I tuoi ritagli preferiti

Tutti i ritagli

Indice alfabetico dei temi

Invia il tuo ritaglio

Hai cercato figli della luce tra i ritagli lunghi

Hai trovato 28 ritagli

Ricerca avanzata
tipo
parole
tema
fonte/autore

Pagina 1 di 2  

TESTO

1. Auguri di Natale non in serie

don Tonino Bello

Carissimi,
formulare gli auguri di Natale dovrebbe essere la cosa più semplice di questo mondo. Invece, quest'anno sto provando tanta difficoltà. Ho scritto e riscritto cento volte l'attacco di questa lettera, ma mi è parso di dire sempre delle cose estremamente banali. Come sono banali certi presepi bell'e confezionati che si acquistano ai grandi magazzini. Saranno anche attraenti con i loro svolazzi di angeli e con i loro muschi di plastica. Ma sono freddi. Perché fatti in serie.
Ecco: è proprio la «serialità» che mi mette in crisi. Ho l'impressione, cioè, di esporre anch'io la mia merce preconfezionata, e poi lasciare che ognuno si serva da solo, come nei self-service di certi ristoranti.
È qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.

Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immobilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto diverso che dire Buon Natale a te, Franco, che hai fatto spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura sciistica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, dove hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella Notte Santa, anzi, ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti accanto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella cometa non la vedi perché non hai tempo per pensare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani dove consumi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce sufficiente a dar senso alla tua vita.

Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha firmato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nuziale suprema di Dio che prende in sposa l'umanità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'incarnazione. A te, Rosaria, invece, che per la prima volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, occorrerà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria. E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bambino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.

Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia ma anche tanto lontano con l'ateismo che professi, è molto diverso che dire buon Natale a te, don Donato, che le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'asino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve essere pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi davanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio forzare la tua coscienza: ma sei proprio sicuro che, quel bambino non abbia nulla da dirti, e che questo mistero (che tu vorresti confinare tra le favole) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlemme la sua sorgente e il suo estuario.

Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di percorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il momento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli auguri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti dicono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai neppure. Buon Natale, Antonietta. Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da sola davanti alla culla, e in quel pianto tu possa sperimentare le stesse emozioni di quando la semplice carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.

Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Piero, che in carcere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai combinate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi restituisca la salute del corpo e quella dello spirito.

Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta vedova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profughi albanesi che vivono insieme nella casa di accoglienza. A te, Sahid, che guardi alla televisioni gli spettacoli dell'Unicef sui bambini irakeni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi figli che hai lasciato in Tunisia.

Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divine, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessuno tirerà indietro la sua.

Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno avverte, chi sa per quale mistero, che di quel bambino «avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia», una volta che l'ha conosciuto, non può più fare a meno.

nataleincarnazionesofferenzadisperazionesperanzasolidarietàsolitudinericercaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inserito il 19/02/2018

TESTO

2. Sognare   1

Gianni Fanzolato, Da Loreto nell'anno della misericordia 2015-2016

Chiudo gli occhi e mi butto fra le braccia della fantasia: e sogno.
Sognare è l'unico tesoro che nessuno ti può rubare e non costa niente.
Il sogno è il volo dell'anima, è passare il limite, è sfiorare la mente di Dio;
ti prende, ti circonda, ti sprona, ti affascina, ti strega e ti proietta all'infinito.

Che meraviglioso sognare un mondo dove tutti si abbracciano, mano nella mano,
e l'amore di ognuno fa crollare i muri, rompe barriere, spezza le guerre e semina pace.
Ma il sogno si fa duro, perché devo entrare nel cuore di tutti per dare la buona notizia
di quel sognatore che ci ha detto: "amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi".

E' bello sognare che ci sono più abbracci che bombe, più mani tese che armi puntate,
più gente che accoglie che bambini smarriti e annegati nei mari di un mondo diviso.
Cosa costa chiudere gli occhi e vedere che tutti i bambini della terra, di ogni colore
stanno facendo un grande girotondo, un arcobaleno di luce, perché amati da Dio.

Chi mi può rubare il fascino del sogno di Dio di fare del mondo una unica famiglia
dove non si guarda il colore, non c'è passaporto, ma basta la dignità di figli di Dio.
Mi possono togliere la libertà, impedire di parlare, ma non la sfida di volare in alto.
Dio mi sussurra la gioia di essere missionario della sua misericordia e mi accarezza.

Gesù, il grande sognatore che ha cambiato il sogno in un nuovo stile di vita,
si è identificato col migrante, col prigioniero, con l'ammalato, con chi ha fame.
"Ma, Signore, quel che tu dici è sogno, è utopia, la vita è dura, ad ognuno la sua pena."
"Se hai amore, mi vedrai presente nel povero, migrante e il sogno si farà benedizione."

Solo adesso, Signore, ho capito che devo aprire gli occhi, perché il sogno è reale;
ho sognato perché ho volato vicino a Te che mi hai trasmesso la forza di osare.
Sono una goccia d'amore nell'oceano del mondo, sogno e son desto, immerso nell'utopia
di Te che ci vuoi abbraccio, perdono, ponte e famiglia in un mondo possibile.

misericordiagiustiziaaccoglienzamigranti

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 25/08/2016

TESTO

3. Un libro come fuoco - Papa Francesco ai giovani   4

Papa Francesco, Quaderno N°3972 del 2015/12/26 - Civiltà Cattolica IV 519-654

Miei cari giovani amici,

se voi vedeste la mia Bibbia, forse non ne sareste affatto colpiti. Direste: «Cosa? Questa è la Bibbia del Papa? Un libro così vecchio, così sciupato!». Potreste anche regalarmene una nuova, magari anche una da 1.000 euro: no, non la vorrei. Amo la mia vecchia Bibbia, quella che ha accompagnato metà della mia vita. Ha visto la mia gioia, è stata bagnata dalle mie lacrime: è il mio inestimabile tesoro. Vivo di lei e per niente al mondo la darei via.

La Bibbia per i giovani, che avete appena aperto, mi piace molto: è così vivace, così ricca di testimonianze di santi, di giovani, che fa venir voglia di leggerla d'un fiato, dall'inizio fino all'ultima pagina. E poi...? Poi la nascondete, sparisce sul ripiano di una libreria, magari dietro, in terza fila, finendo per riempirsi di polvere. Finché un giorno i vostri figli la venderanno al mercatino dell'usato. No: questo non può essere!

Voglio dirvi una cosa: oggi, ancor più che agli inizi della Chiesa, i cristiani sono perseguitati; qual è la ragione? Sono perseguitati perché portano una croce e danno testimonianza di Cristo; vengono condannati perché possiedono una Bibbia. Evidentemente la Bibbia è un libro estremamente pericoloso, così rischioso che in certi Paesi chi possiede una Bibbia viene trattato come se nascondesse nell'armadio bombe a mano!

Mahatma Gandhi, che non era cristiano, una volta disse: «A voi cristiani è affidato un testo che ha in sé una quantità di dinamite sufficiente per far esplodere in mille pezzi la civiltà tutta intera, per mettere sottosopra il mondo e portare la pace in un pianeta devastato dalla guerra. Lo trattate però come se fosse semplicemente un'opera letteraria, niente di più».

Che cosa tenete allora in mano? Un capolavoro letterario? Una raccolta di antiche e belle storie? In tal caso, bisognerebbe dire ai molti cristiani che si fanno incarcerare e torturare per la Bibbia: «Davvero stolti e poco avveduti siete stati: è solo un'opera letteraria!». No, con la Parola di Dio la luce è venuta nel mondo e mai più sarà spenta. Nella mia esortazione apostolica Evangelii gaudium ho scritto: «Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente "Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso". Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata» (n. 175).

Avete dunque tra le mani qualcosa di divino: un libro come fuoco, un libro nel quale Dio parla. Perciò ricordatevi: la Bibbia non è fatta per essere messa su uno scaffale, piuttosto è fatta per essere tenuta in mano, per essere letta spesso, ogni giorno, sia da soli sia in compagnia. Del resto in compagnia fate sport, andate a fare shopping; perché allora non leggere insieme, in due, in tre o in quattro, la Bibbia? Magari all'aperto, immersi nella natura, nel bosco, in riva al mare, la sera al lume di una candela... farete un'esperienza potente e sconvolgente. O forse avete paura di apparire ridicoli di fronte agli altri?

