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RACCONTO

21. L'albergatore di Betlemme   3

don Davide Caldirola

Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia di galilei che bussa per domandare un giaciglio. Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli. Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle. È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste. E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più. Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano. Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme. Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.

E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più. Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto. Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia. Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.

Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure non è finita così. Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.

E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così, perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte, ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo. Non importa se gli abbiamo detto no. Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio. C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro. E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Buon Natale!

nataleaccoglienzamisericordiaperdono di Dio

4.8/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

TESTO

22. Natale, si accende una grande luce   1

Giuseppe Impastato S.I.

"Ciascun credente è un Cristo iniziale e incompiuto." (Ermes Ronchi)
"Io non sono / ancora e mai / il Cristo / ma io sono questa / infinita possibilità." (Davide M. Turoldo).

La nascita di Dio fatto carne è una provocazione, è una sfida, è un invito, è un farsi vicino all'uomo, perché finalmente il sogno dell'uomo si possa realizzare: crescere smisuratamente, diventare come Dio!
Prima l'uomo non conosceva la strada: nella sua illusione ne aveva tentate (e ancora tenta di percorrerne) tante, per realizzare finalmente la grande scalata al vertice supremo, alla felicità assicurata, alla pienezza della autorealizzazione.
Con il Natale è Dio stesso a scendere sulla strada e a suggerire il percorso. E ha indicato proprio quel cammino che l'uomo aveva rifiutato e continua ad escludere.
Perché l'uomo ha sempre pensato che la strada fosse dal basso verso l'alto, dalla piccolezza alla grandezza, dalla povertà alla ricchezza, dalla sottomissione alla potenza, dal dover subire alla prepotenza, dall'oscurità alla notorietà, dalla miseria al lusso, dal non contare alla riconoscibilità e al prestigio, dall'essere inerme alla violenza, dal dover subire all'oppressione, dalla dipendenza all'autonomia, dallo schiacciamento alla potenza, dal nascondimento forzato alla fama e all'esibizionismo...
Ed ecco l'uomo proiettato verso le conquiste per evadere da quel le strettoie e da quei vicoletti in cui si è cacciato e dove è stato costretto a vivere. L'uomo si lancia nella ricerca spasmodica di conti in banca, record mondiali, oggetti che sono o si vogliono far diventare status symbol, premi Oscar, premi Nobel, recensioni, riconoscimenti negli articoli su riviste e giornali, citazioni nelle riviste scientifiche, entrare e raggiungere record mondiali, guinness dei primati,...

Finito il tempo delle illusioni, è tempo di guardare una grotta, a Betlehem. Sognavamo di uscire dalla morsa della massa, di passare dalla insignificanza all'indispensabilità, dal tran tran alla grande festa, dalla periferia alla metropoli.
La storia conosce una marea di illusioni e di delusioni. Appena si pensa di aver raggiunto il traguardo, si fa bruciante la consapevolezza di avere in mano un pugno di mosche. Ed ecco l'uomo costretto alla fatica di Sisifo. E si ricomincia individuando altre strade, costruendo altri progetti, imbarcandosi in altre avventure, afferrandosi ad altre illusioni.

E l'umanità ha pagato gli enormi e ripetuti errori. A Natale sentiamo parlare di Gesù. A chi l'ha accettato ha dato la possibilità di diventare figlio di Dio.
Figlio di Dio! Toh! Ma non volevamo la stessa cosa?
Ora sì che si apre uno spiraglio di cielo, e viene illuminato un traguardo, e appare concretamente alla nostra portata il sogno irraggiungibile...
L'Eterno si è immerso nel tempo,
l'Infinito si è chiuso nello spazio,
l'Onnisciente è diventato un bambino che apprende,
il Signore un suddito,
il Creatore dei mondi un bisognoso di cibo, di calore, di amore.

