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TESTO

1. Lettera a coloro che si sentono falliti   2

Tonino Bello, Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 363-368

Questa lettera la scrivo un po' anche a me. Sono convinto, infatti, che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all'alba abbiamo visto svanire...

I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me, sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l'hanno fatta a raggiungere neppure gli standard sui quali "normalmente" scorre una esistenza che voglia dirsi realizzata.

Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e, immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto di brillante carriera per un distacco irreversibile della retina.

Ugo, ragazzo prodigio fino alla maturità classica che si è insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a districarsene. Oggi ha quarant'anni, e sua moglie, ad ogni lite, gli rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo studio di un avvocato.

Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte all'Accademia Chigiana di Siena ha avuto decine di occasioni per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell'altro. Alla fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.

Lucia che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi non è partita perché i suoi l'hanno ostacolata. Ora margherite non ne sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da regalo.

Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della vita voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia della salvezza.

A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire a uno a uno gli ideali accarezzati in gioventù. A voi che avete meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete rimasti al palo. A voi che non avete trovato mai spazio, e siete usciti da ogni graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti. A voi che una malattia, o una tragedia morale, o un incidente improvviso, o uno svincolo delicato dell'esistenza, hanno fatto dirottare imprevedibilmente sui binari morti dell'amarezza. A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.

A tutti voi voglio dire: "Volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!".

La riuscita di una esistenza non si calcola con i fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l'applausometro delle platee, o con gli indici di gradimento delle folle.

Da quando l'Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell'impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell'atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n'è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell'antichità, il pregio della riuscita.

Non voglio sommergervi di consolazioni. Voglio solo immergervi nel mistero. Nella cui ottica una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre carreggiate mai divenute carriere, non sono inutili, ma costituiscono il fondo di quella Cassa deposito e prestiti che alimenta ancora oggi l'economia della salvezza.

A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!

fallimentocrocecrocifissosalvezzasuccessoprogettisogni

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

2. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

3. La tua croce   1

San Francesco di Sales

La sapienza eterna di Dio ha previsto fin dal principio la croce che egli ti invia dal profondo del suo cuore come un dono prezioso.
Prima di inviartela egli l'ha contemplata con i suoi occhi onniscienti, l'ha meditata col suo divino intelletto, l'ha esaminata al lume della sua sapiente giustizia.
E le ha dato calore stringendola tra le sue braccia amorose, l'ha soppesata con ambo le mani se mai non fosse di un millimetro troppo grande o di un milligrammo troppo greve.
Poi l'ha benedetta nel suo nome santissimo, l'ha cosparsa col balsamo della sua grazia e col profumo del suo conforto.
Poi ha guardato ancora a te, al tuo coraggio...
Perciò la croce viene a te dal cielo, come un saluto del Signore, come un'elemosina del suo misericordioso amore.

crocesofferenzaamore

inviato da Daniela Porta, inserito il 19/03/2008

TESTO

4. Quaresima in famiglia   1

Vito Groppelli

- Lunedì: rilettura in famiglia della Parola di Dio ascoltata in chiesa la domenica precedente.
- Martedì: giorno della carità. Avvicinarsi ad una persona bisognosa di conforto, collega di lavoro, anziani, amici di scuola, ammalati, orfani ecc.
- Mercoledì: giorno della rinuncia a qualche cosa che ci costa: sigaretta, alcolici, dolci, bibite ecc. Una rinuncia che fa bene.
- Giovedì: giorno del dialogo con tutti, specialmente con chi non ci è simpatico e ci ha offeso.
- Venerdì: giorno della conversione, della confessione, del ritorno a Dio. Il figlio prodigo che ciascuno di noi è deve ritornare al Padre. Astenersi dalla TV.
- Sabato: giorno a vivere in compagnia della Madonna. La preghiera del rosario può essere fatta anche durante il lavoro in campagna, nei supermercati e negozi, nelle fabbriche e mentre si guida.
- Domenica: giorno in cui la famiglia incontra l'Eucaristia e la comunità cristiana. Giorno in cui si porta l'offerta della settimana destinata al Signore ed ai nostri fratelli bisognosi.

quaresimaconversione

inviato da Alessandro Bianco, inserito il 14/01/2007

TESTO

5. Beati gli afflitti, perché saranno consolati

Tonino Lasconi, Amico Dio

Beati voi
che non dite:
"Quando sto bene io...
stanno bene tutti!"
ma vi fate carico
delle sofferenze degli altri.

Beati voi
che nella sofferenza
non vi chiudete in voi stessi
ma cercate conforto nei fratelli
che io vi ho messo vicino.

