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RACCONTO

1. Si raccoglie ciò che si semina!   1

Un giovane ingegnere decise di impiegare un piccolo capitale in agricoltura e comprò un piccolo campo in una pianura fertile. Dal momento che non era proprio esperto di coltivazioni, decise di chiedere informazioni a un vecchio contadino che abitava nei pressi.

«Hai visto, Battistin, il mio campicello?».
«Ma certo. Confina con i miei», rispose il vecchio.
«Vorrei chiederti una cosa, Battistin: credi che il mio campicello potrebbe darmi del buon orzo?».
«Orzo? No, signore mio, non credo che questo campo possa dare orzo. Da tanti anni vivo qui e non ho mai visto orzo in questo campo».
«E mais?», insistette il giovane. «Credi che il mio campicello possa darmi del mais?».
«Mais, figliolo? Non credo che possa dare mais. Per quanto ne so, potrebbe fornire radici, cicorie, erba cipollina e meline acerbe. Ma mais no, non credo proprio».

Benché sconcertato, il giovane ingegnere replicò: «E soia? Mi potrebbe dare soia il campicello?». «Soia, dice? Non voglio fare il menagramo, ma io non ho mai visto soia in questo campo. Al massimo, erba alta, un po' di rametti da bruciare, ombra per le mucche e qualche cespuglio di bacche, non di più».

Il giovane, stanco di ricevere sempre la stessa risposta, scrollò le spalle e disse: «Va bene, Battistin, ti ringrazio per tutto quello che mi hai detto, ma voglio fare una prova. Seminerò del buon orzo e vediamo che cosa succede!».
Il vecchio contadino alzò gli occhi e, con un sorriso malizioso, disse: «Ah, beh. Se lo semina... È tutta un'altra cosa, se lo semina!».

Oggi seminerò un sorriso, affinché la gioia cresca.
Oggi seminerò una parola di consolazione, per donare serenità.
Oggi seminerò un gesto di amore, perché l'amore domini.
Oggi seminerò una preghiera, affinché l'uomo sia più vicino a Dio.
Oggi seminerò parole e gesti di verità, per vincere la menzogna.
Oggi seminerò atti sereni, per collaborare con la pace.
Oggi seminerò un gesto pacifico, affinché i nervi saltino meno.
Oggi seminerò una buona lettura nel mio cuore, per la gioia del mio spirito.
Oggi seminerò giustizia nei miei gesti e nelle parole, affinché la verità trionfi.
Oggi seminerò un gesto di delicatezza, affinché la bontà si espanda.

seminareconseguenzeimpegnoresponsabilitàsemesperanzafiducia

inviato da Qumran2, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

2. Le chiavi del castello   2

Don Luca Murdaca, ilbuongiorno.wordpress.com

Un giorno un Re, dovette partire per un lungo viaggio e non volle lasciare incustodito il suo castello... allora promise al primo che si fosse reso disponibile di dare le chiavi del castello per poter utilizzare tutte le stanze e viverci finché non fosse tornato. Un giovanotto si rese disponibile. Il re diede a lui un bel mazzo di chiavi, ma presto il giovane si accorse che nel mazzo mancava una chiave, quella del portone principale che il Re chiuse prima di partire. Il giovane quindi fu costretto a vivere per lungo tempo prigioniero nel castello. È vero, aveva accesso ad ogni stanza, ma non aveva la possibilità di uscire dal castello né di far entrare nessuno. Questo per lui divenne motivo di grande tristezza.

Possiamo avere tante chiavi nella nostra vita, ma senza la chiave principale, quella che ci fa uscire da noi stessi, dal nostro egoismo, dalla nostra pigrizia... senza quella chiave che si chiama Amore, resteremo prigionieri della nostra stessa vita.

relazionealtruismolibertàamoresolitudineapertura

4.0/5 (3 voti)

inviato da Luca Murdaca, inserito il 19/02/2018

RACCONTO

3. La cesta di Moses

Gulli Morini

Moses è un ragazzo di 11 anni che vive a Cafarnao, piccolo paese della Galilea sulle rive del lago di Genezaret. È solo al mondo: ha perso i genitori in una delle tante guerre che periodicamente travolgono il suo paese. Non ha una casa sua e dorme dove gli capita, a volte in un fienile oppure in una stalla, ma più spesso sotto le stelle, specialmente nelle calde notti d'estate.
Moses, anche se povero, una cosa la possiede: una cesta; con quella gira per i mercati e si offre per trasportare le merci di chiunque ne abbia bisogno. Così guadagna quelle poche monete che gli permettono di vivere.
A Cafarnao tutti lo conoscono per nome, anche perché Moses è sempre molto buono e disponibile; tutti sanno che, all'occorrenza, possono contare sul suo aiuto.

Una mattina un vecchio signore lo chiama:
«Moses, Moses, dove ti sei cacciato?»
«Eccomi, sto arrivando.»
«Ho un lavoro per te. Eccoti due monete: con questa mi comprerai del pane, e con l'altra del pesce; mi raccomando che sia bello e fresco! Stasera aspetto un ospite importante: non farmi fare brutta figura! Se mi servirai bene potrai rimanere a mangiare con noi a cena.»
Il ragazzo è ben contento di aver trovato un lavoro, e la prospettiva di una vera cena gli mette le ali ai piedi. In quattro salti è sulla riva del lago dove alcuni pescatori stanno aggiustando le reti.
«Avete del buon pesce da vendermi?»
«Mi spiace, ragazzo, ma da due giorni il lago è avaro con noi.»
Moses è deluso: di solito c'è pesce in abbondanza, oggi gli toccherà andarne a cercare nel paese vicino. Pazienza, tanto sia il pane che i pesci servono per la sera, poi forse è meglio così, perché su quella strada c'è Aronne che fa il pane più buono di tutta la regione. Avrà per questo una ricompensa in più. Un'ora dopo, infatti, sei bellissimi pani profumati sono scambiati per una moneta e vanno a finire nella cesta di Moses.
Poco lontano incontra due pescatori.
«Avete del buon pesce?»
«Quel poco che avevamo è già stato venduto, prova a chiedere più avanti.»

Da quasi due ore il ragazzo cammina inutilmente sulla riva del lago alla ricerca di pesce: meglio riposarsi un poco all'ombra di un grande eucalipto. I pani profumati sono una tentazione irresistibile e così comincia a mangiarne uno.
Ma ansimanti arrivano quattro bambini che stanno giocando a rincorrersi. Si fermano davanti allo sconosciuto, gli occhi fissi sul pane e la fame dipinta sul volto. Non si può mangiare in pace quando ti sta osservando chi ha più fame di te, e allora Moses divide il pane in quattro e lo dà ai bimbi che corrono via felici. Così non è più un furto ma una buona azione, anche se la pancia rimane vuota.
Una voce dal lago lo distoglie da questi pensieri.
«Ragazzo, afferra la cima e aiutami a tirare in secco la barca.»
In un balzo Moses è in acqua per aiutare il pescatore. Sul fondo della barca solo tre pesci, grossi e bellissimi.
«Me li vendi per una moneta?»
«Prendili pure, sono tuoi.»
Felice di aver completato la sua laboriosa ricerca, Moses si incammina verso casa.

