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TESTO

1. Conversione

San Cipriano di Cartagine, Lettera a Donato

Un tempo io giacevo nelle tenebre di una notte buia; mi trovavo come sballottato sul mare del mondo che mi gettava in tutte le direzioni; incerto delle vie che mi si paravano innanzi, vagavo in balia di me stesso e non ero consapevole della mia vita.

Lontano dalla verità e dalla luce, ritenevo che fosse davvero difficile e duro, per i miei sentimenti di quel periodo, ciò che la misericordia di Dio mi prometteva per portarmi alla salvezza.

Reputavo fosse difficile poter nuovamente rinascere e deporre le abitudini precedenti, anche se il battesimo nell'acqua della salvezza mi rinnovava a nuova vita. Stimavo ugualmente difficile che un uomo potesse cambiare la mente e l'animo senza mutare nel suo fisico.

Continuavo a dirmi: «Come sarà possibile una conversione così grande da liberarmi tutto ad un tratto da ciò che fin dalla nascita si solidificò come quando si colloca del materiale e lo si ammucchia in depositi? Come sarà possibile liberarmi di quelle abitudini che ho indebitamente contratte?».

Spesso mi trovavo con questi pensieri. Ero legato dai moltissimi errori della mia vita passata e non credevo di potermene liberare. I vizi aderivano alla mia vita e io continuavo ad assecondarli. Non pensavo più di poter raggiungere i beni migliori; per questo favorivo ciò che mi nuoceva come se fosse qualcosa che ormai mi appartenesse e fosse cresciuto con me.

Ma sopraggiunse l'aiuto dell'acqua che rigenera. La corruzione della vita precedente venne cancellata e dall'alto si diffuse una luce nel mio cuore purificato e mondo. Ricevetti dal cielo lo Spirito e attraverso una seconda nascita diventai un uomo nuovo.

Dopo questo evento, ciò che era segnato dal dubbio improvvisamente divenne, in modo che non saprei descrivere, una certezza; quello che era impenetrabile e pieno di tenebra mi apparve accessibile e luminoso.

Potevo raggiungere quello che prima mi sembrava assurdo e fare quello che finora ritenevo impossibile. Avevo così la possibilità di capire come fosse terreno l'uomo di prima, nato dalla carne e schiavo dei vizi.

battesimoconversionecambiamentorinascitaerrorivizi

inviato da Qumran, inserito il 26/09/2017

RACCONTO

2. Le tre case   2

Bingo davvero, ed. Paoline

C'era una volta un uomo piccolo come la punta di un ago. Anzi, più piccolo ancora. Era piccolo, ma aveva una voglia matta di crescere! Pensa: dopo appena 15 giorni da quando aveva incominciato a vivere, era già 125 mila volte più grande. Incredibile!! Eppure proprio vero.

L'uomo abitava in una strana casa che girava per la città, correva, si piegava fino a terra; di notte, poi, si coricava e al mattino si alzava. La casa era interessante e tiepida, ma aveva un grande difetto: era tutta buia come un sacco chiuso. Là dentro non si poteva vedere niente: né formiche, né cavalli, né automobili.

"Basta, disse finalmente un giorno l'uomo, dopo nove mesi; basta: voglio uscire, voglio uscire...". Si mise a spingere...ed eccolo fuori! "Oh, finalmente posso correre, giocare, fare il bagno, nuotare...Altro che la casa di prima! Questa sì che è stupenda: qui c'è il sole, ci sono le piante, i fiori, la neve...".

Per ottant'anni l'uomo, tutte le mattine, alzava le braccia e diceva: "Che bella questa terra!". Era felice e contento. Però un giorno incominciò a diventare triste.

Vedeva che il sole tramontava e veniva la notte; le piante perdevano le foglie e diventavano brutte; i fiori diventavano fieno e la neve, fango. Allora si mise a sognare un'altra casa dove vi fossero tanti alberi verdi, i fiori rossi, la neve bianca e il sole splendente. Mentre pensava, morì. Tutti si misero a piangere..

Lui, invece, rideva! Vien da non credere, eppure lui rideva, rideva...

Sfido io! Appena morto, gli si spalancarono le porte di una casa dove c'erano cose che non ti puoi immaginare. Un Papà buono - un vero Amore! - lo abbracciò; una Mamma bella - una vera meraviglia! - lo baciò. Lo baciò e lo prese per mano: "Vieni a giocare con noi! Vedi, qui tutto è nuovo: la terra è nuova, le stelle sono nuove. Vieni!".