Leggete con attenzione. Non rimanete in superficie, come si fa con un fumetto! La Parola di Dio non la si può semplicemente scorrere con lo sguardo! Domandatevi piuttosto: «Cosa dice questo al mio cuore? Attraverso queste parole, Dio mi sta parlando? Sta forse suscitando il mio anelito, la mia sete profonda? Cosa devo fare?». Solo così la Parola di Dio potrà dispiegare tutta la sua forza; solo così la nostra vita potrà trasformarsi, diventando piena e bella.

Voglio confidarvi come leggo la mia vecchia Bibbia: spesso la prendo, la leggo per un po', poi la metto in disparte e mi lascio guardare dal Signore. Non sono io a guardare Lui, ma Lui guarda me: Dio è davvero lì, presente. Così mi lascio osservare da Lui e sento - e non è certo sentimentalismo -, percepisco nel più profondo ciò che il Signore mi dice.

A volte non parla: e allora non sento niente, solo vuoto, vuoto, vuoto... Ma, paziente, rimango là e lo attendo così, leggendo e pregando. Prego seduto, perché mi fa male stare in ginocchio. Talvolta, pregando, persino mi addormento, ma non fa niente: sono come un figlio vicino a suo padre, e questo è ciò che conta.
Volete farmi felice? Leggete la Bibbia.

Vostro Papa Francesco

È la versione italiana della prefazione scritta dal Pontefice per una edizione della Bibbia destinata ai giovani, i quali hanno collaborato a discutere e scriverne i commenti (Bibel. Jugendbibel der Katholischen Kirche): vedi qui l'articolo su Civiltà Cattolica.

bibbiaparola di DioSacra Scritturapreghieratestimonianza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Centro Missionario Guanelliano, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

4. Maria donna del cammino

Antonio Rungi

Vergine Santa, che hai percorso territori sconfinati, dalla Palestina all'Egitto, e seguendo le orme del Tuo Figlio non ti sei risparmiata nessun cammino, proteggi coloro che, per terra, cielo e mare sono in viaggio per qualsiasi motivo che li spinge a lasciare i loro luoghi d'origine e camminare senza mete e senza confini.

Tu che hai affrontato il primo viaggio della carità, da Nazareth a Ain-Karin, per andare incontro alla tua anziana cugina, insegnaci ad andare incontro, con generosità, alla vita nascente, agli anziani, agli ammalati e a tutti i sofferenti della Terra.

Tu che sei andata da Nazareth a Betlemme, per dare alla luce il Tuo Figlio Gesù, conforta le madri che soffrono per motivi attinenti la loro vita di nutrici e genitrici.

Tu che sei stata costretta a lasciare, per la violenza e il terrore di Erode, con Gesù e Giuseppe, la tua Nazareth, guarda con amore e proteggi coloro che sono immigrati storici o di questi giorni, che sono senza patria e senza un popolo, e che sono fuggiti via per motivi di fame, lavoro, guerre e violenze di ogni genere.

Tu che sei rientrata in Patria con la tua famiglia naturale, fa' che tutti coloro che desiderano ritornare alla loro casa, vicina o lontana, possono farlo senza alcuna difficoltà.

Tu che hai camminato insieme a Gesù, per celebrare la Pasqua nella Gerusalemme terrena, fa' che anche noi possiamo festeggiare la Pasqua eterna, senza perderci nel lungo o breve viaggio nel tempo e che, con il tuo santo aiuto, passiamo raggiungere per sempre Gesù.

Tu che hai seguito Cristo, nel suo peregrinare per portare la dolce parola del Vangelo alla gente del suo tempo, guidaci nel cammino della nuova evangelizzazione, ora e sempre.

Tu, Stella che conduci la Chiesa nel suo impegno apostolico e missionario in tutto il mondo, illumina gli annunciatori della parola del Signore ad essere veri testimoni di Gesù.

Tu che hai accompagnato il tuo Figlio Gesù lungo la via del Calvario, e ti sei incontrata con Lui, nel mezzo del cammino del suo patire, sii vicino alle tante sofferenze di questa umanità, che va in cerca della vera libertà.

Tu, infine, che hai partecipato alla Risurrezione del Tuo Figlio e sei stata la prima ed unica creatura ad essere elevata al cielo in anima e corpo, donaci la possibilità di sperimentare ogni giorno la gioia e la serenità di chi cammina con il cuore e la mente rivolti al Signore, che è Dio Amore e Padre di misericordia.

Tu Vergine e Donna del cammino, Tu Madre Immacolata e Purissima del Redentore, spingi i nostri cuori incontro al Signore della vita e della storia, perché nessuno dei tuoi figli vada perduto nel carcere eterno dell'inferno.
Amen.

mariamadonnacamminoimmigratimigranti

5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Antonio Rungi, inserito il 24/05/2016

TESTO

5. Lettera dei genitori nel giorno di Battesimo

M. Houbaut, Pour prier avec les sept sacrements, Le Chalet, 1985

Figlio nostro, oggi abbiamo voluto battezzarti in Cristo Gesù,
immergerti nella morte e nella resurrezione del Dio in cui noi crediamo.
In questa lettera, che potrai leggere in seguito, vogliamo dirti perché l'abbiamo fatto.
Non è per importi una scelta che ti abbiamo fatto battezzare,
ma per aprire davanti a te un cammino di libertà
che domani potrai liberamente scegliere di fare tuo.
Abbiamo voluto darti ciò che avevamo di meglio.

Noi crediamo che questo piccolo seme di fede, seminato oggi nel giardino del tuo cuore,
nella luce del giorno e nelle tenebre della notte, germinerà nel segreto della tua vita.
Ti immergiamo oggi nell'oceano di amore di Gesù per darti una forza nuova più grande di te,
sarà il coraggio dei tuoi combattimenti, la chiarezza delle tue scelte, la luce dei tuoi passi.
Per vincere le forze del male essa sarà la tua speranza e la tua gioia.

Abbiamo voluto battezzarti in Cristo perché tu diventi un uomo libero e responsabile
in questo mondo a volte un po' folle.
E soprattutto perché tu diventi un fratello che costruisce,
con Dio, l'avvenire della nostra terra.
Sappi che un giorno potrai anche dimenticare questo dono immortale,
ma rimarrai segretamente segnato dal fuoco del suo appello.

Come la Vergine Maria che offre suo Figlio Gesù nel Tempio,
noi abbiamo voluto portarti sulla soglia della casa del Dio imprevedibile,
deporti tra le braccia della sua Chiesa
e farti entrare nel popolo dei credenti che diventano tuoi fratelli e sorelle.

E quando, domani, non potremo più accompagnarti nel cammino della vita, ti resterà almeno,
scolpita nella fronte e nel cuore, la croce di Cristo vincitore.

È lui infatti, lui solo, il tuo Salvatore e il tuo Signore che traccerà per te un cammino di pace e di libertà.
Al di là delle tue angosce e delle tue miserie, è lui che ti aprirà la casa del Padre e,
al momento della morte, ti darà la sua eternità di amore.

Mamma e Papà

battesimogenitorifigli

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Alessandro Nucci, inserito il 06/02/2016

RACCONTO

6. I due sassi   10

C'erano una volta due sassi di montagna, due fratelli che si erano staccati dalla parrete rocciosa e si erano trovati a terra insieme, vicino ad un ruscello. Un giorno decisero di seguire il corso del ruscello per scendere a valle e vedere la grande città. Così si misero di buon sasso... cioè, di buon passo, e rotola oggi, rotola domani, pian piano si dirigevano verso la città. Uno dei due sassi (il più furbo dei due) di tanto in tanto si tuffava nelle acque del ruscello, si fermava un po' a farsi carezzare dall'acqua, e poi riprendeva il cammino.

"Sbrigati!" gli gridava l'altro, il più sciocco dei due, "Non vedi che resti indietro? E poi, cosa ti fermi a fare nell'acqua?"

"Mi levo un po' di polvere di dosso!", rispondeva quello. "Che stupido che sei! Quando esci di qui, e hai fatto due rotolate sulla terra, sei di nuovo sporco come prima! A che ti serve lavarti, se poi ti sporchi ancora?".

