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ESPERIENZA

1. La stola presbiterale

Constantin Virgil Georghiu, prete ortodosso, Dalla venticinquesima ora all'eternità, ed. San Paolo, 2007

Quando, davanti alla porta, arrivava un cristiano a cavallo, si sapeva che da qualche parte era successo qualche cosa di grave... prima che l'uomo bussasse alla porta mio padre era già pronto a partire con lui. Preparava svelto la borsa nella quale si trovava sempre l'Euchologio o libro di preghiere, la croce di legno, grande come il libro, le Sante Specie e il cucchiaino per la comunione, il labìs, o pinzette "per i divini carboni ardenti". Questo cucchiaino era d'argento, sempre molto pulito e luccicante, ma talmente usato che da una parte ne mancava. Esso è sempre servito solo per la comunione; lo si posa sulle labbra del fedele, con il pane bagnato nel vino, che sono il Corpo e il Sangue di Cristo... ero estremamente emozionato al pensiero che con esso anch'io avrei distribuito il Corpo e il Sangue di Dio. Il libro delle preghiere, la custodia delle Sante Specie e il cucchiaino erano avvolti nell'epitrakèlion e riposti nella borsa. L'epitrakèlion o stola, è l'ornamento primo che testimonia della dignità, del potere e della grazia sacerdotale. Letteralmente, epitrakèlion significa "sul collo" o "attorno al collo". Consiste in una lunga striscia di stoffa di lino o di seta, larga sei centimetri, che il sacerdote porta attorno al collo e le cui estremità ricadono in avanti, fin sotto il ginocchio. Queste due strisce che ricadono in avanti sono tenute insieme da dei bottoni, delle fibie o da una cucitura. In generale, esse sono ricamate con sette croci e con immagini di santi, e terminano con delle frange. L'epitrakèlion o stola simboleggia anzitutto il giogo di Cristo, che ogni sacerdote deve portare sulla terra. A causa di ciò, per ogni ufficio sacerdotale, anche per il più breve, il sacerdote deve portare attorno al collo "il giogo", l'epitrakèlion. Le frange simbolizzano le anime dei fedeli. L'epitrakèlion rappresenta il giogo di Cristo, ma rappresenta anche la grazia di Dio, effusa sul sacerdote, e il potere dello Spirito Santo, il potere sacerdotale. Per richiamare questa grazia e questo potere discesi dall'alto e riversati su di lui, il sacerdote, mettendo la stola attorno al collo prima dell'ufficio, recita ogni volta questa preghiera: "Benedetto sia Dio, che versa la sua grazia sui suoi sacerdoti, come il profumo effuso sulla testa di Aronne discese sulla sua barba e sulla frangia del suo vestito".... Il prete non può mai celebrare senza avere attorno al collo il giogo del sacerdozio. Se un prete si trova rinchiuso in una prigione o in un campo di concentramento, e se è spogliato di tutto, prima di celebrare deve trovare una stola, un giogo, un epitrakèlion. Deve strappare la sua tonaca o la sua camicia, farne una striscia che benedirà e metterà attorno al collo, a modo di epitrakèlion. E se il sacerdote non può trovare una striscia, allora deve utilizzare, come stola una corda. Qualsiasi corda. E servirà validamente da stola, da epitrakèlion, da ornamento sacerdotale (cf Simeone di Tessalonica). Nel corso dei secoli passati, i miei antenati, i sacerdoti di Petrodava, hanno dovuto passare una buona parte della loro vita, con i loro parrocchiani, rifugiati sulle rocce, nelle foreste e negli anfratti selvaggi dei loro Carpazi, a causa degli invasori dall'est. Lassù, vicini al cielo, i sacerdoti, come ornamento sacerdotale per i battesimi, per i funerali, per la comunione, non potevano fare altra cosa che prendere la corda che attaccava i loro cavalli e mettersela attorno al collo. Era il loro unico ornamento sacerdotale. Guardando dall'alto del cielo, gli angeli, che sono i cerimonieri della Chiesa, non sono mai rimasti scandalizzati e non hanno mai sorriso; semplicemente, hanno asciugato una lacrima alla vista di quei poveri preti proletari, con i piedi nudi nella montagna moldava, e che utilizzavano la corda dei loro animali come ornamento sacerdotale. Dopo la seconda guerra mondiale, migliaia e migliaia di preti, della mia famiglia e del mio popolo, sono stati impiccati agli alberi dei loro villaggi. Non avevano bisogno di cercare una corda per servirsene da epitrakèlion per dire la loro preghiera prima di morire. I carnefici mettevano loro la stola attorno al collo: la corda e l'ornamento sacerdotale nelle stesso tempo.. Soprattutto l'ornamento sacerdotale. Perché la morte, per un sacerdote, è una promozione: lascia la chiesa terrena, che è una copia, per andare nella cattedrale celeste, dove celebrerà la sublime e divina Liturgia, a fianco del nostro unico vescovo, il Signore Gesù Cristo.

sacerdotepresbiterostola

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inviato da Qumran2, inserito il 23/01/2012

ESPERIENZA

2. Le Messe più belle

Cardinale F.X. Nguyen Van Thuan

Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: "Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! [...] Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. [...] Erano le più belle Messe della mia vita.

