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RACCONTO

1. Lacrime di donna   2

Un bambino chiede alla mamma: «Perché piangi?».
«Perché sono una donna» gli risponde.
«Non capisco» dice il bambino.
La mamma lo stringe a sé e gli dice: «E non potrai mai capire...»
Più tardi il bambino chiede al papà: «Perché la mamma piange?»
«Tutte le donne piangono senza ragione», fu tutto quello che il papà seppe dirgli.
Divenuto adulto, chiese a Dio: «Signore, perché le donne piangono così facilmente?»
E Dio rispose:
«Quando l'ho creata, la donna doveva essere speciale.
Le ho dato delle spalle abbastanza forti per portare i pesi del mondo,
e abbastanza morbide per renderle confortevoli.
Le ho dato la forza di donare la vita,
quella di accettare il rifiuto che spesso le viene dai suoi figli.
Le ho dato la forza per permettele di continuare quando tutti gli altri abbandonano.
Quella di farsi carico della sua famiglia senza pensare alla malattia e alla fatica.
Le ho dato la sensibilità di amare i suoi figli di un amore incondizionato,
anche quando essi la feriscono duramente.
Le ho dato la forza di sopportare il marito nelle sue debolezze
e di stare al suo fianco senza cedere.
E finalmente, le ho dato lacrime da versare quando ne sente il bisogno.
Vedi figlio mio, la bellezza di una donna
non è nei vestiti che porta, né nel suo viso, o nella sua capigliatura.
La bellezza di una donna risiede nei suoi occhi.
Sono la porta d'entrata del suo cuore, la porta dove risiede l'amore.
Ed è spesso con le lacrime che vedi passare il suo cuore».

mammamadredonnasposabellezzaamoretenaciagratuitàamore

4.0/5 (3 voti)

inviato da Giovanna, inserito il 06/12/2009

RACCONTO

2. Il mendicante e il re

Rabindranath Tagore, Gitanjali

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza mi apparve il tuo aureo cocchio, simile ad un sogno meraviglioso.

Mi domandai: chi sarà mai questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l'elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.

Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita.

Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: "Che cos'hai da darmi?".

Ah, quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l'elemosina ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi.

Ma quale non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell'esiguo mucchietto di acini, un granellino d'oro!

Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darTi tutto quello che possedevo...

Chi ha speso, ha consumato; chi ha raccolto, ha perduto; ma chi ha dato, ha messo in salvo per sempre i suoi tesori. (Inayat Khan)

donarerapporto con Diogenerositàaltruismo

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

3. Il riccone in Paradiso

Un riccone arrivò in Paradiso dopo una lunga vita passata nel lusso a motivo degli affari per i quali aveva uno speciale fiuto. Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi.

Non gli pareva vero: anche qui avrebbe potuto mettere a frutto il suo spiccato senso per gli investimenti. Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.

Al momento di pagare porse all'angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio. L'angelo sorrise: "Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore".

"Come?", si stupì il riccone.

"Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato", rispose l'angelo.

generositàaltruismodonareparadisovita eterna

inviato da Mariangela Molari, inserito il 14/06/2002

RACCONTO

4. La partita a scacchi   1

Paulo Coelho

Disse il giovane all'abate del monastero: "Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita. Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l'illuminazione".

"Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago", fu la risposta.

L'abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo. Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse: "Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi. Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori. Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te".

L'abate parlava seriamente. Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo. La scacchiera divenne il centro del mondo. Il monaco iniziò a perdere. Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell'altro: da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate. In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.

All'improvviso, l'abate rovesciò per terra la scacchiera. "Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato - disse -. Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi. Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile. Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia".

maturitàmisericordiadonareagonismocompetitività

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/05/2002