Ma il sasso furbo non gli dava retta. Rotolava un po', poi si fermava, entrava nel ruscello e si faceva lavare. Po tornava sul prato e ricominciava a rotolare. E la cosa bella è che non rimaneva mai indietro! Sì, perché mentre il sasso sciocco, tutto spigoloso e appuntito, faceva una gran fatica a rotolare, e faceva pochi metri per volta, il sasso furbo diventava più rotondo ogni volta che entrava in acqua! Sapete perché? Perché l'acqua, scorrendoli tutta intorno, lo levigava, cioè gli levava ogni volta un po' di pietra di dosso, e lo consumava, così da renderlo liscio e tondo. Così, quando usciva dall'acqua, con poca fatica raggiungeva l'amico sciocco.

Andarono avanti così per un bel pezzo. E ogni volta che il sasso furbo usciva dall'acqua, si accorgeva di essere diventato un po' più piccolo. Entra oggi, entra domani, il sasso furbo stava rimpicciolendo. Il sasso sciocco, che non capiva, lo scherzava ancora di più: "Ecco che cosa ci guadagni a fare il bagno ogni giorno! Se vai avanti di questo passo, fra un po' non ci sarai più! Quell'acqua ti sta uccidendo, ti toglie le forze, e non sei più tu! Ma guardati! Siamo fratelli, figli della stessa montagna! Eravamo uguali, e ora? Tu non sei che un piccolo ciottolo di fiume! Io sì che assomiglio alla grande montagna! Guarda come sono forte!"

Ma un bel giorno, uscendo dall'acqua, il sasso furbo si accorse che ora risplendeva su di lui una strana luce. Era un puntino piccolo piccolo, ma luminoso come il sole. E ogni volta che riemergeva dall'acqua, il puntino luminoso era sempre più grande. Finché, adagio adagio, tutto il suo corpo aveva perduto il colore grigio ed era diventato completamente luminoso e dorato.

Erano ormai giunti in città; il sasso sciocco era identico a quando era partito. Anzi, era ancora più incrostato di polvere e di terra. Il sasso furbo era molto più piccolo, ma tondo e luminoso. Il sasso sciocco si lamentava:" Non capisco proprio che cosa ti abbia ridotto così! Sei mio fratello e quasi non ti riconosco! Ma cosa sei diventato?" (Però era invidioso di quel luccichìo...).

In quell'istante passò accanto a loro un signore con una valigetta in mano. Quando vide i due sassi, si fermò di colpo, si inginocchiò a terra, prese il sasso luminoso, aprì la valigetta e ne estrasse una lente. Osservò attraverso la lente quel piccolo ciottolo, e poi esclamò pieno di gioia: "Ma è una pepita d'oro!". Subito lo avvolse con cura in un panno morbido, lo mise nella valigetta e si incamminò verso il suo negozio in città. Era infatti un gioielliere..
...E... l'altro sasso?...

Rimase solo, vicino al fiume, e finalmente capì: "Che sciocco, sono stato... Ma sono ancora in tempo: mi tufferò nel fiume e mi lascerò levigare fino a che tutto il sasso e le incrostazioni si saranno consumate, e sarò anch'io una pepita d'oro...".

Domande per la comprensione e la catechesi:
1. Anche il sasso sciocco era una pepita? (Sì)
2. Perché il gioielliere ha preso solo il piccolo ciottolo? (Perché era dorato)
3. Perché l'altra pepita era ancora ricoperta di incrostazioni? (Perché non si era mai lavata)
4. Come ha fatto il primo sasso a diventare pepita? (Era entrato tante volte nell'acqua)
5. Cosa rappresenta il fiume? (La misericordia di Dio e il sacramento della Riconciliazione)

confessionericonciliazionecrescitacambiamentomiglioramento

4.5/5 (4 voti)

inviato da Maria Cristina Cattaneo, inserito il 14/04/2014

PREGHIERA

7. Preghiera a Maria alla conclusione del mese di maggio   1

don Sandro Vigani, Gente Veneta, Settimanale della Diocesi di Venezia

Quando ti penso, Maria, vedo una giovane donna
che si prepara al matrimonio,
una figlia d'Israele cresciuta nella fede e nella storia
di un popolo col quale Dio ha intrecciato
una meravigliosa alleanza.
Vedo una donna che sta progettando il proprio futuro,
pensa alla casa, ai figli, allo sposo,
è innamorata della vita e delle tradizioni della propria gente.
E' piena di attese, di curiosità
e forse anche di un po' di timore.

Il Signore è entrato, potente, Maria,
nella casa della tua esistenza, e la storia del mondo
è cambiata per sempre, duemila anni fa,
perché Tu quel giorno hai detto di «sì».
Il vento di Dio ha soffiato forte e mescolato
le carte dei tuoi progetti, come il vento della primavera
a volte alza la sabbia sulla riva del mare.
Penso alla tua paura, Maria, quel giorno.
Alle parole con le quali, stupita,
chiedi conto al messaggero di Dio
di quello che sta accadendo in Te:
«Come è possibile, io non conosco uomo».
E penso alle paure che tante volte
hanno popolato la casa della mia vita,
ai momenti di buio, di dolore, di incertezza.
Alle direzioni così strane
che spesso ha preso la mia strada,
a come il vento di Dio l'ha battuta
e ha scombinato le tracce
che credevo indispensabili per orientami.

Maria, dopo la prima paura ti sei fidata.
O forse ti sei abbandonata, arresa alla voce del Signore
alla quale sentivi di non poter resistere.
Forse non sempre hai capito subito,
ma hai conservato nel tuo cuore
il senso di quello che ti accadeva.
E al tuo cuore hai attinto
negli anni che sono venuti,
mentre accompagnavi tuo figlio Gesù
giorno dopo giorno verso la croce,
finché quel significato si è dispiegato davanti ai tuoi occhi.
Io ho resistito mille volte più di Te a quella voce,
finché sulla mia strada,
sotto la sabbia e la terra delle mie debolezze,
a poco a poco sono comparse
altre tracce più vive e più vere,
che mi parlavano di quanto il tuo Figlio mi amava.

Anche oggi, molte volte, so di resistere a quella voce,
e mi affido alla pazienza di Dio
perché a poco a poco mi aiuti a leggere
nelle pagine della mia vita le parole che scrive per me.

Maria, hai accolto nel tuo grembo il figlio di Dio.
Sei stata ad un tempo madre e figlia.
Mi chiedo come hai vissuto questo duplice ruolo.
Quel figlio che cresceva in te e poi accanto a te,
era tuo ma non ti apparteneva.
Lo amavi come ogni madre,
accarezzavi per lui i tuoi progetti,
mentre lo cullavi tra le tue braccia,
e dovevi ogni giorno distaccarti da lui,
lasciare che andasse per la sua strada dove lo voleva suo Padre.
La vita è fatta anche di molti distacchi.

Maria, io credo che per poter
affrontare i momenti più difficili accanto a Gesù,
Tu abbia avuto nel tuo cuore un'invincibile speranza,
che si era accesa quando il messaggero di Dio
ti aveva assicurato che il Signore
non ti avrebbe mai abbandonata.
Maria, abbiamo il tesoro più grande
che un uomo possa sperare di avere,
la perla per la quale vale la pena vendere tutto,
abbiamo con noi il Signore.
Aiutaci ad accendere la nostra speranza,
perché il fuoco di Dio che non distrugge,
ma dona la vita,
bruci dentro di noi e attorno a noi.
Fa' che comprendiamo che vale la pena di credere,
essere cristiani conviene: così impareremo a guardare
la vita ed il mondo con occhi pieni di luce.

MariaMadonnafiduciaGesù

4.5/5 (2 voti)

inviato da Don Mario Sgorlon, inserito il 11/08/2012

TESTO

8. Il Risorto nella nostra storia

Monaci Benedettini Silvestrini, Auguri pasquali 2011

Quando senti i terremoti violenti scuotere la terra, quando in preda allo spavento vedi lo tsunami dare morte alle persone inermi e travolgere tutto nella distruzione, quando vedi il fuoco bruciare la tua casa, quando vedi infuriare i venti e scatenarsi la tempesta che schianta la foresta dì a te stesso: "Credo che la terra tornerà nella sua immobilità, le acque si calmeranno, la foresta si rifarà e io ricostruirò la mia casa e soprattutto la vita continuerà a vivere perché Cristo è risorto ed è lui l'autore dell'immortalità, lui l'autore della vita".

Quando vedi con terrore che una fonte di energia inventata dagli uomini, diventa contagio, terrore e morte per gli uomini dì a te stesso: "Da quella fonte Cristo era stato escluso e l'umana intelligenza inventa, ma non salva e talvolta diventa il suo sepolcro".

