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ESPERIENZA

1. Aiutami a nascere   2

Tanino Minuta, Città nuova, n. 24, 2009

Gelida mattina d'inverno. Alla fermata attendo il bus 61. Dal cancello principale del cimitero che sta di fronte vedo uscire una vecchietta che cammina lentamente, appoggiandosi ricurva ad un malfermo bastoncino. Si avvicina alle strisce pedonali per attraversare. Ma una dopo l'altra le macchine le passano veloci davanti. Finalmente una macchina si ferma e la lascia camminare lentamente. Lei, giratasi, continua a guardare grata verso l'auto che l'ha lasciata passare.

Le vado incontro per aiutarla a salire il gradino del marciapiede. Dentro di me ribolle l'indignazione

per quanti non si sono fermati. Lei, offrendomi la mano per essere aiutata, guarda ancora la macchina, ormai lontana, che l'aveva fatta passare. Poi, con un sorriso di indicibile bellezza, mi chiede: «Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?».

Quando arriva il 61 l'aiuto a salire. In mezzo a tanti volti che sembrano delle casseforti sigillate, quella nonnina mi sembra sia il tesoro che il bus sta trasportando senza che nessuno lo sappia. La guardo ancora, sorpreso per la lezione che mi ha dato. Lei non ha tenuto conto di chi non si era fermato, ha visto soltanto chi le aveva permesso di passare. Non ha visto altro.

Le dico: «Come sarebbe diverso il mondo se vedessimo soltanto il bene e non il male». Interviene a questo punto un signore seduto vicino: «Allora sì che fallirebbero telegiornali e rotocalchi. Di cosa si nutrirebbe la politica? Veleno, veleno è l'unica risorsa di ogni potere. Soltanto la malvagità equilibra il mondo. Odio ci vuole, sempre di più. Sto andando a denunciare il mio vicino di casa che con le sue orge notturne non ci lascia dormire. Lui ci avvelena la vita e io l'unica cosa che posso fare è distruggerlo. E stavolta se la passerà male!».

La vecchietta lo guarda con materna comprensione; poi, fattasi seria: «Avevo un figlio, che ha vissuto forse come il suo vicino di casa. È morto a trentatrè anni per overdose. Tutte le mattine lo vado a salutare. Quando sono alla tomba mi sembra di rivederlo nella culla, piccolo, indifeso, bisognoso di tutta la mia protezione. Ormai nulla può fargli male, eppure è come se mi chiedesse di proteggerlo ancora. L'unica cosa che posso fare è continuare a difenderlo.

«L'unico figlio. Mio marito ed io abbiamo lavorato duramente per assicurargli una vita migliore della nostra. Ma è stato più infelice di noi. Amicizie sbagliate. Per un ragazzo buono e pulito come lui la scivolata è stata veloce. Per anni non abbiamo saputo dov'era. Poi, attraverso un suo vecchio amico, siamo venuti a sapere che gironzolava come un barbone alla periferia della città. Mio marito è riuscito a trovarlo. Era irriconoscibile. Sembrava più vecchio del padre. Ha accettato di essere curato. In ospedale si comportava come un animale ferito. Parlava poco, lui che era un brillante intrattenitore delle feste.

«Un giorno mi ha detto: "Non c'è cosa peggiore per un uomo che sapere di essere inutile. Niente è più soffocante dell'inutilità". Non serviva ripetergli che per noi era importante. Era come se in lui fosse bruciata la radice della vita.

«Uscito dall'ospedale è sparito, senza dirci niente, come la prima volta. Mio marito è morto di crepacuore. Io avevo speranza.

«Quando sono venuti a dirmi che l'avevano trovato morto, si è chiusa la speranza. Chissà da quanto tempo era morto. Non me l'hanno fatto mai vedere. Nella sua giacca, hanno trovato delle frasi scritte su carta da sigarette o droga, la grafia era la sua: "La vita non mantiene mai le sue promesse. Se tu esistessi, faresti giustizia. Il male ha tutti i poteri. Tu non sei mai nato su questa Terra. Se ci fossi, ti chiederei di ricrearmi".