L'uomo non capiva più niente. "Ma non sono morto, io?". "No, no, gli gridarono milioni e milioni di voci: sei vivo, vivo per sempre!". Pazzo di gioia, l'uomo si mise a correre, a far capriole nei prati che non finivano mai, in mezzo ai fiori che non appassivano mai. "Qui son proprio a casa mia - gridava - a casa mia!".

Così finisce la storia delle tre case. Storia vera: storia mia e storia tua. Storia di tutti gli uomini che camminano su questa terra e, di tanto in tanto, guardano al cielo dove invece di piangere, tutti sono nella gioia accanto a Gesù, Maria e tutti i santi.

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4.8/5 (6 voti)

inviato da Milena Pavan, inserito il 21/09/2012

ESPERIENZA

3. Aiutami a nascere   2

Tanino Minuta, Città nuova, n. 24, 2009

Gelida mattina d'inverno. Alla fermata attendo il bus 61. Dal cancello principale del cimitero che sta di fronte vedo uscire una vecchietta che cammina lentamente, appoggiandosi ricurva ad un malfermo bastoncino. Si avvicina alle strisce pedonali per attraversare. Ma una dopo l'altra le macchine le passano veloci davanti. Finalmente una macchina si ferma e la lascia camminare lentamente. Lei, giratasi, continua a guardare grata verso l'auto che l'ha lasciata passare.

Le vado incontro per aiutarla a salire il gradino del marciapiede. Dentro di me ribolle l'indignazione

per quanti non si sono fermati. Lei, offrendomi la mano per essere aiutata, guarda ancora la macchina, ormai lontana, che l'aveva fatta passare. Poi, con un sorriso di indicibile bellezza, mi chiede: «Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?».

Quando arriva il 61 l'aiuto a salire. In mezzo a tanti volti che sembrano delle casseforti sigillate, quella nonnina mi sembra sia il tesoro che il bus sta trasportando senza che nessuno lo sappia. La guardo ancora, sorpreso per la lezione che mi ha dato. Lei non ha tenuto conto di chi non si era fermato, ha visto soltanto chi le aveva permesso di passare. Non ha visto altro.

Le dico: «Come sarebbe diverso il mondo se vedessimo soltanto il bene e non il male». Interviene a questo punto un signore seduto vicino: «Allora sì che fallirebbero telegiornali e rotocalchi. Di cosa si nutrirebbe la politica? Veleno, veleno è l'unica risorsa di ogni potere. Soltanto la malvagità equilibra il mondo. Odio ci vuole, sempre di più. Sto andando a denunciare il mio vicino di casa che con le sue orge notturne non ci lascia dormire. Lui ci avvelena la vita e io l'unica cosa che posso fare è distruggerlo. E stavolta se la passerà male!».

La vecchietta lo guarda con materna comprensione; poi, fattasi seria: «Avevo un figlio, che ha vissuto forse come il suo vicino di casa. È morto a trentatrè anni per overdose. Tutte le mattine lo vado a salutare. Quando sono alla tomba mi sembra di rivederlo nella culla, piccolo, indifeso, bisognoso di tutta la mia protezione. Ormai nulla può fargli male, eppure è come se mi chiedesse di proteggerlo ancora. L'unica cosa che posso fare è continuare a difenderlo.

«L'unico figlio. Mio marito ed io abbiamo lavorato duramente per assicurargli una vita migliore della nostra. Ma è stato più infelice di noi. Amicizie sbagliate. Per un ragazzo buono e pulito come lui la scivolata è stata veloce. Per anni non abbiamo saputo dov'era. Poi, attraverso un suo vecchio amico, siamo venuti a sapere che gironzolava come un barbone alla periferia della città. Mio marito è riuscito a trovarlo. Era irriconoscibile. Sembrava più vecchio del padre. Ha accettato di essere curato. In ospedale si comportava come un animale ferito. Parlava poco, lui che era un brillante intrattenitore delle feste.

«Un giorno mi ha detto: "Non c'è cosa peggiore per un uomo che sapere di essere inutile. Niente è più soffocante dell'inutilità". Non serviva ripetergli che per noi era importante. Era come se in lui fosse bruciata la radice della vita.