Quando il peccato ti stringe alla gola e ti senti soffocato e finito, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e io risorgerò dal mio peccato, per questo si è immolato sulla croce, per questo io spero il suo perdono".

Quando la vecchiaia o la malattia tenterà di amareggiare la tua esistenza, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e ha fatto cieli nuovi e terra nuova. È lui la mia eterna giovinezza, lui può fare nuova la mia anima".

Quando vedrai tuo figlio fuggire da casa in cerca di avventura e ti sentirai sconfitto nel tuo sogno di padre o di madre, dì a te stesso: "Mio figlio non sfuggirà a Dio e tornerà perché Dio lo ama, perché lo attende da sempre nella tua casa per abbracciarlo e fare festa con te e con lui per il suo ritorno".

Quando vedrai spegnersi la carità attorno a te e vedrai gli uomini come impazziti nel loro peccato e ubriacati dai loro tradimenti, dì a te stesso: "Toccheranno il fondo, ma torneranno indietro perché lontano da Dio non si può vivere e la nostalgia del Padre celeste è irrefrenabile per tutti i figli di Dio".

Quando il mondo ti apparirà come sconfitta di Dio e sentirai la nausea del disordine, della violenza, della litigiosità continua, del terrore, della guerra dominare sulle piazze e la terra ti sembrerà il caos, dì a te stesso: "Gesù è morto e risorto proprio per salvare e, se la imploriamo, la sua salvezza è già presente tra di noi".

Quando tuo padre o tua madre, tuo figlio o tua figlia, la tua sposa, il tuo amico più caro, ti saranno dinanzi sul letto di morte e tu li fisserai nell'angoscia mortale del distacco, dì a te stesso e a loro: "Ci rivedremo nel Regno eterno, ora io intraprendo la via del Risorto, coraggio!".

Questo significa credere nella Resurrezione. Questo significa superare la tentazione, assai frequente ai nostri giorni, di fissare lo sguardo sulla superficie torbida degli eventi e magari incolpare il buon Dio dei terremoti, degli tsunami, dei lutti, delle violenze e di tutto il male che ci circonda, ci umilia e ci affligge, ignari e impenitenti dei nostri peccati.

Significa invece accorgersi con motivata preoccupazione che noi uomini abbiamo abbassato con la colpevole dimenticanza dell'Eterno, con le nostre frivole umane stupidità le dighe e le barriere e ci siamo privati delle corazze personali che formano gli argini e le difese dal male, da quel terribile male che si oppone a Dio e a noi e vorrebbe tutto e tutti chiudere per sempre in un sepolcro di morte e di definitiva distruzione, quelli argini e quelle divine difese, che invece ci difendono, ci aprono alla luce del bene, ci rischiarano la notte dei tempi e ci orientano verso la Luce di quel radioso mattino che illumina tutti i nostri giorni e sempre ci indirizza verso la vita vera, verso la definitiva risurrezione.

Ecco il grande, immenso dono del Cristo risorto, ecco la pasqua di quest'anno e la pasqua di ogni giorno, quella che potremmo chiamare l'albore e la speranza della Vita, la nostra fede. i doni del Risorto, quelli che noi monaci imploriamo e auguriamo con gioia a tutti e a ciascuno di voi.

I Monaci Benedettini Silvestrini del Monastero san Vincenzo Bassano Romano

pasquaresurrezionerisurrezionesperanzafiducia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Monaci Benedettini Silvestrini Di Bassano Romano, inserito il 07/04/2012

TESTO

9. Voglio adottarvi come genitori   3

Michel Quoist

Ascoltami ancora, si dice infatti che dalla bocca dei bambini viene la verità; se sono un bambino sfuggito dal carnaio notturno, trattenuto da un filo d'amore lanciato da chissà dove.

Se sono un bambino caduto dal nido, abbandonato da padre e madre, rapiti o mortalmente feriti alle sbarre della loro gabbia.

Se sono un bambino nudo, senza panni d'amore o con panni imprestati, ma col diritto di vivere, perché sono vivo.

E se nello stesso istante persone innamorate piangono davanti a una culla vuota, consumati nel desiderio di accarezzare un bambino.

Se sono ricchi d'amore che ritengono sprecato, e vogliono gratuitamente donarlo, perché cresca e fiorisca ciò che non hanno piantato.

Allora voglio che vengano silenziosamente a chiedermi se desidero adottarli come miei genitori. Ma non voglio dei fanatici del bambino, come collezionisti d'arte che cercano il pezzo raro che manca alla loro vetrina. Non voglio clienti che hanno fatto l'ordinazione e, pagata la fattura reclamano il loro bebè prefabbricato. Perché non sono fatto per salvare genitori dalle membra amputate, ma loro sono stati fatti, misterioso percorso, magnifico progetto, per salvare dei bambini dal cuore malato, forse anche condannato. E sarà come addormentarci l'un l'altro.

Io berrò il latte di cui ignoravo il sapore, ascolterò musiche sconosciute, imparerò nuove canzoni, sulle vostre dita, sulle vostre labbra genitori adottati, decifrerò lentamente l'alfabeto della tenerezza.

E l'amore sconosciuto per me prenderà il volo alla luce dei vostri occhi. Voi innesterete le vostre vite sulla mia crescita e grazie a voi io rinascerò una seconda volta.

Così sarò ricco di quattro genitori, due lo saranno della mia carne e due del mio cuore e della mia carne cresciuta. Voi non giudicherete i miei genitori sconosciuti, li ringrazierete e mi aiuterete a rispettarli. Perché dovrò riuscire lo so, ad amarli nell'ombra, se un giorno vorrò poterli amare nella luce.

E se in una sera di tempesta, adolescente focoso, impacciato di me stesso, io vi rimprovererò di avermi accolto, non vi addolorate, ma amatemi ancor di più: lo sapete, perché un innesto prenda ci vuole una ferita e, chiusa la ferita, rimane la cicatrice.

Ma io sogno. Io sogno perché non sono che un bambino in viaggio, lontano dalla terra ferma, la mia parola è muta e il canto senza musica.

Ciò che vi dico piano non potrò urlarlo, se non il giorno in cui, avendomi voi adottato, mi avreste messo in cuore tanto amore e autentica libertà, sulle mie labbra parole sufficienti, perché possa dire: papà, mamma, io vi scelgo e vi adotto allora saprete che il vostro amore è dono, e che è riuscito.

adozionefigligenitoriamoregratuitàdonazione

5.0/5 (4 voti)

inviato da Emanuela Pandini, inserito il 11/01/2012

TESTO

10. E' possibile pregare o meditare scandendo i tempi della giornata?   2

Jean-Marie Lustiger, Avvenire del 30/11/2008

Ecco i consigli dell'arcivescovo di Parigi: «Obbligatevi a spezzare il ritmo frenetico delle nostre metropoli. Fatelo sui mezzi pubblici e nelle pause del lavoro». Uno scritto inedito del cardinale Francese morto un anno fa.

Come pregare durante il giorno? La tradizione della Chiesa raccomanda di pregare sette volte al giorno. Perché? Una prima ragione è che il popolo d'Israele offriva il proprio tempo a Dio in sette preghiere quotidiane, in momenti fissi, nel Tempio o almeno voltati verso di esso: «Sette volte al giorno io ti lodo» ci rammenta il salmista (Salmo 118,164). Una seconda ragione è che il Cristo stesso ha pregato così, fedele alla fede del popolo di Dio. La terza ragione è che i discepoli di Gesù hanno pregato così: gli apostoli (vedi Atti 3,1: Pietro e Giovanni) e i primi cristiani di Gerusalemme «assidui nelle preghiere» (vedi Atti 2,42; 10,3-4: Cornelio nella sua visione); poi le comunità cristiane e, più tardi, le comunità monastiche. E così anche i religiosi e le religiose, i preti, sono stati chiamati a recitare o a cantare in sette riprese le «ore» dell'«ufficio» (che significa «dovere», «incarico», «missione» di preghiera), facendo una pausa per cantare i salmi, meditare la Scrittura, intercedere per i bisogni degli uomini e rendere gloria a Dio. La Chiesa invita ogni cristiano a scandire la propria giornata con una preghiera ripetuta, deliberata, voluta per amore, fede, speranza.

Prima di sapere se è bene pregare due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte al giorno, un consiglio pratico: associate i momenti di preghiera a gesti fissi, a punti di passaggio obbligati che scandiscono le vostre giornate.