«Povero figlio mio, chissà che dolori ha provato! Il nostro amore non è bastato! Si apriva davanti a me la strada della disperazione, oppure... rigenerare mio figlio. Per amore di lui ho cominciato a vivere per gli altri e non per me. Ciò mi ha aiutato a rinascere e a rigenerare mio figlio. In qualche modo era come se Dio mi avesse affidato il compito di possedere un amore che non avevo mai avuto. Certo che senza la fede non ce l'avrei fatta. La fede ha delle risorse di forza che, quando meno te lo aspetti, si mostrano in tutta la loro potenza. Ora mio figlio palpita in me».

Il signore che le siede accanto, nonostante la sua statura, sembra diventato piccolo e insicuro. Come disorientato. Poi le chiede, quasi balbettando, se può fare qualche cosa per lei. La vecchietta, come se attendesse la richiesta, risponde veloce: «Il suo vicino potrebbe essere suo figlio che vuole essere ricreato!».

Soltanto il rumore del motore vibra nell'aria. Quando lei si alza per dirigersi alla fermata, il signore l'accompagna. Mi salutano tutti e due. Scende anche lui. Il palazzo dove prima aveva detto di essere diretto non era da quelle parti. Mentre il bus si allontana vedo sul marciapiede quel grande uomo che offre il braccio alla vecchietta. L'atmosfera di Natale colora la città e abbraccia il bus, le macchine, la gente.

«Vero che c'è tanta bontà in questo mondo?», echeggia in me la piccola voce di una fragile donna quasi piegata su un bastoncino instabile. Mi guardo in giro. La gente chiusa nei cappotti e nei cuori è fragile e indifesa. La commozione è forte.

È come se ogni sguardo spento mi stia implorando: «Aiutami a nascere, fammi da madre!».

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4.7/5 (6 voti)

inviato da Fernanda Plomitallo, inserito il 12/08/2012

ESPERIENZA

2. Tre storie della vita di Steve Jobs   3

Steve Jobs, 12 giugno 2005

Nella vita le sconfitte sono le svolte migliori. Perché costringono a pensare in modo diverso e creativo.

Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è su una cosa che io chiamo "unire i puntini" di una vita.

Quand'ero ragazzo, ho abbandonato l'università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l'ho fatto? E' iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia - all'ultimo minuto - disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?". Loro risposero: "Certamente! ". Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l'uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l'adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l'inizio della mia vita.

Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.

Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.

Era molto difficile all'epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.

Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Consentitemi di fare subito un esempio.

Il Reed College all'epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le 'grazie', capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un'applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. è stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all'epoca in cui ero al college era impossibile per me 'unire i puntini' guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all'indietro.

Insomma, non è possibile 'unire i puntini' guardando avanti; si può unirli solo dopo, guardandoci all'indietro. Così, bisogna aver sempre fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Bisogna credere in qualcosa: il nostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Perché credere che alla fine i puntini si uniranno ci darà la fiducia necessaria per seguire il nostro cuore anche quando questo ci porterà lontano dalle strade più sicure e scontate, e farà la differenza nella nostra vita. Questo approccio non mi ha mai lasciato a piedi e, invece, ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia è a proposito dell'amore e della perdita.

Io sono stato fortunato: ho scoperto molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Steve Wozniak e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in dieci anni Apple è diventata - da quell'aziendina con due ragazzi in un garage che era all'inizio - una compagnia da 2 miliardi di dollari con oltre 4 mila dipendenti.

Nel 1985 - io avevo appena compiuto 30 anni e da pochi mesi avevamo realizzato la nostra migliore creazione, il Macintosh - sono stato licenziato.

Come si fa a venir licenziati dall'azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l'azienda insieme a me, e per il primo anno le cose erano andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era saltato e io ero completamente devastato.

Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me; come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l'ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.

Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L'evolvere degli eventi con Apple non aveva cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti, consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un'azienda chiamata NeXT e poi un'altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, 'Toy Story', e adesso è lo studio di animazione di maggior successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono tornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple. Mia moglie Laurene e io abbiamo una splendida famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. è stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente.

Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però. Sono convinto che l'unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l'amore per quello che ho fatto. Bisogna trovare quel che amiamo. E questo vale sia per il nostro lavoro che per i nostri affetti. Il nostro lavoro riempirà una buona parte della nostra vita, e l'unico modo per essere realmente soddisfatti è di fare quello che riteniamo essere un buon lavoro. E l'unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che facciamo. Chi ancora non l'ha trovato, deve continuare a cercare. Non accontentarsi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie d'amore, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, bisogna continuare a cercare sino a che non lo si è trovato. Senza accontentarsi.