«Uscito dall'ospedale è sparito, senza dirci niente, come la prima volta. Mio marito è morto di crepacuore. Io avevo speranza.

«Quando sono venuti a dirmi che l'avevano trovato morto, si è chiusa la speranza. Chissà da quanto tempo era morto. Non me l'hanno fatto mai vedere. Nella sua giacca, hanno trovato delle frasi scritte su carta da sigarette o droga, la grafia era la sua: "La vita non mantiene mai le sue promesse. Se tu esistessi, faresti giustizia. Il male ha tutti i poteri. Tu non sei mai nato su questa Terra. Se ci fossi, ti chiederei di ricrearmi".

«Povero figlio mio, chissà che dolori ha provato! Il nostro amore non è bastato! Si apriva davanti a me la strada della disperazione, oppure... rigenerare mio figlio. Per amore di lui ho cominciato a vivere per gli altri e non per me. Ciò mi ha aiutato a rinascere e a rigenerare mio figlio. In qualche modo era come se Dio mi avesse affidato il compito di possedere un amore che non avevo mai avuto. Certo che senza la fede non ce l'avrei fatta. La fede ha delle risorse di forza che, quando meno te lo aspetti, si mostrano in tutta la loro potenza. Ora mio figlio palpita in me».

Il signore che le siede accanto, nonostante la sua statura, sembra diventato piccolo e insicuro. Come disorientato. Poi le chiede, quasi balbettando, se può fare qualche cosa per lei. La vecchietta, come se attendesse la richiesta, risponde veloce: «Il suo vicino potrebbe essere suo figlio che vuole essere ricreato!».

Soltanto il rumore del motore vibra nell'aria. Quando lei si alza per dirigersi alla fermata, il signore l'accompagna. Mi salutano tutti e due. Scende anche lui. Il palazzo dove prima aveva detto di essere diretto non era da quelle parti. Mentre il bus si allontana vedo sul marciapiede quel grande uomo che offre il braccio alla vecchietta. L'atmosfera di Natale colora la città e abbraccia il bus, le macchine, la gente.

«Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?», echeggia in me la piccola voce di una fragile donna quasi piegata su un bastoncino instabile. Mi guardo in giro. La gente chiusa nei cappotti e nei cuori è fragile e indifesa. La commozione è forte.

È come se ogni sguardo spento mi stia implorando: «Aiutami a nascere, fammi da madre!».

amorevitabontàpositivitàrinasceresperanzasenso della vita

4.7/5 (6 voti)

inviato da Fernanda Plomitallo, inserito il 12/08/2012

TESTO

4. La preghiera

S. Giovanni Maria Vianney, Omelia per la V Domenica dopo Pasqua

Per mostrarvi il potere della preghiera e le grazie che essa vi attira dal cielo, vi dirò che è soltanto con la preghiera che tutti i giusti hanno avuto la fortuna di perseverare. La preghiera è per la nostra anima ciò che la pioggia è per la terra. Concimate una terra quanto volete, se manca la pioggia, tutto ciò che farete non servirà a nulla. Così, fate opere buone quanto volete, se non pregate spesso e come si deve, non sarete mai salvati; perché la preghiera apre gli occhi della nostra anima, le fa sentire la grandezza della sua miseria, la necessità di fare ricorso a Dio; le fa temere la sua debolezza.

Il cristiano conta per tutto su Dio solo, e niente su se stesso. Sì, è per mezzo della preghiera che tutti i giusti hanno perseverato. Del resto, ci accorgiamo noi stessi che appena trascuriamo le nostre preghiere, perdiamo subito il gusto delle cose del cielo: pensiamo solo alla terra; e se riprendiamola preghiera, sentiamo rinascere in noi il pensiero e il desiderio delle cose del cielo. Sì, se abbiamo la fortuna di essere nella grazia di Dio, o faremo ricorso alla preghiera, o saremo certi di non perseverare per molto tempo nella via del cielo.

In secondo luogo, diciamo che tutti i peccatori debbono, senza un miracolo straordinario che accade rarissimamente, la loro conversione soltanto alla preghiera. Vedete santa Monica, ciò che fa per chiedere la conversione di suo figlio: ora essa è al piede del suo crocifisso a pregare e piangere; ora si trova presso persone che sono sagge, per chiedere il soccorso delle loro preghiere. Guardate lo stesso sant'Agostino, quando volle seriamente convertirsi... Si, per quanto fossimo peccatori, se avessimo fatto ricorso alla preghiera e se pregassimo come si deve, saremmo sicuri che il buon Dio ci perdonerebbe.

