, inserito il 23/05/2002

TESTO

123. Ti voglio bene!

Giorgio Basadonna

Quando dirai: "Ti voglio bene!"
dirai: "Ti do la mia vita, ho bisogno di te,
sono troppo ricco, non posso pensare solo a me".

Quando ti sentirai dire: "Ti voglio bene!"
sarà l'invito a sciogliere le vele
nel grande mistero buio e luminoso
che approda a rive inesplorate.

Quando nascerà l'amore, abbi paura e trema:
non è l'avventura facile e rosea
di un sentimento che esplode
ma la partenza di un nuovo cammino.

Quando dirai: "Ti voglio bene!"
è una ferita che si apre nel cuore, un fuoco che brucia
e distrugge sterpi morti e secchi.

Quando ti sentirai dire: "Ti voglio bene!"
sarà l'amore stesso di Dio
che bussa al tuo cuore
e ti invita al grande banchetto.

Quando nascerà l'amore, piega le ginocchia,
prega e ringrazia, chiedi di essere capace
di godere il dono stupendo di Dio.

Quando nascerà l'amore, apri le finestre e porte
accendi sole e stelle, inizia la vita nuova nel mondo,
diventa dono per tutti.

amorecoppiamatrimoniofamiglia

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

TESTO

124. La guerra più consistente   1

Atenagora di Costantinopoli

Bisogna fare la guerra più consistente
che è la guerra contro noi stessi.
È necessario giungere a disarmarci.
Io ho combattuto questa guerra per molti anni.
È stato terribile. Molto terribile.

Ma posso affermare che adesso sono disarmato.
Non ho paura di niente e di nessuno;
l'amore allontana la paura.
Sono disarmato
dal voler avere ragione,
dal giustificarmi
screditando gli altri.

Non mi chiudo nel mio castello
né m'inorgoglisco delle mie ricchezze.
Accolgo e condivido.
Non mi aggrappo assolutamente
alle mie idee e ai miei progetti.
Se mi si presentano
proposte migliori o almeno buone
Le accetto senza alcun impedimento.

Ho rinunciato a fare confronti.
Ciò che è buono, vero, reale, per me è sempre il meglio.
Per questo non ho paura.
Quando non si possiede nulla
non si ha paura di nulla.

Se uno si disarma,
se smette di possedere,
se si apre al Dio fatto uomo
che fa nuove tutte le cose,
allora Egli fa sparire
il passato negativo
e ci apre il panorama
di un tempo nuovo
in cui tutto è possibile.

guerradisarmoconflittipace

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 10/05/2002

TESTO

125. Lirica del Capo

Quando dopo un'uscita faticosa ed impegnativa rifletti sui risultati ottenuti non indugiare, non aspettare: inginocchiati e ringrazia Dio per ciò che ti ha permesso di vivere e sperimentare, prega per i tuoi ragazzi, per le loro speranze i loro sogni e le loro sofferenze.

Quando ti sembra di aver dato il massimo della tua intelligenza, competenza, disponibilità e creatività, non dimenticare di donare senza limiti entusiasmo gioia e amore.

Quando accetti di essere un capo, ricordati di accettare un capo sopra di te.

Quando fai coraggiosa proposta di vita in cui credi, vivila intensamente con tutta la tua generosità.

Quando un problema ti assilla, la tristezza sta per avere il sopravvento, la paura ti assale, non fuggire nel frastuono delle parole o nella polverizzazione di mille esperienze, taci e nel silenzio della solitudine, ascolta.

Quando ti accorgi di ripetere esperienze già fatte, discorsi orecchiati, attività già vissute, impara a sognare: proiezione per il futuro.

Quando ti senti soddisfatto per ciò che hai fatto e ciò che sei riuscito ad ottenere non voltarti e non attendere: riparti subito.

Quando sai imporre le tue idee con chiarezza e determinazione, con dialettica e convinzione, rifletti e medita con serietà sulle idee e proposte contrarie alle tue.

Quando un ragazzo ti parla, non sottovalutare mai la ricchezza del dialogo e dell'incontro, anche il più banale.

Quando hai la sensazione che tutto vada bene, che non ci siano problemi, che ciò che hai fatto e che fai è giusto, sappi che sei fuori strada, qualcosa non va sei tu.