La terza storia è a proposito della morte.

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, un giorno avrai sicuramente ragione". Mi colpì molto e da allora, negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: "Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?". E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c'è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siamo già nudi. Non c'è ragione, quindi, per non seguire il nostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la Tac alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Prima non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile, che sarei morto entro i prossimi tre, al massimo sei mesi. Quindi sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi di poter dire loro in dieci anni. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi addio.

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell'analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini, per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l'intervento chirurgico e adesso, per fortuna, sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche l'unica per qualche decennio. Essendoci passato attraverso, adesso posso parlarvi con un po' più di cognizione di causa di quando la morte per me era solo un concetto astratto.

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso, in realtà non vogliono morire per andarci. Ma la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. E' l'agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo.

Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo, c'era un giornale incredibile che si chiamava 'The Whole Earth Catalog', praticamente una delle bibbie della mia generazione. E' stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci aveva messo dentro tutto il suo tocco poetico. E' stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fatto con macchine per scrivere, forbici e foto Polaroid. E' stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di 'The Whole Earth Catalog' e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono l'ultimo numero. Era più o meno la metà degli anni Settanta. Nell'ultima pagina di quel numero finale c'era la fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l'autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c'erano le parole: 'Stay Hungry. Stay Foolish', siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish: io me lo sono sempre augurato per me stesso.

E adesso lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish.

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5.0/5 (3 voti)

inviato da Lisa, inserito il 06/11/2011

ESPERIENZA

3. Avere sete di Dio

Sebastian Kachapilly

Ognuno pensa a modo suo, ognuno prende la via che più gli piace e nessuno si ferma un attimo per riflettere. Il Signore ha detto: non siete del mondo, ma vivete nel mondo guardando sempre verso l'alto. Il nostro obiettivo è sbagliato, guardiamo sin troppo i giochi del mondo e siamo interessati nei suoi divertimenti. Noi figli del Dio vivente cosa abbiamo dentro di noi: la sete per Dio o la sete per il mondo?

Lavoravo nella missione in India, ogni tanto andavo dai confratelli per gli incontri. Un giorno pieno di sole mentre tornavo dalla missione salì sull'autubus un ragazzo con un secchio pieno di bevande fresche e cominciò a parlare: Amici miei, dissetatevi! Ho bevande fresche per tutti. Ci invitava a prendere qualcosa, ma nessuno ne voleva. Scendendo dall'autobus diceva a se stesso, nessuno ha sete. Sono belle queste parole: nessuno ha sete. Se qualcuno avesse avuto sete sicuramente avrebbe comprato una bibita o qualcosa di fresco. Nessuno aveva sete e quindi nessuno voleva comprare niente.

Questo succede anche nei confronti di Dio, se una persona non ha sete di Dio non lo cerca, non va da Dio. E' chiaro che andrà altrove a cercare le cose che possono dissetare la sua sete. Quando cominciamo un cammino di fede dobbiamo avere la sete di Dio. Il mondo di oggi può mettere davanti a noi tante cose che possono dissetare la nostra sete, ma la cosa importante è quella di avere sete di Dio e salvare la nostra anima.

sete di Diofede

inviato da Sebastian Kachapilly, inserito il 05/12/2009

ESPERIENZA

4. Il mio inno d'amore per un fratello "speciale"

Rivista Dimensioni Nuove, Elledici

Sono una quattordicenne di Brescia e vi scrivo per raccontarvi la mia bellissima esperienza che fin da piccola mi ha aiutata a crescere con sentimenti forti e profondi.

Ho un fratellino e una sorella e due genitori che ci amano e ci hanno cresciuto con valori che ci hanno formato e che cerchiamo di trasmettere a quelli che ci stanno vicino. Mio fratello ha vent'anni. È rimasto celebroleso a causa di un parto difficile nel quale è mancata l'assistenza del ginecologo. Per l'asfissia di mio fratello rischiò di morire anche mia madre. Nonostante la nostra fede in Dio, non abbiamo mai perdonato quel medico che ci ha lasciato una piccola creatura sofferente che, a detta dei medici, non sarebbe vissuta più di quattro anni.