Accènditi, accogli, incamminati. Sii tu dono, regalo, albero, luce, famiglia, festa, cibo.

nataleincarnazioneumiltàpiccolezzapovertàorgoglio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 09/04/2012

RACCONTO

23. La sete   1

Agenda Missionaria

Un giovane si presentò a un sacerdote e gli disse: "Cerco Dio".
Il reverendo gli propinò un sermone. Concluso il sermone, il giovane se ne andò triste in cerca del vescovo. "Cerco Dio".
Monsignore gli lesse una sua lettera pastorale. Terminata la lettura, il giovane, sempre più triste, si recò dal papa. "Cerco Dio".
Sua santità cominciò a riassumergli la sua ultima enciclica, ma il giovane scoppiò in singhiozzi.
"Perché piangi?", gli chiese il papa del tutto sconcertato. "Cerco Dio e mi offrono parole."
Quella notte il sacerdote, il vescovo e il papa fecero un medesimo sogno. Sognarono che morivano di sete e che qualcuno cercava di dar loro sollievo con un lungo discorso sull'acqua.

ricerca di Diopredicazioneconcretezzatestimonianza

4.6/5 (5 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/04/2012

TESTO

24. Il Risorto nella nostra storia

Monaci Benedettini Silvestrini, Auguri pasquali 2011

Quando senti i terremoti violenti scuotere la terra, quando in preda allo spavento vedi lo tsunami dare morte alle persone inermi e travolgere tutto nella distruzione, quando vedi il fuoco bruciare la tua casa, quando vedi infuriare i venti e scatenarsi la tempesta che schianta la foresta dì a te stesso: "Credo che la terra tornerà nella sua immobilità, le acque si calmeranno, la foresta si rifarà e io ricostruirò la mia casa e soprattutto la vita continuerà a vivere perché Cristo è risorto ed è lui l'autore dell'immortalità, lui l'autore della vita".

Quando vedi con terrore che una fonte di energia inventata dagli uomini, diventa contagio, terrore e morte per gli uomini dì a te stesso: "Da quella fonte Cristo era stato escluso e l'umana intelligenza inventa, ma non salva e talvolta diventa il suo sepolcro".

Quando il peccato ti stringe alla gola e ti senti soffocato e finito, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e io risorgerò dal mio peccato, per questo si è immolato sulla croce, per questo io spero il suo perdono".

Quando la vecchiaia o la malattia tenterà di amareggiare la tua esistenza, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e ha fatto cieli nuovi e terra nuova. È lui la mia eterna giovinezza, lui può fare nuova la mia anima".

Quando vedrai tuo figlio fuggire da casa in cerca di avventura e ti sentirai sconfitto nel tuo sogno di padre o di madre, dì a te stesso: "Mio figlio non sfuggirà a Dio e tornerà perché Dio lo ama, perché lo attende da sempre nella tua casa per abbracciarlo e fare festa con te e con lui per il suo ritorno".

Quando vedrai spegnersi la carità attorno a te e vedrai gli uomini come impazziti nel loro peccato e ubriacati dai loro tradimenti, dì a te stesso: "Toccheranno il fondo, ma torneranno indietro perché lontano da Dio non si può vivere e la nostalgia del Padre celeste è irrefrenabile per tutti i figli di Dio".

Quando il mondo ti apparirà come sconfitta di Dio e sentirai la nausea del disordine, della violenza, della litigiosità continua, del terrore, della guerra dominare sulle piazze e la terra ti sembrerà il caos, dì a te stesso: "Gesù è morto e risorto proprio per salvare e, se la imploriamo, la sua salvezza è già presente tra di noi".

Quando tuo padre o tua madre, tuo figlio o tua figlia, la tua sposa, il tuo amico più caro, ti saranno dinanzi sul letto di morte e tu li fisserai nell'angoscia mortale del distacco, dì a te stesso e a loro: "Ci rivedremo nel Regno eterno, ora io intraprendo la via del Risorto, coraggio!".

Questo significa credere nella Resurrezione. Questo significa superare la tentazione, assai frequente ai nostri giorni, di fissare lo sguardo sulla superficie torbida degli eventi e magari incolpare il buon Dio dei terremoti, degli tsunami, dei lutti, delle violenze e di tutto il male che ci circonda, ci umilia e ci affligge, ignari e impenitenti dei nostri peccati.