Quando capisci che la tua presenza è inutile, la tua strada coi ragazzi l'hai percorsa, ciò che dovevi dire l'hai detto, sappi salutare e senza voltarti riprendere il tuo zaino per continuare il tuo cammino da solo. Incontrerai altra gente da aiutare, da ascoltare, da amare, per ricevere il dono più grosso che Dio ci ha dato in questa vita: l'amore che è felicità.

Quando credi di sapere già, di conoscere tutto, di non aver bisogno degli altri, non fare il capo. Meglio la tua incertezza, la tua titubanza, la tua modestia, ostinatamente orientate verso la ricerca della verità.

Quando ti poni degli obiettivi educativi, cercali sempre nel profondo del tuo cuore ed illuminali con la ricchezza della tua intelligenza.

Quando le cose non vanno, quando tutto ti sembra crollarti addosso, quando ti viene voglia di mandare tutto all'aria, non disperare, tieni duro, non piegarti in ginocchio se non per pregare.

Quando ti accorgerai che gioie e dolori dei tuoi ragazzi ti interrogano continuamente e ti fanno gioire e soffrire, con loro ringrazia Dio per questo dono immenso che ti ha dato.

Quando sei un capo, non cessare mai di meravigliarti e di stupirti sempre di tutto e di tutti. Allena il tuo occhio, la tua mente ed il tuo cuore a scoprire, anche nelle cose vecchie, quelle nuove che le circostanze diverse mettono in evidenza, per cogliere il bello e l'inedito di ogni istante.

Quando la tua presenza offusca o adombra qualcuno o qualcosa, sforzati di essere trasparente tu stesso ed allora la luce passerà senza riflessi.

Quando... lascia che la Grazia di Dio riempia i vuoti che inevitabilmente tu lasci.

scouteducare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maria Vitali, inserito il 30/04/2002

TESTO

126. Ballate come se nessuno vi guardasse   2

Alfred Souza

Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c'erano sempre ostacoli da superare, strada facendo qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati, in seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la mia vita. Questo modo di percepire le cose mi ha aiutato a capire che non c'è un mezzo per essere felici, ma che la felicità è un mezzo. Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gustatelo ancora di più perché lo potete dividere con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno. E allora smettete di pensare di finire la scuola, di tornare a scuola, di perdere 5 chili, di prendere 5 chili, di avere dei figli, di vederli andare via di casa. Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, di divorziare. Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova. Smettete di aspettare la primavera, l'estate, l'autunno o l'inverno. Smettete di aspettare di lasciare questa vita, di rinascere nuovamente, e decidete che non c'è momento migliore per essere felici che il momento presente. La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio. Lavorate come se non aveste bisogno di soldi. Amate come se non doveste mai soffrire. Ballate come se nessuno vi guardasse.

vitaottimismosperanzafuturopresente

inviato da Gaetano, inserito il 29/04/2002

TESTO

127. Valore di un sorriso   1

Frederik W. Faber

Un sorriso non costa nulla e rende molto.
Arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante
ma il suo ricordo è talora eterno.

Nessuno è così ricco da poterne fare a meno.
Nessuno è così povero da non poterlo dare.
Crea felicità in casa; è sostegno negli affari;
è segno sensibile dell'amicizia profonda.

Un sorriso dà riposo alla stanchezza;
nello scoraggiamento rinnova il coraggio;
nella tristezza è consolazione;
d'ogni pena è naturale rimedio.
Ma è bene che non si può comprare,
né prestare, né rubare,
poiché esso ha valore solo nell'istante in cui si dona.

E se poi incontrerete talora chi non vi dona l'atteso sorriso,
siate generosi e date il vostro;
perché nessuno ha tanto bisogno di sorriso
come chi non sa darlo ad altri.

amiciziasorrisogioiaamoredonarefelicitàsofferenzaconsolaredonare gioia

3.5/5 (2 voti)

inviato da Nadia, inserito il 17/04/2002

TESTO

128. Ci impegnamo   2

don Primo Mazzolari, Impegno con Cristo, EDB, ediz. 2007

Ci impegnamo noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.

Ci impegnamo
senza pretendere che altri s'impegnino,
con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.

Ci impegnamo
senza giudicare chi non s'impegna,
senza accusare chi non s'impegna,
senza condannare chi non s'impegna,
senza disimpegnarci perché altri non s'impegna.

