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TESTO

21. Miseria e misericordia

Françoise Mauriac, Souffrance et bonheur du chrétien

Tra l'Agnello di Dio e la miseria non esiste abisso che la misericordia non possa colmare.

miseriamisericordiapeccatoperdonoagnello di Dioredenzionesalvezza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 08/02/2016

TESTO

22. Il vaso di creta

Giuseppe Impastato s.i.

Si è rotto quel vaso di creta,
è caduta l'anfora e si è spezzata.
Il saggio butta via
e distrugge
ciò che ormai è inutile.
Il vaso e l'anfora sono ormai
frantumi...

Ma Dio raccoglie la polvere,
riprende in mano l'argilla,
la lavora con cura,
e dalla creta trae un bimbo,
l'Uomo,
il nuovo vero Adamo.

Tutto ora è sacro.

misericordiacreazionenuova creazioneredenzionesalvezzaperdono

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/02/2016

TESTO

23. Il nome di Gesù

suor Chiara Carla Cabras, osc, La preghiera del cuore, dalla rivista "Gesù confido in Te"

Il nome di Gesù libera, salva, guarisce, caccia lo spirito del male, conduce ad ampi spazi di libertà, a nuove ragioni di speranza, a terre inesplorate dell'amore, purifica il nostro cuore e lo rende nuovo, lo fa passare dalla "sclerocardia" (durezza del cuore) alla tenerezza e misericordia; rende il cuore docile, malleabile, pronto a fare la volontà di Dio. Il cuore che conosce il nome di Gesù sarà anche tutto tenerezza e amore, dolcezza, forza e misericordiosa compassione.

nome di Gesùmisericordiaamorepreghieracuoresperanzagioiavolontà di Diotenerezzapurificazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefano Molisso, inserito il 03/02/2016

TESTO

24. L'operatore di pace

Valentino Salvoldi

L'operatore di pace è figlio di Dio:
ama come Cristo, porgendo l'altra guancia a chi lo percuote.
E con gioia testimonia
che la verità senza carità non viene da Dio.
La giustizia senza misericordia non viene da Dio.
La lotta senza contemplazione non viene da Dio.
Perché "Dio è amore".

Scarica la raccolta completa di preghiere e testi di don Valentino Salvoldi

operatore di pacepacemisericordiamitezza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Valentino Salvoldi, inserito il 16/06/2015

TESTO

25. Povero fratello Giuda   3

Primo Mazzolari, Bozzolo, Giovedì Santo 1958

Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell'anima io non lo so. È uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore.

Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po' di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: "Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo!" Amico! Questa parola che vi dice l'infinita tenerezza della carità del Signore, vi fa anche capire perché io l'ho chiamato in questo momento fratello. Aveva detto nel Cenacolo non vi chiamerò servi ma amici. Gli Apostoli son diventati gli amici del Signore: buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono sempre gli amici. Noi possiamo tradire l'amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore...

Povero Giuda. Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il Cristo; è quello di disperare. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui. Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda...

Io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l'ultimo momento, ricordando quella parola e l'accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni...

speranzaperdonoconversionepeccatomisericordiarapporto con Diotradimentodisperazionegiovedì santo

4.6/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 21/06/2014

TESTO

26. La misura del tuo perdono

Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto

La misura del tuo perdono, a chi ti ha fatto un torto, non sia la condiscendenza. Corri da lui, rialzalo, abbracciandolo. Con la forza di Dio, abbi amore per lui.

perdonomisericordia

3.5/5 (2 voti)

inviato da Eremo San Biagio, inserito il 14/05/2014

TESTO

27. Per entrare in Paradiso   2

Arturo Paoli

Al termine di una vita passata nella santità, come al termine di una vita di delitti, la modalità per entrare in paradiso è una sola: Signore, abbi pietà di me, perché sono un peccatore.

pentimentomisericordia di Dioparadisosalvezzaumiltà

4.3/5 (4 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 04/01/2013

TESTO

28. Dio ama ciò che è perduto   3

Dietrich Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita

Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi entra dentro (...) Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l'insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono "perduto", lì egli dice "salvato"; dove gli uomini dicono "no", lì egli dice "sì".

Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono "spregevole", lì Dio esclama "beato".

Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima.

Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.

amore di Diovicinanza di Diomisericordia di Diogratuitàvicinanza

4.0/5 (6 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 23/09/2012

TESTO

29. Incontrare Gesù   4

Henri J. M. Nouwen

Tu cerchi il modo di incontrare Gesù. Cerchi di incontrarlo non solo con la mente, ma anche nel tuo cuore. Ricerchi il suo affetto, e sai che questo affetto implica tanto il suo cuore quanto il tuo. Ma rimane in te qualcosa che impedisce questo incontro.

Vi sono ancora tanta vergogna e tanta colpa incrostate nel tuo cuore, che bloccano la presenza di Gesù. Non ti senti pienamente a tuo agio nel tuo cuore; lo guardi come se non fosse un luogo abbastanza buono, abbastanza bello o abbastanza puro per incontrare Gesù.

Quando guardi con attenzione alla tua vita, vedi quanto sia stata afflitta dalla paura. Non riuscirai ad incontrare Gesù finché il tuo cuore rimane pieno di dubbi e di paure. Gesù viene a liberarti da questi legami e a creare in te uno spazio nel quale puoi stare con lui. Egli vuole che vivi la libertà dei figli di Dio.

Non disperarti, pensando di non poter cambiare te stesso dopo tanti anni. Entra semplicemente come sei alla presenza di Gesù. Tu non puoi renderti diverso. Gesù viene a darti un cuore nuovo, uno spirito nuovo, una nuova mente e un nuovo corpo. Lasciati trasformare dal suo Amore solo così sarai capace di ricevere il suo affetto nell'interezza del tuo essere.

incontrorapporto con Dioaccettazionemisericordiaperdonoserenitàpaura

4.5/5 (6 voti)

inserito il 21/09/2012

TESTO

30. Decalogo della bontà   2

attribuito a Papa Giovanni XXIII

1. Essere buono è dimenticare se stessi per pensare agli altri.

2. Essere buono è perdonare sempre, pensando che la debolezza umana è più grande della cattiveria.

3. Essere buono è avere pietà della debolezza altrui, pensando che noi non siamo diversi dagli altri e che, nelle loro condizioni, forse saremmo stati peggiori.

4. Essere buono è chiudere gli occhi davanti all'ingratitudine.

5. Essere buono è dare anche quando non si riceve, sorridendo a chi non comprende o non apprezza la nostra generosità.

6. Essere buono è sacrificarsi, aggiungendo al peso delle nostre pene di ogni giorno, quello delle pene altrui.

7. Essere buono è tenere ben stretto il proprio cuore, per riuscire a soffocare le sofferenze e a sorridere costantemente.

8. Essere buono vuol dire accettare il fatto poco simpatico che più doneremo, più ci sarà domandato.

9. Essere buono è acconsentire a non avere più nulla riservato a noi stessi, tranne la gioia della coscienza pura.

10. Essere buono è riconoscere con semplicità che davvero buono è solo Dio.

bontàgenerositàmisericordiamagnanimitàsacrificiosorrisogratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 23/08/2012

TESTO

31. Perdonare   5

San Giovanni Crisostomo

Niente ci rende tanto simili a Dio quanto l'essere sempre disposti a perdonare.

perdonomisericordiamisericordia di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 25/07/2012

TESTO

32. E' risorto... non è qui...

Carla Zichetti

Dove sei Signore?
Rivelati anche a me.
Ho gli occhi, ma non ti vedo,
odo, ma non ti sento,
ti cerco ma non ti trovo.
Dove sei Signore?

Sono dove tu non vuoi andare,
dove tu non vuoi vedere,
dove tu non vuoi sentire,
dove tu non vuoi perdonare;
non mi trovi perché cerchi solo te,
la tua stima, le tue sicurezze,
le tue soddisfazioni e ricompense.
Mi troverai soltanto quando ti deciderai
a non pensare solo a te, ma a me,
che sono nel posto dove ti ho salvato:
sulla Croce.
Vieni, lì troverai me,
la mia misericordia,
la mia e la tua risurrezione.
Ti aspetto e sarai beata.

fedecrocepresenza di Diorisurrezioneresurrezione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Carla Zichetti, inserito il 24/06/2012

TESTO

33. Passato, presente e futuro

Francesco di Sales

Bisogna abbandonare il passato alla misericordia di Dio, il presente alla nostra fedeltà e il futuro alla divina Provvidenza.