Significa invece accorgersi con motivata preoccupazione che noi uomini abbiamo abbassato con la colpevole dimenticanza dell'Eterno, con le nostre frivole umane stupidità le dighe e le barriere e ci siamo privati delle corazze personali che formano gli argini e le difese dal male, da quel terribile male che si oppone a Dio e a noi e vorrebbe tutto e tutti chiudere per sempre in un sepolcro di morte e di definitiva distruzione, quelli argini e quelle divine difese, che invece ci difendono, ci aprono alla luce del bene, ci rischiarano la notte dei tempi e ci orientano verso la Luce di quel radioso mattino che illumina tutti i nostri giorni e sempre ci indirizza verso la vita vera, verso la definitiva risurrezione.

Ecco il grande, immenso dono del Cristo risorto, ecco la pasqua di quest'anno e la pasqua di ogni giorno, quella che potremmo chiamare l'albore e la speranza della Vita, la nostra fede. i doni del Risorto, quelli che noi monaci imploriamo e auguriamo con gioia a tutti e a ciascuno di voi.

I Monaci Benedettini Silvestrini del Monastero san Vincenzo Bassano Romano

pasquaresurrezionerisurrezionesperanzafiducia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Monaci Benedettini Silvestrini Di Bassano Romano, inserito il 07/04/2012

TESTO

25. Voglio adottarvi come genitori   3

Michel Quoist

Ascoltami ancora, si dice infatti che dalla bocca dei bambini viene la verità; se sono un bambino sfuggito dal carnaio notturno, trattenuto da un filo d'amore lanciato da chissà dove.

Se sono un bambino caduto dal nido, abbandonato da padre e madre, rapiti o mortalmente feriti alle sbarre della loro gabbia.

Se sono un bambino nudo, senza panni d'amore o con panni imprestati, ma col diritto di vivere, perché sono vivo.

E se nello stesso istante persone innamorate piangono davanti a una culla vuota, consumati nel desiderio di accarezzare un bambino.

Se sono ricchi d'amore che ritengono sprecato, e vogliono gratuitamente donarlo, perché cresca e fiorisca ciò che non hanno piantato.

Allora voglio che vengano silenziosamente a chiedermi se desidero adottarli come miei genitori. Ma non voglio dei fanatici del bambino, come collezionisti d'arte che cercano il pezzo raro che manca alla loro vetrina. Non voglio clienti che hanno fatto l'ordinazione e, pagata la fattura reclamano il loro bebè prefabbricato. Perché non sono fatto per salvare genitori dalle membra amputate, ma loro sono stati fatti, misterioso percorso, magnifico progetto, per salvare dei bambini dal cuore malato, forse anche condannato. E sarà come addormentarci l'un l'altro.

Io berrò il latte di cui ignoravo il sapore, ascolterò musiche sconosciute, imparerò nuove canzoni, sulle vostre dita, sulle vostre labbra genitori adottati, decifrerò lentamente l'alfabeto della tenerezza.

E l'amore sconosciuto per me prenderà il volo alla luce dei vostri occhi. Voi innesterete le vostre vite sulla mia crescita e grazie a voi io rinascerò una seconda volta.

Così sarò ricco di quattro genitori, due lo saranno della mia carne e due del mio cuore e della mia carne cresciuta. Voi non giudicherete i miei genitori sconosciuti, li ringrazierete e mi aiuterete a rispettarli. Perché dovrò riuscire lo so, ad amarli nell'ombra, se un giorno vorrò poterli amare nella luce.

E se in una sera di tempesta, adolescente focoso, impacciato di me stesso, io vi rimprovererò di avermi accolto, non vi addolorate, ma amatemi ancor di più: lo sapete, perché un innesto prenda ci vuole una ferita e, chiusa la ferita, rimane la cicatrice.

Ma io sogno. Io sogno perché non sono che un bambino in viaggio, lontano dalla terra ferma, la mia parola è muta e il canto senza musica.