Un'ora dopo incontra sulla riva del lago una gran folla. Strano, due ore fa, all'andata, non c'era nessuno. Ma ancor più strano che tutta quella gente se ne stia ferma e silenziosa ad ascoltare un uomo che parla in piedi su una barca.
«È Gesù», gli sussurra all'orecchio qualcuno. Quel Gesù di cui tutti parlano, che è passato più volte in questi paraggi, ma che Moses non aveva mai fino ad ora incontrato.
Camminando silenziosamente sulla spiaggia arriva a sedersi proprio davanti alla barca. Ma quella è la barca di Simone, anche lui di Cafarnao, che ora se ne sta seduto ai piedi di Gesù. Il ragazzo ascolta quelle bellissime parole che hanno il potere di entrare nel profondo del cuore.

Passa il tempo senza che nessuno mostri di accorgersene, o per lo meno quasi nessuno, visto che proprio Simone è assai preoccupato. Infatti, appena può, consiglia al Maestro di congedare tutta quella gente perché possa andarsi a comperare qualcosa da mangiare nei paesi vicini.
Ma lui risponde: «Dategli voi da mangiare!»
Simone è confuso, si guarda intorno ed esclama: «Ma Signore noi non abbiamo nulla. L'unico cibo che vedo è nella cesta di quel ragazzo qui davanti, cinque pani e tre pesci.»
Gesù allora si fa portare la cesta, la benedice e con quel poco cibo che si moltiplica miracolosamente sfama una folla immensa.
Moses è visibilmente sbalordito. E' uno dei pochi che ha visto coi propri occhi da dove è uscito tutto quel pane e quel pesce. Anche lui ne ha mangiato e più tardi, quando Simone gli restituisce la cesta vuota ancora emozionato balbetta: «Grazie».
«Grazie a te Moses», gli risponde dolcemente l'apostolo.
Le parole si Simone scuotono il ragazzo: è tardi, anzi tardissimo. Bisogna tornare subito a Cafarnao, ma con cosa, se la cesta è rimasta vuota. La gente andandosene ha lasciato dei pezzi di pane: in breve la cesta si riempie di pezzetti, di briciole, tutta roba che va bene per i poveri, non per un ospite importante, ma è pur sempre meglio di niente.
I pensieri galoppano nella testa di Moses mentre torna quasi di corsa verso casa. Ha assistito ad un miracolo incredibile, ha udito parole che danno la pace al cuore, ma cosa dirà al signore che aspetta i pani e i pesci?

Cosi assorto arriva alla casa del suo committente, corre in cucina, vuota sul tavolo la cesta e scappa via per non dover dare spiegazioni. Corre fin sulla riva del lago e va a nascondersi in una barca che ha riconosciuto come quella di Simone. Anche questo è un fatto inaspettato: tutte le altre barche hanno preso il largo per gettare le reti sul far della sera, e questa, che solo qualche ora fa ospitava Gesù, è ferma sulla spiaggia.
Ma è proprio Gesù l'ospite atteso al quale erano destinati i pani e i pesci. Moses questo non lo sa; lo sa invece Simone che racconta al padrone di casa tutto quanto è successo quel giorno, e come da quella cesta sia uscito cibo per una folla immensa.

Il mattino seguente il ragazzo si sveglia, afferra la sua cesta e come il solito va in cerca di qualche lavoro.
«Moses, Moses, aspettami!»
E' la voce del vecchio signore di ieri che lo sta chiamando. Non è arrabbiato, ma addirittura affettuoso, e allora il ragazzo invece di scappare si volta.
«Moses, ti prego, ascoltami. Simone ieri sera mi ha raccontato tutto. Tu senza saperlo hai dato a Gesù tutto quello che io ti avevo mandato a comperare per lui. Sei stato molto più bravo di quanto ti avessi chiesto, ed ora ho un gran debito con te. Io sono vecchio e solo; anche tu sei solo, vuoi venire ad abitare da me? Ti vorrò bene come ad un figlio, e alla mia morte tutto ciò che possiedo sarà tuo.»

Moses ora abita da tempo col vecchio signore. Nel suo cuore ricorda sempre le parole di Gesù ascoltate quella mattina sul lago: «Date, date a tutti, e riceverete il centuplo sulla terra e la vita eterna in paradiso».
Agli amici racconta spesso come un giorno abbia donato tutto ciò che aveva dentro una cesta e per ricompensa abbia ottenuto un padre.

donocondivisionegenerositàmoltiplicazione dei pani e dei pesci

inviato da Guglielmo Morini, inserito il 21/08/2017

RACCONTO

4. Ciò che porti nel cuore   8

Storia Zen

C'era una volta un vecchio saggio seduto ai bordi di un'oasi all'entrata di una città del Medio Oriente.
Un giovane si avvicinò e gli domandò: "Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?"
L'uomo rispose a sua volta con una domanda: "Come erano gli abitanti della città da cui venivi?"
"Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là".
"Così sono gli abitanti di questa città", gli rispose il vecchio saggio.

Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda: "Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?"
L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda: "Com'erano gli abitanti della città da cui vieni?"
"Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli!"
"Anche gli abitanti di questa città sono così", rispose il vecchio saggio.

Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero: "Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?
"Figlio mio", rispose il saggio, "ciascuno porta nel suo cuore ciò che è. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell'altra città, troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perché, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo cuore."

conviverearmoniapaceviolenzaconflitticomunitàamiciziainterioritàesterioritàottimismopessimismosperanzabontà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 08/06/2017

RACCONTO

5. Il chicco di grano   2

C'era una volta un chicco di grano. Si era staccato dalla spiga alla fine del mese di giugno e aveva riposato per tutta l'estate in un comodo sacco di juta insieme a migliaia di suoi amici. Si stava proprio bene in quel luogo, sufficientemente comodo e fresco.

L'estate passo senza nessuna grossa novità. Venne infine l'autunno. Le giornate si facevano più corte e dalle finestre del granaio, dove il sacco di juta era stato messo, si intravedeva il sole che ogni giorno si abbassava sempre più: presto sarebbe arrivato l'inverno e le prime piogge.

Improvvisamente, una mattina, il sacco fu sollevato e preso sulle spalle da un uomo e caricato sul pianale di un trattore.

"Che succede? Dove ci portano? Come mai andiamo via da questo luogo?". L'agitazione dentro il sacco cresceva sempre più, e nessuno dei chicchi sapeva dare una spiegazione valida a quello che stava succedendo. Sballottati dalle manovre, i chicchi si lamentavano: "Ohi ohi, che botta! Non spingete! Mi sei venuto addosso!"