Ah!, fratelli miei, non meravigliamoci del fatto che il demonio fa tutto ciò che può per farci tralasciare le nostre preghiere, e farcele dire male; è che capisce molto meglio di noi quanto la preghiera è temibile nell'inferno, e che è impossibile che il buon Dio possa rifiutarci ciò che gli chiediamo per mezzo della preghiera...

Non sono né le lunghe né le belle preghiere che il buon Dio guarda, ma quelle che si fanno dal profondo del cuore, con un grande rispetto ed un vero desiderio di piacere a Dio. Eccovene un bell'esempio. Viene riferito nella vita di san Bonaventura, grande dottore della Chiesa, che un religioso assai semplice gli dice: «Padre, io che sono poco istruito, lei pensa che posso pregare il buon Dio e amarlo?».

San Bonaventura gli dice: «Ah, amico, sono questi principalmente che il buon Dio ama di più e che gli sono più graditi». Questo buon religioso, tutto meravigliato da una notizia così buona, va a mettersi alla porta del monastero, dicendo a tutti quelli che vedeva passare: «Venite, amici, ho una buona notizia da darvi; il dottore Bonaventura m'ha detto che noi altri, anche se ignoranti, possiamo amare il buon Dio quanto i dotti. Quale felicità per noi poter amare il buon Dio e piacergli, senza sapere niente!».

Da questo, vi dirò che non c'è niente di più facile che il pregare il buon Dio, e che non c'è nulla di più consolante.

Diciamo che la preghiera è una elevazione del nostro cuore verso Dio. Diciamo meglio, è il dolce colloquio di un bambino con il padre suo, di un suddito con il suo re, di un servo con il suo padrone, di un amico con il suo amico, nel cui cuore depone i suoi dispiaceri e le sue pene.

preghierarapporto con Dioconversionecrescita interiore

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney, Roma, inserito il 10/03/2011

ESPERIENZA

5. Il sacerdote è il giovane di Dio

Enrico Medi

Sacerdoti, io non sono prete e non sono stato mai degno di poterlo diventare. Come fate a vivere dopo aver celebrato la Messa?

Ogni giorno avete il Figlio di Dio nelle vostre mani! Ogni giorno avete una potenza che Michele Arcangelo non ha. Con la vostra bocca voi trasformate la sostanza del pane in quella del Corpo di Cristo; voi obbligate il Figlio di Dio a scendere sull'altare. Siete grandi, siete creature immense, le più potenti che possano esistere!!!

Sacerdoti, ve ne scongiuriamo, siate santi. Se siete santi voi, noi saremo salvi, se non siete santi voi, noi saremo perduti. Sì, noi vogliamo il sacerdote santo, il sacerdote saggio, il sacerdote semplice, il sacerdote crocifisso ogni giorno per amore delle anime e per l'ardore dei cuori.

Tu sei la nostra fede, tu sei la nostra luce e guai se la fiaccola si spegne o se il sale della terra perde il suo sapore. Perché il sacerdote è il giovane di Dio, è l'astronauta di Dio.

Ricordati, o servo del Signore, che tu non sei un uomo come gli altri. Il giorno in cui lo Spirito Santo ha inciso sopra di te un carattere eterno, hai cessato di essere un uomo comune! Come quando Amstrong o Collins o White entrano nella capsula e il Saturno 5 li lancia verso la luna, non sono più uomini come gli altri, a loro non è lecito perdere un milionesimo di secondo, sbagliare una manovra, tornare indietro, stancarsi o arrabbiarsi: sono uomini del Cielo.

E tu, o sacerdote di Dio che devi portare il satellite della salvezza, non sulla luna, ma travalicando gli infiniti spazi fin nel cuore del Creatore, pensa alle tue immense e infinite responsabilità.

Se tu, o sacerdote, sei santo, sei grande, sei umile, sacrificato, moribondo di giorno in giorno, consumato dall'amore del Divino Spirito e dall'incanto di Maria, la giovinezza sarà salva, avremo vocazioni, avremo amore di sacrificio e il mondo troverà la strada della luce.

