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RACCONTO

1. Il filo di cotone   6

Bruno Ferrero, I fiori semplicemente fioriscono

C'era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile. «Sono troppo debole per fare una corda» si lamentava. «E sono troppo corto per fare una maglietta. Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi. Sono scolorito e ho le doppie punte... Ah, se fossi un filo d'oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato! Non servo proprio a niente. Sono un fallito! Nessuno ha bisogno di me. Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!».
Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo. Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse: «Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone. Ho un'idea: facciamo qualcosa noi due, insieme! Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto: tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa. Possiamo diventare un lumino, e donare un po' di calore e un po' di luce. È meglio illuminare e scaldare un po' piuttosto che stare nel buio a brontolare».
Il filo di cotone accettò di buon grado. Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell'oscurità ed emanò calore. E fu felice.

accettazione di sélamentarsiunionesacrificioimpegnoimportanza del singolo

4.5/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

RACCONTO

2. La gioia del dare   7

Due fratelli, uno di cinque anni e l'altro di dieci, vestiti di stracci, continuavano a chiedere un po' di cibo per le case della strada che circondava la collina. Erano affamati, ma non riuscirono ad ottenere niente, i loro tentativi frustanti li rattistavano.

Finalmente, una signora diede loro una bottiglia di latte. Che festa per i due bambini! Allora si sedettero sul marciapiede, e il più piccolo disse a quello di dieci anni: "Tu sei il maggiore, bevi per primo...", e lo guardava coi suoi denti bianchi, con la bocca mezza aperta.

Il grande si portò la bottiglia alla bocca e, facendo finta di bere, stringeva le labbra per non far entrare nemmeno una sola goccia di latte. Poi passò la bottiglia al fratellino che, dando un sorso, esclamò: "Com'è saporito!".

Poi fu di nuovo il turno del maggiore. Anche questa volta si portò la bottiglia alla bocca, ormai già quasi mezza vuota, ma non bevve niente. E fecero così finché il latte non finì.

A quel punto il fratello maggiore, benché con lo stomaco vuoto ma col cuore traboccante di gioia, cominciò a cantare e a danzare.

Saltava con la semplicità di chi non fa niente di straordinario, o ancora meglio, con la semplicità di chi è abituato a fare cose straordinarie senza dargli importanza.

Noi che viviamo in un mondo di agiatezze, possiamo imparare una grande lezione da quel ragazzo: "Chi dà è più felice di chi riceve".

donaredareamoregratuitàfamiglia

4.7/5 (7 voti)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 06/07/2013

RACCONTO

3. Il profumo delle rose   4

Bruno Ferrero, 365 piccole storie per l'anima, Elledici 2007

Due monaci coltivavano rose. Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose. Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti.
"Ma che fai?", lo rimproverava il primo; "come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?".
"Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!", rispose pacatamente il secondo.

C'è una gioia incredibile nel donare. E anche un buon guadagno.

donodonaregratuità

inviato da Angela Magnoni, inserito il 10/12/2009

RACCONTO

4. Lacrime di donna   2

Un bambino chiede alla mamma: «Perché piangi?».
«Perché sono una donna» gli risponde.
«Non capisco» dice il bambino.
La mamma lo stringe a sé e gli dice: «E non potrai mai capire...»
Più tardi il bambino chiede al papà: «Perché la mamma piange?»
«Tutte le donne piangono senza ragione», fu tutto quello che il papà seppe dirgli.
Divenuto adulto, chiese a Dio: «Signore, perché le donne piangono così facilmente?»
E Dio rispose:
«Quando l'ho creata, la donna doveva essere speciale.
Le ho dato delle spalle abbastanza forti per portare i pesi del mondo,
e abbastanza morbide per renderle confortevoli.
Le ho dato la forza di donare la vita,
quella di accettare il rifiuto che spesso le viene dai suoi figli.
Le ho dato la forza per permettele di continuare quando tutti gli altri abbandonano.
Quella di farsi carico della sua famiglia senza pensare alla malattia e alla fatica.
Le ho dato la sensibilità di amare i suoi figli di un amore incondizionato,
anche quando essi la feriscono duramente.
Le ho dato la forza di sopportare il marito nelle sue debolezze
e di stare al suo fianco senza cedere.
E finalmente, le ho dato lacrime da versare quando ne sente il bisogno.
Vedi figlio mio, la bellezza di una donna
non è nei vestiti che porta, né nel suo viso, o nella sua capigliatura.
La bellezza di una donna risiede nei suoi occhi.
Sono la porta d'entrata del suo cuore, la porta dove risiede l'amore.
Ed è spesso con le lacrime che vedi passare il suo cuore».

mammamadredonnasposabellezzaamoretenaciagratuitàamore

4.0/5 (3 voti)

inviato da Giovanna, inserito il 06/12/2009

RACCONTO

5. Minestra per tutti   1

Uno straniero, che camminava verso un villaggio si fermò sulla soglia di una povera capanna.
Chiese alla donna, che stava seduta fuori della capanna qualcosa da mangiare.
- "Mi dispiace al momento non ho niente".
- "Non si preoccupi. Ho nella bisaccia un sasso per minestra: se mi darete il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre una pentola molto grande per favore".