Finalmente il trattore si fermò. Il sacco fu scaricato per terra. Mani forti aprirono il sacco, raccolsero diverse manciate di chicchi e le misero in piccolo secchio. Anche Chicco finì lì dentro.

l contadino, con gesto solenne, prendeva continuamente manciate di chicchi e le spargeva nella fredda terra. Era arrivato il tempo della semina.

"Non voglio, non voglio finire nella terra, in quel solco tanto freddo dove mi toccherà stare da solo!", gridava a squarciagola il nostro Chicco.

Il contadino sentì i lamenti, e disse: "Se tu non vuoi essere seminato, nemmeno potrai diventare una bella spiga, piena di tanti chicchi, che macinati, diventeranno buon pane per sfamare tante persone". Chicco capì e si lasciò seminare senza più brontolare.

Arrivò intanto l'autunno e infine l'inverno. Per il nostro Chicco fu davvero difficile. Nel solco del campo, era freddo e buio. Frequentemente arrivava la pioggia, che faceva ancor più intirizzire Chicco. Si faceva forza, pensando alla bella spiga, gonfia di chicchi, che da lui sarebbe nata.

Una bella mattina di fine inverno, rallegrata da un solicchio che con i suoi raggi arrivava fino a fargli il solletico al naso, Chicco sentì che la buccia che lo avvolgeva si stava aprendo e da lui cominciava a germogliare una piccola piantina. Concentrò tutta la sua attenzione su quel germoglio, che ogni giorno di più si faceva posto fra la terra, finché un giorno arrivò a vedere la superficie: che spettacolo meraviglioso! Il campo era pieno di centinaia e centinaia di piantine che facevano capolino, vestite di un verdolino luminoso. Era spuntato il grano!

I giorni e le settimane passavano in fretta. Chicco e le altre piantine di grano crescevano quasi a vista d' occhio. Un giorno, in cima alla piantina ormai diventata grande, spuntò una piccola, meravigliosa spiga di grano, tenera e verdolina. Col passare del tempo, la spiga divenne sempre più robusta e gialla, piena di numerosi chicchi. Era pronta per essere mietuta.

Il grano fu raccolto, i chicchi separati dalla spiga, deposti a loro volta nei sacchi, portati al mulino e macinati. La farina era pronta per essere usata!

Un bravo fornaio ne acquistò vari sacchi, la impasto con l'acqua e il lievito, ne fece belle pagnotte, che una volta cotte nel forno, diventarono pane fragrante, pronto ad essere mangiato.

Si, i sacrifici di Chicco, erano serviti davvero a qualcosa: era diventato pane per saziare chi ha fame. Pane da condividere con tutti, come ogni altro bene che abbiamo ricevuto da Dio.

granopanesacrificioeucaristiadisponibilità

inviato da Don Ernesto Testi, inserito il 20/03/2017

RACCONTO

6. La morte del pessimismo

Leggenda araba

C'era una volta un vecchio, così vecchio che non ricordava neppure di essere stato giovane. E forse non lo era mai stato. In tutto il tempo che era stato in vita, ancora non aveva imparato a vivere. E, non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire.

Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere. Nulla esisteva al mondo che potesse addolorarlo e stupirlo. Trascorreva i suoi giorni inoperosi sulla soglia della sua capanna, guardando con occhi indifferenti il cielo, quello zaffiro immenso che Allah pulisce ogni giorno con la soffice bambagia delle nuvole. A volte qualcuno si fermava ad interrogarlo. Così carico d'anni qual era, la gente lo credeva molto saggio e cercava di trarre qualche consiglio dalla sua secolare esperienza.

«Che cosa dobbiamo fare per conquistare la gioia?» gli chiedevano i giovani. «La gioia è un'invenzione degli stolti», rispondeva lui.

Passavano uomini dall'animo nobile, apostoli bramosi di rendersi utili: «In che modo possiamo sacrificarci, per giovare ai nostri fratelli?» gli domandavano. «Chi si sacrifica per l'umanità è un pazzo», rispondeva il vecchio con un ghigno sinistro.

«Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?», domandavano i padri e le madri. «I figli sono serpi», rispondeva il vecchio. «Da essi non ci si può aspettare che morsi velenosi».

Anche gli artisti e i poeti, nella loro ingenuità, si recavano talvolta a consultare quell'uomo. «Insegnaci ad esprimere quell'anelito che abbiamo nel cuore!», gli dicevano. «Fareste meglio a tacere», sogghignava il vegliardo.

Le convinzioni malvagie di colui che non sapeva né vivere né morire, poco a poco si diffondevano nel mondo. L'Amore, la Bontà, la Poesia, investiti dal ventaccio del Pessimismo (poiché tale era il nome del Vecchio), si appannavano e inaridivano. L'esistenza umana veniva sommersa in una gora di stagnante malinconia.

Alla fine Allah si rese conto dello sfacelo che il Pessimismo operava nel mondo, e decise di porvi riparo. «Poveretto», pensò, «scommetto che nessuno gli ha mai dato un bacio». Chiamò un bambino e gli disse: «Va' a dare un bacio a quel povero vecchio».

Subito il bambino obbedì: mise le braccia intorno al collo del vecchio e gli scoccò un bacio sulla faccia rugosa. Il vegliardo fu molto stupito - lui che non si stupiva di niente. Difatti, nessuno mai gli aveva dato un bacio. E così il Pessimismo aperse gli occhi alla vita, e morì sorridendo al bambino che lo aveva baciato.

pessimismoottimismofiduciasorrisotenerezza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 16/06/2015

RACCONTO

7. Il Rasoio pigro   2

Leonardo da Vinci

Nella bottega di un barbiere, c'era una volta un bel Rasoio. Trovatosi solo un giorno, pensò di dare un'occhiata in giro, e tirò fuori la sua lama, che riposava nel manico come in una guaina. Come vide il sole specchiarsi nel suo corpo, rimase meravigliato: la lama d'acciaio mandava tali bagliori da farlo montare in boria.

«E io dovrei tornare in quella squallida bottega», pensò il Rasoio, «a tagliare le barbe insaponate di quei rustici villani, ripetendo all'infinito le stesse monotone operazioni! Avvilire a questo modo il mio corpo così bello, sarebbe una pazzia. Meglio andarmi a nascondere in qualche posto ben segreto, e godermi in tranquillità il resto dei miei giorni...»

Così dicendo si cercò un nascondiglio, e per molti mesi non si lasciò più trovare. Senonché, venne pur il giorno in cui, volendo prendere un po' d'aria, il Rasoio lasciò il suo rifugio e, uscito cautamente fuori dal manico, tornò a guardare il proprio corpo. Ahimé! cos'era mai successo? La lama, divenuta scura come una sega arrugginita, non rispecchiava più lo splendore del sole. Amareggiato e pentito, pianse invano il suo stupido errore: «Oh, quanto era meglio tenere in esercizio la mia bella lama affilata! La mia superficie sarebbe rimasta luccicante, il mio taglio netto e sottile! Invece, eccomi qua, corroso e incrostato per sempre dalla ruggine!...»