Per esempio: per coloro che lavorano e in genere hanno orari stabili, esiste pure un momento in cui lasciate il vostro domicilio e vi recate al lavoro... a piedi o in auto, in metropolitana o in autobus. A un orario preciso. E ciò vi prende un determinato tempo, sia all'andata sia al ritorno. Perché quindi non associare dei tempi di preghiera a quelli di spostamento?

Secondo esempio: siete madre di famiglia e rimanete a casa, ma avete dei figli da portare e riprendere a scuola in momenti precisi della giornata. Un altro obbligo che segna una pausa: i pasti, anche se a causa di forza maggiore o cattiva abitudine mangiate solo un panino o pranzate in piedi. Perché non trasformare queste interruzioni nella giornata in punti di riferimento per una breve preghiera?

Sì, andate a cercare nella vostra giornata questi momenti più o meno regolari di interruzione delle occupazioni, di cambiamento nel ritmo di vostra vita: inizio e fine del lavoro, pasti, tempi di viaggio ecc.

Associate a questi momenti la decisione di pregare, anche solo per un breve istante, il tempo di fare l'occhiolino a Dio. Datevi l'obbligo rigoroso, qualunque cosa accada, di consacrare quindi anche solo trenta secondi o un minuto a dare un nuovo orientamento alle vostre diverse occupazioni sotto lo sguardo di Dio.
La preghiera così, pervaderà quanto vi sarà dato vivere.

Quando andate al lavoro forse intanto rimuginate sui colleghi che ritroverete, sulle difficoltà da affrontare in un ufficio in cui lavorate in due o in tre; le personalità cozzano maggiormente quando la vicinanza è troppo stretta e quotidiana. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, fa' che io viva questo rapporto quotidiano nella vera carità. Permettimi di scoprire le esigenze dell'amore fraterno nella luce della Passione di Cristo che mi renderà sopportabile lo sforzo richiesto».

Se lavorate in un grande centro commerciale, forse rimuginerete sulle centinaia di volti che vi scorreranno davanti senza che abbiate il tempo di guardarli. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, ti prego per tutte quelle persone che passeranno davanti a me e alle quali cercherò di sorridere.

Anche se non ne ho la forza quando mi insultano e mi trattano come fossi una macchina calcolatrice».

Insomma, approfittate al meglio, durante la vostra giornata, di questi punti di passaggio obbligati, dei momenti in cui disponete di un po' di margine e vi lasciano, se siete vigili, un piccolo spazio di libertà interiore per riprendere fiato in Dio.

Si può pregare nella metropolitana o sui mezzi pubblici? Io l'ho fatto. Ho utilizzato diversi metodi secondo i momenti della mia vita o le circostanze. Ci fu un tempo in cui mi ero abituato a mettere i tappi nelle orecchie per isolarmi e poter avere un minimo di silenzio, tanto ero esasperato dal rumore. Pregavo così, senza per questo tagliar fuori le persone che mi erano attorno visto che potevo ancora essere presente a essi con lo sguardo, senza però scrutarli, senza fissarli, senza essere indiscreto nel modo di guardarli. Il silenzio fisico dell'orecchio mi permetteva di essere ancora più libero nell'accoglienza. In altri periodi, invece, ho vissuto un'esperienza esattamente contraria. Ognuno di noi fa come può, ma in nessun caso dobbiamo ritenere che sia impossibile pregare.

Ecco un altro suggerimento. Scommetto che lungo il vostro tragitto, dalla stazione della metropolitana o dalla fermata dell'autobus fino a casa o al posto di lavoro, potete incontrare, nel raggio di trecento o cinquecento metri, una chiesa o una cappella (una piccola deviazione vi consentirebbe di camminare un po'). A Parigi si può fare. In quella tal chiesa potete pregare in tranquillità o, al contrario, essere continuamente disturbati; può essere adatta o meno alla vostra sensibilità: questo è un altro discorso. Ma c'è una chiesa con il Santissimo Sacramento. Perciò, camminate per qualche centinaio di metri in più; vi ci vorranno dieci minuti, e un po' d'esercizio non farà male alla vostra linea... Entrate in chiesa e andate fino al Santissimo Sacramento. Inginocchiatevi e pregate. Se non potete di più, fatelo per dieci secondi. Ringraziate Dio Padre per il mistero dell'Eucaristia nel quale siete inclusi, per la presenza del Cristo nella sua Chiesa. Lasciatevi andare all'adorazione con il Cristo, nel Cristo, tramite la forza dello Spirito. Rendete grazie a Dio. Rialzatevi.
Fatevi un bel segno della croce e ripartite.

preghierapregaretempoquotidianitàperseveranzafedeltà nella preghiera

4.7/5 (3 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 05/09/2010

TESTO

11. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

sacerdotepretepresbitericleroanno sacerdotale

inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

RACCONTO

12. Quel Gesù che non ti aspetti

Nardo Masetti

Ogni volta che veniva fuori il discorso fra amici, Giovanni ripeteva che lui in un ricovero per vecchi non ci sarebbe finito. Aveva lavorato tutta una vita con immensi sacrifici, per allevare i figli e li aveva anche sistemati discretamente da un punto di vista economico. Un giorno s'ammalò; niente di grave, una semplice bronchite. Le nuore i figli gli fecero capire che non avevano né il tempo di curarlo convenientemente, e gli dissero che era meglio che andasse nel capoluogo, in una specie di ospedale per un periodo di cura. Ne parlò anche con don Antonio. Il sacerdote gli raccomandò di pregare molto e di stare vicino a Gesù che non abbandona nessuno. Ottavio, che non ne era mai stato praticante, non tenne in alcun conto il consiglio ricevuto. Lo portarono in un grande fabbricato: "Villa Serena", un ricovero per anziani. Non si sarebbe mai aspettato dai suoi figli, un atto del genere.

Da qualche settimana si dava da fare, per attirarsi la simpatia della patronessa delle dame di carità, che visitava spesso l'ospizio: sentiva la necessità di un sorriso, di una parola affettuosa, di qualcuno che avesse il tempo di ascoltare le sue disgrazie. Anche quel giorno la signora si fermò a chiacchierare con gli ospiti della stanza numero quindici. Giovanni aspettava con l'ansia di un bimbo; giunta vicino a lui, uscì senza proferire una parola. Gli altri gli spiegarono che la signora familiarizzava con quelli che andavano a Messa la domenica e al Rosario tutti giorni. Non si sarebbe mai aspettato, da una patronessa della carità un atto del genere.

L'onorevole, data l'imminenza delle elezioni politiche, aveva fatto una calorosa visita all'ospizio. Aveva salutato tutti personalmente e a tutti aveva proclamato che, se un giorno avessero avuto bisogno di lui, non avrebbero dovuto fare altro che salire le scale che portano al suo ufficio. Giovanni era commosso, prima di tutto perché aveva la medesima fede politica dell'onorevole, e poi perché qualcuno lo aveva ascoltato, gli aveva sorriso egli aveva stretto la mano. E un giorno salì quelle scale, poiché sentiva il bisogno di un altro sorriso. L'onorevole gli allungò dieci euro e l'accompagnò alla porta. Rimase tanto sorpreso che non ebbe nemmeno la forza di gettargli in faccia quel biglietto di banca, che ora gli bruciava fra le mani non meno delle lacrime che gli scendevano dagli occhi. Non si sarebbe mai aspettato, da uno del suo partito, un atto del genere.

Nel tornare all'ospizio, passò davanti ad una Chiesa; la porta era spalancata e dentro s'intuiva una frescura invitante. Entrò e, poiché nessuno lo fermò, si trovò proprio davanti all'altare maggiore e al tabernacolo, illuminato da una fioca luce. Si mise a sedere su una panca di legno e si fermò in attesa di calmarsi, poiché, non voleva farsi vedere in quello stato dai colleghi di Villa Serena. Si mise a pensare e a parlare piano… ebbe la sensazione che "Qualcuno" lo ascoltasse con interesse e che non fosse per niente annoiato dalle sue parole. Gli parve, addirittura, che un misterioso personaggio gli aprisse le braccia, per incoraggiarlo ad avvicinarsi ulteriormente; il cuore gli si gonfiò di gioia. Non sapeva nemmeno lui quanto tempo si fosse fermato ma, quando uscì, era certo che uno gli aveva sorriso. Ogni giorno tornò in chiesa e si fermò sempre più a lungo: non si sentiva più solo. Non si sarebbe mai aspettato, da Gesù, un atto del genere.