Ci impegnamo
perché non potremmo non impegnarci.
C'è qualcuno o qualche cosa in noi,
un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia,
più forte di noi stessi.

Ci impegnamo per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una volta sola
e non vogliamo essere "giocati"
in nome di nessun piccolo interesse.

Non ci interessa la carriera,
non ci interessa il denaro,
non ci interessa la donna o l'uomo
se presentati come sesso soltanto,
non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee,
non ci interessa passare alla storia.

Ci interessa perderci
per qualche cosa o per qualcuno
che rimarrà anche dopo che noi saremo passati
e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.

Ci impegnamo
a portare un destino eterno nel tempo,
a sentirci responsabili di tutto e di tutti,
ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare,
verso l'amore.

Ci impegnamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare
anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all'amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
c'è insieme a una grande sete d'amore,
il volto e il cuore dell'amore.

Ci impegnamo
perché noi crediamo all'amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

impegnoamoresenso della vita

3.0/5 (2 voti)

inviato da Maria Grazia Guidetti, inserito il 15/04/2002

TESTO

129. Inno alla vita   1

Madre Teresa di Calcutta

La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, conservala.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, vivila.
La vita è una gioia, gustala.
La vita è una croce, abbracciala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è pace, costruiscila.
La vita è felicità, meritala.
La vita è vita, difendila.

vitaottimismosperanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 12/04/2002

TESTO

130. Quanto mi hai fatto soffrire, Chiesa, eppure...   4

Carlo Carretto

Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!
Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!
Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.
Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!
Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porte della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.

No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei?
A costruirne un'altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia Chiesa, non più quella di Cristo.
Sono abbastanza vecchio per capire che non sono migliore degli altri.

L'altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: "Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi, non è più credibile". Mi fa pena!
O è un sentimentale che non ha esperienza, e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.
Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra...
La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo.

Forse che la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?
Quando Paolo arrivò a Gerusalemme portando nel cuore la sua sete di universalità, forse che i discorsi di Giacomo sul prepuzio da tagliare o la debolezza di Pietro che si attardava con i ricchi di allora e che dava lo scandalo di pranzare solo con i puri, poterono dargli dei dubbi sulla veridicità della Chiesa, che Cristo aveva fondato fresca fresca, e fargli venire la voglia di andarne a fondare un'altra ad Antiochia o a Tarso?
Forse che a Santa Caterina da Siena, vedendo il Papa che faceva una sporca politica contro la sua città, poteva saltare in capo l'idea di andare sulle colline senesi, trasparenti come il cielo, e fare un'altra Chiesa più trasparente di quella di Roma cosi spessa, così piena di peccati e così politicante?

...La Chiesa ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all'ultimo, di soli peccatori, e che peccatori!
Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede.
Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo.
Parla della dolcezza dei Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi.
Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa' che cercare denaro e alleanze con i potenti.

Coloro che sognano cose diverse da questa realtà non fanno che perdere tempo e ricominciare sempre da capo. E in più dimostrano di non aver capito l'uomo.

Perché quello è l'uomo, proprio come lo vede visibile la Chiesa, nella sua cattiveria e nello stesso tempo nel suo coraggio invincibile che la fede in Cristo gli ha dato e la carità dei Cristo gli fa vivere.
Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa- Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.

No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un'altra su una pietra ancora più debole che sono io.

...E se le minacce sono così numerose e la violenza del castigo così grande, più numerose sono le parole d'amore e più grande è la sua misericordia. Direi proprio, pensando alla Chiesa e alla mia povera anima, che Dio è più grande della nostra debolezza.

E poi cosa contano le pietre? Ciò che conta è la promessa di Cristo, ciò che conta è il cemento che unisce le pietre, che è lo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre mai tagliate come siamo noi!...
E il mistero sta qui.
Questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io...

Ognuno di noi può sentire con tremore e con infinito gaudio che ciò che passa nel rapporto Dio-Chiesa è qualcosa che ci appartiene nell'intimo.
In ciascuno di noi si ripercuotono le minacce e la dolcezza con cui Dio tratta il suo popolo di Israele, la Chiesa. A Ognuno di noi Dio dice come alla Chiesa: "Io ti farò mia sposa per sempre" (Osea 2, 21), ma nello stesso tempo ci ricorda la nostra realtà: "La tua impurità è come la ruggine. Ho cercato di toglierla, fatica sprecata! E' così abbondante che non va via nemmeno col fuoco" (Ezechiele 24, 12).