La stessa fine è riservata alle persone d'ingegno che invece di esercitare le loro qualità, preferiscono rimanere oziose. Proprio come il Rasoio, anch'esse perdono la sottigliezza e la luce dello spirito, e rimangono corrose dalla ruggine dell'ignoranza.

talentisuperbiapigrizia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 16/06/2015

RACCONTO

8. Il taglialegna   5

C'era una volta un possente taglialegna in cerca di lavoro. Dopo aver girato diverse città, il taglialegna trovò finalmente impiego presso un importante commerciante di legno. L'ottima paga e le eccellenti condizioni di lavoro convinsero il taglialegna a dare il meglio di sé.

Il primo giorno il capo diede al nuovo arrivato un'ascia e gli indicò l'area del bosco dove avrebbe dovuto lavorare. Al termine della giornata, il possente taglialegna frantumò il record degli altri dipendenti, raggiungendo i 18 alberi abbattuti. Il capo si congratulò sinceramente con lui e questo motivò ancor più il taglialegna.

Il secondo giorno il taglialegna lavorò con tutte le sue energie, ma al tramonto gli alberi abbattuti furono 15. Per nulla demoralizzato, il terzo giorno il taglialegna si impegnò con ancora più vigore, ma anche questa volta il numero di alberi calò: 10 unità. Per quanta energia mettesse nel suo lavoro, giorno dopo giorno, il numero di alberi abbattuti continuò a calare inesorabilmente.

Mortificato, il taglialegna sì presentò dal capo scusandosi per lo scarso rendimento. Al che l'esperto commerciante di legno pose al suo dipendente una semplice domanda: «Quando è stata l'ultima volta che hai affilato la tua ascia?»

Un po' imbarazzato il taglialegna rispose: «Signore, non ho avuto tempo per affilare la mia ascia, ero troppo impegnato a tagliare gli alberi.»

efficaciainterioritàesterioritàspiritualitàallenamento

4.6/5 (9 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 31/07/2014

RACCONTO

9. La conquista della penna d'aquila   9

In riva ad un lago azzurro, sorgeva un tranquillo villaggio indiano. A mezzogiorno e a sera, dalle tende uscivano fumo e fragranti profumi che mettevano appetito ai piccoli indiani che giocavano.

Una sera d'estate, il clima del villaggio sembrò improvvisamente cambiare. Gli uomini della tribù si raccolsero tutti nella tenda di Bisonte Nero, il grande capo, per il consiglio dei saggi e degli anziani.

Si erano riuniti per una questione importante che riguardava i piccoli indiani che avevano compiuto sette anni, dovevano cioè decidere quale sarebbe stata la "prova di forza" che avrebbero dovuto superare per essere accettati come membri della tribù.

Era ormai calato il sole, quando dalla tenda uscirono gli uomini, gli anziani e il grande capo. I piccoli indiani si avvicinarono a Bisonte Nero impazienti di sapere quale sarebbe stata la prova di forza, e lui con voce solenne dichiarò: "Domani all'alba con il primo raggio di sole, partirete con le vostre canoe verso l'altra riva del lago e cercherete la penna d'aquila dorata che è nascosta in un posto segreto".

Al primo chiarore, apparvero dietro le montagne le ombre dei giovani indiani che portavano le loro canoe verso la riva del lago. Stavano tutti indaffarati a prepararsi quand'ecco arrivare, camminando lentamente, Falco Stanco, un vecchio indiano che abitava in un villaggio dall'altra parte del lago.

Il vecchio si avvicinò ai bambini e disse loro: "Sono vecchio e stanco e per tornare dalla mia tribù devo andare sull'altra riva del lago, e a piedi ci impiegherei una nottata. Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?".

Il piccolo Volpe Astuta guarda gli altri e dice: "Ma noi dobbiamo fare la prova di forza!".

E tutti gli altri dissero: "No, non è possibile; se fosse un altro giorno sì, ma oggi dobbiamo correre".

"Eh, sì!", pensò Nuvola Rossa. "Se uno di noi prende sulla sua canoa Falco Stanco, rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna d'aquila. Ma che fatica dovrà fare, povero vecchio, per compiere il giro del lago. E come sarà triste se gli diremo tutti di no!". Nuvola Rossa si avvicinò al vecchio e disse, deciso: "Vieni, Falco Stanco; ti porto io!".

Gli altri sorpresi lo guardarono e pensarono: "Nuvola Rossa non è stato molto furbo, così rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna, ha perso la sua occasione, lui che è tra i ragazzi più abili!".

In quel momento spuntò il primo raggio di sole e con un grido di gioia i piccoli indiani partirono veloci. Nuvola Rossa vedeva i suoi amici molto più avanti di lui, ormai lontani, e gli venne il dubbio di aver sbagliato. Poi guardava Falco Stanco, aedeva il suo viso rugoso che sorrideva felice e sentiva nel suo cuore una voce che gli diceva: "Hai fatto bene, hai fatto bene!".

I piccoli indiani avevano già preso a cercare nei boschi, quando verso Mezzogiorno arrivò anche Nuvola Rossa. Il piccolo indiano era tutto sudato per la fatica e pensava che già vi era un vincitore. Ma, a quanto pareva, nessuno aveva ancora trovato la penna d'aquila.

Nuvola Rossa riprese forza e entusiasmo, salutò Falco Stanco e si accinse alla ricerca. Ma il vecchio indiano lo chiamò: "Aspetta, vieni qui! Ti devo dare una cosa!". Un po' a malincuore, Nuvola Rossa si fermò e andò verso Falco Stanco. "Ieri sera", proseguì l'anziano, "il grande capo del tuo villaggio mi ha detto: domani all'alba, quando vorrai tornare al tuo villaggio, recati dai piccoli indiani, chiedi loro di portarti sull'altra sponda, e a chi lo farà quando sarete arrivati, consegnagli questa". E Falco Stanco tirò fuori una meravigliosa penna d'aquila dorata!

Nuvola Rossa la afferrò e la sollevò con un urlo di gioia. Gli altri accorsero pieni di stupore.

Falco Stanco rivolgendosi a Nuvola Rossa disse: "Hai vinto la prova, perché la forza più grande è la forza dell'amore, e tu hai dimostrato di averla aiutandomi. Nuvola Rossa ha avuto il coraggio di fare quello che nessuno voleva fare!".

I piccoli indiani si guardarono l'un l'altro, poi dissero: "E' vero, la forza più grande è l'amore e adesso anche noi vogliamo fare come Nuvola Rossa!".