Ciò che vi dico piano non potrò urlarlo, se non il giorno in cui, avendomi voi adottato, mi avreste messo in cuore tanto amore e autentica libertà, sulle mie labbra parole sufficienti, perché possa dire: papà, mamma, io vi scelgo e vi adotto allora saprete che il vostro amore è dono, e che è riuscito.

adozionefigligenitoriamoregratuitàdonazione

5.0/5 (4 voti)

inviato da Emanuela Pandini, inserito il 11/01/2012

PREGHIERA

26. Sono nel tuo Natale   3

Signore eccomi davanti a te! Sono nel tuo Natale...
Davanti alla tua capanna di luce lontana che illumina i miei passi insicuri.
Davanti ai tuoi pastori che mi ricordano la bellezza semplice della vita.
Davanti ai raggi della tua stella che filtrano negli occhi della mia anima e rincuorano il cammino.
Davanti ai tuoi angeli che, fratelli e sorelle, mi parlano di te.
Davanti a Maria, tua madre, che, come me, vive il sogno silenzioso del Dio vicino.
Davanti a Giuseppe, tuo padre nella fedeltà, che, come me, cerca risposte nel vangelo che non abbandona.
Davanti alle tue creature che, come me, vivono la fragilità dell'umanità.
Davanti alla tua storia che, fuori dal tempo, vive la storia del mio tempo.
Davanti alla tua luna splendente che, come me, vive la nostalgia della tua tenerezza.
Si Signore, sono davanti a te! Infreddolito, incredulo, ma meravigliato che mi cerchi ancora...

natale

5.0/5 (2 voti)

inviato da Luciano Ruocco, inserito il 09/12/2011

TESTO

27. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

28. L'anima di noi giovani

Suor Veronica Monica Novizia, Voce di Padre Pio, n. 3, marzo 2006

L'anima di noi giovani è come un'anfora fragile, basta un colpo di una piccola pietra perché l'anfora si frantumi come un sogno interrotto. Ma è solo il passare del tempo e delle tempeste che dà consistenza all'anima. Dio fa sempre irruzione tra le macerie dei nostri castelli in rovina e ci fa assaporare la sua presenza, ci fa gustare e intravedere che per la nostra vita c'è un altro destino che coincide con il suo progetto e la sua chiamata di infinito amore e tenerezza.

vitacamminogiovanigiovinezzacrescitaprogetto di Dio

5.0/5 (1 voto)

inserito il 15/01/2011

TESTO

29. La pace è il desiderio di ogni uomo

Ernesto Olivero, Il sogno di Dio, Città Nuova, 2006

La pace è il desiderio di ogni uomo. Pace è avere la serenità dentro,
è sapere che la propria famiglia può avere il necessario per ogni giorno.
Pace è vivere in armonia con Dio creatore e con gli uomini affratellati tra di loro.
Pace è non avere paura, è desiderare di vivere con pienezza, è non temere la morte.
Ma la pace non abita in questo nostro tempo,
come non ha mai abitato in mezzo a noi,
perché troppi uomini badano principalmente ai propri interessi.
Eppure l'uomo è per la pace, l'umanità va verso la pace,
la storia diventerà pace per tutti.

pace

5.0/5 (1 voto)

inviato da Laura Baravelli, inserito il 08/01/2011

RACCONTO

30. Il barilotto (versione 2)   7

Bruno Ferrero, Parabole

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.

Sull'orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.

E questo possente signore aveva un bell'aspetto, nobile e imponente.

Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.

Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.

Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.
La sua crudeltà era divenuta proverbiale.
Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.

Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lautii banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.

Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.

Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.

Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell'inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa. 
"Pentirmi io? Mai! Non confesserò neppure un peccato!".

Tuttavia il pensiero dell'inferno gli provocò un po' di spavento salutare.

A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.

Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati: uno dietro l'altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:

"Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito. Dovresti almeno fare un po' di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita".

"Farò qualunque penitenza. Non ho paura di niente, io! Purché sia finita questa storia".
"Digiunerai ogni Venerdì per sette anni...!".
"Ah, no! Questo puoi scordartelo!".
"Vai in pellegrinaggio fino a Roma...".
"Neanche per sogno!".
"Vestiti di sacco per un mese...".
"Mai!".

Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose: "Bene, figliolo. Fa' soltanto una cosa: vammi a riempire d'acqua questo barilotto e poi riportamelo".

"Scherzi? E' una penitenza da bambini o da donnette!". Sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.

Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.

Immerse il barilotto nell'acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.

"E' un sortilegio magico", ruggì il penitente, "ma ora vedremo".

Si diresse verso una sorgente: il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!

Provò ad esplorare l'interno del barilotto con un bastone: era assolutamente vuoto.

"Cercherò tutte le acque del mondo", sbraitò il cavaliere. "Ma riporterò questo barilotto pieno!".

Si mise in viaggio, così com'era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.

Ad ogni sorgente, pozza d'acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d'acqua.

Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.

Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all'orlo dell'acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Una sola piccola lacrima di pentimento...

L'esperienza nascosta nel racconto:
Il cavaliere del racconto scopre, con fatica e sofferenza personale, la radice del vero pentimento essenziale per ottenere il perdono di Dio e la pace vera dell'anima.

Clicca qui per un'altra versione della stessa storia.

conversionepenitenzapentimentoconfessionericonciliazioneperdono di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 26/08/2010

TESTO

31. Realizziamo un sogno

Dio sogna che tutti possano possedere e vivere senza che qualcuno sia nella privazione o altri sprechino. Dio sogna in grande e chiede di soccorrere, incontrare, aiutare e pregare per quelli che ti hanno fatto del male, ignorato o neppure preso in considerazione. Il sogno di Dio arriva a chiedere di perdonare quando si ha la certezza di essere nella ragione, di dare la propria vita anche per i nemici, perché, li stà il massimo dell'amore che uno può realizzare. Il sogno personale e intimo di Dio è stato nascondersi per nove mesi nel ventre di sua Madre e cercarsi un padre per far capire al mondo quanto sia brutta la solitudine, quanto sia triste rimanere orfani.

E' talmente grande il sogno di Dio, da non poter fare a meno di ognuno di noi: diversi, unici, irripetibili, e insostituibili. Il sogno di Dio è il bene dell'uomo, ovunque egli sia, viva, lavori, si batta e soffra sotto le bandiere più diverse. Dio sogna l'uomo libero, perché lui lo ha creato così. E' quello di un Padre, il sogno di Dio, che vuole incontrare ogni suo figlio ma, soprattutto gli smarriti, gli emarginati, gli abbandonati, gli ultimi.

Che ogni uomo possa vivere da uomo per sempre, questo è il sogno di Dio e tu solo puoi aiutarlo a realizzare questo sogno.

sognosognareultimipovertàcondivisionedisponibilitàapertura verso gli altriegoismoaltruismo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Forner Fortunato, inserito il 11/08/2010

RACCONTO

32. La bicicletta di Dio   7

In una calda sera di fine estate, un giovane si recò da un vecchio saggio: "Maestro, come posso essere sicuro che sto spendendo bene la mia vita? Come posso essere sicuro che tutto ciò che faccio è quello che Dio mi chiede di fare?". Il vecchio saggio sorrise compiaciuto e disse: "Una notte mi addormentai con il cuore turbato, anch'io cercavo, inutilmente, una risposta a queste domande. Poi feci un sogno. Sognai una bicicletta a due posti. Vidi che la mia vita era come una corsa con una bicicletta a due posti: un tandem. E notai che Dio stava dietro e mi aiutava a pedalare. Ma poi avvenne che Dio mi suggerì di scambiarci i posti. Acconsentii e da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Dio rendeva la mia vita più felice ed emozionante. Che cosa era successo da quando ci scambiammo i posti? Capii che quando guidavo io, conoscevo la strada. Era piuttosto noiosa e prevedibile. Era sempre la distanza più breve tra due punti. Ma quando cominciò a guidare lui, conosceva bellissime scorciatoie, su per le montagne, attraverso luoghi rocciosi a gran velocità a rotta di collo. Tutto quello che riuscivo a fare era tenermi in sella! Anche se sembrava una pazzia, lui continuava a dire: «Pedala, pedala!». Ogni tanto mi preoccupavo, diventavo ansioso e chiedevo: «Signore, ma dove mi stai portando?». Egli si limitava a sorridere e non rispondeva. Tuttavia, non so come, cominciai a fidarmi. Presto dimenticai la mia vita noiosa ed entrai nell'avventura, e quando dicevo: «Signore, ho paura...», lui si sporgeva indietro, mi toccava la mano e subito una immensa serenità si sostituiva alla paura. Mi portò da gente con doni di cui avevo bisogno; doni di guarigione, accettazione e gioia. Mi diedero i loro doni da portare con me lungo il viaggio. Il nostro viaggio, vale a dire, di Dio e mio. E ripartimmo. Mi disse: «Dai via i regali, sono bagagli in più, troppo peso». Così li regalai a persone che incontrammo, e trovai che nel regalare ero io a ricevere, e il nostro fardello era comunque leggero. Dapprima non mi fidavo di lui, al comando della mia vita. Pensavo che l'avrebbe condotta al disastro. Ma lui conosceva i segreti della bicicletta, sapeva come farla inclinare per affrontare gli angoli stretti, saltare per superare luoghi pieni di rocce, volare per abbreviare passaggi paurosi. E io sto imparando a star zitto e pedalare nei luoghi più strani, e comincio a godermi il panorama e la brezza fresca sul volto con il delizioso compagno di viaggio, la mia potenza superiore. E quando sono certo di non farcela più ad andare avanti, lui si limita a sorridere e dice: «Non ti preoccupare, guido io, tu pedala!»".