Presentepassatofuturomisericordia di Dioprovvidenza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 21/04/2012

TESTO

34. L'assoluzione del ladrone

Ambrogio di Milano, Inno 9,1-4

Questò è il vero giorno di Dio,
radioso di santa luce
nel quale il sangue divino
lavò i turpi peccati del mondo,
ridando fiducia ai peccatori,
iluminando la vista dei ciechi.

Chi non libera dal grave timore
l'assoluzione del ladrone
il quale, con un breve atto di fede conquistò Gesù,
mutando la croce in premio, e, con celere passo,
precedette i giusti nel regno di Dio?

Persino gli angeli rimangono stupiti
davanti a quest'opera,
osservando il supplizio del corpo
e vedendo il peccatore,
con la sua adesione a Cristo,
conquistare la vita beata.

Pasquaresurrezionerisortoperdonomisericordia di Diobuon ladrone

3.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

TESTO

35. Convertitevi e credete al Vangelo   1

K. Ware, Agenda Missionaria

Pentimento non è auto compassione o rimorso, ma conversione, incentrare la nostra vita sulla Trinità.
Non è guardare indietro con disgusto, ma avanti con speranza.
Non significa guardare in basso ai nostri errori, ma in alto all'amore di Dio.
Non significa guardare ciò che non siamo riusciti a essere, ma ciò che - per grazia divina - possiamo diventare.

conversionecredereottimismoveritàcambiamentosperanzamisericordia di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 07/04/2012

TESTO

36. Ghiaccio pericoloso

Don Luciano, web

Qualche anno fa ci fu un incidente aereo all'aeroporto "Catullo" di Verona. Lo ricordo ancora adesso, a distanza di tempo, per la causa che provocò il disastro. L'aereo apparteneva alla compagnia di bandiera rumena ed era diretto a Bucarest, ma precipitò subito dopo il decollo. La causa? Ghiaccio sulle ali. Era inverno e la ripulitura delle ali dal ghiaccio è parte della procedura ordinaria di manutenzione dell'aereo a terra prima del decollo. Ma, per tagliare le spese, la compagnia aerea si era rifiutata di pagare per questo servizio. Per quanto possa essere sorprendente, uno strato di ghiaccio sulle ali aggiunge quel tanto di peso che basta per impedire all'aereo di volare. Interrompe il flusso d'aria che mantiene l'aereo in volo, e comincia a perdere quota. Per risparmiare un po' di soldi non si è fatta un'operazione di sicurezza indispensabile, lasciando che si formasse del ghiaccio sulle ali - sapendo che si andava facilmente incontro a un disastro!

Non c'è bisogno che ci sia davvero molto ghiaccio sulle ali per provocare la perdita di quota di un aereo. Non c'è bisogno che ci sia molto ghiaccio sulla tua anima perché tu cominci a perdere quota - cominci a precipitare spiritualmente.

La Parola di Dio ci indica chiaramente alcuni comportamenti e reazioni che provocano uno strato di ghiaccio sul tuo cuore. In Efesini 4, 26 e seguenti, l'apostolo Paolo dice: «Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira». Basta che si accumuli un po' di ira, di risentimento sul tuo cuore - problemi con gli altri che non si vogliono affrontare e risolvere immediatamente - e scatta il pericolo. Quanto pericolo? Tanto quanto uno strato di ghiaccio sulle ali di un aeroplano. Fa precipitare il tuo rapporto con Dio e con gli altri. Senti come Dio continua: «E non date occasione al diavolo». Una rabbia che non si vuole risolvere, basta che duri anche solo un giorno, è sufficiente per aprire la porta al diavolo e farti precipitare!