Falco Stanco li salutò con la mano e pensò: "Sì, questo è stato un giorno importante per i piccoli indiani perché hanno imparato che c'è qualcosa nella vita che vale più dell' arrivare primi".

amoresolidarietàdonaregratuitàgenerosità

4.7/5 (9 voti)

inserito il 10/07/2013

RACCONTO

10. La gioia del dare   7

Due fratelli, uno di cinque anni e l'altro di dieci, vestiti di stracci, continuavano a chiedere un po' di cibo per le case della strada che circondava la collina. Erano affamati, ma non riuscirono ad ottenere niente, i loro tentativi frustanti li rattistavano.

Finalmente, una signora diede loro una bottiglia di latte. Che festa per i due bambini! Allora si sedettero sul marciapiede, e il più piccolo disse a quello di dieci anni: "Tu sei il maggiore, bevi per primo...", e lo guardava coi suoi denti bianchi, con la bocca mezza aperta.

Il grande si portò la bottiglia alla bocca e, facendo finta di bere, stringeva le labbra per non far entrare nemmeno una sola goccia di latte. Poi passò la bottiglia al fratellino che, dando un sorso, esclamò: "Com'è saporito!".

Poi fu di nuovo il turno del maggiore. Anche questa volta si portò la bottiglia alla bocca, ormai già quasi mezza vuota, ma non bevve niente. E fecero così finché il latte non finì.

A quel punto il fratello maggiore, benché con lo stomaco vuoto ma col cuore traboccante di gioia, cominciò a cantare e a danzare.

Saltava con la semplicità di chi non fa niente di straordinario, o ancora meglio, con la semplicità di chi è abituato a fare cose straordinarie senza dargli importanza.

Noi che viviamo in un mondo di agiatezze, possiamo imparare una grande lezione da quel ragazzo: "Chi dà è più felice di chi riceve".

donaredareamoregratuitàfamiglia

4.7/5 (7 voti)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 06/07/2013

RACCONTO

11. La storia del cerino   1

Cleonice Parisi

Un Cerino triste e rassegnato, si era messo in disparte su un lato della scatola e una Candela dispiaciuta, incominciò a parlargli:
"La conosci la storia del Cerino?", esclamò la Candela.
"No!", rispose il Cerino.
"Caro Cerino, non sai quanto sei importante!".
"Parli bene tu!", disse con voce rammaricata il Cerino. "Sei una Candela, ti accendesti tempo fa e la tua fiamma ancora brucia nel consumarti lentamente. Io sono un Cerino, mi accenderò per poi spegnermi rapidamente, in meno di un istante".
"Cerino c'è verità in quel che dici, ma credimi non conta quanto sia lunga un'esistenza, ma è importante la realizzazione della sua essenza".
Il Cerino ci rifletté su e poi aggiunse: "Tu credi che valga sempre e comunque la pena vivere? Seppur consapevole di nascere per poi morire, di accendersi per poi finire?".
"Ascolta prima la Storia, figlio mio!".

C'era un volta una Candela, accesa nel buio della notte, essa era una faro per tutti i viandanti del mondo, chiunque poteva scorgerla anche dai luoghi più remoti, quella luce calda e confortante li carezzava ed era davvero tanto ma tanto importante.
Una notte come tante, i viandanti ebbero però un amara sorpresa, la luce della Candela si spense. Del resto era un Candela non poteva durare in eterno, avrebbero dovuto prevederlo, ed invece nel restare completamente al buio, panico e sconforto avvolsero l'animo di ogni viandante.
Passarono alcuni istanti che parvero lunghi come secoli, ed improvvisamente qualcuno s'ingegnò, chi ricordò che in soffitta aveva conservata una vecchia candela, chi trovò una torcia, chi un lumino, e ci fu persino chi scoprì nella propria casa un camino, ma ahimè era tutto inutile senza un Cerino.
E fu così che nell'affanno di risolvere il danno, qualcuno in tasca trovò un Cerino.
La tristezza avvolse l'animo di quel poverino, conosceva bene la durata di un Cerino, ma la vita del mondo era in declino e allora lo usò per accendere un camino.
Da quel camino ogni candela trovò fiamma, ogni cero luce, ogni lume scintilla.
E nel giro di qualche secondo, scanditi come secoli dal mondo la luce si riaccese a tutto tondo, e grazie a quel Cerino il mondo venne salvato dal declino.

"Che storia incantevole Candela, e come si chiamava quel Cerino?".
"Ma come? Quel Cerino lo conosci anche tu, si chiamava Gesù!".
Il Cerino sorrise di una Luce interiore che lo fece accendere con tanto amore e quella sua breve esistenza la trascorse nel dare realizzazione alla sua essenza.

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4.0/5 (3 voti)

inviato da Lisa, inserito il 08/07/2011

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12. Lo studente e l'anello   2

Un alunno presentò al suo professore un problema: "Sono qui, professore, perché sono tanto debole, e non ho la forza per fare niente. Dicono che non servo a nulla, che non faccio bene niente, che sono lento e multo stupido. Come posso migliorare? Che posso fare per valorizzarmi di più?".

Il professore senza guardarlo, disse: "Sono molto spiacente mio caro, ma ora non posso aiutarti, devo prima risolvere il mio problema. Forse dopo". E facendo una pausa parlò: "Se mi aiuterai, potrò risolvere il mio problema con più rapidità e dopo forse potrò aiutarti a risolvere il tuo".

"Va bene, professore", balbettò il giovane, ma si sentì un'altra volta sminuito.

Il professore prese un anello che portava al mignolo, lo dette al ragazzo e disse: "Monta a cavallo e vai fino al mercato. Devi vendere questo anello perché devo pagare un debito. È necessario che tu ottenga per l'anello il massimo possibile, ma non accettare meno di una moneta d'oro. Va e torna con la moneta il più velocemente possibile".

Il giovane prese l'anello e partì. Arrivò al mercato e cominciò a offrire l'anello ai commercianti. Essi lo guardavano con interesse, fino a quando il giovane diceva quanto pretendeva per l'anello.

Quando il giovane menzionava una moneta d'oro, alcuni ridevano, altri andavano via senza nemmeno guardarlo, e solo un vecchietto fu amabile al punto di spiegargli che una moneta d'oro era molto preziosa per comprare un anello.

Tentando di aiutare il giovane, arrivarono a offrire una moneta d'argento e una tazza di rame, ma il giovane ricusava le offerte seguendo le istruzioni di non accettare meno di una moneta d'oro.

Dopo aver offerto il gioiello a tutti coloro che passavano al mercato e abbattuto per l'insuccesso, montò a cavallo e ritornò. Il giovane avrebbe desiderato avere una moneta d'oro per comprare egli stesso l'anello, liberando così il suo professore dalla preoccupazione e poter poi ricevere il suo aiuto e i suoi consigli.

Entrò in casa e disse: "Professore, mi dispiace molto, ma è impossibile ottenere ciò che ha chiesto. Forse si potrebbero ottenere 2 o 3 monete d'argento, ma non credo che si possa ingannare nessuno sul valore dell'anello".