affidamentoaffidarsi a Diofiducia in Diofedeabbandonofiducia

4.5/5 (6 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

33. Il tesoro nascosto   3

Martin Buber, Il cammino dell'uomo, Qiqajon

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata "Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel". "Ricordati bene di questa storia - aggiungeva allora Rabbi Bunam - e cogli il messaggio che ti rivolge: c'è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare".

tesororicchezzaricercascopertainterioritàricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

34. Il grande burrone   6

Bruno Ferrero, Cerchi nell'Acqua, ElleDiCi

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: "Ma chi l'ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!" Il Buon Dio gli rispose con un sogno. Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l'altro. Anche lui era nell'interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale. Dopo un po' si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. "Sarebbe sufficiente accorciarla un po' e tribolerei molto meno", si disse, e con un taglio deciso accorciò la sua croce d'un bel pezzo. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più speditamente e senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione. Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però cominciava la "terra della felicità eterna". Era una visione incantevole quella che si vedeva dall'altra parte del burrone. Ma non c'erano ponti, né passerelle per attraversare. Eppure gli uomini passavano con facilità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passavano tutti, ma non lui: aveva accorciato la sua croce e ora era troppo corta e non arrivava dall'altra parte del baratro. Si mise a piangere e a disperarsi: "Ah, se l'avessi saputo...".

La croce è l'unica via di salvezza per gli uomini, l'unico ponte che conduce alla vita eterna.

crocesalvezzaaccettazione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/06/2010