Davide (è questo il suo nome) è cresciuto circondato dal nostro amore e adesso come adesso non conosco al mondo un ragazzo più indispensabile di lui! Sarà sempre il ragazzo più importante della mia vita che, oltre ai miei genitori, mi ha trasmesso quei sentimenti che caratterizzano il mio stile di vita. In questi quattordici anni io e Davide siamo sempre stati in simbiosi perfetta: un equilibrio che col tempo si è radicato fino a diventare qualcosa di indistruttibile.

Mi ha sempre insegnato ad amare e a donare la mia vita agli altri. Lui l'ha data a tutti noi, ha dato il suo amore, la sua serenità e anche il suo corpicino debole che, nonostante la malattia l'abbia deformato e irrigidito, è di una dolcezza unica. Fra lui e me il dialogo è continuo. È il dialogo più bello, più ricco, più gratificante che esista; non ci sono parole ma soltanto amore! Quando ero piccola giocavo con lui, ridevo con lui, ma non capivo ancora chi fosse e che cosa mi donasse. Oltretutto non ha mai parlato e non si è mai mosso. Io ero piccola e per la sua immobilità era la mia bambola preferita. Ora invece sono cresciuta: amo con lui, rido ancora con lui, piango insieme a lui, soffro quando soffre lui e finalmente so chi è e che cosa continuamente ci dona. È terribile vederlo soffrire, seguire il suo respiro affannoso che scuote violentemente il suo piccolo e fragile torace. Ma il suo cuore, che oltre a farlo vivere l'ha fatto amare, è forte e anche quando cesserà di battere, il suo ritmo irregolare e debole continuerà in un'eco perfetto nella mia vita. L'amore che Davide mi regala è qualcosa di irresistibile...

È splendido osservare quanta vitalità abbia il suo bellissimo viso e quanta dolcezza vi sia nel suo sguardo a volte debole, ma comunque sempre vicino a noi. I suoi occhi scuri e profondi sono ovunque, anche quando lui non c'è e il suo sguardo andrà oltre la morte. Davide è il mio angelo, il nostro angelo, una piccola creatura mandata da Dio per portarci tanto conforto. Ma è in queste poche parole di un amico che sta l'essenza di Davide: «Ogni giorno il suo sorriso sconfigge la morte. Un prezioso diamante custodito gelosamente nelle vostre mani. Un candido fiore del paradiso disceso per donare amore!».

E questo è ciò che Davide è per noi. Questa è la mia vita.
Tanto felice e serena, qualche volta alternata a momenti difficili e tristi.
Qualcosa di veramente vero: io amo la vita, amo Dio, amo l'amore!
La strada che devo percorrere è ancora molto lunga, ma vorrei augurare a tutti i ragazzi che sono alla ricerca di qualcosa di importante, di guardarsi continuamente intorno e di capire che l'amore è possibile trovarlo!
È molto vicino e basta cercarlo nelle cose più semplici: l'amore c'è e la vita stessa è amore. Dio è amore, amore unico e inconfondibile, amore vero e continuo.
È compito nostro renderci portatori instancabili. Basta guardare gli occhi tristi di una persona che soffre, un bambino che canta, un piccolo fiore che appare, il tramonto nel silenzio di una montagna...
Tutto è amore, bisogna soltanto vederlo.
Buona fortuna a tutti!

amoresofferenzacrocedolorefelicitàgioiacomprensionesolidarietàaffettosenso della vita

inviato da Sergio, inserito il 11/12/2002

ESPERIENZA

5. Pregando, posso amare i poveri

Madre Teresa di Calcutta

Un giorno Madre Teresa parlò con un seminarista. Guardandolo con i suoi occhi limpidi e penetranti gli chiese: "Quante ore preghi ogni giorno?". Il ragazzo rimase sorpreso da una simile domanda e provò a difendersi dicendo: "Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?". Madre Teresa gli prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettergli ciò che aveva nel cuore. Poi gli confidò: "Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega; pregando, Dio mi mette il suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!".

preghieracaritàamoreservizio

inviato da Immacolata Chetta, inserito il 31/05/2002