Gesù vero amico

4.0/5 (1 voto)

inviato da Nardo Masetti, inserito il 30/07/2010

TESTO

13. Il corpo del Signore   1

San Francesco d'Assisi, Ammonizione I, FF 141-145

Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto." Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: "Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio" (Gv 14,6-9).

Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio (cf. 1Tm 6,16; Gv 4,24 e 1,18). Perciò non può essere visto che nello Spirito, poiché è lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla (Gv 6,64 Vg). Ma che il Figlio, in ciò in cui è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il Padre né da come si vede lo Spirito Santo.

Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo Spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tuti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché ne dà testimonianza lo stesso Altissimo, il quale dice: "Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza (che sarà sparso per molti") (Mc 14,22.24); e ancora: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,55 Vg).

E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore. Tutti gli altri, che hanno la presunzione di riceverlo senza partecipare dello stesso Spirito, mangiano e bevono "la loro condanna" (cf. 1Cor 11,29). Perciò: "Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?" (Sal 4,3) Perché non conoscete la verità e non credete "nel figlio di Dio?" (cf. Gv 9,35).

Ecco, ogni giorno egli si umilia (cf. Fil 2,8), come quando "dalla sede regale" (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: "Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

eucaristiamessa

5.0/5 (1 voto)

inviato da Antonio Antonucci, inserito il 07/12/2009

PREGHIERA

14. Per la mamma   1

Liana Paciaroni

Signore,
con questa preghiera vogliamo ringraziarti per il regalo più bello che ci hai fatto.
Dopo le stelle nel cielo di notte, la luce e il calore del sole germe di vita, la profondità degli oceani,
l'armonia del canto degli uccelli, i mille colori del mondo, il profumo dei fiori più rari,
la vastità dell'orizzonte lontano...
dopo tutto questo, hai dato ad ognuno di noi un pezzetto del tuo cuore:
l'amore della mamma.
Lei ci tiene sotto al suo cuore per nove mesi già con tanto amore.
Mamma,
è la prima parola che ogni figlio del cielo pronuncia
e l'ultima che ogni figlio sussurra prima che al cielo torni.
Quando la pronunciamo per la prima volta ancora non ne conosciamo il senso,
ma sorridiamo quando lei si avvicina.
Mamma,
sei l'unica al mondo che dona tutto senza chiedere nulla
come Gesù, sai soltanto amare.
Sei la nostra ancora di salvezza, lo spiraglio di luce in mezzo a un cielo scuro,
un guerriero pieno d'amore che combatte per noi, una dolce melodia che consola il dolore,
la spinta giusta per scavalcare ogni barriera,
sei il riparo dal freddo e dalle tempeste, il camino che nelle notti gelide riscalda il cuore.
Sei l'angelo custode della nostra esistenza.
Un angelo al quale il Signore ha donato un corpo e un anima
e ti ha avvolta nel fuoco dello Spirito Santo per esserne sempre illuminata.
Ci accompagni per le ripide strade della vita,
schiarendoci il cammino col bagliore dei tuoi sorrisi carichi di un amore eterno ed immortale
e ci segui passo dopo passo col tuo cuore,
anche quando cominciamo a volare da soli.
Ci hai dato la luce, tu, che la luce sei.
Ci dai sicurezza con la tua dolcezza, serenità con la tua bontà,
stabilità con il tuo amore per il papà, l'unica che sa adorare i nostri difetti
e il tuo saper perdonare ci insegna ad amare.
Vivi in simbiosi con noi nei pensieri, ci vedi anche se ci nascondiamo,
ci senti anche se stiamo zitti, in segreto asciughi le nostre lacrime,
incoraggi i nostri passi, correggi i nostri errori,
e ci consoli quando siamo inconsolabili.
Sei l'arbitro indiscusso della difficile partita della vita di ogni figlio.
Ci insegni ad essere migliori, non i migliori.
In ogni tuo respiro, sguardo, sorriso, in ogni tuo gesto si legge sempre una grande felicità dell'essere mamma,
la mamma di figli come noi, forti o fragili, belli o brutti, bravi o stolti, sani o malati,
in ogni angolo di te si legge che siamo il tuo bene più prezioso,
pur sapendo che non siamo di tua proprietà.
Mamma,
non ci siamo scelti
ma Dio ti scelse per ognuno di noi perché voleva anticiparci il Paradiso.
Sei il filo sottile dell'immortalità, che lega lo spirito al corpo.
Come il Signore, anche tu operi il mistero della creazione.
Sei la serva fedele al progetto di Dio.
Nel suo progetto d'amore per te c'eravamo noi,
nel suo progetto di vita per noi
c'eri tu.
In questo momento della Santa Comunione vogliamo ringraziare il Signore,
per questo dono inestimabile,
e pregare lo Spirito Santo, che in te li ha risposti tutti i suoi sette doni,
perché ogni figlio sappia sempre curarlo e custodirlo come merita.
Amen

mammamadrematernità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Liana Paciaroni, inserito il 21/11/2009

PREGHIERA

15. Crediamo nel tuo amore   2

Giovanni Paolo II, Le mie preghiere, a cura di Santino Spartà, Ed. Mondolibri

Padre misericordioso,
Signore della vita e della morte.
Il nostro destino è nelle tue mani.
Guardaci con bontà
e guida la nostra esistenza
con la tua Provvidenza,
piena di sapienza e di amore.
Ravviva in noi, o Signore,
la luce della fede
affinché accettiamo il mistero
di questo immenso dolore,
e crediamo che il tuo amore
sia più forte della morte.
Guarda, o Signore,
con bontà l'afflizione di coloro
che piangono la morte di persone care:
figli, padri, fratelli, parenti, amici.
Sentano essi la presenza di Cristo
che consolò la vedova di Naim
e le sorelle di Lazzaro,
perché egli è la risurrezione e la vita.
Trovino il conforto dello Spirito,
la ricchezza del tuo amore,
la speranza della tua provvidenza
che apre sentieri
di rinnovamento spirituale
e assicura a quelli che lo amano
un futuro migliore.
Aiutaci a imparare
da questo mistero di dolore
che siamo pellegrini sulla terra,
che dobbiamo essere sempre preparati,
perché la morte
può giungere all'improvviso.
Ricordaci che dobbiamo seminare sulla terra
ciò che raccoglieremo
moltiplicato nella gloria,
affinché viviamo, guardando sempre a te,
Padre e Giudice
dei vivi e dei morti,
che alla fine ci giudicherai nell'amore.
Ti ringraziamo, Padre,
perché nella fede
il dolore ci avvicina di più a te,
e in esso cresce la fratellanza e la solidarietà
di tutti coloro che aprono il cuore
al prossimo bisognoso.
Da questo luogo
che conserva i resti mortali
di tanti nostri fratelli
ascolta la nostra preghiera:
"Da' loro, o Signore,
il riposo eterno e risplenda
per essi la luce perpetua.
Riposino in pace.
E a noi che continuiamo a vivere,
pellegrini in questa valle di lagrime,
da' la speranza di riunirci a te,
nella tua casa paterna,
dove tuo Figlio Gesù
ci ha preparato un posto
e la Vergine Maria ci guida
verso la comunione dei Santi".
Amen.

defuntimortevitaeternità

4.0/5 (3 voti)

inviato da Giovanna Gioia, inserito il 11/06/2009

RACCONTO

16. Storia di un pezzo di pane   1

don Angelo Saporiti

Quando l'anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l'eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all'angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo. Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò:

Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando. Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?

Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi. E quando l'amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata. "La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo", pensò il dottore.

La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata.

La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo. "Se questo pane c'è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l'ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi", disse il dottore. "Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. È un pane santo!".

Chi lo sa quante volte l'anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!.

I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa. Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita. Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo, lo aveva spezzato per amore.

paneeucaristiacomunionedonocondivisionesolidarietà

3.3/5 (3 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 17/05/2009

TESTO

17. Maria, donna accogliente

Tonino Bello, Nigrizia, giugno 1991, p. 58

La frase si trova in un testo del Concilio Vaticano II, ed è splendida per dottrina e concisione. Dice che, all'annuncio dell'Angelo, Maria «accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio».