PREGHIERA

35. Da uomo vero, vorrei essere prete   1

Giuseppe Mancini

Da uomo vero, vorrei essere prete
per annunciare il Vangelo non tanto con le parole
ma con ogni pezzo della vita che mi è stata donata!
Vorrei essere prete per dare speranza a chi non più ce l'ha:
a quell'uomo e quella donna che hanno disgregato la propria famiglia;
a quel bambino senza casa e senza genitori;
a quella mamma che ha ucciso la propria creatura in grembo;
a quel giovane che non ha più nessun orizzonte di vita;
a quell'uomo senza lavoro che va alla ricerca di una busta di alimenti;
a quell'uomo che colpito dalla malattia fisica sopravvive;
a quell'uomo disperato che vede solo nella morte l'unica soluzione;
a quell'uomo che fa del denaro e del sesso l'unica ragione di vita;
a quel prete che ha dimenticato Cristo presente in tutte queste persone.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per risolvere i problemi e le sofferenze della gente e del mondo
ma per condividere i problemi e le sofferenze della gente e del mondo.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per realizzare i miei desideri e i miei sogni,
ma l'unico vero desiderio e sogno di Dio che non ha bisogno delle mie miserie:
essere una delle sue tante candele per dare la sua luce nel tempo stabilito;
poi una volta consumata buttata via perché ci sarà un'altra candela!
Da uomo vero, vorrei essere prete
per dire "sì" con libertà al suo grande amore!
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per avere una poltrona comoda,
ma per essere una poltrona per quell'uomo buttato a terra;
non per avere un bel computer dove scrivere delle belle parole per ore e ore,
ma per essere una sola parola per quell'uomo che ha bisogno d'ascolto in una di quelle ore;
non per avere una macchinetta che faccia un buon caffè per ogni giorno,
ma per preparare un buon pasto quotidiano a quell'uomo che ha fame;
non per avere una automobile con tutti i comfort,
ma per essere conforto per quell'uomo che ha consumato i suoi piedi vagando senza meta.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per parlare al cellulare spesso o sempre, anche quando prego
ma per essere preghiera vivente che sa anche fare del silenzio preghiera.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per essere servito ma per servire.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per parlare della Croce ma per abbracciare la Croce.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per parlare della Fede, della Speranza e della Carità
ma per vivere la Fede, la Speranza e la Carità essendone uno specchio fedele.
Da uomo vero, vorrei essere prete
non per parlare della Risurrezione nei giorni di festa
ma per vivere la Risurrezione nei giorni feriali, in ogni istante dall'altare alla strada.
Da uomo vero, vorrei essere prete non per me stesso
ma "per, con e in" Cristo e la sua Chiesa!
Da uomo vero, vorrei essere prete!

sacerdoziopretevocazioneministeroserviziogratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Mancini, inserito il 22/12/2009

TESTO

36. Il regalo di Dio   4

Adolfo Rebecchini

E' Natale.
Dio si fa bambino.
Il Signore realizza il suo sogno.
Egli viene
per te, per me, per tutti.
E' fragile, è debole, è piccolo.
Segno di contraddizione.
Egli viene, comunque.
Come incontrarlo?
Come riconoscerlo?
Come accoglierlo?
Lui è la grande speranza.
Lui è il fondamento
di ogni vera speranza,
regalo di Natale di Dio all'umanità.
Entra, Signore, nella mia storia
così nulla potrà mai
essere come prima.

Nataleincarnazione

inviato da Adolfo Rebecchini, inserito il 24/11/2009

TESTO

37. Facile e difficile   1

Facile è occupare un posto nell'agenda telefonica.
Difficile è occupare il cuore di qualcuno.
Facile è giudicare gli errori degli altri.
Difficile è riconoscere i nostri propri errori.
Facile è ferire chi ci ama.
Difficile è curare questa ferita.
Facile è perdonare gli altri.
Difficile è chiedere perdono.
Facile è esibire la vittoria.
Difficile è assumere la sconfitta con dignità.
Facile è sognare tutte le notti.
Difficile è lottare per un sogno.
Facile è pregare tutte le notti.
Difficile è trovare Dio nelle piccole cose.
Facile è dire che amiamo.
Difficile è dimostrarlo tutti i giorni.
Facile è criticare gli altri.
Difficile è migliorarne uno.
Facile è pensare di migliorare.
Difficile è smettere di pensarlo e farlo realmente.
Facile è ricevere.
Difficile è dare.

perdonoamoredarepreghieraumiltàconversionecambiamentonon giudicareconcretezza

5.0/5 (1 voto)

inserito il 12/06/2009

TESTO

38. Sogno una grande speranza   1

Cardinale Francesco Saverio Van Thuan, Testimoni della speranza. Esercizi spirituali tenuti alla presenza di Ss. Giovanni Paolo II, Citta Nuova, Roma 2006, pag 58-59

Sogno una Chiesa che è Porta Santa , aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell'umanità, tutta protesa a consolarla.

Sogno una Chiesa che è Parola, che mostra il libro del Vangelo ai quattro punti cardinali della terra, in un gesto di annuncio, di sottomissione alla Parola di Dio, come promessa dell'Alleanza eterna.

Sogno una Chiesa che è Pane, Eucaristia, che si lascia mangiare da tutti, affinché il mondo abbia la vita in abbondanza.

Sogno una Chiesa che è appassionata di quella unità che ha voluto Gesù.