Ma poi c'è ancora un'altra cosa che forse è più bella. Lo Spirito Santo, che è l'Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri.

Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo, il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice.

E' come se il male non avesse potuto toccare la profondità più intima dell'uomo. E' come se l'Amore avesse impedito di lasciar imputridire l'anima lontana dall'amore.

"Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle", dice Dio a ciascuno di noi nel perdono, e continua: "Ti ho amato di amore eterno; per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele" (Geremia 3 1, 3-4).

Ecco, ci chiama "vergini" anche quando siamo di ritorno dall'ennesima prostituzione nel corpo, nello spirito e nel cuore.
In questo, Dio è veramente Dio, cioè l'unico capace di fare le "cose nuove".
Perché non m'importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, è più necessario che faccia "nuovi" i nostri cuori.
E questo è il lavoro di Cristo.
E questo è l'ambiente divino della Chiesa...

chiesacomunitàpeccatopapato

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002

TESTO

131. Un sondaggio tutto particolare sulla fame nel mondo...   1

La FAO ha commissionato un sondaggio su scala mondiale.
Il sondaggio è basato sulla seguente domanda:
- Dica onestamente qual è la sua opinione sulla scarsità di alimenti nel resto del mondo.

Questo è il risultato:

Gli europei non hanno capito cosa sia la "scarsità".
Gli africani non sapevano cosa fossero gli "alimenti".
Gli americani hanno chiesto il significato di "resto del mondo";
I cinesi, straniti, hanno chiesto maggiori delucidazioni sul significato di "opinione".
Nel parlamento italiano si sta ancora discutendo su cosa significhi "onestamente".

mondialitàfame nel mondopovertàricchezza

inserito il 09/04/2002

TESTO

132. Perché sono nato, dice Dio   2

Lambert Nolen

Sono nato nudo, dice Dio,
perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
perché tu possa considerarmi l'unica ricchezza.
Sono nato in una stalla,
perché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio,
perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore,
perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte,
perché tu creda che io posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona, dice Dio,
perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo,
perché tu possa essere "Dio".
Sono nato perseguitato,
perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità,
perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,
per portare tutti alla casa del Padre.

amoreincarnazionenatale

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 08/04/2002

TESTO

133. Intervista a Dio   2

Ho sognato d'intervistare Dio.
"Ti piacerebbe intervistarmi?", Dio mi domandò.
"Se hai tempo" gli dissi.
Dio sorrise.
"Il mio tempo è eterno, che cosa vuoi domandarmi?"
"Cosa ti sorprende dell'umanità?...".

E Dio rispose:
"Siete così ansiosi per il futuro, perché vi dimenticate del presente.
Vivete la vita senza pensare al presente o al futuro. Vivete la vita come se non dovreste morire mai, e morite come se non aveste mai vissuto...
Avete fretta perché i vostri figli crescano, e appena crescono volete che siano di nuovo bambini. Perdete la salute per guadagnare i soldi e poi usate i soldi per recuperare la salute."

Le mani di Dio presero le mie e per un momento restò in silenzio, allora gli domandai: "Padre, che lezione di vita desideri che i tuoi bambini imparino?".

Dio rispose con un sorriso: "Che imparino che non possono pretendere di essere amati da tutti, però ciò che possono fare è lasciarsi amare dagli altri.
Imparino che ciò che vale di più non è quello che hanno nella vita, ma che hanno la vita stessa.
Imparino che non è buono paragonarsi con gli altri.
Imparino che una persona ricca non è quella che ha di più, ma è quella che ha bisogno di meno.
Imparino che in alcuni secondi si ferisce profondamente una persona che si ama, e che ci vogliono molti anni per cicatrizzare la ferita.
Imparino a perdonare e a praticare il perdono.
Imparino che ci sono persone che vi amano profondamente, ma che non sanno come esprimere o mostrare i loro sentimenti.
Imparino che due persone possono vedere la stessa cosa in modo differente.
Imparino che non si perdona mai abbastanza gli altri, però sempre bisogna imparare a perdonare se stessi.
E imparino che io sono sempre qui. Sempre".

presentefuturovitaimparare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 08/04/2002