"È importante quello che mi dici, ragazzo", obiettò sorridendo. "Prima si deve sapere il valore dell'anello. Prendi il cavallo e vai dal gioielliere. Chi meglio di lui può sapere il valore esatto dell'anello? Digli che vuoi venderlo e domanda quanto ti può dare. Ma non importa quanto ti offre, non lo vendere. Torna qui con il mio anello".

Il giovane arrivò dal gioielliere e gli dette l'anello da esaminare. Il gioielliere lo esaminò con una lente d'ingrandimento, lo pesò e disse: "Dica al suo professore che, se vuole venderlo ora, non posso dargli più di 58 monete d'oro". "58 monete d'oro!", esclamò il giovane. "Sì", replicò il gioielliere, "io so che col tempo potrei offrire circa 70 monete, ma se la vendita è urgente...".

Il giovane corse emozionato a casa del professore per raccontare quelle che era successo. Il professore dopo aver udito quanto offerto dal gioielliere, disse: "Tu sei come questo anello, una gioia preziosa e unica. Può essere valutata solo da uno specialista. Pensavi che chiunque potesse scoprire il suo vero valore?". E così dicendo tornò a collocare il suo anello nel dito.

Tutti noi siamo come questa gioia. Preziosi e unici e andiamo per tutti i mercati della vita pretendendo che persone inesperte ci valorizzino. Ripensa al tuo valore!

valoreinterioritàsperanzaricchezza interiorericchezzaunicitàimportanza del singolo

5.0/5 (2 voti)

inviato da Liliana, inserito il 01/02/2011

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13. Battista il tartarughino misterioso   2

Ero assopito nei miei pensieri quando incontrai, per la prima volta, un semplice e carino tartarughino. Mi colpì subito, era diverso dagli altri perché era misterioso. Facemmo subito amicizia e la prima cosa che feci lo battezzai Battista, e con tutte le mie capacità cercai di scoprire il mistero che ogni tanto lo faceva entrare nel suo guscio.

Non mi fermai alla sua apparente sicurezza perché capì che aveva tanto bisogno di tenerezza.

Mi armai di tanto buon senso e pazienza e cominciai a portarlo nel mondo della fantasia e dei sogni, nonostante la realtà fosse ben diversa. Lo portai nel mio mondo fatto di tenerezza e magia e cercai di fargli assaporare quella dolcezza che non si vede se non con gli occhi del cuore.

Tutto faceva sperare al meglio, anche perché iniziammo la terapia dello scioglimento che consiste a fare esercizi nel dire ciò che si prova senza vergogna e paura. Una cosa per lui molto difficile e molto più faticosa di un duro allenamento di sport.

Con il tempo siamo diventati molto complici, io e Battista, anche se a volte si chiude completamente e non mi lascia entrare nel suo guscio. Pensa che non potrà mai più migliorare e che non potrà dare più di tanto. Quindi i suoi "ti voglio bene" timidi non sa quanto gli giovano.

Battista non sa che grazie a lui ho scoperto me stesso: lui è il mio specchio e mi ha dato la possibilità di conoscermi.

Alla fine la terapia serve a tutti e due e anche se verranno momenti di pausa, credo in lui e so che un giorno mi mostrerà senza paura tutta la sua tenerezza e allora si potrà dire che il nostro è un rapporto magico e speciale.

amiciziainterioritàtimidezzaaperturaaprirsi agli altrichiusura

5.0/5 (1 voto)

inviato da Chianese Raffaella, inserito il 26/06/2010

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14. Il dono più grande   4

In una classe, dopo le vacanze natalizie, il professore vuole saggiare il grado di conoscenza religiosa dei suoi alunni. Come è solito fare, pensa opportuno dare loro un tema da svolgere nel corso della settimana dopo la festa dell'Epifania: "I tre Re Magi hanno portato a Gesù tre doni: oro, incenso e mirra. Secondo voi, quale dei tre è il dono più prezioso? E perché?".

Dopo una settimana i temi sono consegnati e le risposte, come si poteva supporre, sono le più varie e disparate. Chi dice che la mirra è il dono più prezioso perché sottolinea come la sofferenza e la morte in croce di Gesù siano il segno più grande del suo amore per ogni uomo. Chi invece sostiene che il dono dell'incenso mette molto bene in risalto la funzione sacerdotale di Gesù, quale ponte tra cielo e terra che ha unito Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Altri studenti invece - la maggior parte - decisamente scelgono il dono dell'oro come segno di colui che, Re del cielo e della terra, è proprietario di tutte le ricchezze che sono state, sono e saranno.

Il professore, dopo essersi congratulato con gli alunni e per il tema svolto, e per la saggezza delle argomentazioni che hanno motivato le diverse scelte e le varie preferenze dei doni, non può però non constatare: "Devo rammaricarmi con lo studente ritenuto il più bravo, che ha consegnato il quaderno, senza scrivere una riga sul tema proposto. Perché?".

Roberto, stranamente sereno e sicuro di sé, si aspettava il rimprovero o almeno una richiesta di giustificazione, e risponde semplicemente che, a suo giudizio, nessuno dei tre doni è importante. "Secondo me, signor professore, il dono più grande che i tre Re Magi hanno fatto a Gesù è stato il loro prostrarsi per adorarlo. Mi pare - continuò il saggio studente - che Gesù abbia gradito dai Magi più l'offerta che hanno fatto di se stessi, che non quanto essi avevano in mano".

Hanno adorato Gesù. Adorare è annientarsi per amore. E' proprio il dono più grande: donare la vita per gli altri. Hanno visto in Gesù un Dio che si annienta per amore dell'uomo. E l'uomo, per rispondere a un Dio che gli si dona, non poteva rispondere meglio che con la propria adorazione, che è il suo sì di ogni momento al prossimo, dono che Gesù ritiene fatto a sé.

L'ammalato gradisce la medicina che l'infermiere o il medico gli porge, ma preferisce il sorriso e l'amore con cui gli viene somministrata. La preziosità del dono non si misura da quello che si dà o da quanto si dà, ma dal cuore con cui lo si dà. Il sorriso che accompagna il dono, vale più del dono stesso.

Nulla è piccolo di ciò che è dato per amore. Il mio, il tuo dono, piccolo o grande, vale quando coinvolge noi stessi.

amoredonodonaredono di séadorazioneepifaniare magi

4.3/5 (3 voti)

inviato da Bianca Biscardi, inserito il 13/12/2009

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15. L'elemosina   6

Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua

Un giorno di molto tempo fa, in Inghilterra, una donnetta infagottata in un vestito lacero percorreva le stradine di un villaggio, bussando alle porte delle case e chiedendo l'elemosina. Molti le rivolgevano parole offensive, altri incitavano il cane a farla scappare. Qualcuno le versò in grembo tozzi di pane ammuffito e patate marce. Solo due vecchietti fecero entrare in casa la povera donna.