La donna era incuriosita, gli diede una pentola e andò a confidare il segreto del sasso per minestra a una vicina di casa. Quando l'acqua cominciò a bollire, c'erano tutti i vicini, accorsi a vedere lo straniero e il suo sasso. Egli depose il sasso nell'acqua, poi ne assaggiò un cucchiaio ed esclamò con aria beata:
- "Ah, che delizia! Mancano solo delle patate".
- "Io ho delle patate in cucina".

Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate tagliate a fette, che furono gettate nel pentolone. Allora lo straniero assaggiò di nuovo il brodo.
- "Eccellente... Se solo avessimo un po' di carne e un po' di verdura, diventerebbe uno squisito stufato". Un'altra massaia corse a casa a prendere della carne; un'altra portò carote e cipolle. Dopo aver messo anche quelle nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e chiese ancora:
- "Manca solo un po' di sale!"
- "Eccolo!"
- "Scodelle e piatti per tutti".

La gente corse a casa a prendere scodelle e piatti. Qualcuno portò anche frutta e manioca. Tutti sedettero mentre lo straniero distribuiva grosse porzioni della sua incredibile minestra. Tutti provavano una strana felicità, ridevano, chiacchieravano e gustavano il loro pasto in comune.
Dopo essere rimasto un po' con loro, lo straniero, in mezzo all'allegria generale scivolò fuori silenziosamente. Lasciò però il sasso miracoloso affinché potessero usarlo tutte le volte che volevano per preparare la minestra più buona del mondo.

condivisionedonaregenerosità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Lollo, inserito il 29/07/2004

RACCONTO

6. Il monaco giocoliere   1

Paulo Coelho, I racconti del maktub

La Madonna, con il Bambino Gesù fra le braccia, aveva deciso di scendere in Terra per visitare un monastero.

Orgogliosi, tutti i monaci si misero in una lunga fila, presentandosi ciascuno davanti alla Vergine per renderle omaggio.

Uno declamò alcune poesie, un altro le mostrò le miniature che aveva preparato per la Bibbia e un terzo recitò i nomi di tutti i santi. E così via, un monaco dopo l'altro, tutti resero omaggio alla Madonna e al Bambino.

All'ultimo posto della fila ne rimase uno, il monaco più umile del convento, che non aveva mai studiato i sacri testi dell'epoca. I suoi genitori erano persone semplici, che lavoravano in un vecchio circo dei dintorni, e gli avevano insegnato soltanto a far volteggiare le palline in aria.

Quando giunse il suo turno, gli altri monaci volevano concludere l'omaggio perché il povero acrobata non aveva nulla di importante da dire e avrebbe potuto sminuire l'immagine del convento. Ma anche lui, nel profondo del proprio cuore, sentiva un bisogno immenso di offrire qualcosa a Gesù e alla Vergine.

Pieno di vergogna, sentendosi oggetto degli sguardi di riprovazione dei confratelli, tirò fuori dalla tasca alcune arance e cominciò a farle volteggiare: perché era l'unica cosa che egli sapesse fare.

Fu solo in quell'istante che Gesù Bambino sorride e cominciò a battere le mani in braccio alla Madonna.

E fu verso quel monaco che la Vergine tese le braccia, lasciandogli tenere per un po' il bambinello.

umiltàsemplicitàdonare gioia

3.0/5 (1 voto)

inviato da Immacolata Chetta, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

7. Il mendicante e il re

Rabindranath Tagore, Gitanjali

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza mi apparve il tuo aureo cocchio, simile ad un sogno meraviglioso.

Mi domandai: chi sarà mai questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l'elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.

Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita.

Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: "Che cos'hai da darmi?".

Ah, quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l'elemosina ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi.

Ma quale non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell'esiguo mucchietto di acini, un granellino d'oro!

Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darTi tutto quello che possedevo...

Chi ha speso, ha consumato; chi ha raccolto, ha perduto; ma chi ha dato, ha messo in salvo per sempre i suoi tesori. (Inayat Khan)

donarerapporto con Diogenerositàaltruismo

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

8. Gli auguri   1

Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi

Il piccolo Carlo era un bambino timido e tranquillo. Un giorno arrivò a casa e disse a sua madre che avrebbe voluto preparare una cartolina di San Valentino per tutti i suoi compagni di classe.
La madre istintivamente esclamò: «Ma no! Non è il caso!».

Ogni giorno osservava i bambini quando tornavano a casa a piedi da scuola. Il suo Carlo arrancava sempre per ultimo. Gli altri ridevano e formavano un'allegra e rumoro­sa combriccola. Ma Carlo non faceva mai parte del gruppo. La madre decise di aiuta­re il figlio e acquistò cartoncini e pennarel­li. Per tre settimane, sera dopo sera, Carlo illustrò meticolosamente trentacinque car­toline di San Valentino.