Nel cuore e nel corpo
Fu, cioè, discepola e madre del Verbo. Discepola, perché si mise in ascolto della Parola e la conservò per sempre nel cuore. Madre, perché offrì il suo grembo alla Parola e la custodì per nove mesi nello scrigno del corpo.
Forse per capire fino in fondo la bellezza di questa verità, il vocabolario non basta. Bisogna ricorrere alle espressioni visive. E allora non c'è di meglio che rifarsi ad una celebre icona orientale, che raffigura Maria con il divin Figlio Gesù inscritto sul petto. È indicata come "la Madonna del segno", ma potrebbe essere chiamata "la Madonna dell'accoglienza", perché, con gli avambracci levati in alto, in atteggiamento di offertorio o di resa, essa appare il simbolo della più gratuita ospitalità.

Accolse nel cuore
Fece largo, cioè, nei suoi pensieri ai pensieri di Dio. ma non si sentì, per questo, ridotta al silenzio. Offrì volentieri il terreno vergine della sua intimità alla germinazione del Verbo, ma non si considerò espropriata di nulla. Gli cedette con gioia il suolo più inviolabile della sua vita, ma senza dover ridurre gli spazi della sua libertà. Diede alloggio al Signore nella sua casa, ma non ne sentì, la presenza come violazione di domicilio. Gli aprì le porte delle stanze più segrete, ma senza subirne lo sfratto.

Accolse nel corpo
Sentì, cioè, il peso fisico di un altro essere che prendeva dimora nel suo grembo di madre. Adattò, quindi, i suoi ritmi a quelli dell'ospite. Modificò le sue abitudini in funzione di un compito che non le alleggeriva certo la vita. Consacrò i suoi giorni alla gestazione di una creatura che non le avrebbe risparmiato preoccupazioni e fastidi. E poiché il frutto benedetto del seno suo era il Verbo di Dio che s'incarnava per la salvezza dell'umanità, capì di aver contratto con tutti i figli di Eva un debito di accoglienza che avrebbe pagato con cambiali di lacrime.

Quell'ospitalità fondamentale la dice lunga sullo stile di Maria e delle sue mille altre accoglienze di cui il vangelo non parla, ma che non ci è difficile intuire. Nessuno fu mai respinto da lei. Tutti trovarono riparo sotto la sua ombra. Dalle vicine di casa, alle antiche compagne di Nazaret. Dai parenti di Giuseppe, agli amici di gioventù di suo figlio. Dai poveri della contrada, ai pellegrini di passaggio. Da Pietro, in lacrime dopo il tradimento, a Giuda che, forse, quella notte non riuscì a trovarla in casa.

Santa Maria, donna accogliente, aiutaci ad accogliere la Parola nell'intimo del cuore. A capire, cioè, come hai saputo fare tu, le irruzioni di Dio nella nostra vita. Egli non bussa alla porta per intimarci lo sfratto, ma per riempire di luce la nostra solitudine. Non entra in casa per metterci le manette, ma per restituirci il gusto della vera libertà.

Lo sappiamo: è la paura del nuovo a renderci spesso inospitali nei confronti del Signore che viene. I cambiamenti ci danno fastidio. E siccome lui scombina sempre i nostri pensieri, mette in discussione i nostri programmi e manda in crisi le nostre certezze, ci nascondiamo come Adamo nell'Eden, ogni volta che sentiamo i suoi passi. Facci comprendere che Dio, se ci guasta i progetti, non ci rovina la festa; se disturba i nostri sonni, non ci toglie la pace. E una volta che l'avremo accolto nel cuore, anche il nostro corpo brillerà della sua luce.

Santa Maria, donna accogliente, rendici capaci di gesti ospitali verso i fratelli. Sperimentiamo tempi difficili, in cui il pericolo di essere defraudati dalla cattiveria della gente ci fa vivere dietro porte blindate e sistemi di sicurezza. Non ci fidiamo più l'uno dell'altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è diventato organico nei rapporti con il prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi, dietro i cancelli dei nostri recinti.

Disperdi, ti preghiamo, le nostre diffidenze. Facci uscire dalla trincea degli egoismi corporativi. Sfascia le cinture delle leghe. Allenta le nostre ermetiche chiusure nei confronti di chi è diverso da noi. Abbatti le nostre frontiere. Quelle culturali, prima di quelle geografiche. Queste ultime cedono ormai sotto l'urto dei popoli "altri", ma le prime restano tenacemente impermeabili. Visto allora che siamo costretti ad accogliere stranieri nel corpo della nostra terra, aiutaci ad accoglierli anche nel cuore della nostra civiltà.

Santa Maria, donna accogliente, ostensorio del corpo di Gesù deposto dalla croce, accoglici sulle tue ginocchio, quando avremo reso lo spirito anche noi. Dona alla nostra morte la quiete fiduciosa di chi poggia il capo sulla spalla della madre e si addormenta sereno. Tienici per un poco sul tuo grembo, così come ci hai tenuti nel cuore per tutta la vita. Compi su di noi i rituali delle ultime purificazioni. E portaci, finalmente, sulle tue braccia davanti all'Eterno.

Perché solo se saremo presentati da te, sacramento della tenerezza, potremo trovare pietà.

mariamadonnaaccoglienzastranieriospitalitàmigrazione

inviato da Giovanni Graziano Tassello, inserito il 11/01/2008

PREGHIERA

18. Preghiera per i laici   1

Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica "Christifideles Laici"

O Vergine santissima,
Madre di Cristo e Madre della Chiesa,
con gioia e con ammirazione,
ci uniamo al tuo Magnificat,
al tuo canto di amore riconoscente.

Con te rendiamo grazie a Dio,
«la cui misericordia si stende
di generazione in generazione»,
per la splendida vocazione
e per la multiforme missione
dei fedeli laici,
chiamati per nome da Dio
a vivere in comunione di amore
e di santità con lui
e ad essere fraternamente uniti
nella grande famiglia dei figli di Dio,
mandati a irradiare la luce di Cristo
e a comunicare il fuoco dello Spirito
per mezzo della loro vita evangelica
in tutto il mondo.

Vergine del Magnificat,
riempi i loro cuori
di riconoscenza e di entusiasmo
per questa vocazione e per questa missione.

Tu che sei stata,
con umiltà e magnanimità,
«la serva del Signore»,
donaci la tua stessa disponibilità
per il servizio di Dio
e per la salvezza del mondo.
Apri i nostri cuori
alle immense prospettive
del Regno di Dio
e dell'annuncio del Vangelo
ad ogni creatura.

Nel tuo cuore di madre
sono sempre presenti i molti pericoli
e i molti mali
che schiacciano gli uomini e le donne
del nostro tempo.
Ma sono presenti anche
le tante iniziative di bene,
le grandi aspirazioni ai valori,
i progressi compiuti
nel produrre frutti abbondanti di salvezza.

Vergine coraggiosa,
ispiraci forza d'animo
e fiducia in Dio,
perché sappiamo superare
tutti gli ostacoli che incontriamo
nel compimento della nostra missione.
Insegnaci a trattare le realtà del mondo
con vivo senso di responsabilità cristiana
e nella gioiosa speranza
della venuta del Regno di Dio,
dei nuovi cieli e della terra nuova.

Tu che insieme agli Apostoli in preghiera
sei stata nel Cenacolo
in attesa della venuta dello Spirito di Pentecoste,
invoca la sua rinnovata effusione
su tutti i fedeli laici, uomini e donne,
perché corrispondano pienamente
alla loro vocazione e missione,
come tralci della vera vite,
chiamati a portare molto frutto
per la vita del mondo.

Vergine Madre,
guidaci e sostienici perché viviamo sempre
come autentici figli e figlie
della Chiesa di tuo Figlio
e possiamo contribuire a stabilire sulla terra
la civiltà della verità e dell'amore,
secondo il desiderio di Dio
e per la sua gloria.
Amen.

laiciimpegnoresponsabilitàlaicato

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/05/2007

ESPERIENZA

19. Storia di una corsa incontro a Gesù

Lorenza e Pier Paolo F.

Questo testo è un estratto di una lettera di Lorenza F., moglie e madre di tre figli, scritta pochi mesi prima di tornare al Padre a causa di una grave malattia di cui era pienamente cosciente.

In settimana santa ho fatto un'esperienza molto forte meditando sugli ultimi giorni di Gesù: "Come sono lontana dalla mentalità del Padre - mi sono detta - devo guardare gli eventi, la storia con i suoi occhi; voglio vivere l'attimo presente dalla prospettiva del Padre". Anche se tra il dire e il fare..., improvvisamente l'andare o lo stare avevano un altro senso.