«Siediti un po' e scaldati», disse il vecchietto, mentre la moglie preparava una scodella di latte caldo e una grossa fetta di pane. Mentre la donna mangiava, i due vecchietti le regalarono qualche parola e un po' di conforto.

Il giorno dopo, in quel villaggio, si verificò un evento straordinario. Un messo reale portò in tutte le case un cartoncino che invitava tutte le famiglie al castello del re. L'invito provocò un gran trambusto nel villaggio, e nel pomeriggio tutte le famiglie, agghindate con gli abiti della festa, arrivarono al castello. Furono introdotti in una imponente sala da pranzo e ad ognuno fu assegnato un posto.

Quando tutti furono seduti, i camerieri cominciarono a servire le portate. Immediatamente si alzarono dei borbottii di disappunto e di collera. I solerti camerieri infatti rovesciavano nei piatti bucce di patata, pietre, tozzi di pane ammuffito. Solo nei piatti dei due vecchietti, seduti in un angolino, venivano deposti con garbo cibi raffinati e pietanze squisite. Improvvisamente entrò nella sala la donnetta dai vestiti stracciati. Tutti ammutolirono. «Oggi - disse la donna - avete trovato esattamente ciò che mi avete offerto ieri».

Si tolse gli abiti malandati. Sotto indossava un vestito dorato. Era la Regina.

Un riccone arrivò in Paradiso. Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi. Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.
Al momento di pagare porse all'angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio. L'angelo sorrise e disse: "Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore".
"Come?", si stupì il riccone.
"Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato", rispose l'angelo.

Oggi, non dimenticare il tuo capitale per il Paradiso.

darecondivisionedonoamoregratuitàserviziocaritàdonareelemosinavita eternaparadiso

3.7/5 (3 voti)

inviato da Davide Bonadeo, inserito il 18/07/2009

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16. Il club del novantanove   6

Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali

C'era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto. «Paggio», gli chiese un giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?».

«Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto».

Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!».
«Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi, puoi sottrargliela».
«Come?».
«Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove».
«Che cosa significa?».
«Fa' quello che ti dico...».

Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d'oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva: «Questo tesoro è tuo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato».

Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta... novantanove! Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. «Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Maledetti!».

Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili... Ma non trovò quello che cercava.

Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d'oro. Soltanto novantanove. «Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero completo» pensava. «Cento è un numero completo, novantanove no».

La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.

Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l'avrebbe fatta! Il paggio era entrato nel giro del novantanove...

Non passò molto tempo che il re lo licenziò. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.

E se ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro. E che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove. È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati. Un tranello per non farci mai smettere di spingere.

Quante cose cambierebbero se potessimo goderci i nostri tesori così come sono.

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4.3/5 (3 voti)

inserito il 25/11/2007

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17. Il dono dello Spirito Santo   1

Il giorno dell'Ascensione così riferisce una leggenda un Angelo incontrò Gesù che saliva al cielo e gli chiese: "Signore hai già terminato la tua missione?". "Si", rispose Gesù.

Poi rivolgendo lo sguardo laggiù verso la terra immersa nel freddo e nell'oscurità, videro un tenue fuoco ardere in un piccolo punto. "Che cos'è?", domandò l'angelo. Rispose il Signore: "Quel piccolo focolare è in Gerusalemme; attorno vi sono riuniti gli Apostoli insieme con mia Madre. Ora, appena sarò tornato il mio piano sarà completato: manderemo laggiù lo Spirito Santo per ravvivare quel focolare così che possa diffondersi per tutta la terra e dare luce e calore a tutti gli uomini".

L'angelo, meravigliato, dopo un momento di riflessione disse di nuovo a Gesù: "E se questo non funzionasse?". Il Signore rispose: "Il mio piano è questo e non ne ho altro. Io voglio che nel mondo regni l'amore tra gli uomini".

Aprire senza paura le porte del cuore e della mente allo Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio, perché ravvivi anche in noi quel fuoco per renderci capaci di trasformare il mondo, questo è il compito principale del nostro essere cristiani.

Spirito SantoPentecosteAscensione

inviato da Don Santino Terranova, inserito il 09/12/2005

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18. Sassi   3

Un giorno, un anziano professore della "Scuola Nazionale di Amministrazione Pubblica" (ENAP) fu assunto per tenere un corso sulla Pianificazione efficace del proprio tempo a un gruppo di una quindicina di dirigenti di grandi compagnie nordamericane.

Il corso costituiva una delle 5 materie della loro giornata di formazione. Il vecchio professore disponeva solo di un'ora per il suo corso. Stando in piedi, davanti a quest'elite (pronta a prender nota di tutto quello che l'esperto avrebbe insegnato) l'anziano insegnante li guardò uno ad uno, lentamente, poi disse:
"Oggi faremo un'esperienza".

E tirò fuori da sotto la cattedra che li separava un grosso recipiente (che conteneva più di 4 litri) che posò delicatamente davanti a sé. Subito dopo tirò fuori una dozzina di sassi, grandi come una palla da tennis, e li pose con delicatezza, uno per uno, dentro al grande vaso. Quando fu pieno, di modo che non era più possibile aggiungerci un altro sasso, domandò ai suoi allievi: "Secondo voi, il vaso è pieno?".
Essi risposero in coro: "Sì".

Il vecchio attese qualche secondo e poi domandò: "Veramente?". Allora si piegò e tirò fuori da sotto il tavolo un recipiente contenente del granigliato di marmo. Con minuzia, versò il granigliato nel vaso e i pezzettini andarono ad infilarsi fra un sasso e l'altro... fino alla base.

Sollevando lo sguardo verso il suo uditorio, domandò di nuovo: "E adesso è pieno?". Questa volta i suoi brillanti allievi cominciarono a comprendere, e uno di essi disse:
"Probabilmente, no".

"Bene" - riprese l'insegnante. Si piegò di nuovo, e questa volta tirò fuori un sacchetto di sabbia. Con precisione, versò la sabbia nel vaso. La sabbia riempì gli interstizi lasciati liberi dai sassi e dal granigliato.
Ancora una volta, domandò: "E adesso, il vaso è pieno?".

E questa volta, senza esitare, tutti gli allievi risposero in coro: "No!".

"Bene!", disse il vecchio. E come i suoi prestigiosi allievi si attendevano, prese la caraffa d'acqua che era sulla cattedra e riempì il vaso fino al bordo. Sollevando lo sguardo verso il gruppo, l'insegnante domandò: "Qual è la grande verità che ci dimostra questo esperimento?".

Il più audace degli allievi, riflettendo sul soggetto della materia, disse con orgoglio: "Questo dimostra che, anche quando crediamo che la nostra agenda sia completamente piena, se lo si vuole veramente, possiamo aggiungere ancora qualche appuntamento, qualcosa da fare".

"No - rispose il vecchio prof. - non si tratta di questo. La grande verità che ci dimostra quest'esperienza è la seguente: Se noi non infiliamo i sassi per primi nel vaso, non potremo mai farceli stare tutti, dopo!".