F.X. Nguyen van Thuan, vietnamita, quando era Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento. Questo è quello che disse a proposito della celebrazione eucaristica.

eucaristiamessasacrificio

inviato da Qumran2, inserito il 16/07/2009

ESPERIENZA

3. Jacques Fesch: la drammatica storia di un giovane moderno   1

Chi è Jacques Fesch? E' un giovane moderno, che a 24 anni commette un terribile delitto, epilogo di una vita vuota e senza ideali, piena di egoismo e di capricci. Ecco una veloce cronaca del delitto. Il 24 febbraio 1954 Jacques entra al mattino nel negozio di un cambiavalute e ordina un quantitativo d'oro. L'uomo si fida perché sa che alle spalle del giovane c'è un opadre facoltoso che può pagare. Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacquaes torna per prelevare l'oro e approfittando di un momento di disattenzione del cambiavalute lo colpisce alla testa con il calcio della pistola del padre. Il cambiavalute reagisce urlando. Jacques fugge e si nasconde in un palazzo vicino fino a che è riconosciuto da un polizziotto accorso sul posto. All'ingiunzione di fermarsi Jacques spara e uccide l'agente di polizia. Intervengono poi altri agenti che lo catturano.

Perché questo delitto assurdo? Jacques voleva aprire una propria attività e chiede un grosso prestito al padre che glielo rifiuta. Sa che il figlio ha le mani bucate! Allora Jacques decide di compiere una rapina: di procurarsi i soldi con l'inganno.

Che cosa accade in carcere? Viene raggiunto dal cappellano ma egli lo rifiuta dicendo: "Io non ho la fede e non ho bisogno di lei!". Passano i giorni, chiuso tra quattro pareti, solo con la sua disperazione. Ma una notte: "Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo. Ora quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita per le conseguenze del mio delitto; ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello di soccorso: "Mio Dio, Mio Dio aiutami!". E instantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia dove viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola! Ho creduto e non capivo più come avessi fatto prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace". Quella notte Jacques udì una voce che gli diceva: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Una frase per lui incomprensibile, il cui senso capirà più tardi.

Inizia una nuova vita in Cristo. Il cambiamento di questo giovane è qualche cosa di straordinario: è una testimonianza di quanto Dio può operare. "Ora veramente ho la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un uomo morto!". Jacques organizza la vita in prigione come la vita in un monastero: si dà un orario per la preghiera, legge libri religiosi e la Bibbia, scrive lettere per dare conforto ai suoi famigliari, che stanno vivendo una grossa crisi, vuole soprattutto poter vivere per riparare il male fatto.

Arriva il giorno del processo: il 3 aprile 1957 si apre il processo che si conclude con la sua condanna a morte. In quel momento capisce la frase: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Jacques dopo un iniziale smarrimento vive la sentenza e la condanna come una vocazione ad amare fino in fondo la croce di Gesù. Egli desidera prepararsi spiritulamente alla sua morte e desidera salutare da vero cristiano tutti coloro che lo hanno amato e coloro a cui ha fatto del male. Scrive alla moglie e alla sua piccola figlia di 6 anni, si mette in contatto, tramite il suo avvocato anche con la famiglia del gendarme che lui ha ucciso per chiedere il perdono. Nonostante il grande cambiamento di vita che stupisce lo stesso presidente della Repubblica a cui era stata inoltrata la domanda di grazia, la sentenza viene confermata per il 30 settembre.

Le ultime ore: l'attesa dell'incontro con Gesù. "Ancora soltanto qualche ora di lotta, prima di conoscere Colui che è l'Amore. Oggi sarò in cielo. Cara mamma, innanzi tutto ti devo dire un grosso grazie per tutto l'amore di cui mi hai circondato in questi ultimi mesi... Tu sai che Gesù ha detto nel suo vangelo: Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. Con queste righe io ti affido la mia bambina e mia moglie. Proteggile assiduamente. Amale in Dio e sii certa che di lassù io vi proteggerò e veglierò su di voi...". Alle 5,30 del mattino del 30 settembre le guardie carcerarie che sono veute a prenderlo per l'esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. Si confessa e riceve l'Eucarestia. Abbraccia il crocefisso e si avvia verso la ghigliottina... Le ultime sue parole: "Signore non abbandonarmi, io confido in te!".

confessioneconversionecambiare vitapeccatomisericordia di Dio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 13/12/2005