A voi che siete gli atleti di Dio, i difensori di Dio, gli appassionati di Dio, di Colui che è il dolce Padrone dell'essere e il Fremito di tutte le cose, di Colui che non dimentica il volo di una rondine, la lacrima di un uomo, il sorriso di un bimbo, il palpito d'amore di un cuore, a voi è riservato il compito sublime e stupendo di annunciarlo con forza e coraggio perché lui, che è tutto e solo Amore, ha bisogno di voi, ministri prediletti, per donare la sua infinita gioia a tutti e in tutti rinascere ogni giorno, grazie al vostro sì.

sacerdotepreteserviziosantità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cosimo Di Lella, inserito il 19/07/2009

PREGHIERA

6. Caro Gesù Bambino, ti voglio avvisare...   1

Giuliana Martirani, Il drago e l'agnello

Caro Bambino,
ora che di nuovo nasci bambino sulla Terra,
ti voglio avvisare:

Non nascere nella cristiana Europa:
ti metterebbero solo solo davanti alla Tv
riempiendoti di pop corn e merendine
e ti educherebbero a essere competitivo,
uomo di potere e di successo,
e a essere un «lupo» per altri bambini
semmai africani, latinoamericani o asiatici.
Tu che sei l'Agnello mite del servizio.

Non nascere nel cristiano Nord America:
ti insegnerebbero che sei superiore agli altri bambini,
che il tempo è denaro,
che tutto può essere ridotto a business, anche la natura,
che ogni uomo «ha un prezzo»
e tutti possono essere comprati e corrotti;
e ti eserciterebbero a sparar missili e a fare embarghi
che tolgono cibo e medicine ad altri bambini.
Tu che sei il Principe della pace.

Evita l'Africa:
ti capiterebbe di nascere con l'aids
e di morire di diarrea, ancora neonato
oppure di finire profugo in un Paese non tuo
per scappare a delle nuove stragi degli innocenti.
Tu che sei il Signore della Vita.

Evita l'America Latina:
finiresti bambino di strada oppure ti sfrutterebbero
per tagliar canna da zucchero o raccogliere caffè e cacao
per i bambini del Nord del mondo
senza mai poter mangiare una sola tavoletta di cioccolato.
Tu che sei il Signore del creato.

Evita anche l'Asia:
ti metterebbero «a padrone» lavorando quattordici ore al giorno
per tappeti oppure scarpe, palloni e giocattoli
da regalare... a Natale... ai bambini del Nord del mondo,
e tu andresti scalzo e giocheresti a calcio con palloni di carta o pezza.
Tu che sei il Padrone del mondo.

Ma soprattutto non nascere... di nuovo in Palestina:
alcuni ti metterebbero un fucile, altri una pietra in mano
e ti insegnerebbero a odiare i tuoi fratelli... di stesso Padre:
gli ebrei, i musulmani e i cristiani.
Tu che ogni anno sei inviato dal Padre per darci il suo amore misericordioso.

Caro Bambino, a pensarci bene,
devi proprio rinascere in tutti questi posti
ma non nei cuori dei bambini,
e dei Paesi «piccoli e deboli»:
là ci stai già,
ma nei cuori dei grandi e dei Paesi «grandi e potenti»
perché come hai fatto tu stesso:
Dio potente che diventa bambino impotente, rinascano anch' essi:
piccoli, innocenti e finalmente... deboli.

natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Viola, inserito il 06/12/2002

RACCONTO

7. Storia di un chicco di grano   1

Johannes Joergensen, Parabole

Come il seminatore ebbe terminato la sua opera, il chicco di grano venne a trovarsi tra due zolle di terra nera e umidiccia, e divenne terribilmente triste. Era buio, era umido, e l'oscurità e l'umidore aumentavano sempre di più, poiché al calar sera s'era disciolta in pioggia fitta fitta. C'era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano cominciò a ricordare.

Bei tempi quelli, quando il chicco stava al caldo e al riparo in una spiga diritta e cullata dal vento, in compagnia dei fratellini! Bei tempi sì, ma così presto passati!

Poi era venuta la falce con il suo suono stridulo e devastatore, a sbattere tutte le spighe. Poi i mietitori con i loro rastrelli avevano caricato sui carri le spighe legate in covoni. Poi, più terribile ancora, i battitori si erano accaniti sulle spighe pestandole senza pietà. E le famigliole dei chicchi, vissute sempre insieme dalla più verde giovinezza, erano state sbalzate fuori dalle loro spighe, e i chicchi scaraventati in giro, ciascuno per conto suo, per non incontrarsi più.