Beati voi
che a colui che soffre
non dite: "Pazienza,
Dio ha voluto così!"
ma gli dite:
"Coraggio, ti aiuto io:
Dio ti vuole felice!"

sofferenzaconsolazionecrocedoloresolidarietà

inviato da Marco Malatesta, inserito il 07/01/2005

TESTO

6. A coloro che soffrono nel corpo

Tonino Bello, Pietre di scarto, ed. La Meridiana 1993

Carissimi, non scrivo per consolarvi. Anche perché so bene quanto fastidio vi diano le declamazioni di coloro che sentendosi sempre in dovere di spendere qualche parola con voi, ricorrono ai prontuari dei più indisponenti fraseggi. Non è di compatimento che avete bisogno. Prima di tutto, perché il compatimento è una spartizione fittizia del dolore. Poi, perché vi toglie la fierezza di rimaner soli sulla croce. E infine, perché rischia di fermarsi alla soglia delle parole. Al paraplegico che sta inchiodato su una sedia a rotelle, che sollievo può dare il sermone di circostanza fatto da chi magari, subito dopo, deve correre in palestra per una partita di basket? All'handicappato che ti interpella sui grandi perché della vita, e vuole rendersi conto delle ragioni misteriose che stanno all'origine della sfortuna, che conforto possono recare i luoghi comuni tratti dai repertori della compassione? A chi è ridotto all'impotenza da una malattia irreversibile o da un improvviso declino della salute, o da un fatale incidente sulla strada, e ti pone la scomoda domanda del «che ci sto a fare più sulla terra?», quale aiuto possono dare maldestre citazioni bibliche?

Davanti a chi soffre l'atteggiamento più giusto sembrerebbe il silenzio. Però anche il silenzio può essere frainteso o come segno di imbarazzo, o come tentativo di rimozione del problema. E allora tanto vale parlarne. Semmai con pudore, chiedendovi scusa per ogni parola di troppo.

Dire che con il vostro dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo attraverso le lacrime, può essere inteso come insulto gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto sommato, non siete poi così soli come sempre, potrebbe accrescere il vostro sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può apparire uno scampolo di quell'eloquenza mistificatoria che non convince nessuno.

Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c' è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a fare compagnia ai rantoli di Cristo, appartiene al messaggio inquietante, e pur dolcissimo, che un Ministro della parola non può né accorciare, né mettere tra parentesi.

Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non può non sentirti: è inchiodato appena dietro di te. Forse un giorno quel posto sarà mio. O lo è già da adesso, ed è solo l'esemplarità del vostro martirio più grande che me ne rende agevole il tormento.

Il mattino di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, voi sarete più veloci di tutti, e ci precederete come Giovanni. E forse vi fermerete sulla soglia, per farci vedere le bende per terra e il sudario piegato in disparte.

È l'ultima carità che ci aspettiamo da voi. Un abbraccio.

crocehandicapsofferenzaCristodolore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 20/12/2003

TESTO

7. L'appartenenza

Giorgio Gaber, Alla ricerca dell'io

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

Uomini
uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell'amore
io non pretendo di sembrarvi amico
mi piace immaginare la forza di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po' della mia vita
ma piano piano il mio destino
è andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male e non gli basta esser civile
è quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale con un'aria più vitale
che è davvero contagiosa.

Uomini
uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto un luogo, un posto più sincero
dove un bel giorno magari molto presto
io finalmente possa dire: questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo
per ritrovare il mondo.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
è un'esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.

Sarei certo di cambiare la mia vita
se potessi cominciare
a dire noi.

appartenenzacomunitàcomunionerapporto con gli altricomunità

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 28/06/2003

TESTO

8. Dove sei, mamma?

Linda, 16 anni

Dove sei, quando mi concepisci?
Dove sei, quando pensi di disfarti di me?
Dove sei quando sono in difficoltà
e ho bisogno di te?
Dove sei, quando la violenza e l'abuso feriscono la mia esistenza?
Dove sei, quando il mio affetto è ferito,
perché tu sei solo attenta
a chi ti distoglie
dalla tua vocazione di mamma?
Dove sei, quando sbagliamo percorso
e quindi cerchiamo conforto
nel sesso, nella droga, nell'anoressia
che avvolgono la nostra vita
perché qualcosa è mancato?
Ci sei mancata tu.
Ti voglio dire "Buon Natale"
In questa culla del presepe,
dove c'è una mamma che puoi imitare:
è la Mamma di Gesù.