Sogno una Chiesa che è in cammino, Popolo di Dio, che dietro al Papa che porta la croce, entra nel tempio di Dio e pregando e cantando va incontro a Cristo Risorto, speranza unica, incontro a Maria e a tutti i Santi.

Sogno una Chiesa che porta nel suo cuore il fuoco dello Spirito Santo, e dove c'è lo Spirito, c'è la libertà, c'è il dialogo sincero con il mondo; e specialmente con i giovani, con i poveri e con gli emarginati, c'è il discernimento dei segni dei nostri tempi.

Sogno una Chiesa che è testimone di speranza e di amore, con fatti concreti, come quando si vede il Papa abbracciare tutti... nella grazia di Gesù Cristo, nell'amore del Padre e nella comunione dello Spirito, vissuti nella preghiera e nell'umiltà.

chiesa

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefano Targa, inserito il 12/06/2009

PREGHIERA

39. Signore, aiutaci a fidarci di te

don Angelo Saporiti

Signore, aiutaci a fidarci di te,
della tua Provvidenza.
Guardando a ciò che siamo e a ciò che abbiamo,
fa' che ci sentiamo dei privilegiati,
appagati e pieni di gratitudine.

Fa', o Signore,
che arriviamo a comprendere
che nel tuo amore c'è tutto ciò
di cui abbiamo bisogno per vivere
e per essere felici.

A noi, che desideriamo possedere sempre di più,
fa' comprendere che il tuo amore
è la ricchezza più grande che possiamo avere
e che il sentirci amati da te
è il tesoro più prezioso che possiamo desiderare.

Donaci di capire che
non serve essere invidiosi di chi ha più di noi,
non serve essere tristi
se agli altri le cose vanno meglio che a noi.

Se noi abbiamo te,
se tu sei con noi,
noi abbiamo tutto.
Ma veramente tutto!
E questo ci deve bastare e... avanzare,
perché, tu, Signore,
sei il massimo che noi possiamo avere!

Tu sei il nostro bisogno appagato,
il nostro cuore riposato,
il nostro sogno realizzato.

fiduciaricchezzapovertàprovvidenzarapporto con Diobisognisemplicitàsobrietàessenzialitàsuperfluo

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 17/05/2009

RACCONTO

40. Il sogno di Maria   2

Giuseppe, ho fatto un sogno che non riesco proprio a comprendere, ma credo che riguardava la nascita di nostro figlio.

La gente stava facendo i preparativi con sei settimane d'anticipo: decoravano le case, compravano vestiti nuovi, uscivano spesso a fare spese e compravano regali molto elaborati.

Era tutto molto strano, perché i regali non erano per nostro figlio: li avvolgevano in fogli vistosi, li legavano con dei nastri preziosi e poi li mettevano sotto un albero. Sì, Giuseppe, un albero dentro le case; quella gente aveva decorato un albero e i rami erano pieni di ciondoli brillanti e in cima all'albero c'era una figura – mi sembrò che fosse un angelo – veramente molto bella.

Dopo ho visto una tavola splendidamente imbandita con piatti deliziosi e tanti vini: tutto sembrava squisito e tutti erano contenti, ma noi non eravamo stati invitati.

Si vedeva che la gente era felice, sorridente e perfino emozionata quando si scambiavano i regali, ma...

Sai, Giuseppe? Non rimaneva alcun regalo per nostro figlio e mi dava l'impressione che nessuno lo conoscesse perché nessuno fece mai il suo nome. Non ti sembra strano che la gente si dia tanto da fare e spenda tanto nei preparativi per celebrare il compleanno di qualcuno che non nominano mai e che forse neppure conoscono? Ebbi la strana sensazione che se nostro figlio fosse entrato in quelle case si sarebbe sentito un intruso.

Tutto era così bello e la gente così contenta, ma io avevo una gran voglia di piangere perché nostro figlio era completamente ignorato.

Che tristezza per Gesù non essere desiderato nella sua festa di compleanno!

Sono contenta perché si è trattato solamente di un sogno, ma che terribile sarebbe se ciò divenisse realtà!...

natale

5.0/5 (2 voti)

inviato da Roberto Jori, inserito il 03/05/2009

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