Ma nel sacco del grano almeno ci si trovava ancora in compagnia. Un po' pigiati, è vero, e magari si respirava a fatica, ma insomma si poteva chiacchierare un po'. Ora invece, era l'abbandono assoluto, la solitudine tetra, una disperazione!

Ma l'indomani fu peggio, quando l'erpice passò sul campo e il chicco si trovò nella tenebra più densa, con terra dappertutto, sopra, sotto, in parte. L'acqua lo penetrava tutto, non sentiva più in sé il minimo cantuccio asciutto.

"Ma perché fui creato, se dovevo finire in modo così miserando? Non sarebbe stato meglio per me non aver mai conosciuto la vita e la luce del sole?" Pensava tra sé.

Allora dal profondo della terra una voce si fece sentire. Gli diceva: "Abbandonati con fiducia. Volentieri, senza paura. Tu muori per rinascere ad una vita più bella".

"Chi sei?" domandò il povero chicco, mentre un senso di rispetto sorgeva in lui. Poiché sembrava che la Voce parlasse a tutta la terra, anzi all'universo intero.

"Io sono Colui che ti ha creato, e che ora ti vuole creare un'altra volta".

Allora il chicco di grano si abbandonò alla volontà del suo Creatore, e non seppe più nulla di nulla.

Un mattino di primavera, un germoglio verde mise fuori la testolina dalla terra umida. Si guardò attorno inebriato. Era proprio lui, il chicco di grano, tornato a vivere un'altra volta.

Nell'azzurro del cielo il sole splendeva e la lodoletta cantava.

Era tornato a vivere... E non da solo, poiché intorno a sé vedeva uno stuolo di germogli in cui riconobbe i suoi fratellini.

Allora la tenera pianticella si sentì invadere dalla gioia di esistere, e avrebbe voluto alzarsi fino al cielo per accarezzarlo con le sue foglioline.

Dio è il pastore. Il dolore è il suo cane. Talvolta ha il morso duro, ma è per il bene.

fiduciafedeabbandono in Diomortevita eternadoloresofferenzarisurrezione

4.0/5 (1 voto)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

TESTO

8. Preghiera di un pupazzo di stracci   1

Gabriel Garcia Marquez

Se per un istante Dio dimenticasse che io sono un pupazzo di stracci e mi regalasse un poco di vita, forse non direi tutto quello che penso ma in definitiva penserei tutto quello che dico.

Darei valore alle cose, non per ciò che valgono, ma per quello che significano.

Dormirei poco, sognerei di più, sapendo che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi perdiamo sessanta secondi di luce.

Andrei quando gli altri si fermano, starei sveglio quando gli altri dormono.

Ascolterei quando gli altri parlano, e come gusterei un buon gelato di cioccolata.

Se Dio mi concedesse un poco di vita, vestirei leggero, mi appiattirei al sole, lasciando scoperto non solo il mio corpo ma anche la mia anima.
Dio mio, se avessi un cuore...

Scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei il sorgere del sole.

Dipingerei sulle stelle una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh, e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che dedicherei alla luna.

Annaffierei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle spine e il bacio incarnato dei petali.
Dio mio, se avessi un poco di vita...

Non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente che amo, che la amo.

Convincerei ogni donna o uomo che sono i miei preferiti e vivrei innamorato dell'amore.

Agli uomini dimostrerei quanto si sbagliano a pensare che si smette di innamorarsi quando si invecchia, senza sapere che si invecchia quando si smette di innamorarsi.

A un bambino darei ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo.

Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con il dimenticare.
Tante cose ho appreso da voi uomini...

Ho appreso che ognuno vuole vivere in cima alla montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel modo di salire la scarpata.

Ho appreso che quando un neonato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo tiene intrappolato per sempre.

Ho appreso che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall'alto in basso soltanto quando deve aiutarlo ad alzarsi.

Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, ma alla fine non potranno servirmi molto, perché, quando mi riporrete dentro la valigia, purtroppo io starò morendo...

vitaprogettofuturorinasceresperanza

inviato da Michela De Santis, inserito il 04/05/2002