mammamadreeducareeducazioneaffettoadolescenza

inviato da Claudio Guazzarotto, inserito il 16/03/2003

TESTO

9. Desiderare tutto per amore di Gesù

San Giovanni della Croce

L'anima cerchi sempre di inclinarsi:
non al più facile, ma al più difficile;
non al più saporoso, ma al più insipido;
non a quello che piace di più, ma a quello che piace di meno;
non al riposo, ma alla fatica;
non al più, ma al meno;
non al conforto, ma a quello che non è conforto;
non al più alto e pregiato, ma al più vile e disprezzato;
non alla ricerca di qualche cosa, ma a non desiderare niente;
non alla ricerca del lato migliore delle cose create, ma del peggiore;
e a desiderare nudità, privazioni e povertà di quanto v'è al mondo per amore di Gesù Cristo.

amare Cristoimpegnointerioritàumiltàvita spirituale

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

TESTO

10. Per ricordarvi di me

Verrà il giorno in cui il mio corpo giacerà su un lenzuolo bianco, rincalzato con cura sotto i quattro angoli di un materasso in un ospedale.

A un certo momento, un medico dichiarerà che il mio cervello ha cessato di funzionare e che la mia vita si è fermata a tutti gli effetti.

Allora non cercate di prolungare la mia vita artificialmente con l'aiuto di una macchina. E non chiamate quel letto il mio letto di morte; chiamatelo il letto di vita e lasciate che tutte le parti del mio corpo vengano utilizzate perché altri possano vivere meglio.

Date i miei occhi a un uomo che non ha mai visto un'aurora, il viso di un bambino e l'amore negli occhi di una donna. Date il mio cuore a una persona che per esso ha patito infinite sofferenze.

Date i miei reni a chi è legato a una macchina per sopravvivere.

Togliete dal mio corpo tutte le ossa, i muscoli e i nervi e studiate il modo di utilizzarli per far camminare un bimbo minorato.

Esplorate ogni angolo del mio cervello. Prendete le mie cellule, se necessario, e conservatele; forse un giorno serviranno affinché un ragazzo privo della parola possa urlare quando gli lanciano il pallone e una bimbetta sorda possa sentire il ticchettio della pioggia sui vetri.

Bruciate quel che resta di me e spargete le ceneri al vento; serviranno a far crescere i fiori.

Se dovete seppellire qualcosa, seppellite i miei difetti, le mie debolezze e tutti i pregiudizi contro i miei simili.
Date i miei peccati al diavolo, la mia anima a Dio.

Se vorrete ricordarvi di me, fatelo con una buona azione e con una parola di conforto per qualcuno che ha bisogno di voi.

Se farete tutto ciò, io vivrò per sempre.

donazione degli organimorte

inviato da Francesco Sessa, inserito il 04/05/2002

TESTO

11. La preghiera

Kahlil Gibran, il Profeta

Allora una sacerdotessa disse: Parlaci della preghiera.
Ed egli rispose, dicendo:

Voi pregate nelle angustie e nel bisogno; ma io vorrei che voi pregaste anche nella gioia piena e nei giorni dell'abbondanza.
Poiché che altro è la preghiera se non l'espansione di voi stessi nell'etere vivente?
Ed è a voi di conforto versare nello spazio la vostra oscurità, ed è anche per voi di diletto versare nell'esterno la gioia mattinale del vostro cuore.
E se non potete fare a meno di piangere quando l'anima vi spinge alla preghiera, essa dovrebbe spingervi, comunque, fino al punto che attraverso le lacrime spunti il sorriso.
Quando pregate voi vi innalzate a incontrare nell'aria tutti coloro che in quel medesimo istante sono in preghiera, che mai, se non nella preghiera, potreste incontrare.
Perciò non sia questa vostra visita a quell'invisibile tempio che estasi e dolce comunione.
Poiché se intendeste entrare nel tempio non per altro che per chiedere, non ricevereste nulla:
E se entrate per umiliarvi, non sareste innalzati:
E se anche voleste entrare per intercedere per il bene di qualcun'altra non sarete esauditi.
Basta già che voi entriate nell'invisibile tempio.
Io non posso insegnarvi parole di preghiere.
Dio non ascolta le vostre parole, a meno che non le pronunci attraverso le vostre labbra.
Ed io non posso insegnarvi la preghiera dei mari, delle foreste, delle montagne.
Ma voi, nati dai monti, dalle foreste e dal mare potete ritrovare nei vostri cuori la loro preghiera.
E se solo state in ascolto nella quiete delle notti udrete mormorare:
"Dio nostro, che sei la nostra ala, è la tua volontà che vuole in noi,
è il tuo desiderio che desidera in noi,
è il tuo impulso in noi che può trasformare le nostre notti, che sono anche le tue notti, in giorni che siano anche i tuoi giorni.
Nulla possiamo noi chiederti, poiché tu conosci le nostre necessità prima ancora che nascano in noi:
Sei tu la nostra necessità; e nel darci più di te stesso, tu ci dai tutto".

preghierarapporto con Dio

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 03/05/2002