Poi Dio ti parla della manutenzione, ossia ti dice che azioni radicali devi prendere per sconfiggere quei sentimenti distruttivi: «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano... Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità». In altre parole, Dio ti dice di farla finita con quel gelo spirituale che si è addensato sulla tua vita! Spazzali via - il risentimento che hai permesso che crescesse dentro di te... la gelosia... la mancanza di perdono... l'invidia... la rabbia.

Ma Dio sa bene che non puoi rimuovere il ghiaccio dalla tua anima senza rimpiazzarlo con qualcosa che dà calore. Così lui ti dice di trattare le persone che ti fanno arrabbiare o ti feriscono, esattamente nella maniera opposta con cui ti verrebbe spontaneo trattarle. Dio ti dice: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo».

Le ultime parole sono la chiave di tutto: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo». Devi prendere la convinta decisione di rimuovere tutti i muri fra te e gli altri, trattandoli non come loro hanno trattato te - ma con pazienza e misericordia. Fino a quando non chiedi intensamente a Dio la grazia di perdonare quella persona... di trattarla con compassione e gentilezza - continuerai a perdere quota. E alla fine il peso del ghiaccio sul tuo cuore ti farà precipitare.

Sii vigilante in modo che non si formi ghiaccio sul tuo cuore, come è successo sulle ali di quell'aereo a Verona. Non permettere nemmeno per un solo giorno che se ne formi uno strato! Se lo fai, alla fine quella pellicola di gelo farà precipitare il rapporto che hai con qualcuno, il tuo matrimonio, la famiglia, le attività, un servizio che stai facendo. Farà precipitare il tuo rapporto con Dio. Ed è un prezzo troppo alto da pagare per un sottile strato di ghiaccio!

pace

inviato da Lisa, inserito il 06/07/2011

TESTO

37. Misericordia

Claude Geffré

Se Gesù nel Vangelo ama di un amore del tutto particolare i peccatori, non è certo a causa del loro peccato, ma perché hanno bisogno di essere perdonati e guariti, perché sono disponibili all'amore di Dio.

perdonomisericordia di Diomisericordiapeccatoguarigione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 14/06/2011

TESTO

38. Siamo vicini al Venerdì santo e alla Pasqua

Dietrich Bonhoeffer

Siamo vicini al Venerdì santo e alla Pasqua,
ai giorni delle azioni strapotenti
compiute da Dio nella storia;
delle azioni nelle quali il giudizio di Dio e la grazia di Dio
divennero visibili a tutto il mondo:
giudizio in quelle ore,
in cui Gesù Cristo,
il Signore, pendette dalla croce.
Grazia in quell'ora,
in cui la morte fu inghiottita dalla vittoria.
Non gli uomini hanno fatto qui qualcosa,
no, soltanto Dio lo ha fatto.
Egli ha percorso la via verso gli uomini
con infinito amore. Ha giudicato
ciò che è umano.
E ha donato grazia
al di là del merito.
(11 marzo 1928)

pasquavenerdì santomisericordiagrazia

4.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2011

TESTO

39. Testamento spirituale di frère Christian   1

Padre Christian de Chergé, Testamento spirituale

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l'unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell'indifferenza dell'anonimato.

La mia vita non ha più valore di un'altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell'attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno «grazia del martirio», il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'Islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell'Islam che un certo islamismo incoraggia. E' troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa: sono un corpo e un'anima. L'ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: «Dica adesso quel che ne pensa!». Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'Islam come lui li vede, completamente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell'ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc'Allah.

Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994

Testamento spirituale di Padre Christian de Chergé del Monastero di Tibhirine.

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, sette dei nove monaci che formavano la comunità del monastero di Tibhirine, fondato nel 1938 vicino alla città di Médéa 90 km a sud di Algeri, furono rapiti da un gruppo di terroristi. Il 21 maggio dello stesso anno, dopo inutili trattative, il sedicente «Gruppo Islamico Armato» ha annunciato la loro uccisione. Il 30 maggio furono ritrovate le loro teste, i corpi non furono mai ritrovati.

testamento spiritualeperdonopeccatomisericordiaodioislamvitamorte

3.7/5 (3 voti)

inserito il 07/01/2011

TESTO

40. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

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inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

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