Ci fu un profondo silenzio. Ciascuno prendeva coscienza dell'evidenza di questa verità.

Il vecchio prof., allora, aggiunse: "Quali sono i grandi sassi nella vostra vita? La salute? La Famiglia? Gli amici? Realizzare i vostri sogni? Fare quello che vi piace? Imparare? Difendere una causa? Riposarsi? Dare ad ogni cosa il suo tempo? O... qualsiasi altra cosa? Quello che dovete imparare, è l'importanza di mettere i GROSSI SASSI in primo piano, nella vostra vita, se no rischierete di fallire! Se darete la precedenza alle quisquiglie (il granigliato, la sabbia) riempirete la vita di stupidaggini e non avrete abbastanza tempo da consacrare agli elementi importanti della vostra vita. Allora, non dimenticate di porvi la domanda: Quali sono le grosse pietre della mia vita? E in seguito, mettetele nel vaso!".

Con un gesto amicale della mano, il professore salutò il suo auditorio e abbandonò lentamente l'aula.

tempoessenzialitàessenzialeprogrammazioneprioritàsuperfluo

5.0/5 (4 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/11/2005

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19. La morte della Parrocchia   4

Bruno Ferrero, L'importante è la rosa

Sui muri e sul giornale della città comparve uno strano annuncio funebre: «Con profondo dolore annunciamo la morte della parrocchia di Santa Eufrosia. I funerali avranno luogo domenica alle ore 11».

La domenica, naturalmente, la chiesa era di Santa Eufrosia era affollata come non mai. Non c'era più un solo posto libero, neanche in piedi. Davanti all'altare c'era il catafalco con una bara di legno scuro. Il parroco pronunciò un semplice discorso: «Non credo che la nostra parrocchia possa rianimarsi e risorgere, ma dal momento che siamo quasi tutti qui voglio fare un estremo tentativo. Vorrei che passaste tutti qui davanti alla bara, a dare un'ultima occhiata alla defunta. Sfilerete in fila indiana, uno alla volta e dopo aver guardato il cadavere uscirete dalla porta della sacrestia. Dopo, chi vorrà potrà rientrare dal portone per la Messa».

Il parroco aprì la cassa. Tutti si chiedevano: «Chi ci sarà mai dentro? Chi è veramente morto?». Cominciarono a sfilare lentamente. Ognuno si affacciava alla bara e guardava dentro, poi usciva dalla chiesa. Uscivano silenziosi, un po' confusi. Perché tutti coloro che volevano vedere il cadavere della parrocchia di Santa Eufrosia e guardavano nella bara, vedevano, in uno specchio appoggiato sul fondo della cassa, il proprio volto.

talentiimpegnochiesaparrocchia

5.0/5 (3 voti)

inviato da Claudia Squizzato, inserito il 08/12/2004

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20. La donna   2

Quando il Signore fece la donna era il suo sesto giorno di lavoro, facendo straordinari. Apparve un angelo e disse: «Perché usi tanto tempo nel fare questo?»

E il Signore rispose: «Hai visto il formulario delle specifiche che possiede? Deve essere completamente lavabile ma non di plastica, ha duecento parti mobili e tutte sostituibili, funziona a caffè e resti di pranzo, ha un grembo nel quale stanno due bambini allo stesso tempo, possiede un bacio che può curare qualsiasi cosa, da un ginocchio sbucciato ad un cuore rotto ed ha sei paia di mani».

L'angelo era sorpreso da tutti i requisiti che la donna possedeva. «Sei paia di mani! Non è possibile!»
«Il problema non sono le mani, sono i tre paia di occhi che le madri devono avere», rispose il Signore.
«Tutto questo nel modello standard?», chiese l'Angelo.

Il Signore assentì con il capo. «Sì, un paio d'occhi servono affinché possa vedere attraverso una porta chiusa chiedendo ai figli cosa stanno facendo, nonostante lo sappia. Un altro paio sono nella parte posteriore della testa per vedere cose che ha bisogno di conoscere nonostante nessuno pensi che sia necessario.Il terzo paio sono nella parte anteriore della testa. Questi servono quando vede i figli smarriti e guardandoli dice loro che li capisce e li ama comunque senza bisogno di dire una parola».

L'Angelo cercò di fermare il Signore: «Questo è un carico troppo grande per la donna!».
«Ascolta il resto delle specifiche!», protestò il Signore. «Si cura da sola quando è ammalata, può alimentare una famiglia con qualsiasi cosa e può far sì che un bambino di nove anni resti sotto la doccia».

L'Angelo si avvicinò e toccò la donna: «Però, l'hai fatta tanto morbida, Signore!».
«Lei è morbida e dolce» disse il Signore, «però allo stesso tempo l'ho fatta forte. Non hai alcuna idea di quanto possa essere resistente e di quanto possa sopportare».
«Potrà pensare?» chiese l'Angelo.
Il Signore rispose: «Non solo sarà capace di pensare ma anche di ragionare e di negoziare».

L'Angelo notò qualcosa, si stirò e toccò la guancia della donna.
«Oh! Sembra che questo modello abbia una perdita. Gliel'ho detto che stava cercando di metterci troppe cose!».
«Questa non è una perdita, obiettò il Signore, questa è una lacrima!».
«E a cosa servono le lacrime?» chiese l'Angelo.
Il Signore disse: «Le lacrime sono la forma nella quale esprime la sua allegria, il suo dolore, il disincanto, la solarità, il suo orgoglio».

L'Angelo era impressionato. «Sei un genio Signore! Hai davvero pensato a tutto, visto che le donne sono veramente meravigliose!».

E il Signore aggiunse: «Le donne hanno una forza che meraviglia gli uomini. Crescono i figli, sopportano le difficoltà, portano carichi pesanti, tacciono quando vorrebbero gridare. Cantano quando vorrebbero piangere. Piangono quando sono felici e ridono quando sono nervose. Litigano per ciò in cui credono. Si sollevano contro le ingiustizie. Non accettano un NO come risposta quando credono che esista una soluzione migliore. Se sono in ristrettezze comprano le scarpe nuove per i figli e non per se stesse. Accompagnano dal medico un amico spaventato. Amano incondizionatamente. Trionfano. Hanno il cuore rotto quando muore un amico. Soffrono quando perdono un membro della famiglia ma riescono ad essere forti quando non c'è più nulla da cui trarre energia. Sanno che un abbraccio ad un bacio possono aggiustare un cuore rotto. Le donne sono fatte di tutte le misure, le forme ed i colori. Amministrano, volano, camminano o ti mandano e-mail per dirti quanto ti amano. Le donne fanno più che trasmettere luce, portano allegria e speranza, compassione ed ideali. Le donne hanno infinite cose da dire e da dare. Sì, il cuore delle donne è meraviglioso».

donnamadrefiglifamiglia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giovanna Carosini, inserito il 29/07/2004

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