Giunse il giorno di San Valentino e Carlo era fuori di sé per l'emozione. Le accatastò con cura, le mise nello zainetto e corse fuo­ri. La madre decise di cucinargli il suo dol­ce preferito e farglielo trovare con una taz­za di cioccolata calda per quando sarebbe tornato a casa da scuola. Sapeva che sareb­be rimasto deluso e forse in questo modo gli avrebbe alleviato il dolore. Avrebbe dato una cartolina a tutti, ma lui non ne avrebbe ricevuta nemmeno una.

Quel pomeriggio preparò la torta e la cioccolata. Quando udì il solito vociare dei bambini, guardò fuori della finestra. Stavano arrivando, ridendo e chiacchierando come al solito. E come sempre l'ultimo era Carlo. Da solo.

Entrò in casa quasi di corsa e buttò lo zai­netto su una sedia. Non aveva niente in ma­no e la madre si aspettava che scoppiasse in lacrime. «La mamma ti ha preparato la torta e la cioccolata», disse, con un nodo in gola. Ma lui quasi non sentì le sue parole. Passò oltre, il volto acceso, dicendo forte: «Nean­che uno. Neanche uno!».
La madre lo guardò incerta.

E il bambino aggiunse: «Non ne ho dimenticato neanche uno, neanche uno».

«Questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quel­li che mi ha dato» (Giovanni 6,39).
Neanche uno.

altruismodonaredono di sé

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 15/06/2002

RACCONTO

9. Il riccone in Paradiso

Un riccone arrivò in Paradiso dopo una lunga vita passata nel lusso a motivo degli affari per i quali aveva uno speciale fiuto. Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi.

Non gli pareva vero: anche qui avrebbe potuto mettere a frutto il suo spiccato senso per gli investimenti. Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.

Al momento di pagare porse all'angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio. L'angelo sorrise: "Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore".

"Come?", si stupì il riccone.

"Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato", rispose l'angelo.

generositàaltruismodonareparadisovita eterna

inviato da Mariangela Molari, inserito il 14/06/2002

RACCONTO

10. La donna e la cipolla

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov

C'era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un'azione virtuosa. I diavoli l'afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco.
Ma il suo angelo custode era là e pensava: «Di quale sua azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: ha sradicato una cipolla nell'orto e l'ha data a una mendicante».
E Dio gli rispose: «Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov'è ora».
L'angelo corse dalla donna, le tese la cipolla: «Su, donna, le disse, attaccati e tieni».
E si mise a tirarla cautamente, e l'aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch'essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: «È me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra». Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora.
E l'angelo si mise a piangere e si allontanò.

infernoamoresalvezzaaltruismodonareegoismoparadiso

inviato da Mariangela Molari, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

11. La partita a scacchi   1

Paulo Coelho

Disse il giovane all'abate del monastero: "Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita. Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l'illuminazione".

"Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago", fu la risposta.

L'abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo. Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse: "Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi. Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori. Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te".

L'abate parlava seriamente. Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo. La scacchiera divenne il centro del mondo. Il monaco iniziò a perdere. Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell'altro: da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate. In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.

All'improvviso, l'abate rovesciò per terra la scacchiera. "Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato - disse -. Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi. Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile. Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia".

maturitàmisericordiadonareagonismocompetitività

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/05/2002

RACCONTO

12. Il segreto della felicità

Ad Elena piaceva moltissimo passeggiare nel bosco. Era una ragazzina dolce e un po' svagata e il bosco dietro il paese era diventato il suo rifugio preferito.

Un giorno, mentre camminava, vide una farfalla impigliata in un rovo.

Con molta cura, facendo attenzione a non rovinarle le splendide ali, la liberò.

La farfalla volò via per un tratto, poi improvvisamente tornò indietro e si trasformò in una splendida fata. Elena rimase a bocca aperta, perché fino a quel momento le fate le aveva viste solo nei libri per bambini.

«Per ringraziarti della tua gentilezza d'animo», disse la fata, «esaudirò il tuo più gran desiderio». Proprio come dicono le fate nei libri...

La ragazzina rifletté un istante e poi rispose: «Voglio essere felice». Allora la fata si piegò su di lei, le mormorò qualcosa all'orecchio e scomparve.

Elena divenne donna e nessuno in tutto il paese era più felice di lei. Quando le chiedevano il segreto della sua gioia, si limitava a sorridere e diceva: «Ho seguito il consiglio di una buona fata».

Gli anni passarono, Elena divenne vecchia, ma era sempre la più dolce e felice vecchina del paese. I vicini e anche i suoi nipotini temevano che il favoloso segreto della felicità potesse morire con lei.
«Rivelaci che cosa ti ha detto la fatina», la scongiuravano.

Finalmente, una volta, la deliziosa vecchina, sorridendo, disse: «Mi ha rivelato che, anche se appaiono sicuri, tutti hanno bisogno di me!».

felicitàgioiadonare

3.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002