Con tale animo ad aprile è arrivata la diagnosi. Questa diagnosi non mi spaventa più di tanto in certi momenti, e non sono parole perché, pur tra alti e bassi, vivo in serenità. Il legame con Gesù si è fatto più stretto e dolce e mi sembra doveroso dire che fa tutto Lui e io vivo spesso nel Risorto. Tanto che mi sono anche trovata a ringraziare quella parte del mio corpo che sembra "maligna" e che invece è una porta per il cielo. Il momento è sacro per il distacco da tutto ciò che non è lui.

I medici la pensano ben diversamente: professionalmente sono senz'altro molto competenti, ma talvolta trasmettono ansia,... eppure sono sicura che lo fanno in buona fede.

Così mi sono trovata ad un bivio: da una parte la voce allarmata dei medici, lo smarrimento, il panico e, peggior cosa, la perdita della serenità; dall'altra una voce serena che mi dà la pace.

Per tanti anni, giorni, attimi, la mia volontà è stata interamente rivolta a cercare questa voce, riconoscerla, ascoltarla, non tradirla, e perciò mi chiedo perché adesso dovrebbe essere diverso.

"Non è forse questo quello che importa di più? Quello per cui posso ora ringraziare Dio di avere un certo allenamento?".

Andare dietro a questa voce mi dà serenità e determinazione: le stesse che ho già sperimentato tante volte, quando ci siamo sposati pur senza lavoro, quando abbiamo voluto Andrea con la casa che sembrava un cantiere, quando..., quando ho detto: "Sì, Sì, Sì" a situazioni incomprensibili agli altri.

Chi di noi non ha lasciato le certezze, anche a caro prezzo, per correre dietro a quella voce?

Da parte mia posso dire che dopo per me c'è sempre stata una misura buona, scossa, pigiata, traboccante. (...)

Gesù ci chiede sempre qualcosa di più, forse ha di noi una considerazione migliore di quella che abbiamo noi stessi. Tutto è importante, ma anche relativo a quello che stai vivendo e così oggi non ci siamo nemmeno strappati i capelli quando ci siamo accorti che ci hanno rubato la macchina, per fortuna quella vecchia...

L'incanto di questo periodo di sicuro non è farina del mio sacco. Quella presenza di Gesù che cerchiamo di costruire fra noi con l'amore reciproco è luce, potentissima; è pace, sconfinata, è vita, che scorre nelle vene e rinvigorisce; è relazione, con chiunque; è salute, dell'anima e del corpo; è discernimento, di ciò che è essenziale. E' tanto altro di cui sto godendo grazie a Pier e a tutte voi, per primi, e grazie a chissà quanti.

Gesù (in mezzo) mi fa già vivere quel miracolo che stiamo chiedendo. Conto tantissimo su di voi e voi potete contare su di me.

Lorenza F.

...e questo invece è il ricordo di Lorenza fatto da suo marito Pier Paolo durante la S. Messa di suffragio ad un anno dalla sua morte.

Prima di tutto vorrei ringraziarvi. Per essere venuti, ma soprattutto per tutte le preghiere che avete fatto per noi in quest'anno. Se quanto dirò dopo è vero, è anche grazie a queste.

E' già passato un anno. Il più grosso regalo che ci ha fatto la Lo in quest'anno, e penso di esprimere quello che pensano molti di noi qua, è stato quello non solo di essere presente, ma di farsi sentire presente.

Forse è per questo che la Tere, Fili e Andre non hanno difficoltà a parlare della mamma: perché lei c'è.

Io personalmente vorrei donarvi la cosa più bella che lui mi ha donato con la partenza della Lo: capire un po' di più, e comunque come non l'avevo mai capito, qual è la vita vera e qual è il senso del nostro stare quaggiù: pensando a lei, cercando (a volte con tutte le mie forze) di immaginarmi lei ora, ho capito di più il disegno di Dio su di me e, forse, su tutto ciò che mi sta intorno.

Il suo disegno su di me (su di noi) è quello di stare con lui e con lei per l'eternità, che non vuole solo dire dopo la morte ma già da adesso. Questo se in ogni momento cerco di capire cosa lui vuole che io faccia e cerco di farlo. Come diceva anche la Lo nella sua lettera:

"Non posso non considerare che sento una voce dentro che mi dà la pace; che per tanti anni, giorni, attimi, la mia volontà è stata interamente rivolta a cercare questa voce, riconoscerla, ascoltarla, non tradirla, e perciò mi chiedo perché adesso dovrebbe essere diverso. Non è forse questo quello che importa di più? Quello per cui posso ora ringraziare Dio di avere un certo allenamento?". Andare dietro a questa voce mi dà serenità e determinazione: le stesse che ho già sperimentato tante volte, quando ci siamo sposati pur senza lavoro, quando abbiamo voluto Andrea con la casa che sembrava un cantiere, quando..., quando ho detto:"Sì, Sì, Sì" a situazioni incomprensibili agli altri. Chi di noi non ha lasciato le certezze, anche a caro prezzo, per correre dietro a quella voce? Da parte mia posso dire che dopo per me c'è sempre stata una misura buona, scossa, pigiata, traboccante."

Quando non lo faccio, quando penso a me stesso, non la sento più vicina; e non è lei che se n'è andata, sono io.

Questo è quello che mi ha dato la forza, e continua a darmela, di non pensare con nostalgia a quante cose belle abbiamo fatto insieme, o a cosa potevamo fare e non abbiamo fatto.

Perché ho la certezza di avere ancora tanto tempo, tutta l'eternità, per fare cose infinitamente più belle insieme a lei, con tutti voi, e portare a compimento quello che, a questo punto, mi appare solo come il prologo di una storia bellissima e infinita.

Pier Paolo F.

crocedoloresofferenzarapporto con Diomalattiaparadisovita eterna

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 18/06/2006

PREGHIERA

20. A proposito della pace...

Raoul Foullerau

Anno 2000
tempo di paura o primavera d'amore?
Atomo:
trionfo della libertà o patibolo dell'umanità?
Signore, aiutaci!
Detentori ormai di una particella della tua potenza,
eccoci davanti a Te,
deboli, fragili, più poveri che mai,
vergognosi delle nostre coscienze rattoppate e dei nostri cuori a brandelli.
Signore, abbi pietà di noi!
Noi abbiamo costruito chiese,
ma la nostra è una guerra senza fine;
noi abbiamo costruito ospedali,
ma noi, per i nostri fratelli, abbiamo accettato la fame.
Perdono, Signore,
per la natura calpestata, per le foreste assassinate, per i fiumi inquinati...
Perdono per la bomba atomica, il lavoro a catena,
la macchina che divora l'uomo e le bestemmie contro l'Amore.
Noi sappiamo che Tu ci ami,
e che a questo amore noi dobbiamo la vita.
Strappaci dall'asfissia dei cuori e dei corpi.
Che i nostri giorni non siano più deturpati dall'invidia e dall'ingratitudine,
dalle terribili schiavitù del potere.
Donaci la felicità di amare il nostro dovere.
Nel mondo mancano milioni di medici: ispira i tuoi figli a curare;
nel mondo mancano milioni di maestri: ispira i tuoi figli a insegnare;
la fame tormenta i tre quarti della terra: ispira i tuoi figli a seminare;
da cent'anni gli uomini hanno fatto quasi cento guerre: insegna ai tuoi figli ad amarsi.
Perché, Signore,
non vi è amore senza il tuo Amore.
Fa' che ogni giorno, e per tutta la vita,
nella gioia, nel dolore, noi siamo fratelli,
fratelli senza frontiere.
Allora i nostri ospedali saranno anche le tue cattedrali,
e i nostri laboratori i testimoni della tua grandezza.
Nel cuore dei proscritti di un tempo risplenderanno i tuoi tabernacoli.
Allora, non accettando altre tirannie che quella della tua Bontà,
la nostra civiltà martoriata dall'odio, dalla violenza e dal denaro,
rifiorirà nella pace e nella giustizia.
Come l'alba diventa aurora, e poi giorno,
voglia il tuo Amore che i figli del 2000
nascano dalla speranza,
crescano nella pace,
si estinguano infine nella luce,
per ritrovarti, Signore,
tu che sei la Vita.

pacegiustiziaingiustiziadolorecaritàamoresolidarietàimpegnomondialitàfame nel mondo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maddalena Rotolo, inserito il 07/02/2006

Pagina 1 di 2